DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
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Questo è l'ottavo dei diciotto capitoli che compongono il romanzo.
CAPITOLO 8 - La casa sull'albero
15 agosto 1950
Si svegliò quando cominciò a schiarire.
Dovette guardarsi attorno per convincersi che non era nel suo letto, nella sua camera, nella grande casa di Boston. Gli bastò soltanto un momento per ricordare dov'era e soprattutto con chi.
Stette supino a fissare il cielo colorarsi di azzurro e di rosa e la sensazione di calore che provava alla vicinanza di Kevin, lo ripagò immediatamente del rimpianto, neanche tanto, per le comodità e gli agi che aveva forse momentaneamente perduto.
Il rosso, il suo ragazzo, gli teneva la testa sulla spalla. I capelli erano finiti sul petto, perché Kevin stava di fianco e gli aveva passato il braccio attorno al collo, infilando una gamba tra le sue. Dovevano aver dormito abbracciati, tutta la notte così, adattandosi al corpo dell'altro, seguendone i movimenti anche nel sonno. Si chiese come fosse stato possibile, perché aveva dormito benissimo, anche in uno spazio così ristretto. Aveva dormito profondamente, in pace assoluta.
Sentiva il corpo di Kevin attaccato, adattato al suo e la bocca era così vicina al collo che avvertiva il respiro caldo, lento e regolare inumidirgli la pelle. Provò un'infinita tenerezza a guardarlo, era così indifeso nell'incoscienza del sonno, il corpo snello e le gambe lunghe, pallide. Il colorito di Kevin era sempre il più chiaro di tutti loro. Gli baciò i capelli, con delicatezza, per non disturbare il sonno e gli si fece più vicino, raccolse ancora calore da quel corpo, si fece coprire, proteggere.
Guardò Tommy e Manuel che dormivano dall'altro lato. Anche il piccolino era avvolto nell'abbraccio protettivo di Manuel che si era avvicinato a loro due e aveva posato una mano sulla spalla di Kevin e, sempre nel sonno, anche un piede proprio sotto il ginocchio, tanto che ora loro quattro parevano un groviglio umano, come i tredicenni.
Isolandolo dagli tutti i rumori cui ormai era abituato, arrivò a sentire il placido ronfare che proveniva dell'amaca di Mike e infine il respiro dei tre diavoletti che era inspiegabilmente unisono, com'erano diventati loro.
Hook, sempre vigile, aveva capito che lui si era svegliato e gli si era avvicinato, sperando in una carezza. Lui però fece finta di essere ancora addormentato, perché fare le coccole al cagnone avrebbe significato svegliare tutto il campo e voleva restare tranquillo a pensare ancora un poco.
Con gli occhi chiusi si concentrò su quello che percepivano gli altri suoi sensi, i rumori, gli odori, la carezze dei corpi vicini. Tutto ciò gli diede un'intima soddisfazione. S'era accertato che tutti dormissero tranquilli e, se il suo primo pensiero era stato per Kevin, poi aveva voluto sapere della tranquillità dei suoi ragazzi.
Si chiese perché la loro serenità lo appagasse tanto da renderlo felice, facendogli scordare la drammaticità della loro condizione. Erano dispersi su un'isola a migliaia di miglia da casa e proprio lui era irrimediabilmente lontano dall'università che intendeva frequentare, che lo attendeva a braccia aperte di lì a un mese e che certamente non l'avrebbe visto per molto tempo ancora, perché da quell'isola non sarebbero tornati tanto presto, se ne convinceva sempre di più.
Era stato strappato alla civiltà, ad un mondo in cui, unico tra loro, occupava un posto di assoluto privilegio. Ed ora, là su quel pezzetto di terra, era in compagnia di un gruppo di ragazzi disadattati e sfortunati che all'inizio aveva considerato con distacco, soprattutto perché non sarebbero stati all'altezza delle sue capacità intellettuali, ma che adesso amava teneramente uno ad uno. Aveva cominciato ad apprezzarli sulla Venture, divenendo loro amico e i ragazzi gli si erano rivelati nella loro infinita umanità, con la dolcezza, la gentilezza, la sensibilità, con la loro felice esuberanza. Conoscendoli aveva fatto anche la scoperta sconvolgente delle sofferenze, delle storie crudeli che si portavano dentro e questo l'aveva colpito più di ogni altra cosa, così erano nati l'affetto e l'amore che provava per tutti.
Ed era ancora più felice, perché stringeva fra le braccia il più meraviglioso ragazzo del mondo, che amava tanto da non riuscire ad immaginare più alcuna vita senza di lui. L'amava fino a stare male, se ci pensava. Se concentrava il pensiero su di lui, sentiva un dolore forte alla gola e al petto, quasi un senso di soffocamento. L'amava, più di chiunque altro avesse mai incontrato nella sua vita insignificante di figlio protetto d'una famiglia molto ricca.
Era davvero felice, perché aveva attorno persone cui voleva bene e che gliene volevano sinceramente. I suoi ragazzi lo amavano e lui li avrebbe guidati e protetti.
Forse la sua era una missione cui era predestinato, a lui era stato dato il compito di ripagarli di tutti i torti che il mondo gli aveva fatto e anche renderli felici, per quanto sarebbe stato in suo potere. In quell'alba, nella luce limpida, nell'aria tiepida, capì che non sarebbe più tornato alla sua vita di prima, ai suoi desideri, ai progetti che aveva fatto e alimentato con i suoi studi, con i sacrifici, con le rinunce. Frequentare l'università perse definitivamente l'importanza capitale che aveva avuto nella sua vita. Non sarebbe più diventato uno scienziato, né sarebbe tornato a fare quelle cose che fino a qualche giorno prima gli parevano giuste, importanti, indispensabili, che credeva di amare. Tutto aveva fatalmente perso importanza.
Aveva avuto una vita piena di privilegi.
Era sempre stato ricco, era anche bello e intelligente, uno studente prodigio, anche un buon musicista. A Boston suonava il violoncello in una orchestra giovanile. Non era stato facile conciliare tutti gli impegni, la scuola e le prove dell'orchestra, ma ci era sempre riuscito, perché amava la musica e suonando gli pareva di poter esprimere i suoi sentimenti più profondi, in un modo con cui le parole non avrebbero mai potuto farlo. Aveva anche praticato uno sport, la corsa di mezzofondo, ma senza eccellere, anche se aveva sempre lavorato coscienziosamente per sviluppare la propria forma, facendo il meglio possibile. Nell'ultimo anno era stato prefetto della sua scuola, responsabile del comportamento dei più piccoli e nonostante la giovane età, perché era avanti con gli studi, era riuscito ottimamente anche in quel compito con il suo senso pratico, la facilità ad immedesimarsi nelle ragioni degli altri. Una cosa sola non si era mai consentita ed era stato l'avvicinarsi troppo ad altri ragazzi. Anche se era stato oggetto di alcune cotte di ragazzini, se ne era sempre tenuto lontano, spaventato dalle conseguenze che un coinvolgimento serio avrebbe potuto avere.
Il nonno, di cui portava il nome, aveva provveduto a lui in ogni necessità materiale e questo aveva consentito ai suoi genitori di non dover provvedere a lui in nulla e pareva averli esentati anche dalla necessità di amarlo in quanto figlio. Erano sempre restati ai margini, lontani dalla sua vita, mai lasciandosene coinvolgere. La sua nascita era forse stata un incidente nella vita dei genitori ed era rimasto figlio unico.
Loro vivevano un'esistenza instancabilmente dedita ai divertimenti, raffinati edonisti, erano sempre in viaggio, alla ricerca di nuovi piaceri e nella loro vita non c'era mai stato posto per lui. Se n'erano sempre tenuti ad una tale distanza che gli pareva di non averli mai davvero conosciuti.
Non li odiava, non li ammirava e non aveva interesse a piacergli, né a compiacerli, perché loro non erano interessati a lui. Ed ora non aveva alcun desiderio di rivederli.
Diversa era la relazione con il nonno cui aveva sempre voluto piacere, interessare. Il vecchio era forse l'unico ad amarlo, a tenere a lui, ma era sempre stato troppo impegnato per interessarsi alla sua educazione o alla sua vita affettiva. E perciò l'aveva circondato di tutti gli agi possibili ed andava a merito di Richard di non essersi trasformato in un bambino, in un ragazzo viziato e capriccioso, com'era stato suo padre. Il suo carattere generoso, ma anche onesto e determinato, gli aveva consentito di salvarsi da tutte le tentazioni e gli agi di cui il nonno l'aveva circondato.
