DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
Il ruggito del coniglio
Questo finale alternativo sostituisce gli ultimi capitoli del racconto 'Il ruggito del coniglio' e lo conclude.
FINALE ALTERNATIVO
...
- Il ruggito del coniglio
Uscendo dalla camera la guardò con attenzione, come per imprimersela nella memoria.
"Qua dentro non ho toccato niente, tranne il copriletto che sarà imbevuto del mio sudore" disse a voce bassissima, solo a se stesso, cercando di rassicurarsi.
Quando richiuse le porte, lo fece usando la manica della felpa, perché aveva deciso di non lasciare nulla di sé, proprio nulla, in quella camera delle torture, in quel posto orribile.
Assolutamente nulla, era una specie di fissazione la sua.
Due giorni dopo, alle quattro di pomeriggio Giacomo tornò, facendo la stessa strada e accertandosi di non essere visto da nessuno, proprio come gli era stato raccomandato fino all'ultimo quella mattina.
"Entra puttanella" disse Benny che l'aveva sentito arrivare e gli aveva aperto la porta della sua camera "entra, oggi voglio farti provare qualcosa di nuovo" e fece schioccare un paio di volte il frustino che impugnava, producendo un rumore sibilante che gelò il sangue di Giacomo.
Benny era a torso nudo, puzzava di sudore, non si era lavato di recente e indossava solo un paio di pantaloncini di maglina che lasciavano indovinare abbastanza bene quello che c'era sotto. Giacomo invece era vestito in modo insolitamente dimesso, aveva il cappello a visiera sulla testa, con la tesa abbassata, come a coprirgli il volto.
In spalla aveva lo zainetto dei libri e teneva le mani in tasca.
Benny notò i jeans sdruciti e la vecchia felpa scolorita, sotto ad un vecchio giubbotto impermeabile. Un'altra cosa l'incuriosì, mentre se lo vedeva sfilare davanti e gli dava colpetti leggeri di frustino sul sedere, Giacomo aveva il braccio sinistro rigido, come se non potesse piegarlo e teneva la mano in tasca.
Il ragazzino si diresse sicuro verso il letto, perché sapeva che il suo padrone glielo avrebbe ordinato, poi gli avrebbe detto di spogliarsi nudo e di mettersi a pancia sotto. Sapeva che sarebbe andata così.
Benny era dietro di lui e lo vide fare un movimento col braccio sinistro, quello che prima pareva irrigidito.
Quando la prima coltellata lo colpì, proprio sotto allo sterno, lui stava ancora cercando di decifrare
i movimenti di Giacomo.
Il ragazzino si era sfilato il lungo coltello dalla manica sinistra e, impugnatolo saldamente con la mano destra, si era voltato di scatto e l'aveva piantato nella pancia di Benny. Lo schizzo di sangue lo colpì all'altezza del petto, ma lui non se ne lasciò impressionare e lo pugnalò un'altra volta, un po' più sotto e poi ancora.
Benny cadde dopo la terza coltellata, quasi senza capire quello che gli stava accadendo. Aveva sentito un dolore fortissimo al petto e aveva colto lo sguardo spiritato negli occhi di Giacomo, alla terza pugnalata aveva perso conoscenza. Un momento prima si era reso conto di essersi bagnato, si stava pisciando addosso ed aveva anche riempito i pantaloncini di cacca.
Dopo che fu caduto, Giacomo lo colpì diverse volte al fianco destro e sul braccio, poi con un calcio lo fece mettere supino e con calma gli trapassò il cuore.
Nella stanza c'era l'odore aspro della merda e quello dolciastro del sangue, l'orina non si distingueva. Tutto questo però non scompose, né emozionò Giacomo che restò freddo e perfettamente in controllo di sé.
