DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
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Questo è il tredicesimo dei diciotto capitoli che compongono il romanzo.
PARTE TERZA - L'isola della felicità
CAPITOLO 13 - In cui alcune cose vanno al loro posto
25 novembre 1950
"Joel, quei punti dobbiamo toglierli per forza!" urlò Richard, mentre il ragazzo, che già il giorno prima era riuscito a scansare l'operazione, si allontanava di corsa dal campo.
"Dai, Joel" cercò di persuaderlo Kevin "vedrai che non ti farà male!"
Erano dieci giorni che aveva i punti e la ferita era ormai ben chiusa, anche perché nonostante la sua lunghezza non era molto profonda, se non nella parte centrale.
"E deve essere oggi" urlò ancora Richard "Joel, ho detto oggi, cioè adesso. Hai capito? Non costringermi a venirti a prendere!"
"Non costringere me!" urlò Mike, la cui minaccia era molto più tangibile, perché le sue mani già roteavano in attesa di poterlo afferrare.
Quel giorno Richard pareva arrabbiato, s'era alzato con l'idea che fargli tenere ancora i punti potesse provocare un'infezione, perciò decise che, se Joel non avesse collaborato, l'avrebbero convinto. E se c'era da organizzare una battuta per andare a prenderlo nella foresta, avrebbero fatto anche quello.
"Terry" bisbigliò François "non c'è modo di farlo ragionare?"
"Ha paura che gli faccia male e quando ha paura, lui fa così!"
"Allora andategli dietro, anche tu, Angelo. Cercate di riportarlo qua e anche abbastanza in fretta, perché credo che Richard sia preoccupato. E Mike non sopporta di vedere Richard arrabbiarsi, lo sapete!"
"Ditegli che se lo prendo io, i punti glieli strappo con i denti!" rincarò Mike, mentre Angelo e Terry partivano alla ricerca del compagno.
In cucina Kevin e François, imperturbabili, misero a bollire l'acqua per sterilizzare una pinza e le forbici chirurgiche. Richard passeggiava nervosamente.
Era agitato perché, dovendo curare uno dei ragazzi, era timoroso di infliggergli una sofferenza inutile o peggio fargli del male, ma non era veramente infastidito, perché nel suo carattere non c'era nulla che potesse davvero farlo spazientire, meno che mai la paura di Joel di provare dolore. Forse era un po' infantile, ma perfettamente comprensibile, specie se il medico era inesperto come lui. Insomma la collera era simulata, ma il nervosismo era tutto vero.
Aveva pensato che, se si fosse mostrato arrabbiato, Joel avrebbe fatto molte meno scene. Mike aveva collaborato alla commedia e, come sempre, erano riusciti ad impressionare i tre ragazzini.
Quello era un espediente cui ricorrevano spesso, anche se quasi inconsciamente. Quando quei diavoli ne combinavano qualcuna delle loro, Mike faceva la parte di quello arrabbiato, Richard di quello più propenso a perdonarli, ovviamente sempre dopo una lavata di capo e la riparazione del danno. A dire il vero, qualche volta Mike aveva proposto di infliggere a tutti e tre punizioni corporali, ma Richard era sempre stato irremovibile, ottenendo anche per questo dai piccoli una specie di devozione che sconfinava nell'adorazione. Fino ovviamente alla marachella successiva.
Dopo poco, anche prima di quanto si aspettassero, tornarono con Joel nel mezzo, tremante e a capo chino. Se fosse stato un cagnolino avrebbe avuto la coda fra le gambe, ma lui era un cucciolo d'uomo e non aveva la coda.
"È vero che sei arrabbiato?" chiese avvicinandosi timidamente a Richard.
"Si" gli disse accigliato, riuscendo a stento a mantenere l'espressione burbera, perché già gli scappava da ridere.
"Anche Mike?"
"Credo di si" e si sforzò ancora di restare serio, perché Mike era seduto un po' più in là e s'era voltato per non compromettere tutto con la sua risata.
"Ma io ho paura!" piagnucolò.
"Dai, fratellino" l'incoraggiò Angelo che sapeva essere dolce e persuasivo, più di Terry che si sentiva ancora in colpa per quella ferita.