Anche per questo loro due si amavano e si rispettavano fortemente, tanto che al nonno era legato l'unico rimpianto che riuscisse a provare in quel momento.
Lui teneva in altissima considerazione l'opinione del vecchio, tanto quanto il nonno aveva stima del ragazzo, avendone riconosciuto subito il valore morale, così diverso da quello del suo stesso figlio. E che Richard non si fosse fatto corrompere dalle comodità, ma avesse deciso già a dieci anni di voler essere uno studioso, uno scienziato e non un uomo d'affari, come avrebbe voluto il vecchio, oppure semplicemente un erede viziato, non aveva incrinato il loro rapporto, ma l'aveva rafforzato e fatto maturare. Da allora i due si erano incontrati, per quanto possibile, su un piano di assoluta parità, consci del valore e delle possibilità dell'altro e poco importava che fra loro ci fosse una differenza d'età di quasi cinquant'anni.
Ed ora le lunghe discussioni con il nonno, lo scambio di idee sugli argomenti più diversi, le passeggiate sulla riva dell'oceano, in qualche fine settimana rubato agli impegni del vecchio e ad agli studi di Richard, erano l'unica cosa che gli sarebbe mancata della vita lasciata a Boston. Del resto non gli importava proprio nulla.
Improvvisamente gli venne da ridere all'idea che qualcuno potesse vederlo in quel momento, che un aereo, magari con i suoi genitori a bordo, sorvolasse il campo e fra gli alberi scorgesse i materassi su cui giacevano abbracciati e addormentati i tredicenni, Tommy e Manuel, tutti probabilmente nudi, Kevin pure nudo e avvinghiato lui.
Che su quell'aereo immaginario potesse trovarsi anche il nonno non lo preoccupava, perché il vecchio avrebbe ascoltato le sue spiegazioni, forse non l'avrebbe approvato, ma l'avrebbe certamente lasciato libero di disporre di se stesso, anche se l'avesse sorpreso con le mutande un po' abbassate che non nascondevano la sua eccitazione.
Era tutta colpa di Kevin, del suo pene che gli strusciava sulla gamba e gli provocava brividi di piacere. Quest'ultimo pensiero lo fece sorridere e poi ridere. Si mosse un poco e fu per questo che Kevin si svegliò.
Allora lui vide quei sorprendenti occhi blu aprirsi e subito socchiudersi per la luce.
Kevin s'alzò sui gomiti e gli baciò le labbra.
"Buongiorno, amore?" mormorò, poi lo guardò meglio e notò che sorrideva ancora "A che pensi? Perché stai ridendo?"
"È tutta colpa tua! Pensavo alla mia fortuna e a te che mi hai notato in mezzo a tanti!"
"E ti fa ridere?" lo scrutò fingendosi offeso "però, però questa è proprio una bell'idea per cominciare la giornata, amore mio!" e finalmente gli sorrise anche lui "Ehi, ma forse sono io quello più fortunato di noi due!" e cominciò a mordicchiargli l'orecchio, poi a baciare e a leccargli il collo e il petto.
Mentre Richard l'accarezzava sul dorso, scese con la lingua lungo il torace e fino all'ombelico, poi più giù fino a liberargli il pene e a baciarlo. Il solletico li fece ridere tutti e due e cercarono di soffocare il rumore per non svegliare i ragazzi che dormivano così vicini.
Dopo avergli ben lavato con la saliva l'asta, Kevin la prese in bocca, cominciando a muoversi, non più soltanto leccandolo, ma anche succhiando un po' rumorosamente.
A quel punto Richard prese a mormorare di piacere, neppure più tentando di nascondere i suoi gemiti. Quello che stavano facendo era sconveniente, forse lo era, ma non là, non in quel momento. Chiuse gli occhi e decise che non era sconveniente.
Tommy si svegliò. Aveva udito un suono sommesso, una specie di mormorio che non gli era nuovo, qualcuno stava facendo l'amore lì accanto e, per quanto non ne fosse ancora capace, quelle azioni gli stavano diventando familiari.
Ridacchiò e si mise a guardare i suoi fratelli maggiori, poi si voltò verso il suo compagno, gli mise le braccia al collo e lo baciò insistentemente sulle labbra, tentando di infilargli la lingua in bocca, finché non aprì gli occhi.
"Ehi, fratellino!" mormorò Manuel con voce assonnata.
"Fratellone!" disse Tommy cercando di tenere bassa la voce.
"Quello non era un bacio di buongiorno."
"Beh, anche, ma non solo e poi ho preso l'idea da Kevin, lui ha fatto così con Richard!" fece lui tutto contento.
"E come ti senti, piccolino?"
"Mi fa tutto male" piagnucolò un po'.
"Vedrai che oggi ti sentirai molto meglio."
Ma il ragazzino non l'ascoltava più, già dimentico dei suoi dolori, aveva deciso di continuare ad imitare Kevin e nulla avrebbe potuto dissuaderlo.
Per essere uno che non era ancora entrato nella pubertà, sapeva abbastanza di sesso e non l'aveva imparato certo nei pochi giorni trascorsi sull'isola.
Fissò Manuel, poi cominciò a baciarlo sul collo, gli passò la lingua sul torace, non smettendo di accarezzarlo con le labbra. Manuel era sorpreso e dubbioso, ma lo lasciò fare. Poi lo sentì scendere fino al ventre e più giù sempre leccando, finché non gli prese in bocca il pene.
"Ehi, no, Tommy, non voglio che tu lo faccia, lo sai che non voglio!"
Manuel provò a farlo smettere e ci mise tutta la sua buona volontà. Si sentiva molto protettivo nei confronti del piccolo ed era preoccupato all'idea di potere, in qualche modo, approfittarsi di lui, anche se qualcosa avevano già fatto e l'incidente sulla montagna aveva rafforzato il loro legame. Tommy, per conto suo, gli era totalmente devoto e non desiderava altro che di dargli piacere. Non aveva inibizioni o sensi di colpa e il suo unico, casto obiettivo era di rendere felice il ragazzo di cui era innamorato e per questo non aveva remore, in nessun caso e per nulla al mondo.
Lasciò per un momento il pene di Manuel e lo fissò, fingendosi annoiato.
"Lo so, lo so" disse "lo so che tu non vuoi, che dici sempre che non dovremmo fare queste cose, che io sono piccolo, ma sai che penso? Che tu sei scemo!" scoppiò a ridere.
"No, Tommy, davvero non voglio!"
"Ed io invece si e lo voglio fare lo stesso! Va bene? Anche se sono troppo piccolo, io lo voglio fare lo stesso, perché..." e qua si bloccò, ci pensò un po' su, poi decise che non gli andava di fare discorsi così complicati a quell'ora "perché tu hai un così buon sapore ed io ti voglio tanto bene che ti voglio assaggiare, va bene?" concluse con impazienza, per tornare a succhiare.
E questo parve rassegnare Manuel.
"Mettiti qua, di lato a me" disse, finalmente convinto, almeno così pareva "se proprio lo devi fare, voglio assaggiarti anch'io!" e per il suo carattere, così timido e mite, quella era una specie di sovversione.
Si spostò in modo che tutti e due potessero tenere in bocca il pene dell'altro.
Tommy non emetteva ancora seme, ma i suoi orgasmi erano ugualmente importanti per lui e poterli condividere con Manuel lo rendeva oltremodo felice. In pochissimo tempo cominciò a tremare, il suo corpo si arcuò, mentre anche Manuel arrivò a godere, schizzandolo un poco in bocca e un po' in faccia.
Poi il piccolino gli scivolò fra le braccia e se ne stettero abbracciati aspettando che il respiro tornasse normale, anche se continuarono a baciarsi, ridendo, riempiendosi la faccia di saliva. E per il momento quella era la cosa che più piaceva a Tommy.
Anche Richard e Kevin stavano riprendendo fiato e si coccolavano. Si sentivano arrivare mormorii e risatine dalla parte dov'erano i tre, e anche fra i rami si sentiva muovere l'amaca di François e Mike.
Poi all'improvviso, quasi si fossero messi d'accordo, sul campo scese il silenzio, solo apparente, perché rotto da un fitto scambiarsi di baci, un rumore liquido e sommesso, fatto di schiocchi e mormorii e poi di sospiri e di respiri che lentamente tornavano normali.
"Ho sempre amato questo profumo di mattina!" disse ridendo Kevin accarezzando la pancia di Richard ancora umida di sperma..