Benny era già morto, forse dopo la terza coltellata, anche se lui gliene aveva date in tutto ventiquattro. Le aveva contate. Avrebbe voluto dargliele una per ogni sculacciata, cinghiata, frustata che aveva ricevuto, più un certo numero, diciamo a forfait, per i pompini e le inculate, oltre a tutto quello che gli era stato detto e fatto e ancora per il tradimento che aveva dovuto sopportare e soffrire, ma si fermò a ventiquattro, compresa la coltellata con cui l'aveva trafitto al cuore. Ventiquattro era tre per otto, cioè due alla terza. Era il numero che aveva deciso in precedenza, perché gli piaceva. Riuniva in sé le qualità e le caratteristiche del due e del tre. Giacomo era uno a cui piacevano i numeri.
Nonostante tutto quello che gli era accaduto e gli stava accadendo, era un ragazzo molto avveduto, perfino furbo, di intelligenza pronta e molto veloce nell'apprendimento. A scuola era bravo ed apprezzato dai professori e, se i suoi genitori l'avessero seguito di più, sarebbero stati molto orgogliosi di lui.
Giacomo leggeva molto ed era appassionato di romanzi gialli. Da un po' era passato a leggere quelli per grandi, di recente ne aveva letto uno in cui si descriveva con dovizia di particolari come fare a non lasciare tracce dopo aver accoltellato una persona. La sera prima, per sicurezza, aveva letto e riletto quei capitoli.
Aveva deciso di uccidere Benny già dopo il loro primo incontro e aveva accettato di vederlo a casa sua solo per poter esplorare il luogo e capire come fare a portare a termine la sua impresa. Dopo il secondo incontro, in cui Benny l'aveva quasi ucciso, aveva deciso di prevenirlo e eliminarlo alla prima occasione.
Quando aveva capito che a casa di Benny sarebbero stati certamente soli e che, con un po' di fortuna, nessuno l'avrebbe visto entrare e uscire, aveva deciso come agire. Si era vestito con abiti vecchi e aveva portato con sé un cambio completo nello zaino, alle mani aveva un paio di guanti da chirurgo che gli servirono a non sporcarsi le mani di sangue e non lasciare impronte. La prima volta era stato attento a non toccare nulla. Questa volta aveva i guanti.
Certo di averlo ucciso con la pugnalata al cuore, Giacomo cominciò a guardarsi attorno. C'era sangue dappertutto, nella stanza e sui suoi vestiti, un leggero schizzo l'aveva raggiunto sul collo, il corpo di Benny giaceva al centro della stanza a braccia larghe, le gambe in una posa scomposta, dai pantaloncini, chissà perché mezzo abbassati, spuntava l'inizio dei peli pubici. Giacomo per un momento pensò di abbassarglieli tutti e di tagliargli l'uccello, quello strumento che l'aveva oltraggiato e vilipeso, ma, essendo anche una persona molto pratica, pensò bene di affrettarsi a fare quello che si era proposto. E poi non voleva sentire altra puzza di cacca.
Avrebbe anche voluto lasciargli il coltello piantato nel petto, oppure strappargli il cuore e mangiarlo, ma neppure questo avrebbe fatto. Sfilò il coltello e lo avvolse in una grande busta di plastica che poi chiuse in un'altra busta.
Si sfilò lo zaino e lo posò sul letto, assicurandosi di non sporcarlo di sangue. Dallo zaino tirò fuori alcune buste di plastica, dei pantaloni, una felpa e un giubbotto. Con calma si slacciò le scarpe e si sfilò i pantaloni, indossò quelli puliti, fece lo stesso con la felpa. Ripose gli indumenti sporchi in una delle buste che poi chiuse bene e infilò nello zainetto assieme all'involto del coltello.
Si rimise le scarpe e poi piegò diligentemente il copriletto su sui era stato violentato e che era l'unico oggetto nella stanza a conservare le sue tracce. Infilò anche quello nello zaino.