"Ti prego, Richard, fai piano, ma davvero sei arrabbiato con me?"
"Per il momento si" insisté nella parte "ma se fai il bravo, mi passerà! Anche a Mike, spero" e lanciò un'occhiata in quella direzione per cogliere il movimento fulmineo di Mike che, per non fare sentire la sua risata, stava scappando verso la latrina.
Fece uno sforzo e almeno lui riuscì a restare serio.
"Adesso però cerca di star fermo" e tornò a preoccuparsi davvero, perché stava per fare una cosa che non aveva mai fatto e non poteva neanche tremare come avrebbe voluto "i punti non ti faranno per niente male. Mi credi? Sentirai soltanto un poco di prurito."
Joel gli fece di si con la testa, ma gli occhi dicevano che non era per niente convinto, anzi che era terrorizzato.
Lo disinfettò e lentamente riuscì a tagliare il primo filo, togliendolo da sotto il tessuto che si era cicatrizzato. Tutti i punti vennero via senza procurare dolore, ma, come aveva predetto Richard, solo un po' di pizzicore, che lo fece addirittura sorridere.
Dopo averlo disinfettato, Richard lo guardò fisso, sempre cercando di mantenere un'aria contegnosa, ma alla fine scoppiò a ridere anche lui. Decise però di prendersi una piccola rivincita, facendogli un poco di solletico.
Di tutti, Joel era quello che in occasioni simili dava le migliori soddisfazioni, nel senso che la sua reazione era fatta di urla disumane e movimenti frenetici. Richard gliene somministrò una buona dose, lasciandolo sull'erba esausto, a farsi consolare da Terry e Angelo, ma neppure i suoi compagni furono benevoli, perché, appena si fu calmato, ripresero a solleticarlo senza pietà, uno per lato, in barba a tutte le precauzioni che di potevano prendere per una ferita ancora non completamente rimarginata che mostrava una cicatrice di circa dieci centimetri.
Quando stava per svenire fu un urlo di François a salvarlo.
"Oh... smettetela! Ho detto basta!"
Otto teste si voltarono sorprese verso di lui.
"Joel... basta giocare. Hai perso abbastanza tempo per oggi! Vai immediatamente in cucina, devi lavare le pentole di ieri sera!"
E quella fu la prima volta, e forse anche l'ultima, in cui Joel fu felice di darsi da fare a grattare il nerofumo dai tegami.
09 dicembre 1950
Era quasi sera e Angelo si aggirava tutto pensoso per il campo.
Aveva trascorso il pomeriggio in barca con Terry e Tommy, veleggiando e pescando nella laguna. Terry stava insegnando ai due come governare la barca. Angelo aveva ancora paura del mare, ma stava superando lentamente quel timore e, pur di stare accanto a Terry e farlo contento, aveva sconfitto anche il ricordo del naufragio.
Mentre bordeggiavano, impegnati ad alzare ed abbassare le vele, a muoversi come in una danza per far filare la barca, avevano trovato il tempo per parlare di molte cose e, nonostante la presenza di Tommy, anche di un argomento che aveva parecchio agitato Angelo.
L'aveva tanto agitato che, quando la Spirit of Venture era sulla via del ritorno, lui era così di cattivo umore, anzi arrabbiato, che non aveva atteso neppure che la barca raggiungesse la spiaggia, ma si era gettato in acqua ed aveva nuotato fino a riva, alzando spruzzi e agitando furiosamente le braccia, perché non sapeva nuotare molto bene.
E questo era un fatto insolito: Angelo non era mai entrato in mare di sua volontà.
Uscito dall'acqua, non s'era voltato verso la barca, né aveva cercato altri compagni sulla spiaggia, per esempio Joel che pure era là vicino a raccogliere frutta, ma s'era scrollato come un cane e poi se si era avviato da solo verso il campo, ancora grondante acqua e a testa bassa, tirando calci a tutto quello che a colpirlo non gli avrebbe fatto male.
E non aveva accarezzato Hook che era andato a fargli le feste vedendolo tornare a terra. Il cagnolone non era mai stato ammesso sulla Spirit, perché con i suoi movimenti avrebbe potuto farla capovolgere, perciò spesso restava sulla riva a guardare i suoi compagni di giochi con occhi malinconici. Era un'abitudine, quasi un rito, che una volta sbarcati i ragazzi giocassero con lui almeno un poco, per risarcirlo del divertimento negato.
