DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
Il partner
La prima cosa che guardo entrando è sempre quella: come ce l'ha sistemato. Il cazzo, intendo. Lui ce l'ha sempre verso il basso, a sinistra, a riposo. Ma sempre più spesso non è dove me l'aspetto e questo vuole dire una cosa sola: che si è appena fatto una sega. Allora io mi dispero, perché per quel giorno non posso portare avanti il mio piano.
È un piano molto semplice: da quando questa estate ho scoperto che mi piacciono i ragazzi, Matteo, che è il mio migliore amico, compagno di banco, dalla prima elementare, è il miglior candidato per diventare a tutti gli effetti il mio partner sessuale. Lo voglio, lo desidero e ci piango sopra da quando ho scoperto di essere non so cosa.
Partner: credo che si possa definire così la persona con la quale si fa o si vuole fare sesso e ho deciso, anzi so, che Matteo sarebbe la persona giusta. Che cosa voglia dire esattamente 'fare sesso' non mi è ancora del tutto chiaro, ma, per il momento, ritengo che se io facessi una sega a lui e lui contemporaneamente la facesse a me, potrei dirmi soddisfatto.
Vabbè, per dopo ho qualche altra idea, tipo diventare amanti e questo so cosa vuol dire.
Ma se quello stronzo si masturba dopo mangiato, prima che io arrivi, con chi me la faccio la se- ga? E di chi divento l'amante? Della mia mano?
Sono otto anni che facciamo i compiti assieme. Dal primo ottobre della prima elementare ad oggi. In prima liceo non abbiamo perso l'abitudine. Alle tre, casa mia o casa sua, a turno. Prima non mi frega- va a casa di chi fossimo. C'era da mangiare e da bere in un posto e nell'altro. Mia madre pur essendo in casa quasi tutti i pomeriggi non rompeva, la sua invece non c'era mai, perché lavora in banca e fino alle sei stavamo da soli. Questa particolarità mi ha fatto preferire una casa all'altra, così le volte in cui sono io a fare i tre piani di scale che ci dividono, sono sempre più frequenti. Matteo non ha badato al cam- biamento, ma lui non bada a tante altre cose, se non sono io a fargliele notare. E questa non mi pare una di quelle cose che si fanno osservare, specie se uno ha per obiettivo di mettere le mani nelle mutande dell'altro.
Un altro cambiamento al quale lui pare non aver badato è quello che c'è stato in noi, nei nostri cor- pi e soprattutto nei nostri cazzi durante gli ultimi due anni. Fra noi non ne abbiamo mai parlato, sfiorando l'argomento solo in rare occasioni e tenendoci tutto dentro. A dire il vero sono stato io a tenermi tutto dentro, perché, come ho detto, se non sono io ad affrontare un problema lui non ci pensa e va avanti per conto suo. E questa volta lo sta facendo davvero: io non ne parlo e lui si fa le seghe da solo. Io non ho il coraggio di dirgli niente e lui mi fa piangere. Io ho paura, perché non ci capisco niente di me, di lui e anche di noi due. E Matteo si fa trovare ogni giorno con il cazzo dall'altra parte.
Così ho deciso che l'avrei provocato: per sapere da che parte stava. Dopo otto anni, ho pensato, avrò pur diritto di chiedergli una prova di amicizia, no? Ma in un mese ho solo trovato il modo di capire quand'è che si fa le seghe. Almeno credo. E altri passi avanti non ne ho fatti. Perché, ogni volta che arri- vo al punto di chiedergli di farci una sega insieme, il coraggio mi manca. Nei giorni in cui ha il cazzo dalla parte giusta, naturalmente.
Io intanto le seghe me le faccio da solo, di sera, quando torno a casa, dopo lo studio e prima che si esca insieme per andare a trovare gli amici. Se non facessi così, credo che gli salterei addosso. A lui o a qualche altro bell'esemplare di amico che ho. I miei compagni non sono tutti da buttare via, anzi! Ce ne sono di belli e ce n'è anche qualcuno più grande che mi aiuta nelle mie fantasie, cioè mi aiuta nelle se- ghe. Ma io voglio lui. Voglio Matteo. Mi chiudo nella mia camera. Mia madre non ci entra mai se io non le do il permesso e comunque, non a quell'ora, perché da quindici anni, cioè da quando sono nato io, guar- da non so cosa in televisione. Spesso per stare tranquillo arrivo a girare la chiave, ma è solo per una mia intima sicurezza: che io ricordi lei non si è mai alzata dalla poltrona fra le sei e le sette di sera.