Si assicurò di aver intinto per bene le scarpe nella pozza di sangue che si era formata attorno al cadavere di Benny. Lasciando tracce evidenti del suo cammino, si avviò con calma verso la porta, l'aprì con la mano sempre coperta dal guanto e uscì, quando raggiunse il viale di ghiaia fece ancora qualche passo, poi, raggiunto il cancello si nascose dietro la siepe, si sedette e si cambiò le scarpe. Ripose quelle sporche nello zaino chiudendole prima in una busta. Si alzò, fece una smorfia di dolore, perché gli faceva ancora male il sedere, tirò un profondo respiro e aprì il cancelletto.
Quello che stava per vivere era il secondo momento delicato della giornata, il primo era stato quando era entrato da quello stesso cancello e si era accertato che nessuno lo vedesse. Se fosse riuscito ad andarsene senza essere visto era ragionevolmente sicuro di poterla fare franca.
Gli andò bene anche questa volta, uscì non visto dalla villa, finalmente si sfilò i guanti e si avviò tranquillo con il suo zaino pieno di vestiti sporchi di sangue, cioè di prove dell'omicidio di Benny. Lungo la strada si liberò del coltello approfittando di un camion per la raccolta dei rifiuti che proprio in quel momento stava svuotando i cassonetti.
Era un coltello che aveva fatto lavare tre volte in lavastoviglie prima di usarlo per pugnalare Benny. Aveva la lama da venti centimetri ed era stato acquistato in un centro commerciale qualche anno prima. Insomma, sarebbe stato difficile risalire a lui partendo dal coltello, anche se l'avessero ritrovato in mezzo a quelle immondizie.
Si diresse verso il centro della città ed entrò in una lavanderia automatica, poco affollata, come aveva già previsto. Aprì lo zaino, riempì la lavatrice a gettoni di tutti gli indumenti sporchi di sangue, comprese le scarpe, e avviò il lavaggio, senza che nessuno gli badasse troppo. Un'ora dopo, con gli indumenti asciutti, ma con qualche alone scuro, se ne tornò a casa.
Quando fu nella sua stanza, cominciò a tagliuzzare i jeans, la felpa e il giubbotto impermeabile in tanti piccoli pezzi che mischiò fra loro. Nel caminetto incendiò le buste di plastica che aveva usato e poi lentamente bruciò tutti i pezzettini di indumenti, finché non raccolse la cenere in un'altra busta che andò a gettare in un cassonetto abbastanza lontano da casa.
Il copriletto era abbastanza leggero e aveva solo piccoli schizzi di sangue nella parte che era stata più vicina al pavimento. Giacomo tagliò quelle zone in tanti pezzettini che avrebbe bruciato il giorno dopo. Fece a pezzi più grandi anche il resto del copriletto e andò a gettarlo in tanti diversi cassonetti in giro per la città.
Restava il problema delle scarpe che erano difficili da tagliuzzare e bruciare. Era un rischio, ma non poteva fare altro che liberarsene come aveva fatto per il coltello. Le aveva già lavate abbondantemente, ma decise di lavarle ancora una volta nella lavatrice di casa, alla massima temperatura, poi avrebbe gettate anche quelle con calma e separatamente.
Si stese sul letto e chiuse gli occhi. Era abbastanza certo di non aver commesso errori e di aver agito nel giusto. Benny era pazzo e l'avrebbe certamente ucciso, perciò lui l'aveva soltanto anticipato.
Chiuse gli occhi e pensò agli altri suoi due persecutori, loro non minacciavano di ucciderlo, ma le umiliazioni cui l'avevano sottoposto erano ugualmente insopportabili. Si convinse che doveva fare qualcosa anche con loro.
Aveva letto in un libro di botanica che dalle sue parti cresceva una pianta velenosa, facile da trovare, la digitalis purpurea.
Si assopì e sognò.
FINE
N.B. Originariamente il racconto si concludeva così. Questo finale fu però rifiutato dal sito presso cui intendevo pubblicarlo.
lennybruce55@gmail.it