Angelo non lo degnò di uno sguardo, lasciandoselo dietro a scodinzolare deluso.
Quando arrivò al campo, si mise a camminare sulla riva del laghetto, allineando i piedi, cercando di non perdere l'equilibrio. Ogni tanto fissava un punto lontano, concentrato su chissà cosa, poi riabbassava la testa e si guardava un'altra volta la punta dei piedi.
Richard era sulla spiaggia al momento dell'approdo e incuriosito l'aveva seguito fino al campo.
Notò quegli strani movimenti e, dato che la cena non sarebbe stata pronta per almeno un'altra ora, decise di andare a sentire cosa mai angustiasse il più sensibile e delicato dei suoi ragazzi.
Gli andò vicino e gli mise un braccio sulle spalle.
"Ehi, ti va di parlarne?" chiese dolcemente "qualunque cosa sia, credo che sia importante, vero?"
Angelo fece di si con la testa, guardandolo con gli occhi più tristi che Richard ricordasse in lui da un po' di tempo a quella parte.
Si avviarono insieme su per la collina.
"Noi siamo da Chris" disse a Kevin incrociandolo e cogliendo il suo sguardo interrogativo "dobbiamo parlare."
"Che c'è che non va, piccolo?" chiese quando si furono seduti.
"È per Terry e anche per Joel!" disse, ma solo dopo che si furono seduti di fronte all'oceano.
Lo spettacolo era mozzafiato e dopo mesi sull'isola non ci si erano ancora abituati.
C'era stato vento per tutto il giorno e le nubi, un'infinità, si erano rincorse nel cielo, oscurando il sole, ma mai minacciando pioggia. Adesso che sembravano tutte passate, si affollavano, rosse, incendiando l'orizzonte, verso occidente, ma un po' più a nord, abbastanza per non impedire al sole di tuffarsi direttamente nel mare e accenderlo, dandogli fuoco, invece di sparire dietro a cumuli di nuvole.
"Avete litigato tu, Terry e Joel?"
"No, no... non è che abbiamo litigato. Sono loro che non vogliono fare una cosa."
"Ed è importante per te?"
"Si!" disse convinto.
Sempre con il braccio sulle spalle, Richard l'attirò a sé.
"Forse è perché ti vogliono bene, ma davvero tanto."
"E tu... che ne sai?" lo guardò, poi capì che Richard sapeva davvero ed accennò ad un sorriso incredulo "Come l'hai capito?"
"È perché ti voglio bene anch'io, no?"
"Lo so che mi vuoi bene, papà, e anch'io te ne voglio tanto!"
Gli appoggiò il capo sulla spalla e si lasciò abbracciare, Richard lo sentì rabbrividire e provò una grande tenerezza per quel ragazzino.
Gli accadeva spesso di sentirsi così. Li amava tutti e spesso doveva farsi forza per ricordarsi che non era loro padre, non poteva esserlo, perché c'erano così pochi anni di differenza fra loro, ma ogni volta che se lo ripeteva accadeva che uno dei ragazzi gli chiedesse aiuto e lui si sforzava di scordarsi che aveva diciotto anni e cercava di fare quello che poteva, sfruttando il buon senso e la dolcezza del suo animo.
"A quei due ho detto che lo voglio fare" stava raccontando Angelo "che lo voglio fare per forza, ma loro continuano a rifiutarsi e ogni sera quasi litighiamo. Prima Joel e poi Terry hanno voluto che lo facessi a loro ed è stato così bello che a me è venuto il desiderio di farlo anch'io, ma loro no! A me non vogliono farlo e così mi sono rifiutato pure io. Niente per me, niente per loro, né a Joel, né a Terry! Così imparano!"
"Beh, non è che io sia proprio un indovino" confessò Richard "ma ieri sera vi abbiamo sentiti discutere e abbiamo capito di cosa parlavate."
"Tu che ne pensi, papà?"