"Sveglia, popolo di Venture Island, la giornata comincia!" gridò allora Richard, alzandosi e tirandoselo dietro.
Presto furono tutti in giro, chi nell'acqua a schizzarsi, chi a fare la toeletta mattutina.
Terry, Angelo e Joel avevano scoperto che stare sotto la cascata, facendosi colpire dal getto dell'acqua, era il modo più divertente e piacevole per lavarsi bene, visto che, come gli aveva spiegato Kevin, dovevano lavarsi per forza, altrimenti avrebbero provveduto lui e Mike, armati di uno spazzolone. Loro ci avevano creduto, perché dalla Venture avevano recuperato anche lo spazzolone che serviva per fregare le tavole della coperta e Mike lo teneva in mano mentre Kevin li minacciava. Perciò, per non farsi strigliare come cavalli, quando c'era da lavarsi, correvano a mettersi sotto la cascata dove si strofinavano energicamente, senza perdere di vista Kevin e soprattutto Mike, per mostrare quanto fossero volenterosi.
Facendo così si divertivano un sacco, tanto che spesso occorreva tirarli fuori a forza.
Kevin che già sulla Venture aveva notato proprio nei tre e in Tommy una preoccupante mancanza di igiene, fu molto sollevato da questo nuovo interesse.
Manuel era il più scrupoloso di tutti e ormai controllava Tommy molto attentamente, tanto che da qualche giorno il ragazzino era sempre impeccabilmente lavato e pettinato, sicuramente come non lo era mai stato in vita sua.
Anche Richard era convinto che la pulizia personale fosse molto importante e non solo per il benessere di ciascuno, ma per dare un senso di ordine al gruppo. Pensò di dover attribuire la massima importanza, oltre che alla pulizia, anche all'ordine dei vestiti e al fatto stesso di indossarli. Con il caldo che faceva e la promiscuità che si era creata fra loro, ci sarebbe voluto poco per liberarsi anche dei pantaloncini, l'unico indumento che indossavano abitualmente. E dall'esser nudi a trasformarsi in selvaggi il passo sarebbe stato molto breve. Ritenne perciò che nessuno dovesse mai dimenticare che erano delle persone civili nate nel ventesimo secolo, orgogliosi cittadini della nazione che assicurava la pace nel mondo.
Perciò, almeno per la cena, avrebbe preteso che tutti si vestissero più formalmente, cioè indossando una camicia e i pantaloni lunghi. La cosa non li avrebbe entusiasmati, anzi avrebbe gettato nel panico qualcuno, ma lui pensava che fosse necessaria, per mantenere una parvenza di civiltà in quel loro paradiso che era fin troppo selvaggio.
Dopo che tutti ebbero mangiato la loro porzione di frutta per colazione, li chiamò alla base del grande albero che avevano eletto a centro del campo.
"Cerchiamo di organizzarci un po', ragazzi. Mi è venuta qualche idea su cosa fare e adesso ve ne parlerò. Se qualcuno non dovesse essere d'accordo, non ha che da dirlo e ne discuteremo tutti insieme. Va bene?"
Li guardò ad uno ad uno.
"Se vi viene in mente qualcosa, ditelo. Vi avverto però che su una delle cose che dirò non sarete d'accordo e di questo parleremo alla fine, perché non si potrà discutere. Per il momento abbiamo cose più importanti di cui parlare e decideremo insieme su tutte le questioni, tranne che sull'ultima!"
E dopo questa misteriosa premessa, cominciò:
"La cosa più urgente per noi è che dobbiamo selezionare e raggruppare i rottami gettati sulla spiaggia, prima che un'altra tempesta ce li porti via, poi dobbiamo decidere di che tipo di rifugio abbiamo bisogno e cominciare anche a costruirlo. Per questo compito penso che il più adatto sia Mike che quindi sarà il nostro ingegnere e direttore dei lavori. Verrà affiancato da Angelo che l'aiuterà nei disegni e quindi possiamo dire che sarà l'architetto. Angelo che ne pensi?"
"Oh si, si, Richard, s-sarebbe b-bellissimo!" fece Angelo.
"E tu Mike? Sempre d'accordo?"
"Sicuro!"
Si alzarono grida di entusiasmo che proseguirono anche dopo che Richard aveva ripreso a parlare.
"Abbiamo anche bisogno... ehi!" urlò anche lui e infine riuscì a riavere un po' di attenzione "Dicevo che abbiamo bisogno di trovare qualcuno bravo a pescare in modo efficiente e che sappia già usare la rete. Che ne dici, Terry?"
Il futuro pescatore stava facendo il solletico all'appena nominato architetto, ma rivolse subito tutta la sua attenzione a Richard.
"Si!"
"Allora, Terry, che ne dici? Vuoi interessarti tu della rete e della pesca, quindi anche di controllare l'efficienza e la sicurezza del canotto e della lancia?"
"Si, scusami, certo, lo farò volentieri. Davvero! Grazie, papà!" fece Terry tutto contento.
Richard sobbalzò.
Terry lo aveva chiamato papà. Era la prima volta che accadeva oppure qualcuno l'aveva già fatto? Forse era stato Tommy.
Cercò di non pensarci, ma era una cosa che lo coglieva alla sprovvista. Certamente Terry non aveva mai chiamato nessuno a quel modo e l'aveva fatto d'istinto, perciò non se la sentì di correggerlo.
"Allora, abbiamo il capo dei pescatori!" disse e qua si alzarono altre grida di entusiasmo "E qualcuno... dicevo... qualcuno dovrà aiutarlo, perciò lo faremo tutti, una volta per uno e sarà Terry a stabilire i turni e nessuno potrà rifiutarsi. Siamo d'accordo?"
Sorrisi e cenni di assenso, forti pacche a Terry, tanto forti da farlo tossire, ma Richard continuò a parlare imperterrito.
"Comunque, appena avremo costruito il rifugio, dovremo dedicare un poco di tempo ad esplorare la parte nord dell'isola per scoprire se c'è qualche altra fonte di cibo che possa esserci utile per migliorare la nostra dieta."
"Ehi, qua c'è l'albero del pane" disse Manuel "ce ne sono tanti!"
Tutti si voltarono per cercare di individuarli.
"È quell'albero là, vedete?" e indicò un albero alto più di dieci metri con delle grandi foglie "Cresce un po' dovunque qua sull'isola e fa quei frutti con i bitorzoli che abbiamo già mangiato. Quando eravamo sulla Venture ho letto che, se si cuoce quello che c'è dentro i frutti o lo si arrostisce, si ottiene un cibo con il sapore simile alle patate e con un poco di fantasia anche al pane fresco! Se riuscissimo a cucinarlo, sarebbe un buon nutrimento per noi e sostituirebbe il pane, visto che qua non abbiamo il grano per fare la farina."
"Ehi, è una buona idea!" fece Richard e Manuel gli sorrise felice.
"Ma noi non abbiamo un forno" disse Angelo.
"Però possiamo costruirlo!" fece Mike, pronto.
"È vero" disse Manuel "in quel libro c'è anche la descrizione del forno che viene utilizzato dalle popolazioni delle Isole di Tonga che dovrebbero essere qua vicino" ci pensò un poco su, poi aggiunse "non proprio vicino, ma credo che siano qua attorno!"
"Si, forse" disse Richard "e che altro sai?"
"Che l'albero del pane è un albero molto utile" attaccò a dire Manuel, incoraggiato "e il suo frutto è solo una delle cose che si può sfruttare, perché anche il legno è ottimo e gli indigeni delle isole del Pacifico lo usano per la costruzione delle piroghe. Poi ho letto che dalla corteccia si ricava un filo che può essere tessuto. E lo sapete che il tronco secerne un succo lattiginoso che diventa una colla molto resistente?" disse con foga, contento di rendersi utile con le sue conoscenze "Ne esistono di diversi tipi e ognuno dà frutti in un periodo differente dell'anno, perciò credo che ne avremo sempre di freschi, in ogni stagione. A meno che gli alberi non siano tutti di una specie, anche se qua all'equatore non ci sono vere e proprie stagioni."
"Quindi domani mattina, per colazione, avremo tutti pane tostato, burro e marmellata di ciliegie" insisté Kevin.
"L'unica marmellata che potrai avere sarà quella di banane mature. Se le schiacci, sai che bella marmellata ti viene?" lo canzonò François suscitando l'ilarità di tutti.
"Ma io voglio anche le uova strapazzate!" disse Terry.
