DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
Questa storia è già apparsa su MMSA (http://www.malespank.net/listAuthor.php?author=Lenny+Bruce) con una suddivisione diversa dei capitoli.
La prima parte si ispira, molto liberamente, ad un racconto apparso su Nifty un paio di anni fa, scritto da Donny Mumford, presente nei 'prolific authors'.
La storia è 'A submissive boy's story' (http://www.nifty.org/nifty/gay/college/submissive-boy/)
Donny Mumford è un ragazzo, adesso 25enne, che vive nel New Jersey e alcuni dei suoi racconti sono autobiografici. Trovo che sia un bravo e promettente scrittore e non solo per chi ama questo genere.
Capitolo secondo -- Tavole rovesciate
Quel giorno nuotai poco e lui stette sempre con me, mi guardava ogni tanto, pareva volermi dire qualcosa, ma poi ci ripensava e tornava a giocare con la sabbia. Più tardi costruì un castello.
Era trascorsa una settimana da quando eravamo là e l'unica cosa che Fabio aveva imparato erano le risposte alle domande che il padre voleva che gli facessi quando arrivava. Proprio perché lui rispondeva correttamente alle mie domande, per quel pomeriggio ci era stato promesso un televisore. Eravamo eccitati all'idea di avere finalmente qualcosa per trascorrere il tempo, poiché di studiare, non si parlava ancora.
Quando sentimmo avvicinarsi la macchina, eravamo davvero contenti, ma presto vedemmo che il dottore non ci aveva portato il televisore e fummo entrambi molto delusi. Io abbassai la testa, immaginando che questo avrebbe fatto cambiare umore a Fabio, di cui mi godevo l'amicizia da meno di ventiquattro ore.
"Non ve lo siete meritato" disse lui cogliendo i nostri sguardi, ma a me fu chiaro che l'aveva semplicemente dimenticato e suo figlio glielo disse pure. Non glielo disse educatamente, però.
"Cazzo, papà" urlò, perdendo completamente le staffe "prima mi lasci in questo buco di culo da solo con quello sfigato" cioè me "e vuoi farmi credere che ti sei scordato di portarci la televisione, fai pure finta di dire che non ce la meritiamo! Ma con chi cazzo credi di avere a che fare, eh?"
"Fabio..." cominciò il padre, forse pensando di scusarsi.
"Con chi cazzo credi di avere a che fare?" ripeté urlando Fabio, ormai fuori dai gangheri.
"Fabio, stai attento" fece allora il dottore che forse non stava più pensando di scusarsi.
"Sai che c'è? Che sei uno stronzo?" insisté il figlio.
E infatti mi sbagliavo, il dottor Braschi non aveva intenzione di scusarsi.
La sfuriata di Fabio era dovuta certamente alla sua indole irascibile, alla facilità con cui si infuriava e quello cui assistetti nei minuti successivi fu la dimostrazione che Fabio aveva preso da suo padre quella caratteristica del suo carattere.
Il dottor Braschi, infatti, prese fuoco allo stesso modo, non appena il figlio gli dette dello stronzo.
Sfruttando la sua maggiore stazza, pesava quasi il doppio di Fabio, lo prese per un gomito, strattonandolo, lo immobilizzò mettendoselo sotto un braccio e sollevandolo da terra. Si mosse fulmineamente, come aveva fatto Fabio con me tante volte.
Temevo che lo ammazzasse, tanta era la furia che aveva negli occhi, per un momento credetti che gli avrebbe staccato la testa con l'altra mano e mi preparavo a difendere Fabio anche a costo della vita, quando Braschi senior all'improvviso parve calmarsi, lasciandolo andare.
"Mettiti in posizione" disse gelido, mentre il figlio lo guardava con gli occhi sbarrati.
"Papà, ti prego, non davanti a lui!"
Fabio si era improvvisamente placato e usò un tono implorante che non gli avevo mai sentito e che non sortì alcun effetto.
"Sai, Lorenzo" disse invece il dottor Braschi, rivolgendosi a me con voce calma, ignorando completamente il figlio "anni fa usavo sculacciare spesso Fabio. Tutte le volte in cui disubbidiva a me o alla mamma, me lo mettevo sulle ginocchia e lo sculacciavo" mi parlava come se stesse raccontandomi delle sue vacanze "poi, quando diventò un poco più grande, credo in terza elementare, gli spiegai che prima di essere punito, doveva abbassarsi da solo i pantaloni e le mutandine e mettersi col culetto nudo sulle mie ginocchia."