"Credo che loro abbiano solo paura di farti male, che facendoti quella cosa tu possa ricordare e ti spaventi e così credono di aiutarti."
"Ma io non mi spavento più! E ci tengo a farla!"
"Allora faglielo capire, cerca di spiegargli quanto è importante per te. Digli che vuoi solo provare. Promettigli che gli chiederai di fermarsi se diventa troppo doloroso, oppure insopportabile per quello che ti ricorda, giuragli che per te non è un sacrificio, che non stai facendo nessuno sforzo. E credo che li convincerai."
"Davvero?"
"Certo! Tutti e due sono bravi ragazzi che ti vogliono bene davvero e poi Terry è doppiamente spaventato. Devi sforzarti di capirlo!"
"Ma oggi lui ha detto che, se insisto, non farà più l'amore con me!" disse Angelo ormai piangendo disperato.
E questo almeno spiegava il tuffo improvviso.
"Sono convinto che scherzava. Terry ti ama tanto da impazzire. Non te lo ricordi?"
"Si."
"Gli devi parlare, a lui e anche a Joel e sono certo che voi tre tornerete a fare l'amore insieme e sarete contenti."
"Perché io devo essere uguale a loro in tutto."
"Lo so. È importante!" e, dicendolo, pensò a sé e a Kevin, al suo Kevin che non aveva ancora voluto che loro due fossero uguali. Si ripromise di chiederglielo con maggiore insistenza.
"Ehi, papà, posso confidarti un segreto?" gli chiese, dopo che erano stati un poco in silenzio, a guardare il mare diventare sempre più rosso e poi più scuro, fino ad essere quasi nero.
"Se vuoi..."
"Ma è un segreto, Richard" e già il fatto di chiamarlo per nome e non più papà, voleva dire che la cosa era seria davvero "è proprio un segreto e devi promettermi di non parlarne con nessuno! Mai. Non lo sa proprio nessuno!"
"Ti do la mia parola, Angelo!"
"Vedi... io" disse con esitazione "insomma, negli ultimi tempi, quando mio fratello mi obbligava a fare quelle cose, poi finiva che godevo anch'io. Non sempre, però. Tu credi che fosse una cosa cattiva? Perché dopo io mi sentivo male, mi sentivo ancora più sporco e qualche volta mi facevo così schifo che vomitavo!"
"No, piccolo, non credo, no! Non credo che sia una cosa così brutta. Qualunque cosa sia stata, tu non ne avevi colpa. Ti ricordi quello che abbiamo sempre detto?"
E Angelo gli fece di si con la testa.
"Lo so, Richard, ma questa è un'altra cosa!"
Fin da quando aveva conosciuto la sua storia e aveva avuto modo di parlarne con lui, Richard gli aveva sempre ripetuto che non doveva sentirsi in colpa per cose che non dipendevano dalla sua volontà e dopo mesi di insistenze, sperava di essere riuscito a convincerlo.
"Aspetta, Angelo, io credo che ci sia una spiegazione anche molto pratica alla tua reazione, oltre a tutto quello che ti ho già detto. Penso che tuo fratello, in qualche modo, ti stimolasse, cioè, quando si fa quella cosa particolare, la penetrazione, se non c'è dolore, allora è quasi inevitabile eccitarsi e anche provare piacere. È una cosa che accade perché il pisello entrando da dietro spinge la prostata e..." lo vide un po' smarrito "mi stai seguendo?"
"Si, si... forse."
"Cioè, entrando, va a spingere qualcosa, in realtà è una ghiandola ed è come se spingesse un bottone che ci fa eccitare e noi non possiamo fare niente per evitarlo. E quando questo succede, ci diventa duro e si può anche provare piacere. Ovviamente se non si è distolti da una sensazione di dolore o di fastidio o di paura. Direi che è inevitabile!"
"Ah! Allora forse ho capito."
"Forse dopo tante volte, non provavi più dolore, né eri spaventato, perché sapevi come andava, perciò sapevi anche come fare a non farti male, no?"
"È vero! È vero!" gridò Angelo tutto contento "Allora è per questo che certe volte godevo? Oh, grazie, papà cioè Richard! Com'è che non l'ho capito prima?"
"Beh, forse non lo sapevi come funzionano le cose là sotto!"