"Ehi, hai ragione, fratello, oltre al pesce, dobbiamo sfruttare le uova" fece pronto Mike, la cui fame perenne era nota a tutti "ce ne sono a migliaia là sopra!" e indicò l'altopiano sopra la cascata.
Tommy scattò in piedi: "No, no, Mike, aspetta" cominciò gridando, poi si guardò attorno si sedette e tentò di parlare con un tono normale "io, io credo che anche andando di là, lungo la spiaggia, si incontrino dei nidi. Ce ne sono tanti. A me però dispiace!" concluse risedendosi e guardando Richard che gli fece l'occhiolino.
"Mike ha ragione, dovremmo andare a prendere le uova per alternarle al pesce e magari farle strapazzate per colazione. Tommy ha ragione, ci sono nidi anche più giù, fin quasi al livello del mare. Mi pare che lui sia già andato a guardare e anche senza permesso!"
"Mi dispiace" disse il piccolino, poi si accorse che Richard gli stava facendo l'occhiolino e si consolò immediatamente.
"Più tardi andremo a vedere. Ci andiamo io e te, fratellino, va bene?"
"Oh, si, papà, andiamo, andiamo" disse Tommy con la massima serietà.
Un'altra volta 'papà'! Gli parve che la questione fosse seria e più di quanto pensasse, ma Tommy lo stava fissando con una tale tenerezza negli occhi che anche stavolta non se la sentì di riprenderlo, perché pure il piccolino non aveva mai conosciuto suo padre.
"Ma dobbiamo proprio raccogliere le uova dai nidi?" gli stava chiedendo.
"Beh, direi di si!"
"Oh, a me piacciono tanto le uova sode!" annunciò Mike con uno sguardo sognante e la sua affermazione contribuì a spazzare ogni dubbio sull'opportunità di raccogliere le uova.
"Visto che si sta parlando tanto di cucina" s'intromise subito Richard, cercando di riprendere il controllo della discussione e prima che tutti dicessero qual era il modo in cui preferivano mangiare le uova "François è il nostro cuoco, l'avrete capito, no? Beh, lui ha pensato che Joel potrebbe essere perfetto come aiuto! Joel, tu che ne pensi?"
"Se vi fidate" disse ridendo, il furbacchione.
"Tu non provare neppure a combinare qualche guaio!" lo avvertì François e si vedeva che non scherzava affatto.
E così, oltre alle urla di entusiasmo per la nuova nomina, scappò anche qualche fischio, forse per la scarsa fiducia che tutti avevano in Joel e nella sua propensione alla pulizia.
"Manuel e Tommy, invece, lavoreranno con Kevin per la cambusa e la pulizia del campo. Kevin sa già di che si tratta esattamente! Qualcuno ha domande?"
Non ce n'erano.
"Nel pomeriggio, dopo il lavoro, andremo a posare la targa che Mike ha preparato per Chris e passeremo un po' di tempo a pensare a lui."
Pareva che la riunione fosse finita e cominciarono a muoversi, perché erano rimasti fermi anche per troppo tempo.
"Ehi, aspettate" li richiamò Richard "è arrivato il momento di dirvi quell'ultima cosa, quella sulla quale non si dovrà discutere" lo fissarono otto paia d'occhi curiosi e qualcuno, come Kevin e François anche preoccupato "da stasera per cena, ci vestiremo come facevamo a bordo della Venture."
"No" dissero più o meno tutti. Qualcuno finse, neanche tanto, di essere disperato e si rivoltò per terra, facendo il matto. Erano Joel e Terry, manco a dirlo, i più insofferenti.
"Si, invece" insisté Richard irremovibile "perché ci troveremo pure su un'isola selvaggia e sperduta nell'oceano, ma noi non siamo nati selvaggi e non lo diventeremo solo perché abbiamo fatto naufragio!"
"Ma qua fa caldo!" protestò Angelo, senza tanta convinzione.
"E che ci metteremo addosso?" chiesero Terry e Joel.
"Abbiamo salvato una grande quantità di vestiti" proseguì Richard "e perciò continueremo a comportarci come siamo stati abituati a fare ed io, per cena, da quando avevo sei anni mi sono sempre cambiato d'abito e ho indossato la cravatta. Noi l'abbiamo fatto sulla Venture, per volere di mio nonno e il capitano Mendes ci teneva molto, ve lo ricordate, no? Perciò lo faremo anche a Venture Island e a partire da stasera!"
"Ti prego, papà, cioè Richard!" Tommy provò ad impietosirlo.
"Vi ho detto che questo è un argomento sul quale non discuto. Da stasera pantaloni lunghi, camicia e cravattino per tutti, anche se staremo seduti per terra! Altrimenti non si mangia! E non è neppure ammessa la maglietta al posto della camicia! Tommy, solo tu potrai indossare i pantaloni corti, ma quelli al ginocchio! Anche François sarà esentato, finché avrà la sua fasciatura."
Sulla questione non c'era davvero da trattare, perché la faccia di Richard diceva chiaramente quanto fosse fermo su quella decisione, così la smisero anche di mugugnare.
Visto poi che avevano finalmente esaurito gli argomenti, si diedero da fare, organizzandosi in gruppi per setacciare un'altra volta la spiaggia. In meno di un'ora avevano impilato paletti e assi di legno, oggetti di metallo e ancora parti dell'albero maestro e dell'alberatura. La maggior parte degli oggetti ritrovati apparteneva alla Venture, ma ce n'era un certo numero che era più vecchio e che mostrava di essere stato in mare per molto più tempo. Trovarono degli oggetti di metallo, perfino una borraccia militare, e molti altri pezzi di legno. Non era strano, spiegò Richard, dato che proprio in quelle acque si era combattuto duramente fino a solo pochi anni prima.
Mike che aveva trascorso molte ore a sognare come fare il rifugio, quella stessa mattina, assieme ad Angelo, aveva cominciato a progettarlo.
Da parte sua il giovane architetto aveva formulato ipotesi e fatto già qualche schizzo. Insieme proposero di sfruttare il tronco e i rami più bassi della grande mangrovia per costruirci una casa sopraelevata e su diversi livelli. Si arrampicarono sull'albero e scelsero i rami su cui appoggiare il pavimento. La struttura della mangrovia era solida e permetteva molte soluzioni. Le valutarono insieme e Angelo lavorò tutto il giorno, disegnando diligentemente per trasferire su carta le idee sue e di Mike, trasformandole in diagrammi molto particolareggiati, sfruttando le misure che gli venivano fornite dai ragazzi che si muovevano saltando da un ramo all'altro.
Alla fine ebbero abbastanza elementi per capire e discutere. Sarebbe stato necessario tagliare alcuni alberi che servissero come sostegni per i rami, mentre il materiale recuperato poteva essere utilizzato per il pavimento e le pareti. Fortunatamente dalla goletta avevano recuperato anche molti attrezzi di carpenteria.
Nel caldo del pomeriggio, i ragazzi erano stanchi, accaldati ed affamati. Terry e Joel andarono a pescare, Manuel e Tommy prepararono il fuoco, mostrando a Kevin come si doveva fare.
Mike e Angelo, come responsabili del progetto di costruzione, avevano lavorato molto più duramente degli altri ed erano fisicamente esausti, ma, dentro di sé, erano certi di non essersi mai sentiti meglio. Mentre Angelo correva in spiaggia a cercare i suoi compagni, da cui era stato separato per quasi tutta la giornata, Mike se ne stava steso sull'erba, alla base dell'albero e lo guardava da sotto, meditando su qualche particolare della costruzione. Teneva il capo appoggiato sul petto di François che l'accarezzava.
"Sei stato fantastico oggi!" gli sussurrò François, stringendoselo al petto.
"È bello sentirtelo dire, Fran. Ti amo!"
E si sarebbe addormentato là stesso se non avesse avuto una fame da lupo.
"Nessuno di noi sarebbe capace di fare quello che stai facendo tu, Mike" gli disse baciandolo tra i capelli.
"François ha ragione" disse Richard, anche lui sdraiato sotto l'albero, ugualmente esausto "tu e Angelo siete stati davvero in gamba oggi!"
Mike sorrise orgoglioso e chiuse gli occhi, mentre François gli massaggiava le braccia e le spalle.
"Sono così felice" mormorò "starei così per sempre!"
Mezz'ora dopo il fuoco ardeva, c'era già la brace e il ritorno dei pescatori fu accolto con sollievo. Portavano molti pesci gialli che parevano simili ai tonni. François li pulì velocemente.