Ero sbigottito anche perché, mentre suo padre parlava, Fabio si era abbassato fino alle caviglie il costume da bagno e, restando nudo, si era appoggiato con la pancia sul bracciolo del divano, a sedere per aria. In attesa di qualcosa che adesso cominciavo a capire.
"Dalla prontezza con cui lo faceva quando io lo richiamavo, dipendeva la severità della punizione. Oltre che da ciò che aveva fatto per meritarla, ovviamente" Braschi continuava a spiegare, con voce amabile e un sorriso gelido sulle labbra "poi alle medie, quando lui si sentì troppo grande per essere messo sulle ginocchia, di comune accordo passammo alla cinghia, sempre con le stesse modalità, però, proprio quelle che stai per vedere adesso. Dall'anno scorso, da quando sono venuto via da Torino, Fabio non è stato più punito, mia moglie non ha voluto continuare a farlo, non se la sentiva, la conclusione è che questo stronzo si è fatto bocciare in tre materie. E adesso chiama me stronzo!"
Mentre parlava si era sganciato la cintura di cuoio, che sfilò lentamente dai pantaloni, si avvicinò al divano e al culo di Fabio. Piegò in due la fascia di cuoio facendola schioccare minacciosamente e poi cominciò a battere il sedere immacolato del suo unico figlio con colpi cadenzati.
La prima cinghiata produsse un rumore secco che echeggiò nel silenzio della stanza e anche all'esterno nella caletta, fin sulla spiaggia. Una striscia rossa apparve sulla pelle liscia di quel culetto di bambino che avrei voluto accarezzare, poi Fabio gridò, scuotendomi.
In tutto gliene dette dodici, dopo ognuna gli lasciava il tempo di sentire il dolore e gridare, di piangere e di implorarlo di fermarsi. Alla fine il sedere di Fabio era uniformemente rosso e il ragazzo piangeva, ma senza fare troppo rumore.
"Siete qui da una settimana, avrai sicuramente avuto modo di ripassare le declinazioni latine, vero, Fabio?"
Lo sventurato non rispose e si prese altre sei cinghiate.
"Rosa, nominativo, rosae, genitivo, rosae, dativo" recitava Braschi e dopo ogni caso colpiva "rosam, accusativo, rosa, vocativo, rosa..."
L'ablativo fu sicuramente il più doloroso. Alla fine Fabio aveva la faccia schiacciata contro un cuscino del divano e singhiozzava violentemente.
"Devo chiederti anche la seconda declinazione?"
"No!" urlò il povero Fabio che non se la ricordava di sicuro.
Mentre si rinfilava la cintura nei passanti, con calma esagerata e mentre cercava di controllate il fiatone, il dottor Braschi mi fece cenno di seguirlo fuori.
"Se domani non mi recita tutte e cinque le declinazioni, al singolare e al plurale, prenderà una cinghiata per ogni caso che salta. Le declinazioni sono sempre cinque, vero?"
"Si, dottore" dissi con il fiato corto "non le hanno cambiate!"
Respiravo male per due motivi. Primo perché ero spaventato dalla sua furia, ma soprattutto ero arrapato dal culo rosso di frustate di Fabio che era ancora posato sul bracciolo del divano e non osava alzarsi. Se ne stava immobile, con la faccia schiacciata contro un cuscino del divano.
C'era proprio una bella relazione tra padre e figlio, pensai.
"E se domani non mi recita tutto per bene, ce n'è anche per te!" concluse Braschi, ma questo lo disse a bassa voce e Fabio certamente non lo sentì.
Rientrò nella villa e io lo seguii impaurito. Vidi Fabio alzarsi e sfiorarsi con la punta delle dita la pelle arrossata del culo.
"Domani stesso trattamento, se non mi convinci del contrario. Sono stato chiaro, Fabio?"
"Si, signore!"
"Da questo momento Lorenzo è il tuo tutore anche per la disciplina, nel senso che domani, al mio arrivo, vorrò vedere o il tuo culo rosso, oppure ascoltare i tuoi progressi in latino, italiano e matematica. E farò così ogni giorno, finché non mi convincerai che studi e impari abbastanza per superare gli esami di riparazione, perché, se non li superi, ti ricordo che finisci nel Canton Ticino con le mani sopra le coperte.