"Già" ed era ancora meravigliato e soprattutto contento della spiegazione che evidentemente gli toglieva un peso dal cuore e lo metteva in pace con se stesso.
"L'importante, comunque, è che ora tu lo sappia."
"Grazie, papà" fece Angelo, abbracciandolo più stretto.
"Ehi, adesso, la vuoi un'idea?"
"Un'idea? Oh si, certo!"
"Prima di tutto devi fare pace con Terry e poi, dopo cena, se ne avete voglia, salite qua sopra, oppure andatevene sulla spiaggia, per stare un poco da soli, in modo che se voleste gridare, anche litigare, potreste farlo, senza paura di disturbare gli altri. E tu dì a tutti e due quanto li ami e che non hai paura di fare quello che desideri! Usa le parole più semplici che ti vengono in mente e poi fate l'amore. Credo che, se sarai stato persuasivo, faranno come vuoi tu, altrimenti dovrai aspettare un poco, forse solo domani, ma alla fine accadrà, perché, se tu ne sei convinto, riuscirai a convincere anche loro! Sono assolutamente sicuro di questo."
"Faremo così!"
"Vedrai che funzionerà."
"Pensi che andrà bene?"
"Oh, non ho alcun dubbio, perché qualche volta sei un bel diavoletto tu!"
"Dici davvero?" disse sgranando gli occhi, poi sorrise con aria un po' troppo innocente.
Fare la pace con Terry fu semplicissimo, gli bastò abbracciarlo da dietro, baciarlo sull'orecchio, accarezzargli il torace, fargli il solletico e poi lottare, rotolando fino alla riva del laghetto in cui finirono, tirandosi dietro anche Tommy che si trovava a passare di là e fu lieto di partecipare alla battaglia.
Dopo che ebbero mangiato, come al solito allegramente, e pulito le stoviglie, perché era il turno di Terry, ma lo fecero in tre, Angelo li prese sotto braccio.
"Dopo cena, andiamo a passeggiare sulla spiaggia?"
"A papà non piacerà" obiettò Joel che sapeva quanto ci tenesse Richard ad averli tutti vicini quand'era buio.
"Gliel'ho chiesto e lui ha detto che ci possiamo andare, se promettiamo di non allontanarci e di restare a tiro di voce se qualcuno venisse a cercarci."
"E che ci andiamo a fare sulla spiaggia?" chiese Terry.
"Andiamo e ve lo dico" sorrise, fece il misterioso "non siete curiosi?"
Inaspettatamente Richard li chiamò per la preghiera. Secondo il loro orologio biologico, l'unico funzionante a Venture Island dopo il tramonto, era ancora troppo presto, ma gli andarono ugualmente vicini.
Facendo l'occhiolino ad Angelo, Richard quella sera fece in fretta a pregare. Disse proprio l'indispensabile, addirittura qualcosa in meno, poi prese Kevin sotto il braccio e se lo portò verso la collina. Mike e François restarono con Manuel e Tommy a giocare a qualcosa che distogliesse l'attenzione del piccolo dai tre, mentre Joel, Terry e Angelo sgattaiolavano misteriosamente verso la spiaggia.
"Dove mi porti, maschione?" fece Kevin ridendo.
Aveva notato la fretta con cui Richard aveva liquidato la preghiera quella sera e poi la concitazione con cui l'aveva afferrato per un braccio e spinto per la salita che portava da Chris. Si aspettava, a ragione, qualcosa di insolito, ma non immaginava cosa potesse accadere.
Allo stesso modo Angelo aveva catturato Terry e Joel incalzandoli e spingendoli.
Il vero regista della serata era stato François che, mentre preparava la cena, aveva raccolto le confidenze di Richard e gli aveva anche dato qualche consiglio.
"Spero che Angelo ce la faccia a convincerli. È Terry l'osso duro, sai? Credo che sia ancora troppo spaventato" rimuginava Richard appoggiato ad un albero, mentre François si dava da fare con i pesci. Kevin era da qualche parte assieme agli altri.
"Boh, non so che fare per aiutare Angelo. Quel ragazzo l'ha presa proprio male."
"E lui è molto dispiaciuto, vero?" chiese François.