"Avete visto che bei pesci?" gridò Terry felice "Per fare prima abbiamo gettato la rete dal canotto. È stato facilissimo. Però a sud ci sono molte nuvole scure che vengono verso di noi e stanotte probabilmente avremo pioggia, anzi direi che sta arrivando una tempesta" concluse con la voce che gli si era ridotta ad un sussurro, spaventato lui stesso da quello che stava raccontando. Quando aveva visto le nuvole, non ci aveva pensato.
Tommy si avvicinò prudentemente a Richard, mentre gli altri si guardavano spaventati.
"Ehi, ragazzi, non c'è motivo di preoccuparsi: siamo sulla terra ferma! L'avete dimenticato?" disse Richard mettendoci tutta la sua forza persuasione che era notevole "Quando comincerà a tirare vento ci copriremo e saremo protetti da questo albero che è qua sicuramente da più di mille anni! Vedete quanto è grande?"
Tommy alzò gli occhi timoroso e poco convinto verso l'enorme chioma della mangrovia.
"Sei sicuro che ci difenderà?"
Avevano sbucciato un certo numero di frutti del pane e li arrostirono assaggiandoli man mano che si doravano sul fuoco. Erano davvero saporiti, non era pane, né patate, ma ne avevano quasi il sapore.
Joel provò a far cuocere i pesci con la supervisione del capocuoco, mentre gli altri si vestivano per la cena. Nonostante la tempesta in arrivo, tutti indossarono i pantaloni lunghi, la camicia e perfino il cravattino, come voleva Richard. Era un'abitudine che avevano già sulla Venture. François non volle rinunciare alla camicia e alla cravatta.
Mangiarono col solito appetito, poi si prepararono all'arrivo del cattivo tempo, il primo dalla notte del naufragio.
Usando una delle grandi vele della Venture, costruirono un riparo temporaneo proprio a ridosso del grande albero. Era così grande e forte e la sua chioma così fitta che, quando cominciò a piovere, solo poche gocce di pioggia riuscirono a colpire il telone che avevano legato saldamente al tronco.
Le nuvole raggiunsero l'isola in fretta e il buio calò più velocemente del solito. Sentirono il vento farsi forte e freddo, tanto che qualcuno indossò anche la maglia, improvvisamente il rumore delle onde sulla scogliera divenne più intenso e superò quello della cascata. La tempesta cominciava con la violenza che ricordavano e conoscevano bene.
Ognuno aveva fatto quello che poteva per assicurare a terra il materiale ed erano grondanti d'acqua quando finalmente si ripararono sotto il telone, pigiandosi nel piccolo spazio, assieme ad Hook che era il più spaventato di tutti.
Nelle due ore successive, nonostante sapessero di essere sulla terraferma, ad una certa distanza dal mare, e di avere sulla testa la chioma millenaria della mangrovia, furono tutti molto inquieti, sentendo il vento soffiare con estrema violenza. La pioggia era diventata così forte e copiosa che colpiva rumorosamente la tenda, bucando anche il fitto fogliame dell'albero. Molte volte, per raffiche più forti, i lembi del telone furono sollevati sbattendo e crepitando come un fucile. Nessuno riuscì ad addormentarsi, erano tutti spaventati, specialmente i piccoli e il cane che guaiva ad ogni rumore, fosse di tuono oppure per gli schiocchi del telone. In tutti, cane ed esseri umani, il ricordo del naufragio era ancora troppo vivo.
Tommy sobbalzava continuamente, ma Manuel lo teneva stretto, calmandolo con le carezze e cercando anche di calmare se stesso, ma per quello era sufficiente sentire sulla spalla il tocco, la vicinanza di Richard. Joel e Angelo erano fra le braccia forti di Terry, che non era molto più grande di loro, ma era certamente tanto più coraggioso. All'inizio si era appoggiato ad una cassa assieme agli altri due, ma poi lentamente erano scivolati fino a sfiorare anche loro la schiena di Richard che ogni tanto si voltava ad accarezzarli per dargli coraggio.
Non potendo fare altro, neppure parlare, perché non si sarebbero sentiti, se ne stettero in silenzio ad ascoltare il frastuono della tempesta, tutti abbracciati, a cercare il calore degli altri. L'oscurità e il rumore erano terrificanti, mentre quella specie di burrasca si accaniva sull'isola e chissà fin dove attorno a loro.
"Ragazzi, quando saremo nella casa sull'albero la tempesta ci sembrerà una pioggerella notturna. Vedrete!" urlò Mike per fare coraggio ai piccoli, ma anche a se stesso.
"Hai ragione, il rifugio è la nostra maggiore priorità e dobbiamo costruirlo in fretta" insisté Richard, gridando anche lui.
Poi il vento cominciò a scemare e la pioggia diminuì d'intensità, fino a smettere del tutto. Uno ad uno si addormentarono, per ultimo Richard che cedette al sonno solo dopo aver ascoltato il respiro regolare di tutti, ma proprio di tutti i ragazzi, anche di Manuel che aveva resistito, perché temeva che Tommy potesse avere un incubo.
16 agosto 1950
Il sorgere del sole rivelò tutto attorno alberi caduti, sradicati, zolle di terra sollevate.
Nessuno dei ragazzi aveva riposato molto bene, a parte Tommy che, stretto fra Richard e Manuel, si era sentito al caldo e al sicuro.
Fortunatamente il materiale da costruzione e tutto quello che avevano messo in salvo non era stato disperso o danneggiato. Quando andarono a cercare i frutti per la colazione notarono che ce n'erano tanti gettati per terra dal vento e dalla pioggia. Ne mangiarono abbastanza da restarne sazi per tutto il giorno, sapendo che se li avessero lasciati dov'erano sarebbero andati perduti.
Richard ricordò a tutti che il giorno prima non avevano più collocato la targa sulla tomba di Chris. Ci sarebbero andati al tramonto e lo fecero dopo una giornata di lavoro duro che era stato anche allegro.
Erano tutti molto stanchi, ma anche contenti. Mike si caricò François sulle spalle, mentre Terry trasportava la targa scolpita e anche una croce. Quando furono attorno alla tomba, Mike pose la targa sul tumulo, fissandola al terreno, poi Terry gli passò la croce e lui la piantò accanto alla targa.
"Abbiamo pensato che, quando pregheremo per Chris, le nostre preghiere saranno per forza cristiane, visto che conosciamo solo quelle. Perciò crediamo che una croce ci stia bene comunque. Pensi che lui lo capirà, Richard?"
"Sono convinto di si, avete fatto bene."
"E dirai una preghiera per noi?"
"Si, Richard, dì una preghiera."
"Dì una preghiera, papà, per favore" dissero subito gli altri.
Stavolta non era preparato alla richiesta, perciò dovette pensarci un poco su. Nel frattempo i ragazzi gli si erano messi attorno, stretti e vicini, con le braccia sulle spalle, uniti. Abbassarono tutti la testa in segno di rispetto e in attesa che lui parlasse e pregasse.
"Dio, chiunque ed ovunque tu sia" precisò, non sapendo esattamente a chi rivolgersi "noi ti ringraziamo ancora per averci salvati dalla tempesta dell'altra notte, per averci nutrito e per aver avuto cura di noi. Grazie per aver protetto Tommy nella sua caduta e per aver dato a Manuel il coraggio di andare a salvarlo. Aiutaci a ricordare Chris per sempre e benedici i segni che Mike ha costruito per questa tomba. Lascia che essi restino per sempre su questa isola che tu hai reso la nostra casa.
"Per favore continua a prenderti cura di noi che ci sentiamo soli e un po' abbandonati, perduti in questo oceano senza fine, che è sempre sotto il tuo cielo. Aiutaci a ricordare che anche questo cielo e questo mare sono retti dalla tua legge e che noi stessi siamo nelle tue mani."
Erano parole che gli venivano dal cuore, se ci avesse pensato e ragionato forse non le avrebbe pronunciate, ma le disse lo stesso, perché erano le parole che i suoi ragazzi volevano ascoltare e che, in un certo senso, si aspettavano da lui.
"Qualunque cosa accada, aiutaci ad amarci e ad aver cura di noi stessi e degli altri. Dacci la comprensione, la compassione e il coraggio e la forza per fronteggiare qualunque pericolo. Ti chiediamo questo perché tu sei grande e noi siamo piccoli, tu sei potente e noi deboli, tu vedi e sai tutto, noi non sappiamo nulla. Per favore continua ad amarci! Amen."
"Amen!" dissero tutti, poi pregarono e cantarono, come l'altra volta.