Capisci quello che intendo?" poi rivolto a me "Una delle regole del collegio dove questo stronzo andrà il quindici di settembre è che si dorme supini con le mani fuori dalle coperte, le braccia tese ai lati del corpo.
Se uno venisse colto in una posizione diversa, sarebbe ammonito e alla seconda infrazione verrebbe legato al letto per tutta la notte."
Non so perché, ma tutto questo mi eccitò ancora di più e mi parve che anche Fabio si stesse eccitando. Lui se ne stava comunque con la testa bassa, sempre con il costume alle caviglie, le guance rigate di lacrime e l'uccello che lentamente gli stava diventando duro.
"Sono davvero severi lassù, Fabio" improvvisamente la voce del dottore si era fatta dolce "ed io non voglio che tu ci vada. Non costringermi a farlo. È chiaro?"
"Si, signore!"
Quel `si, signore' mi provocò ricordi felici, Raffaele me lo faceva dire così spesso. Avevo l'uccello duro.
"Lorenzo, te lo ripeto, voglio che tu lo disciplini! Sono stato chiaro?"
"Si, signore!" ripetei anch'io felice, per due motivi, perché mi faceva piacere ridirlo dopo tanto tempo e poi ero contento di ubbidire finalmente a qualcuno. Fabio avrebbe conosciuto presto la mia disciplina.
Avevo avuto un maestro perfetto e mi era venuta già qualche idea.
Finalmente Braschi se ne andò e restammo soli.
Fabio non si mosse finché non sentì la macchina allontanarsi e risalire la collina, scomparendo dietro il promontorio, solo allora alzò la testa per guardarmi. Era un'altra persona, non il Fabio che avevo conosciuto in quei giorni. Il monello un po' sadico e arrapato, adesso era un bambino spaventato e smarrito.
Anch'io ero cambiato in quel pomeriggio d'estate, un vento forte aveva spazzato la nebbia che avvolgeva Torino ed io vedevo il Politecnico finalmente avvicinarsi.
Allargai le braccia e lui corse a rifugiarsi da me che improvvisamente riconosceva come più alto e più forte, oltre che più vecchio di lui, capace di consolarlo. Lo accarezzai tra i capelli, mentre si lasciava andare e piangeva affondandomi la faccia nell'incavo del collo. Le mie mani scesero a sfiorargli le spalle e poi più giù fino alla pelle morbida e sensibile del culo che doveva fargli molto male, perché si irrigidì al mio tocco che pure fu assolutamente gentile.
Continuai ad accarezzarlo e lui me lo lasciò fare.
"Adesso cambia tutto, vero?" chiese borbottandomi sul collo.
"Credo di si" feci io, mentre i nostri uccelli duri erano schiacciati uno contro l'altro "ma quando sarai stato promosso potrai tornare ad essere il mio padrone, te lo prometto!"
"Davvero? Me lo giuri?"
"Si, te lo giuro, ma fino ad allora sarò io a comandare, cioè mi sforzerò di farlo! Ma è per il nostro bene, lo sai, no?"
"Me lo giuri?" ripeté lui con la vocina lagnosa del bambino che era ancora.
"Ti ho detto di si!"
"Ti prego, Lorenzo, non voglio andare in Svizzera!"
A quel punto eravamo molto eccitati, anche per ciò che c'eravamo detti. Era come se davanti ai nostri occhi si fosse aperto un nuovo mondo che intendevamo esplorare e il primo passo stavo per farlo io.
Lo baciai sulle labbra, sul collo, poi lo feci voltare.
"Che fai?"
Prima di rispondere gli posai il cazzo sullo spacco del culo.
"Confermo la mia autorità" dissi serio.
"Cioè?" fece lui cercando di divincolarsi, senza molta convinzione. Lo tenni fermo facilmente.
"Adesso sarò io a sverginarti e tu sarai il mio schiavo."
"Mi farai male?"
Mi ricordai della mia prima volta, di Raffaele che me lo spingeva dentro senza neppure bagnarlo, sfruttando solo il nostro sudore e pensai che avrei dovuto farlo allo stesso modo, per renderlo più efficace, più importante nella sua memoria.