"Beh, si, Angelo si. E Terry non ne vuole proprio sapere, hanno pure litigato nella barca. Tanto litigato che Angelo si è gettato in acqua ed è tornato a nuoto. Lo sai che Angelo ha paura del mare, no?"
"E Joel?"
"Oh, quello, come al solito, sta a guardare e aspetta che si mettano d'accordo. Quel ragazzo mi preoccupa, certe volte è così cinico."
"Forse non ci capisce niente neanche lui, no?"
"Neppure io se è per questo, sai?"
"Comunque hai fatto bene a dire così ad Angelo. Stasera lasciali andare per conto loro, staranno da soli, dove nessuno può sentirli e se vorranno litigare potranno farlo. Noi ci vogliamo tutti bene, ma siamo troppi per certi argomenti."
"Già" sospirò "almeno mi è venuta questa idea!" e distolse lo sguardo.
"Ehi, papà Richard, perché non ve ne andate anche voi due un po' da soli, dove non vi sente nessuno?"
"E perché?"
"Magari anche voi avete qualcosa da dirvi e potreste dover gridare!"
"E tu che ne sai?" era sorpreso. Pensava che il suo problema con Kevin fosse un segreto, ma evidentemente a Venture Island non si potevano avere segreti.
"Da qualche giorno Kevin è un po' preoccupato e ieri non voleva dirmi il perché, ma io ho insistito e, tu lo sai, noi due siamo come due sorelle, no? Perciò..." e scoppiò a ridere, perché Richard aveva fatto una smorfia.
Dopo tanto tempo non riusciva ancora ad abituarsi al linguaggio particolare che François e Kevin usavano per parlare fra loro. Quei modi di dire scherzosi, spesso volti al femminile, lo turbavano ancora, sebbene si desse dell'ipocrita ogni volta che faceva un pensiero simile.
"OK, OK! siamo come due fratelli! Va bene?" e François non la smetteva di ridere a guardare la faccia sbigottita, addirittura scandalizzata di Richard.
"Scusami, François!"
"No, scusa tu, ma, vedi, io e Kevin ci divertiamo troppo a parlare così!"
"Sono un ipocrita, vero?"
"No, non credo, ma fai certe facce" e rideva "scusami, stavamo facendo un discorso serio, credo!"
"Va bene, ma sei tu che devi scusarmi" insisté Richard tornando subito pensieroso.
"E smettila di scusarti, per favore!" fece François spazientito.
E, in effetti, quando Richard incominciava era difficile farlo smettere.
"Ehi! Lo porterai a fare quella passeggiata?"
"Dici che dovremmo?"
"Credo di si... se vuoi provare a convincerlo. In un certo senso, è come per Terry. Kevin mi ha detto tutto. Lui s'è confidato, perché sta male per questa cosa ed io ho cercato di spiegargli come va fra me e Mike e quello che si prova a farlo e quanto è bello e che io e il mio Mike facciamo entrambe le cose. Noi ci divertiamo un mondo a scambiarci i ruoli e poi litighiamo per chi deve fare una cosa e chi l'altra, perché tutti e due vogliamo fare la stessa cosa, proprio quella volta. E facciamo anche un po' di chiasso, tanto che spesso ci sentite discutere, no?"
Richard sorrise, ma si vedeva che era sempre triste.
"Solo che, vedi, Richard, Kevin non è come me o te o Mike. Lui non ha paura di farti male, anche quello certamente, ma, non so come dirtelo, credo in realtà che non possa farlo, perché non vuole confondersi."
"Eh? In che senso confondersi?"
"Per lui tu sei... tu sei il suo uomo e non vuole che tu sia altro, ma non fraintendermi."
"Oh, spiegati un po', François, ti prego! Non ci capisco più niente!"
"Papà Richard" disse François parlando lentamente, perché, per quanto la cosa a lui paresse molto chiara, si rendeva conto che a Richard doveva sembrare alquanto fumosa "Kevin ha bisogno che nella sua vita ci sia un uomo e quello sei tu, ma deve essere un uomo, cioè proprio un maschio, perciò lui non può fare con facilità quello che gli chiedi. Capisci adesso?"