Stettero ancora un po' attorno alla tomba di Chris, in silenzio, uniti come un corpo che soffre e gioisce, che cerca e trova la serenità necessaria per continuare a vivere. Queste cose le pensò Richard, guardandoli, mentre Kevin, come sempre, lo fissava e gli sorrideva con gli occhi.
Tornarono al campo e cominciarono i preparativi per la cena, sentendosi tutti un po' più felici e sereni, forse anche più sicuri.
Il giorno dopo, più o meno tutti vollero pregare e chiesero a Richard, anche solo di parlare come aveva già fatto. Ma quello era un compito al quale lui non si sentiva preparato, non a farlo ogni giorno, anche perché le sue esperienze religiose erano ridotte ad una saltuaria presenza alle funzioni.
I ragazzi però tenevano particolarmente ad ascoltare le sue parole e glielo dissero. E lui lo fece ancora, arrivando ad apprezzare il servizio che gli veniva chiesto, perché capì che erano momenti speciali che l'aiutavano a trovare pace con se stesso e a ricordargli il nuovo scopo della sua vita, il progetto nobile ed importante di essere la guida, anche spirituale, di quei ragazzi. Donandogli se stesso, cercava di colmare il vuoto lasciato da genitori che non avevano mai avuto o che avevano perduto, li ripagava in parte dei torti subiti, forse gli donava fiducia nella vita, eventualmente preparandoli a tornare al mondo, se e quando ci sarebbero riusciti.
Sapeva di non essere il pastore di quelle anime, anche se i ragazzi si aspettavano che lui lo fosse, ma capiva il loro bisogno di sentirsi in qualche modo connessi a qualcosa di più grande di loro stessi, della loro piccola comunità, dell'isola stessa. Per loro era indispensabile credere che l'universo non fosse completamente indifferente al destino che li aveva gettati là.
E se le preghiere divennero parte della loro vita, fu perché il pastore, che nell'animo non credeva, accettò di credere per amore dei suoi ragazzi.
Andò a leggersi qualche libro che prima non l'avrebbe mai interessato e che non pensava mai di dover conoscere. Cercò spunti per le preghiere e se le sue parole non furono mai molto corrette da un punto di vista teologico, era comunque certo che venissero dal cuore. Dal cuore che lui aveva completamente donato a quei ragazzi.
Nei giorni, nelle settimane che seguirono, la casa sull'albero prese forma rapidamente.
Mike scoprì un'attitudine imprevedibile a fare il capo, in quel caso fu ingegnere e capocantiere. Insegnò e trasmise tutte le sue conoscenze e finché possibile anche la sua abilità agli altri, senza trascurare di controllare che ogni giuntura e legatura fosse solida e sicura. Scoprì anche in se stesso molte capacità che non sapeva di possedere. La triste esperienza con suo padre gli aveva insegnato che le critiche severe e il sarcasmo non erano un buon modo per motivare le persone. Lui diresse tutti con l'esempio, era paziente quando erano lenti e generoso nei consigli e nell'aiuto che riusciva a dare.
Angelo fu l'architetto e il vero ideatore della casa, perché il suo talento, nell'immaginare e nel vedere quello che sarebbe stato realizzato solo in seguito, aiutò Mike a costruire in concreto. E i ragazzi, gli operai, gradualmente si affiatarono divenendo una squadra efficiente. Poterono vedere il progetto realizzarsi ed esserne giustamente orgogliosi, tutti ebbero idee e diedero il loro contributo secondo le proprie possibilità e scoprirono in sé qualità ignorate, risolvendo ogni problema che sorgeva e che doveva essere risolto per andare avanti.
Tra tutto quello che erano riusciti a portare via dalla Venture, non avevano recuperato neppure un orologio, perciò il tempo sull'isola non fu mai scandito da altro se non dal sole che sorgeva e tramontava, dall'alternarsi inesorabile del giorno e della notte. Quella parte del mondo, inoltre, non aveva stagioni facilmente riconoscibili. Richard e Manuel sapevano che non ci sarebbero stati inverni o primavere e solo i monsoni con il loro volgersi nelle diverse direzioni e le piogge avrebbero scandito lo scorrere del tempo, perché i venti avrebbero invertito il senso più o meno ogni sei mesi e le piogge li avrebbero seguiti. Quello sarebbe stato un intervallo troppo lungo per misurare il tempo. Il suo scorrere inevitabile andava perciò regolato e controllato in un altro modo.
Già dal secondo giorno di permanenza Richard aveva cominciato a segnare i giorni su un taccuino, poi, memore di qualche lettura di avventure e di naufragi, aveva reso più salda e duratura quella specie di calendario segnando i giorni con delle tacche su un albero. Per timore di sbagliarsi aveva chiesto a Kevin di controllare che ogni mattina lui segnasse una tacca e a François di fare lo stesso su un altro albero, facendosi controllare da Mike. Sapendo per certo che il naufragio era avvenuto nella notte tra il dieci e l'undici di agosto del 1950, avevano fatto un preciso e coerente controllo della data. Dalla Venture avevano recuperato, assieme a tutti i libri anche degli almanacchi e un calendario, potevano quindi seguire lo scorrere dei giorni, fermandosi a riposare di domenica, pregando in modo speciale e giocando un poco di più, perché fortunatamente per loro le giornate che vivevano erano faticose, ma anche molto divertenti.
L'apposizione delle tacche sui due alberi era diventata un rito mattutino, cui assistevano tutti con la dovuta solennità, poi ad Angelo era venuta un'idea originale e con rapidi schizzi aveva disegnato un calendario adatto a loro e di facile lettura. Era un sistema di paletti da porre entro un'area recintata, dove insomma Hook non potesse intrufolarsi per giocare con quei solenni simboli del tempo, così pensava di segnare la data con il giorno, il mese e l'anno. Quanto a misurare le frazioni dei giorni, cioè provare a costruire un orologio, Richard aveva cominciato a pensare ad una meridiana e anche quella era fra le cose da costruire in un futuro più o meno vicino.
Dopo tredici settimane, perché piantavano un paletto più grande ogni sei piccoli, ed uno ancor più alto dopo che erano trascorsi trenta o trentuno giorni, dopo tre mesi di duro lavoro, un certo numero di tempeste e acquazzoni sopportati proteggendosi con i teloni sotto la mangrovia, la casa sull'albero fu finita, pronta ad essere abitata e a proteggerli dalle intemperie.
Avevano costruito una piattaforma di assi di legno che girava attorno all'albero, partendo da circa tre metri d'altezza. In certi punti era larga più di due metri, in altri meno e, se si considerava che la circonferenza del tronco a quell'altezza era di almeno nove metri, la casa aveva una sua maestosità. Se poi si pensava che era stata costruita da nove ragazzi, quelle dimensioni avevano del miracoloso.
Il pavimento era poggiato sui rami più bassi dell'albero e girava a spirale attorno al tronco, salendo di alcuni metri. Certe zone erano posate anche su pali piantati per terra. Il tetto era fatto di foglie di palma, anche se la migliore protezione era data proprio dai rami dell'albero, fitti di fogliame. Attorno girava una protezione esterna di tavole e paletti che aveva delle aperture con serrande che potevano essere chiuse e bloccate in caso di cattivo tempo, oppure completamente rimosse per lasciar entrare l'aria e la brezza dal mare. Sul pavimento si aprivano due botole che consentivano la salita da terra con scale di legno appoggiate all'albero, ma Angelo e Mike avevano già progettato una scala fissa per salire più agevolmente da una delle aperture e consentire a Hook di arrivare in casa senza doverlo portare in braccio, perché per un cane di quelle dimensioni era difficoltoso avventurarsi su una scala a pioli per quanto comoda. Non è che lui non ci provasse, ma qualche volta restava a mezza strada e occorreva liberarlo tirandolo su, oppure aiutandolo a scendere.
Nella parte più alta la superficie era destinata ad ospitare i letti dei ragazzi, nello spazio rimanente avevano realizzato un tavolo con delle panche. Davanti al tavolo, appendendolo al tronco, avevano collocato il pezzo della Venture dov'era scritto il nome della goletta. Anche così restava abbastanza spazio per sistemare tutto quello che avevano recuperato, tutte le loro ricchezze, almeno quelle cose che avrebbero potuto essere danneggiate dall'umidità o dai piccoli animali.