"Solo quello che sarà necessario" dissi e abbassai il cazzo facendolo scivolare dentro lo spacco, fino a trovare il buco. Perfino quel movimento, lo strofinio leggero della cappella lungo il solco, sulla pelle sensibile che aveva appena preso diciotto cinghiate, gli procurò dolore e lui tentò di sottrarsi un'altra volta, ma io lo tenni fermo.
Per fortuna c'era abbastanza sudore tra noi. La giornata era molto calda e poi Fabio era ancora madido per tutti i movimenti fatti mentre riceveva le frustate, io ero già bagnato per l'eccitazione. Era la prima volta per entrambi e a me tremavano le mani, Fabio era scosso da brividi d'inquietudine, forse di desiderio, di paura.
Con la cappella posata contro il buco spinsi leggermente e lui trattenne il fiato, spinsi ancora.
"Rilassati" dissi piano, accarezzandolo, cercando di calmarlo "allarga un po' le gambe."
Alleggerii la pressione e spinsi ancora. Questa volta la cappella scivolò oltre la barriera.
Lo sentii espirare e gli sfuggì un lamento. Mi fermai per farlo adattare all'intrusione, poi spinsi ancora e ancora, finché non gli fui tutto dentro.
Sfruttai i miei ricordi e la tecnica di Raffaele mi soccorse, non facendomi accelerare il ritmo. Mi calmai e cominciai a scoparlo, mentre muovevo le mani sul suo torace, sulla pancia, sui peli del pube, finché gli presi l'uccello che sobbalzava a ogni mio colpo.
"Sto per venire, Lorenzo" mi disse lui con il fiato corto, sorprendendomi. Non mi aspettavo che la cosa lo eccitasse tanto, poi mi ricordai di me stesso, dell'eiaculazione spontanea che ebbi quella prima volta e quasi tutte le altre volte in cui Raffaele mi aveva inculato.
"Dopo che sarai venuto, ti farà più male!" l'ammonii.
Lo sentii come raccogliersi su se stesso, in attesa della sofferenza. Mi parve inerme, indifeso, incapace di opporsi al destino, alla propria eccitazione che in quel momento era incontenibile e lo spingeva oltre la soglia di un orgasmo, dopo il quale gli avevo preannunciato sofferenza.
Mi fece improvvisamente un'immensa tenerezza, ma sapevo che quello non era il momento di essere gentile. Dovevo affermare la mia autorità su di lui, per il nostro bene.
Lo sentii subito sborrare, le contrazioni del culo attorno al mio uccello mi fecero quasi arrivare, ma resistei, finché si fu calmato, poi lo feci piegare e abbassare fino a mettersi a quattro zampe e allora lo scopai come faceva Raffaele con me, come piaceva a me, senza soffermarmi a pensare a lui, senza pietà. Per la prima volta ero io a dare, non ero la parte ricevente e trovai tutto questo molto erotico.
"Ti sto scopando come fanno i cani" gli dissi in un orecchio, abbassandomi su di lui e rallentando il ritmo della scopata, che subito ripresi, tenendolo per i fianchi "e lo faccio, perché sono il tuo padrone! Lo capisci questo?"
"Si..." mormorò.
Lo sculacciai su una coscia e lui urlò, la pelle era troppo sensibile.
"A me devi dire si, Lorenzo' oppure, come fai con tuo padre, si, signore'. Capisci?" e gli detti un'altra sculacciata forte, per sottolineare l'importanza delle mie parole, mentre continuavo ad incularlo ritmicamente, ancora più eccitato dal ricordo che quelle parole suscitavano in me "Si, signore!" ripetei, più per mio beneficio che per il suo.
Stavo ripetendo quello che Raffaele aveva fatto a me, ma per un più nobile scopo, per farmi arrivare a Torino.
"Si, signore, Lorenzo, si" fece lui ricominciando a piangere, mentre io lo inculavo con più forza.
La sua sottomissione fu totale, com'era stata la mia a Raffaele e a lui stesso qualche giorno prima.
Lo abbracciai da dietro e lo baciai sulla nuca, di lato sul collo, mentre mi lasciavo andare, perdendomi dentro di lui. I suoi singhiozzi mi fecero volare oltre il limite e lo riempii di sborra. Per essere la mia prima inculata, diciamo dall'altro lato della tavola, mi ero comportato bene e il mio nuovo ruolo mi stava già piacendo.