"Adesso ho capito. Hai ragione e io ho insistito tanto. Cazzo!"
E François sobbalzò.
Richard che bestemmiava era un segnale di crisi. E non era mai accaduto prima, che François ricordasse, almeno non con quella parola. Non è che Richard avesse proprio perso la calma, questo no, ma era quasi agitato.
"Che stupido! E ho pure continuato a insistere. Povero Kevin!" infatti già non bestemmiava più.
"Adesso non disperarti, perché sono sicuro che Kevin sarebbe felice di fare qualunque cosa tu gli chieda, se gli dai il tempo di prepararsi e se gliela chiedi nel modo giusto."
"E quale sarebbe il modo giusto?" fece alla fine un Richard ormai troppo giù di morale anche per pensare le cose più ovvie.
Era quasi esasperato, se l'esasperazione fosse stata possibile in una persona come lui.
"È quello che stanotte ti suggeriranno i suoi occhi e il tuo amore per lui, no?"
François aveva ragione. Come aveva fatto a non pensarci prima?
L'abbracciò forte, François era prezioso, lo era sempre stato.
Se ne andò verso casa a cambiarsi per la cena.
L'unico modo per venirne fuori era di affidarsi al legame che li univa, che era diventato così forte.
Mentre si infilava la camicia, si rese conto di quanto fosse stato irragionevole. Con le sue insistenze aveva causato a Kevin un disagio che era stato anche peggio di una molestia e così s'era aggiunto pure lui a tutti quelli che avevano chiesto a quel ragazzo di fare le cose più orribili. L'aveva tormentato ed era stato solo per uno stupido capriccio, una specie di orgoglio, per l'ipotetica necessità di essere uguale a lui. La prima volta era stata l'eccitazione a renderlo ardito ed anche dopo era sempre stato il desiderio di provare qualcosa di nuovo, un capriccio che ora lo faceva sinceramente vergognare.
Eppure, in mezzo a tutti quei sensi di colpa, sentiva che era importante per loro, che anche Kevin lo facesse suo. Aveva provato invidia per lo sguardo sognante che vedeva nei suoi occhi quando facevano l'amore.
"Perché" gli aveva chiesto una volta "non fai provare anche a me l'incanto, l'ebbrezza di essere posseduto, di essere completamente tuo?"
E Kevin si era come spento fra le sue braccia, s'era fatto piccolo e aveva tremato. Così lui si era affrettato a calmarlo, l'aveva distratto con altri baci e nuove carezze. Era stato così per tante volte, troppe in quei mesi.
Adesso era consapevole che, quando lui s'addormentava stanco ed appagato, perché, anche dopo il rifiuto di Kevin, facevano comunque l'amore, dopo che lui scivolava nel sonno senza alcun pensiero se non la soddisfazione di essere tanto innamorato, certamente Kevin era triste e forse piangeva per non averlo saputo accontentare.
François gli aveva finalmente aperto gli occhi ed aveva capito che, se Kevin avesse potuto farlo contento, l'avrebbe già fatto, ormai non aveva dubbi, perciò decise di chiederglielo un'ultima volta e di accontentarsi della risposta, qualunque essa fosse. E se gli avesse detto di no, non l'avrebbe più importunato, perché voleva dire che Kevin proprio non poteva.
Forse gli avrebbe detto di pensarci ogni tanto e un giorno, chissà, l'avrebbero anche fatto, nei cento, nei mille anni che avrebbero trascorso insieme, ovunque. A Venture Island o nel mondo, quando ci fossero tornati.
Fu così che, seguendo i consigli e gli armeggi di François, se ne andarono, salendo sulla collina, lui a spingerlo e Kevin a corrergli avanti, ridendo, felice di quell'improvvisata.
Dall'altra parte, verso la spiaggia, si svolgeva una scena del tutto simile con Angelo che incalzava i suoi compagni d'avventure.
Nel mezzo, al campo, Mike, François e Manuel giocavano con Tommy una partita a carte, fidando che presto il sonno avrebbe avuto la meglio e sarebbero tutti saliti in casa a dormire.
"Facciamo un gioco, Kevin?"
Ad attenderli, davanti all'oceano, c'era inspiegabilmente una coperta posata sull'erba. Lo tirò giù e si stesero, abbracciati.