11 novembre 1950
Proprio la notte in cui la casa poté dirsi terminata, arrivò una tempesta. E finalmente non ci fu nessun frenetico preparativo. Si annunciò come al solito con grosse nubi che arrivavano da sud e, come tutte le altre volte, fu Terry, di ritorno dalla sua battuta di pesca, ad avvisare gli altri. Era quasi notte quando cominciò a piovere e i ragazzi si arrampicarono sulla casa, chiudendo con calma le serrande.
François aveva ancora la gamba bloccata dalle stecche e questo gli impediva di usare la scala a pioli, perciò Mike doveva aiutarlo ogni volta, una procedura che terminava sempre con i due abbracciati a farsi le coccole. L'aiutò anche quella sera e stavano baciandosi dopo la scalata, mentre la pioggia già cadeva abbondante.
"Benvenuto nella nostra nuova casa, amore mio" gli disse Mike.
François l'abbracciò stretto: "È meravigliosa, Mike. Vorrei vivere qua per sempre!"
La testa di Tommy apparve nel riquadro dell'apertura: "Ehi, uccellini?" cinguettò "che ne direste di spostarvi, così possiamo salire anche noi e forse riusciamo non bagnarci?"
Invece di lasciarlo semplicemente passare quattro braccia forti l'afferrarono, tirandolo su senza fatica. In un attimo fu in braccio a Mike e già riceveva i baci e poi il solletico di François.
"Benvenuto a casa, piccolo uomo!" gli disse Mike.
Tommy ricambiò l'abbraccio, i baci e si agitò dovutamente per il solletico.
"Grazie dell'aiuto, fratelli!" disse, quando si fu calmato, poi si guardò attorno e, come se la vedesse per la prima volta, esclamò "Ehi, Mike, è così bello essere a casa, soprattutto perché stasera piove e io mi sento così al sicuro qua sopra. Adesso però vai a prendere anche Hook, perché lui non ce la fa a salire e sta scodinzolando forte!"
E Mike, con la pazienza di un padre, ridiscese, si bagnò di pioggia, poi, senza badare all'acqua, abbracciò il terranova che era più zuppo di lui e lo trasportò in casa, subendo tutte le leccate e la gioia del cane che era ovviamente molto felice di essere ammesso in casa e di poter dormire dalle parti di Tommy.
Qualche minuto più tardi i ragazzi erano attorno al tavolo. Sentivano il vento soffiare violento e la pioggia battere forte sul tetto, ma erano molto sereni, pensando che per la prima volta, da tre mesi, tutto questo accadeva fuori, e loro erano dentro, protetti da un vero tetto, finalmente da qualcosa che fosse più sicuro di un telo.
C'era anche una candela accesa al centro del tavolo. Ne avevano recuperate poche, ma quella era una serata speciale.
Tutti si sentivano protetti, là dentro, al coperto. A Venture Island non aveva fatto mai abbastanza freddo, perché dovessero cercare un posto più caldo, ma quella sera tutti sentirono e trovarono piacevole il tepore che si era creato nella casa.
"Credo che domani dovremmo fare festa per celebrare la nostra nuova casa" annunciò Richard "E dovrà essere un giorno speciale soprattutto per Mike e Angelo, perché senza di loro non saremmo mai riusciti a costruire una casa bella come questa. Che ne dite?"
Ci fu una generale approvazione e tutti insieme produssero un urlo che sovrastò di gran lunga i rumori del vento, della pioggia, della cascata, delle onde.
Sicuramente nella loro vita né Mike né Angelo si erano sentiti tanto fieri di sé, tanto felici, tanto amati e apprezzati. A tutti e due brillavano gli occhi per l'orgoglio.
"Mi è venuta un'idea e ho una proposta da farvi" disse Richard rivolgendosi ad Angelo e Mike "Domani sarà un giorno importante soprattutto per voi due, però noi non possiamo farvi regali, anche perché qua non ci sono negozi. Perciò ho pensato che se esprimeste un desiderio ciascuno, per qualunque cosa che vi sta a cuore, una cosa che volete davvero fare, insomma, se vi viene in mente qualcosa, ditelo e noi ci impegneremo ad esaudirlo!"
"Purché non chiediate un gelato di fragole!" disse François.
"Oppure un hot dog!" aggiunse Kevin e con lui ognuno si diede da fare ed esprimere desideri.
A tutti mancava qualche leccornia, dalla Coca-Cola alle patatine fritte, dissero tutto quello che un ragazzo può desiderare quando è lontano dalla civiltà.
"Papà, voglio un gelato!" urlò Tommy, quasi con le lacrime agli occhi, sovrastando tutti.
E Richard ovviamente sobbalzò, come faceva tutte le volte in cui lo chiamavano papà.
François e Mike talvolta lo chiamavano papà Richard, Manuel diceva quasi sempre Richard e, se diceva papà, era sempre accompagnato da un sorriso contento. Kevin lo chiamava con tutti i nomi, i nomignoli e i diminutivi più amorosi, ma quasi mai lo chiamava papà. I piccoli, invece, non gli si rivolgevano più chiamandolo per nome, ma, come se fosse davvero diventato loro padre, gli dicevano papà. E quando gli si avvicinavano per chiedergli qualcosa che desideravano e per la quale occorreva una concessione speciale, usavano anche dei diminutivi che a Richard facevano ancora più impressione. E in questo Tommy era sicuramente il più sfacciato. Il nome vero, quel Richard che solo Kevin e Manuel dicevano spesso, era relegato ai momenti ufficiali, quando per esempio c'era da prendere qualche decisione, oppure per parlare davvero seriamente o per chiedere scusa di qualche marachella e quindi farsi perdonare. Per il resto lui era papà e basta.
Lo stavano chiamando così troppo spesso, pensava ogni volta che accadeva. All'inizio, l'aveva turbato, ma anche divertito, poi non ci aveva più fatto molto caso, non volendo negare a quei ragazzi una soddisfazione così piccola, ma evidentemente desiderata. Però continuava a trasalire. Specie se qualcuno diceva 'Papino' e, come Tommy, correva a baciarlo sulle guance. Insomma, a poco più di diciotto anni, avere otto figli era troppo.
"Se qualcuno mi chiama mamma, lo uccido" gridava spesso Kevin.
"Anche se qualcuno la chiama zia!" urlava François.
"E se qualcuno dice che sei la cuoca nera di 'Via col vento'?" diceva Kevin.
Era uno scambio di battute che veniva ripetuto spesso e finiva sempre in un fragore di risate e di urla entusiaste per lo spettacolo che i due offrivano.
Continuarono a ridere e a chiacchierare, finché venne sonno a tutti.
"Allora, siamo d'accordo per domani?" chiese Richard "Mike e Angelo, un desiderio per ciascuno! Va bene? E noi cercheremo di esaudirlo!"
Pregarono e se ne andarono a dormire nei nuovi letti.
Dopo che aveva fatto l'amore con François, Mike sussurrò:
"Questo è stato il giorno più bello della mia vita!"
"Ti sei meritato tutte le lodi che ti hanno fatto, baby, perché tu sei... tu sei il migliore!"
"Beh, ma un altro giorno, è stato ancora più bello!"
"E quale?" chiese incuriosito e subito sveglio François che si stava dolcemente addormentando.
"Il giorno in cui tu hai detto che mi amavi, quello in cui noi due abbiamo dormito insieme per la prima volta. Il giorno in cui mi hai fatto capire che ero tanto scemo!"
"Oh baby!" François lo strinse forte e lo baciò ancora "Però è vero! Lo sai che eri proprio uno scemo?" e risero tutti e due.
"Non so che cosa chiedere domani a Richard. Esprimilo tu per me il mio desiderio, Fran, e dirò che l'ho pensato io!"
"Ma è il tuo regalo ed io sono tra quelli che devono impegnarsi ad esaudire quello che chiederete."
"Oh, ti prego, Fran, non so che dire! Sono felice, sto bene, ho te, c'è Richard, Kevin, ci sono i piccoli!"
"E allora dì proprio questo!"
"Credi che vada bene?
"Si che va bene!"
"Boh, ci penserò stanotte!"
"Bravo, adesso, però, dormiamo e, se devi pensare, fallo in silenzio!"
Durante la costruzione discutendo dell'arredamento della casa, avevano dovuto decidere anche come realizzare i letti, quanti farne e le dimensioni. Mike e François ne ebbero uno e non c'era stato nessun dubbio che i tre ne volessero un altro tutto per sé. Qualche discussione era sorta invece su come sistemare gli altri quattro, se costruire due letti più piccoli oppure uno solo e molto più grande con almeno tre materassi.
Tommy aveva insistito perché dormissero tutti insieme.