Scivolammo per terra, lui sul pavimento freddo, di ceramica, io sopra, sul suo corpo morbido e palpitante, fremente di dolore e di eccitazione. Sentivo il suo cuore battere e gli stessi battiti riverberarsi al culo sensibile per le cinghiate e dentro allo stesso culo in cui adesso il mio uccello fluttuava nella sborra che gli avevo scaricato dentro. Con la mano gli cercai il cazzo che era schiacciato sotto di lui, ma ancora duro.
Nonostante tutto gli stava ancora piacendo.
"Se sarai un bravo bambino" gli mormorai proprio nell'orecchio, sicuramente facendogli il solletico, ma lui non si sottrasse, né al mio fiato caldo, né alle carezze "e se non mi farai incazzare, questo..." e gli detti un colpo dentro al culo, con l'uccello non ancora ammosciato "questo sarà il tuo premio ogni sera e anche più di una volta al giorno. E questo" gli strinsi l'uccello duro che tenevo in mano "potrà continuare a funzionare, ma se durante la giornata sarai stato cattivo, ti punirò severamente. E ti prometto che questo"
gli strinsi un'altra volta l'uccello "lo userai solo per pisciare fino a che starai qua! Tuo padre vuole vederti il culo e io non lo deluderò. L'unico modo che avrai per evitare che sia ogni giorno più rosso, sarà di studiare e imparare quello che non hai imparato durante l'anno."
Lo sentii irrigidirsi sotto di me.
"Prometti di non farmi male" piagnucolò.
"Ti darò solo quello che ti meriti e non sarà facile, Fabio, fare in due mesi quello che non hai fatto in un anno, ma ci riusciremo, perché io ti aiuterò!"
Mi alzai sfilandomi da lui. Guardai per terra, sotto di me, il suo corpo adagiato mollemente sul pavimento, il culo crudelmente rosso, le spalle e le cosce abbronzate, una gamba piegata, il respiro ancora un po' agitato, il capo posati di lato, gli occhi a cercare la mia espressione, l'approvazione a che potesse alzarsi.
Gli tesi la mano e fu subito tra le mie braccia.
"Ti voglio bene, Lorenzo, mi dispiace di essere stato cattivo con te!"
"Anch'io ti voglio bene e se sarò cattivo, lo farò solo perché ti voglio bene!" dissi "Vai nel bagno adesso e lavati per bene."
"Si, Lorenzo!"
Lo seguii nel bagno e lui mi guardò confuso.
"D'ora in poi non avrai nessun momento per stare da solo. Tutte le volte che vorrò, tu dovrai farmi vedere quello che stai facendo. Adesso voglio vedere come ti lavi e ti pulisci, ma prima siediti sul cesso e svuotati della mia sborra!"
Sentirmi dire queste cose lo fece inorridire, nonostante la nostra promiscuità, avevamo quasi sempre rispettato i nostri momenti da soli nel bagno.
"Lorenzo..." fece lui piangendo.
"Vuoi che ti sculacci ancora?"
"No, ti prego, no!"
"Allora, fai come ti dico. Siediti là!" e lui lo fece, mettendosi ubbidiente sul cesso, dove si liberò con qualche rumore e facendo un paio di smorfie di dolore, poi passò sul bidè, dove si lavò accuratamente.
"Ispezione!" dissi con una certa enfasi, mentre si alzava.
Mi guardò sorpreso.
"Si, Fabio, questa è un'altra novità, quando mi sentirai dire `ispezione' dovrai fermarti dovunque sei, calarti i pantaloncini e metterti sull'attenti in attesa di ordini."
Raffaele era stato un buon maestro e, se mi avesse visto in quel momento, sarebbe stato orgoglioso di me.
Lui si mise subito diritto. Lo feci piegare e gli guardai il culo che era ovviamente molto arrossato, gliel'aprii e osservai il buco, anche quello pareva infiammato. Lo sentii sospirare, poi si mosse a disagio, lo toccai avanti e notai che ce l'aveva duro un'altra volta.
"TI sei lavato bene" dissi e lo sentii sospirare per il sollievo "e questo uccello duro da dove viene?"
"Non lo so, Lorenzo" rispose lui preoccupato, arrossendo, un'altra volta sul punto di piangere.
"Cosa ti è piaciuto di più?"
Abbassò la testa e mosse i piedi, era a disagio.
"Rispondi sempre alle mie domande, Fabio!"
"Cosa mi è piaciuto di più di cosa?"
"Come ti ho detto che devi rispondermi? "Si, Lorenzo, oppure devo dire `si, signore', no?"