Me ne sto sul letto, pancia all'aria, con le mani nelle mutande. Se chiudo gli occhi arrivo ad immaginare di averle nelle mutande di Matteo. O che quelle mani siano le sue. Mi identifico talmente in lui che l'effetto è lo stesso. Ho un po' più di peli, questo si, ma credo che i nostri cazzi siano molto simili. Lo credo, ma non lo so, perché non gliel'ho mai visto duro. Solo moscio, in palestra, un paio di volte.
Me lo meno con lentezza, con tranquillità. Qualche volta ci metto quasi tutta l'ora, o la trasmissio- ne, se preferite. E vengo immediatamente prima della sigla. I suoni del televisore, sono parte di me e riconosco il momento della trasmissione dal tipo di rumore emesso. È come un orologio. Qualche volta vengo piangendo, perché nel momento dell'orgasmo, scopro che le mani che sento sono le mie e il caz- zo che tocco non è quello di Matteo.
Così si consumano i miei giorni, senza che trovi il coraggio di chiedergli com'è che consuma i suoi. Per il resto non mi lamento. Ci separiamo solo per dormire, nella giornata siamo quasi sempre in- sieme e so che lui non ha altri pensieri, se non quelli che fa con me. Beh, qualcuno ce l'ha, invece. E non me lo dice.
E così accade che mi decido: anche se ha il cazzo storto, glielo dico!
Suono il campanello e c'è lui ad aprirmi. Chi altri poi, se siamo sempre soli in casa? Entro e non lo degno di uno sguardo. Salendo le scale ho deciso di non guardargli davanti. Se si è già fatto la sega, tanto peggio.
Mi lascia sfilare e mi segue. Non ho detto una parola, mentre in genere lo assalgo, raccontandogli tutte le idee che mi sono venute durante il pranzo. Ma oggi no, non parlo e me ne vado diritto nella sua stanza. Butto i libri sul letto e mi siedo imbronciato, con le braccia conserte, a guardare fuori dalla fine- stra.
Lo sento avvicinarsi.
"Ehi... Ciccio!" mi chiama così, perché da piccolo ero cicciotto, ma poi crescendo, lo sviluppo e tutte le altre cose, son venuto fuori affascinante, alto e snello, atletico e prestante. Com'è pure lui che è l'unico che abbia il permesso di chiamarmi così.
Non mi volto. Sento che mi sfiora la nuca. Rabbrividisco.
"Ciccio!... Che ti è successo?"
Faccio di no con la testa, senza perdere di vista le antenne che sono sul tetto di fronte. Mai notato che ce ne fossero tante.
"Ti ho fatto io qualcosa?"
Lo sento balbettare e mi impietosisco, fino alle lacrime. Che sia amore il mio? Che ne so? Ma lui balbetta solo quando è emozionato e sentirglielo fare mi ha fatto male.
"No... è che... oh niente. Studiamo?"
"Ma oggi non abbiamo niente da fare" dice, rammaricato. Almeno ci fosse da studiare, avrebbe qualcosa di concreto cui pensare e non dovrebbe sforzarsi di capire quello che gli sfugge. Cioè di capire me. Invece non c'è praticamente nulla da studiare e ci sono io là che gli tengo il muso.
Sono ormai davanti ad un bivio: dirgli la verità o inventarmi che mia madre mi ha sgridato, spiegandogli così il perché ho il muso. Ma io voglio che lui sappia, sono stanco di fingere con lui.
La vista dei tetti e delle antenne torna irresistibilmente ad attrarmi.
È stato durante l'estate, quando, come ogni anno, lui se va dai suoi maledetti nonni in Francia ed io sto solo per due mesi! È stato allora ed è accaduto tutto, perché non c'era. Ci fosse stato non sarei uscito con quello stronzo di mio fratello e non avrei conosciuto Alex. Mentre fisso tutte quelle antenne, vedo sfilarmi davanti il film di quella sera, quell'unica sera, che vale per tutta la mia estate. La festa di non so chi in un giardino profumato, il caldo della notte di agosto. Ero stato portato là da mio fratello per pietà e per insistenza di mia madre che voleva vedermi uscire, visto che non essendoci Matteo trovavo ogni scusa per rimanere a casa.