"Perché" aveva detto con gli occhi lucidi "se io faccio un brutto sogno e Manuel dorme, ci sei tu, papà, vicino a me, oppure c'è Kevin e così mi grattate la spalla e poi mi tenete stretto e mi accarezzate!"
Voleva che accanto a lui ci fosse sempre qualcuno che lo confortasse. Era una buona ragione per accontentarlo e avevano fatto come voleva.
I suoi incubi erano provocati dalle emicranie che lo colpivano ogni tanto. Durante una delle prime notti di navigazione, Tommy si era svegliato urlando e piangendo. Richard gli era corso subito accanto. Vedendolo il piccolo aveva cercato di proteggersi la faccia con le mani, perché temeva di ricevere degli schiaffi. Con le carezze e tutta la persuasione di cui fu capace, Richard riuscì a calmarlo e a farlo riaddormentare.
Era andato avanti così per qualche notte, finché Tommy non si era rasserenato, solo allora Richard era riuscito a farsi spiegare quello che era accaduto ed aveva capito che quei risvegli improvvisi e agitati erano dovuti ai forti dolori alla testa di cui soffriva il ragazzino, emicranie legate a chissà quali cause, ma che erano poi quasi scomparse durante il viaggio e nelle settimane trascorse sull'isola, anche se qualche volta l'assalivano ancora. Certamente le botte che aveva sempre preso per farlo stare zitto e i suoi pianti notturni non l'avevano mai aiutato a guarire, quanto poté in pochissimo tempo la dolcezza di Richard.
Adesso Tommy sapeva che svegliandosi nel cuore della notte avrebbe sempre trovato il braccio di qualcuno a proteggerlo, finché il demone e il dolore che l'avevano svegliato non se ne fossero andati. Fin dall'inizio, tutti i compagni avevano trattato quei bisogni con naturalezza e lui non se ne era mai imbarazzato.
Anche Tommy aveva alle spalle la sua storia di solitudine, avendo trascorso tutta la vita in orfanotrofio, in mezzo a gente estranea e sempre poco attenta nei suoi confronti. Probabilmente avrebbe avuto bisogno di cure migliori, oppure solo di un po' di affetto, ma le persone che dovevano preoccuparsi di lui avevano sempre preteso un comportamento più maturo di quanto potesse mai avere. Per questo era sempre agitato, iperattivo e nervoso e probabilmente era la sua inquietudine a dargli quelle emicranie che lo facevano svegliare di notte, in lacrime, gridando. Era un comportamento difficilmente accettabile in un dormitorio dove c'erano decine di bambini che si spaventavano per le sue urla. E la cura al problema era sempre stata a base di schiaffi e punizioni. Perciò Tommy era diventato un orfano difficile, con problemi di comportamento, impossibile da dare in adozione. Salvo che questi problemi si erano attenuati ed erano scomparsi quando aveva trovato qualcuno che cercasse davvero di aiutarlo.
Già all'idea di quel viaggio era stato meglio e sulla Venture, per merito di Richard, ma anche degli altri, si era sentito al sicuro e gli incubi si erano diradati e poi erano scomparsi. E lui non era mai stato tanto felice da quando poteva dormire attorniato dal calore dei suoi nuovi fratelli, i quali non dimenticavano quanto fosse importante per lui ricevere un bacio e un abbraccio per buonanotte, accarezzandolo anche quando dormiva. Se si agitava nel sonno, quasi sempre era sufficiente tenerlo un po' stretto, se tremava, un bacio lo calmava e se arrivava a svegliarsi, sentire il calore dei corpi che lo circondavano, riusciva a farlo riaddormentare. Manuel aveva sviluppato una speciale abilità, quando di notte, sentendo che cominciava ad agitarsi, riusciva ad accarezzarlo e calmarlo, senza neppure svegliarsi.
E quella sera erano tutti e quattro là a farsi un poco di coccole e godersi il calore della vicinanza, oltre che la comodità del nuovo letto. Richard e Kevin a guardarsi negli occhi, Manuel che teneva il piccolino tra le braccia e lo cullava fino a farlo addormentare, come se invece di quasi dodici anni, ne avesse avuti solo due.
I tre erano anche più vivaci e rumorosi del solito. Festeggiavano Angelo, saltavano, scherzavano e si azzuffavano sul letto che era situato tra quello di François e Mike e quello dei quattro. Fecero tanto chiasso che Richard fu costretto a richiamarli.
"Ragazzi, basta! Adesso è ora di dormire. Va bene?"
"Si, papà!" dissero all'unisono, senza riuscire a trattenere un'ultima risata.
A quel punto, però, sapevano di dover fare immediatamente silenzio, pena la disapprovazione di Richard e quella sarebbe stata molto peggio di qualunque punizione. Cercarono di acquietarsi, anche se erano comunque tutti e tre eccitati.
I loro giochi di sesso consistevano in genere in una reciproca esplorazione e solo occasionalmente si succhiavano. Risate, schiamazzi, solletico, pizzichi e pacche scherzose, commenti comprensibili solo a loro, punteggiavano queste attività. Si godevano il loro esclusivo rapporto di affetto e di piacere, piuttosto che le parole dolci e le dichiarazioni d'amore di quelli più grandi, che li facevano sempre ridere, parendogli troppo sentimentali. Già baciarsi era un po' troppo languido per loro che erano, più che altro, sempre eccitati.
L'avvertimento di Richard li calmò e, come al solito, finirono con Terry al centro e poiché Joel aveva appena goduto, toccò a lui portare a termine le cose anche per i suoi due amici, succhiandoli e accarezzandoli fino a farli venire.
A Terry piaceva molto farsi coccolare dai due compagni. Per conto suo lui era più attratto dal corpo di Angelo che trovava irresistibile. Aveva un senso del tatto molto sviluppato, per lui toccare era importante, indispensabile, perciò, quando erano impegnati nei loro giochi, lasciava incessantemente correre le dita sulla pelle liscia e abbronzata di Angelo, cercando sempre di non dimenticare una cosa molto importante: non toccarlo mai sulle natiche o attorno all'ano. Essere anche solo sfiorato in quei posti lo faceva ritrarre, perché gli ricordava i momenti brutti, vissuti fino a pochi mesi prima.
Dopo che ebbero raggiunto l'orgasmo e si furono calmati, Joel cominciò a leccare il seme dalle pance e dai corpi degli altri due, perché quello era un suo piacere speciale. Amava il loro sapore e sarebbe riuscito anche a distinguerli se qualcuno gliel'avesse chiesto. Lo faceva perché credeva ingenuamente che ingoiarne il più possibile avrebbe favorito il suo sviluppo e gliene avrebbe fatto presto produrre sempre di più.
Pulì i loro corpi con una cura che sconfinava nella devozione e finalmente acquietato e soddisfatto, si stese accanto al corpo caldo e rassicurante di Terry che lo circondò subito con un braccio e cominciò ad accarezzarlo sulla pancia. Quella sensazione sempre attesa e desiderata lo fece squittire di piacere. Angelo stava già quasi addormentandosi dall'altra parte.
"Quale sarà il tuo desiderio per domani?" chiese Terry a voce bassissima.
"Boh... e che ne so io?" borbottò Angelo in uno sprazzo di coscienza, appena prima del sonno.
"Perché non chiedi a papà di lasciarci andare in esplorazione?"
"Eh... come?"
"Si, si, dai, Angelo" fece Joel, improvvisamente sveglio e infervorato "ce ne andremo per conto nostro, tutti e tre!"
"Si, ma dove?" chiese Angelo, finalmente incuriosito.
"Verso nord, oltre le paludi!"
"E tu credi che ci lascerà andare da soli?" opinò Joel.
"Si, se quello è il tuo desiderio! L'ha promesso, no?"
"E poi così potremmo finalmente esplorare l'isola. Dovremmo già averlo fatto. Proprio lui una volta ha detto che qualcuno doveva andarci, no?" ragionò Joel.
"È vero, si, si! Avete ragione, glielo chiederò! Andiamoci noi! Siamo d'accordo, gli chiederò proprio questo! Papà non potrà negarmelo, no?"
Risolti i dubbi e con un bel programma per il giorno dopo, si addormentarono anche loro. La pioggia battente e l'urlo del vento furono l'ultima cosa che udirono.
TBC
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Il nome 'Lenny Bruce' è presente nella sezione "Stories by Prolific Net Authors" (http://www.nifty.org/nifty/frauthors.html) con l'elenco degli altri romanzi e racconti che ho scritto e pubblicato su Nifty.
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