"Va bene. Per questa volta non ti punisco, ma è l'ultima volta. Da te pretendo ubbidienza assoluta. È chiaro?"
"Si, Lorenzo!" rispose lui pronto, e abbassò la testa per quello che ritenni un segno di sottomissione.
"E quando ti dirò di metterti in posizione, farai esattamente come hai sempre fatto con tuo padre. Hai capito?"
"Si, Lorenzo!"
"Adesso torniamo alla nostra domanda: perché hai l'uccello duro?"
L'aveva ancora così, anche se un po' meno dritto.
"Non lo so, Lorenzo" piagnucolò.
"Ti rifaccio anche la domanda di prima: qual è la cosa che ti è piaciuto di più fare o essere fatto?"
Era chiaramente a disagio, muoveva i piedi e se ne stava con la testa bassa, il mento schiacciato contro il petto.
"Se ti dicessi che l'ho duro anch'io" mi guardò subito davanti "potresti trovare una risposta?"
"Si, Lorenzo."
"La sto aspettando."
"Tutto quello che mi hai fatto è stato... è stato... così arrapante. Posso dire arrapante?"
"Si!"
"Ma perché me l'hai fatto tu!"
Adesso era completamente arrossito e le guance avevano assunto la colorazione del suo culo.
"Vieni qua" gli dissi spalancando le braccia.
Lui corse a rifugiarsi in quell'abbraccio. Temevo che piangesse, invece mi strinse forte anche lui, mi posò la testa nell'incavo del collo e se ne stette così. Lo baciai tra i capelli.
"Non so se è così che succede" mi sussurrò lui, praticamente parlandomi sulla spalla "ma io credo che... è la prima volta per me, ma forse sto per innamorarmi di te. Posso innamorarmi di te,Lorenzo?."
"Certo che puoi" dissi ridendo "e ti do il permesso, perché anche a me forse sta succedendo la stessa cosa."
"Cioè che tu... anche tu mi vuoi... bene? Davvero?"
"Si, Fabio, i grandi dicono che si amano ed io ti amo!"
"Siamo grandi noi?"
"Ci proveremo. Tu vuoi?"
"Se è con te, si! Proviamoci insieme. Eh, Lorenzo?"
Quella sera eravamo esausti, lui più di me. Dopo che ebbe lavato i piatti, giacché io avevo cucinato la cena, mi chiese se potevamo andare a dormire. Gli detti il permesso, perciò niente passeggiata sulla spiaggia. Lui se ne andò a letto ed io rimasi a studiare per conto mio. Quando mi venne sonno, lo raggiunsi e, nonostante il caldo, mi cercò nel sonno e finimmo a dormire abbracciati, lui schiacciato contro di me, il suo culo caldo, bollente per le cinghiate ricevute, premuto contro il mio grembo, le braccia raccolte al petto, io che lo tenevo stretto a me e pensavo a quanto l'amavo.
In realtà lo avevo amato dal primo momento in cui l'avevo visto, ne avevo ovviamente ammirato il carattere autoritario, prepotente, crudele, perfino sadico. Adesso amavo la sua debolezza, me ne ubriacavo. Davanti a noi c'erano due mesi difficili, decisivi per entrambi, ma che ci avrebbero formati.
Se alla fine il nostro legame fosse sopravvissuto, forse avremmo potuto affrontare la vita insieme.
E poi pensai a come poteva essere cambiato tutto in così poco tempo, dove si era nascosta, fino a quel momento, quella parte della mia natura che adesso mi consentiva di dominare Fabio? Sarei mai tornato a essere sottomesso? Questa era la mia più grande preoccupazione, perché temevo di aver perso per sempre la possibilità di eccitarmi e godere durante i miei esercizi di sottomissione. Peraltro, nel mio nuovo ruolo dominante, seppure scoperto poche ore fa, non mi ero per niente annoiato. Assolutamente no! Lo baciai sul collo prima di addormentarmi, Fabio mormorò qualcosa nel sonno e si accomodò meglio nel mio abbraccio e in quel momento seppi che avremmo trovato insieme la soluzione.
Il treno corre nella notte, sto andando a Torino ed è lui che sto andando ad abbracciare, il mio piccolo schiavo, l'adorabile prigioniero della mia anima che creai in quell'estate di sogno.
TBC
lennybruce55@gmail.com