E Alex, quasi diciottenne, che si interessa a me. Mi riempie il bicchiere di cosa? Spumante. Fre- sco, ghiacciato. Io ho sete. Poi mi chiede se ho voglia di andare a fare una passeggiata. Ed io 'Con chi? Con me? Possibile?' 'Si! Mi sono annoiato e poi qua la gente non mi piace.' 'Vedessi a me' gli dico.
'Perché tu non sei di questa comitiva?' e in cinque minuti gli racconto tutta la mia vita che è poi dir- gli di Matteo e quanto mi manca ogni estate, perché se ne va in Francia. Gli dico cose che non avrei det- to a nessuno, perché non erano nella mia mente. Che non sapevo di sapere. Sarà stato quello che ho bevuto, o meglio, che mi ha fatto bere.
E Alex mi mette la mano sulla spalla, mentre io sono quasi ubriaco e mi avvicino sempre di più a lui. Quasi piango. Finiamo per camminare abbracciati lungo una strada di campagna che non so dove porta, perché non so dove mi trovo. E lui non lo sa neppure, perché me lo chiede. A quel punto ridiamo come due scemi. È allora che mi bacia. Con la lingua in bocca ed io passo dal riso, allo stupore, all'eccitazione più totale. Scopro di avere l'uccello duro, sento la sua mano toccarmi, il suo cazzo contro la mia gamba. È una tempesta di emozioni, di sensazioni. Ed io ne sono il centro. Fino ad un'ora prima ero uno convinto che gli dovessero piacere le ragazze, non che mi piacessero davvero, ma almeno ero certo che quella fosse l'unica cosa giusta.
Alex mi palpa tutto, capisce certamente che sono in sua balìa. E mi abbassa i pantaloni, gli slip. L'aria della notte mi accarezza l'uccello che, libero dai vestiti, è balzato fuori e vive di vita propria. Cerco di toccare anch'io il suo corpo, percorro la spalla, gli infilo le mani nei jeans, sento che se li allarga. Va- do più a fondo e gli tocco il culo. Anche lui lo fa con me. Le magliette sono volate chissà dove, abbiamo pantaloni e mutande alle caviglie. I cazzi stretti tra le pance e ci accarezziamo i sederi. Sento che mi percorre il solco e cerca qualcosa. Nel momento in cui lo trova ed io capisco cos'è, vengo bagnandolo. Lui ha il tempo di infilarmi un dito nel culo e poi viene gridando, spruzzandomi la pancia. Mi scopro a pensare una cosa: non sapevo che un orgasmo producesse tutti quei rumori. Sarà che fino a quel giorno mi ero sempre masturbato nel silenzio della mia camera e là c'era poco da gridare. Alex mi sfila il dito e mi guarda, spaventato. Torno in me stesso e capisco perché ha paura. Sto piangendo. Le lacrime mi bagnano le guance. Non me n'ero neppure accorto.
'Che hai? Non volevi? Mi dispiace' lo dice tante volte ed io sto là zitto, a piangere. Poi mi scuoto e l'abbraccio. 'Volevo farlo con Matteo' gli spiego e spiego anche a me stesso, che sto a guardarmi senza capire un cazzo.
Matteo mi dà una spinta che quasi mi butta giù dalla sedia.
"Oh...! Cazzo, Ciccio... stai là da dieci minuti a contare le antenne. Vaffanculo! Vuoi dirmi che ti è preso?"
Non gli rispondo, mi rimetto diritto e non lo guardo neppure.
"Senti, vaffanculo un'altra volta e vattene!"
"Non mi hai mai detto così!" gli dico allora, sorpreso.
"Mi dispiace... ma tu stai là e non dici niente. Lo sai quante volte ti ho chiamato? Che è su... suc- cesso?"
Quella voce dolce con cui termina la frase, balbettando. È scosso. Si sta preoccupando. Lo guardo davanti: oggi non s'è fatto la sega. Lo prendo come un auspicio. Deve essere oggi. Sarà oggi.
Ma rimango muto.
"Ciccio!"
Questa volta ha gridato. L'ha detto così forte che l'hanno sentito dall'altra parte della strada.
Non mi muovo.
Mi scuote, mi dà un pugno sul braccio. Non è forte, ma mi fa male lo stesso. È arrabbiato ormai. Va a sedersi sul letto.
