DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
Questa storia è già apparsa su MMSA (http://www.malespank.net/listAuthor.php?author=Lenny+Bruce) con una suddivisione diversa dei capitoli.
La prima parte si ispira, molto liberamente, ad un racconto apparso su Nifty un paio di anni fa, scritto da Donny Mumford, presente nei 'prolific authors'.
La storia è 'A submissive boy's story' (http://www.nifty.org/nifty/gay/college/submissive-boy/)
Donny Mumford è un ragazzo, adesso 25enne, che vive nel New Jersey e alcuni dei suoi racconti sono autobiografici. Trovo che sia un bravo e promettente scrittore e non solo per chi ama questo genere.
L'estate di Lorenzo
Prologo
Quasi tutto quello che è accaduto nella mia vita, è stato nella media, se si eccettua che sono notevolmente più intelligente della media. Non sono state nella media due delle mie estati, piuttosto insolite, direi. Per il resto sono di altezza media, quasi un metro e settantacinque, peso circa sessanta chili, ho gli occhi marrone e i capelli lisci dello stesso colore. Ho sempre avuto un buon gruppo di amici, anche perché gioco a pallone abbastanza bene. Nel senso che gioco sufficientemente bene, perché quegli stessi amici non mi mandino a quel paese quando facciamo una partita.
Alla fine di questa calda estate del 1970, che è la terza estate più importante della mia vita, sono in treno e ho appena incominciato il lungo viaggio notturno verso il Piemonte che durerà quattordici ore. Fin lassù, fino a Torino, dove dal mese prossimo frequenterò il primo anno d'ingegneria, al Politecnico. È una grande università, la migliore, la più importante, per me che voglio diventare ingegnere. È stato il mio sogno di bambino che ho raggiunto a prezzo di sacrifici, in certi momenti davvero grandi, che però non mi hanno solo fruttato la possibilità di frequentare il Politecnico. Andare a Torino mi consentirà di completare me stesso in un modo che apparirà presto chiaro. Ho appena salutato i miei genitori, che non vedrò fino a Natale e questo mi rattrista. La mia nuova vita, lontano dalla mia città, è già cominciata. Studierò e mi laureerò prima possibile, troverò un lavoro, farò di me una persona importante, accanto alla persona più importante della mia vita. Per adesso sono solo il figlio di un povero autista, la cui unica qualità è, come ho già detto, l'intelligenza. Un altro aspetto singolare della mia vita, qualità o difetto, è che sono omosessuale o, come dicono adesso gli americani, sono gay. Che è un modo nuovo e non offensivo di definirci, noi finocchi, checche e così via.
Quasi nessuno sa che sono omosessuale e quando l'ho capito era troppo tardi per porvi rimedio, mi piaceva troppo quello che riuscivo a fare. Prima, accennando alla mia omosessualità, ho detto qualità o difetto, ma so che è soprattutto una qualità, perché, se non lo fossi stato, non sarei su questo treno. So già che stanotte non dormirò, perché sono seduto in un vagone di seconda classe, di quelli con i sedili di finta pelle marrone, umida e attaccaticcia già prima che mi sedessi. Questo caldo e il sudore hanno fatto il resto. Siamo in otto nello scompartimento di questo treno che è tutto quello che i miei genitori si sono potuti permettere per mandarmi a Torino. Se ci fosse stata la terza classe, quella con i vagoni di legno, sarei là.
Quest'estate ho lavorato sodo, come sempre, ho dato lezioni private a un mucchio di deficienti brufolosi, ma avevo bisogno dei soldi che ho guadagnato. Adesso sono finalmente partito, vado verso il mio futuro. Ho sempre dormito poco e pensato tanto, perciò adesso ricordo e scrivo. Ho con me questo quaderno che conto di riempire completamente fino a domani mattina. Ho voglia di pensare e ricordare. Un viaggio così lungo mi darà la possibilità di farlo e, quando scenderò da questo treno, sarò al punto di arrivo di un cammino intrapreso tanti anni fa, che nell'estate dei miei quattordici anni ebbe uno scossone e in quella dei miei diciassette una spinta formidabile e decisiva.
Fu durante quella prima estate che ebbi una relazione seria e certamente omosessuale, come ho capito solo in seguito. Durò da metà giugno a dopo ferragosto, era l'estate tra il quarto e il quinto ginnasio. Io sono andato un anno avanti a scuola, grazie al fatto che, pare, sia sempre stato più intelligente degli altri, abbastanza conscio di esserlo e quindi anche parecchio presuntuoso e antipatico per quelli che non capivano in fretta le spiegazioni dei maestri e poi dei professori. E non è che le capissi più in fretta, era che quasi sempre conoscevo già gli argomenti che ci venivano spiegati, per averli studiati per conto mio. Imparai in fretta a starmene zitto, per non indisporre maestro e professori, finché, al liceo, finalmente mi lasciarono libero di studiare quello che più mi interessava, purché non li infastidissi con le mie richieste di spiegazioni. Il preside mi chiese esplicitamente di non imbarazzare i professori, dopo che avevo chiesto a quello di matematica qualcosa che lui neppure sapeva che esistesse.
Più o meno tutti mi hanno sempre detto che sono un genio, ma che colpa ho io se lo sono davvero? Questa però non è la storia che voglio raccontare. Dirò solo che sarei diventato una specie di fenomeno da baraccone, se, oltre ad essere intelligente, non fossi stato anche abbastanza furbo da capire che leggere e memorizzare le nozioni, ragionarci sopra e farne sfoggio con i professori e i compagni non era tutto il divertimento della vita e che per divertirmi avevo bisogno soprattutto degli amici. Perciò cominciai subito a mimetizzare il mio ingegno e a farmi degli amici normali con cui giocavo a sufficienza perché mi credessero come loro. Che a casa leggessi già Kafka o, a dieci anni, conoscessi Platone, oppure traducessi tranquillamente dal latino e dal greco, non occorreva che lo sapessero. La storia di stanotte però è un'altra e comincia quando avevo quattordici anni. A quell'età ero già intelligente, ma anche molto ingenuo, perdutamente ingenuo.
TBC
lennybruce55@gmail.com