"Se è uno scherzo" dice con voce truce "giuro che ti ammazzo!"
Mi metto le mani davanti alla faccia. Fingo di ridere?
"Sei uno stronzo!" mi grida più forte.
Quando le tolgo e mi faccio guardare, capisce che non è uno scherzo.
"Mi prometti che non ti arrabbi?" chiedo.
Fa subito di si con la testa, speranzoso che la commedia finisca. Non teme il dramma, ancora.
"Che rimarremo amici? Qualunque cosa io ti dica?" gli chiedo.
"Non dire stronzate. Che c'entra? Che devi dirmi?"
"Resteremo amici?" insisto.
So che la prova alla quale sto per sottoporlo potrebbe essere eccessiva anche per la nostra amici- zia. Mi chiedo se ne vale la pena. Posso ancora inventarmi qualcosa e fare marcia indietro. Ma quelle la- crime fra le braccia di Alex e tutte le volte in cui ho pianto dopo, mi hanno fatto troppo male.
Ho tanta gioia, affetto, amore da donare e voglio offrirlo a Matteo. Sarà lui a dirmi che non può accettarlo e non sa che farsene e allora forse mi chiederà di andarmene, mi manderà via.
Mi preparo al sacrificio.
"Dimmi che rimarremo amici qualunque cosa io sto per chiederti... Ti prego."
"Si... va bene. Rimarremo amici. Te lo prometto!" dice in un sussurro, perché adesso l'ho spaven- tato.
"Te le fai le seghe?"
"Si" strizza gli occhi, è il gesto che fa quando non capisce qualcosa "ma che c'entra. Era questo che volevi dirmi?"
"Non solo. A chi pensi quando te le fai?"
Mi guarda, è smarrito. Abbassa la testa.
"Perché lo vuoi sapere?" ha la voce vicina al pianto. Lo conosco bene. Noi due piangiamo ancora troppo spesso. E capisco quando questo sta per accadere a me come a lui.
Lo vedo commuoversi e so che non reggerei le sue lacrime, allora, poiché sono stato io provocare tutto ciò, decido di aiutarlo.
"Vuoi che ti dica a chi penso io?"
"Si!"
"A te!"
Non ho più il coraggio di guardarlo. Vorrei scomparire, cadere fulminato, addormentato. Svegliar- mi dall'altra parte del mondo, fra mille anni.
"A... a... anch'io... pe... penso a te..." mi pare di averglielo sentito dire. Forse l'ha detto. Lo guardo. Capisce che non ho sentito. Me lo ripete.
Solleviamo entrambi la testa di scatto e insieme diciamo: "Perché non me l'hai detto prima?"
Questo ci fa quasi ridere.
Anche la risposta potremmo dirla all'unisono: mi vergognavo.
"Che vuol dire?" mi chiede "Non ci capisco nulla."
"Neanch'io ci capisco molto, ma adesso è sicuro che possiamo restare amici."
Il suo sguardo è smarrito e mi ispira una tenerezza così forte che sento bruciarmi il petto. È come un dolore fisico. Non ho mai provato questa sensazione. Sono disorientato.
Mi alzo e vado ad inginocchiarmi davanti a lui. Gli metto le mani sulle ginocchia.
"Voglio dirti un'altra cosa... io ti amo!"
Non risponde.
"Matteo, capisci quello che ti sto dicendo? Ti amo!"
"Si... hai ragione."
"Ho ragione... in cosa, Matteo?"
Gli poggio la testa in grembo, lui mi accarezza fra i capelli.
"Ho paura, Ciccio" dice quasi piangendo.
Io non ne ho più ormai e capisco di doverlo soccorrere.
"Non lo saprà nessuno. Nessuno s'accorgerà di nulla. Matteo, non capisci? È come se noi due fossimo già fidanzati. Lo sanno tutti che facciamo le stesse cose e le pensiamo allo stesso modo. Che io parlo e tu fai le cose! Io faccio i casini e tu ti incazzi, ma questo non è un casino dei miei..."
"Hai ragione, è così. Ma perché non me l'hai detto prima?"
"Avevo paura che tu... non mi volessi. Che ti piacessero le ragazze... avevo tanta paura!"
"Potevi dirmelo..."
"E tu perché ti sei fatto tutte quelle seghe dopo mangiato, senza pensare che io me ne accorgevo e soffrivo? Stronzo!"
Scoppia a ridere e io lo seguo. Poi gli do una spinta che lo fa finire disteso sul letto. Gli salto addosso e, invece di cominciare la nostra solita lotta in cui io, che sono meno forte, finisco per soccombere, gli metto la mano sull'uccello.
"Oggi non te la sei fatta la sega!"
"Come lo sai?" mi chiede senza sottrarsi.
Ha il cazzo duro che, lo sento sotto la tuta, gli è uscito dai boxer, ma dalla parte giusta.
"Quando ti fai la sega lo lasci a destra. E io ogni volta che ti incontro ti guardo e so se te la sei fatta o no!"
Mi guarda.
"Che amico stronzo che ho" dice, sorridendomi "E che stronzo sono io!"
Mi stendo su di lui. Le nostre bocche sono vicinissime. Lui mi stringe, l'abbraccio anch'io.
Ci baciamo. Mi ricordo quello che ha fatto Alex e gli infilo la lingua in bocca. Prima lui mi lascia fa- re, poi ricambia. E litighiamo, ridacchiando, ci sbaviamo tutta la faccia. Ci rotoliamo abbracciati e rischia- mo subito di cadere dal letto. Capisco che il sesso con Matteo non sarà sempre una cosa seria. Ma mi sento il cuore scoppiare per la felicità.
Improvvisamente si ferma. Torna serio.
"Davvero mi ami?"
"Si..." bisbiglio, atterrito dalla sua espressione. Ci sta già ripensando?
"Perché io... sono pazzo di te!"
E improvvisamente si sbatte con le spalle contro il letto, bloccandomi le braccia.
"E tu le seghe te le sei fai dopo le sei, mentre tua madre guarda la tele. Per questo hai sempre fretta di andartene. E poi quando ci rivediamo di sera, sei di cattivo umore e mi guardi storto. Stronzo!"
Gli faccio gli occhi dolci. Non so che dire. Sto per piangere. Anche lui è commosso. Mi schiaccia ancora con il suo peso, ma mi libera le mani e posso riabbracciarlo. Ci stringiamo, lui ha la testa fra il mio collo e il cuscino.
"Non ci faremo più le seghe da soli" mi mormora nell'orecchio "te lo prometto!"
Poi mi prende la mano e se la porta sull'uccello.
"D'ora in poi la posizione la deciderai sempre tu! Questo è un giuramento! Adesso dove sta?"
"Al posto giusto!" l'assicuro "Me lo fai vedere?"
"Si... è tuo. Io sono tuo! Mi vuoi?"
"Si, Matteo. E tu vuoi me?"
Fa di si con la testa e questo è tutto.
Ci spogliamo con calma, guardandoci con attenzione. Quando arriviamo a vedere quello che non conosciamo dell'altro, involontariamente riduciamo la velocità con cui ci scopriamo. Come in un lento spogliarello, prima lui, poi io ci togliamo i vestiti. E quando siamo completamente nudi restiamo incan- tati, sorpresi a guardarci.
Avevo ragione il suo cazzo è perfettamente uguale al mio. Crescere insieme, ci ha dato lo stesso uccello. Abbiamo anche mangiato le stesse cose. Sarà stato quello. Ho più peli di lui. E sono più robu- sto, ma si vede che lui è più forte, più agile di me, ed io sono solo più pesante. Ce ne stiamo per non so quanto tempo a contemplarci, dalla punta dei piedi fino in cima ai capelli, quasi che anche le facce ci fossero ignote. Stesi sul fianco, uno di fronte all'altro, con i cazzi duri, tesi, diritti, paralleli ai ventri.
Poi Matteo mi sfiora il braccio. È un invito ad avvicinarmi e ci stringiamo.
Ci stiamo baciando, quando sento il suo respiro farsi più corto ed il mio seguirlo. E non so più con quale uccello sto godendo se con il mio o con il suo, perché veniamo insieme, muovendoci e calmandoci. Ancora con le bocche unite, nei nostri ansimi.
Restiamo attaccati per paura di sporcare il letto, ma anche perché non ci va di staccarci. Ci guar- diamo negli occhi. Abbiamo fatto l'amore per la prima volta e in quel momento capisco che lo faremo per tutta la vita.
Forse Matteo non l'ha ancora capito, ma glielo spiegherò e sarà certamente d'accordo con me.
FINE
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