'Diavolo di un François' pensò, chissà come aveva fatto a portare la coperta là sopra. Anche Mike doveva essere complice e di sicuro Manuel. Anzi, era stato certamente lui a portare lassù quella coperta che era troppo ben stesa.
Era luna nuova, perciò la notte era quasi completamente priva di luce, salvo per il bagliore del cielo, in cui le stelle brillavano come sempre, anche se non riuscivano a penetrare attraverso le chiome degli alberi. Continuavano a passare grosse nuvole e il vento rendeva gradevolmente fresca l'aria della notte.
Richard lo spogliò accarezzandolo, senza smettere di baciarlo e poi si lasciò spogliare anche lui. Avevano addosso gli abiti della cena e volò tutto via fra i risolini contenti di Kevin e gli sguardi apprensivi che lui gli lanciava.
Toccarsi, sfiorarsi nel buio.
In quei mesi l'avevano fatto spesso ed era sempre un'esperienza affascinante. Abbandonare il senso della vista in favore dell'olfatto, del gusto, dell'udito, ma soprattutto del tatto, intuire un sorriso, il piacere, non da ciò che vedevano gli occhi, ma udendo il respiro cambiare, capire la felicità dai movimenti, dalle vibrazioni dei muscoli, cogliere gli umori del corpo, i suoi profumi, accelerarne le reazioni, prevenirle, attenderle, cogliendo un movimento, tutto questo avevano sperimentato, più o meno inconsciamente, costretti dagli avvenimenti, ma irresistibilmente felici.
Quella notte Kevin aspettava di conoscere quale sorpresa gli avesse preparato e Richard sentiva la pelle del suo innamorato vibrare, il respiro farsi corto, i mormorii appassionati. Nel bacio che si erano scambiati aveva colto che la sua saliva aveva un sapore diverso. Poteva essere di attesa? Kevin era felice, il suo sapore dolce e fresco.
Ormai avrebbe potuto comprendere il suo stato d'animo solo baciandolo, assaporandone la saliva. Anche quella sera era così, perché la creatura adorata era allegra e spensierata.
Come avrebbe reagito? Aveva diritto di spaventarlo ancora?
"Facciamo un gioco?" ripeté maledicendosi un'altra volta per la curiosità e quel bisogno irresistibile che nella sua vita fosse sempre tutto in ordine, diametralmente completo. L'unione perfetta e reciproca doveva passare attraverso la violenza che stava per fare a Kevin, il cui ostinato rifiuto creava un fastidioso disturbo alla sua simmetria.
Kevin tremò, impercettibilmente. Forse capì, prima ancora che lui parlasse, perché il corpo comunicò tensione. Kevin capì che stava per chiedergli qualcosa di difficile, quella cosa che non riusciva a dirgli.
E lui comprese che Kevin non era più felice e spensierato.
"Per una volta, solo per una volta" niente preamboli, non farlo soffrire di più "per una volta immagina che io sia te e tu sia me, solo per una volta, amore mio! Questo è il gioco di stasera."
Glielo disse, glielo impose? Mentre l'abbracciava stretto e gli accarezzava le spalle. Lo sentì irrigidirsi, indovinò, perché non lo vide, da una pausa del respiro, intuì lo spegnersi del sorriso sulle sue labbra e capì che non rideva più beato, come fino ad un attimo prima.
"Non posso" lo sentì dire con un filo di voce.
Stava già piangendo.
"Voglio solo essere uguale a te" insisté "ma se non vuoi" era tardi, troppo tardi per riagguantare la felicità. Era scivolata via, persa nel vento. Pentirsi ora era sciocco.
"Non lo posso fare!"
Kevin non vibrava più d'attesa e se l'avesse baciato la saliva sarebbe stata amara, come non lo era mai stata.
"Perché, Kevin?"
"Perché tu sei il mio uomo. Tu sei quello che mi ha salvato da tutto, tu sei il mio padrone, possiedi la mia vita ed io non posso" cominciò a scuotere la testa, prese ad agitarsi, piangeva "non posso con te, Richard, non posso fare quello che mi chiedi! Non posso farlo con nessuno!"
Non c'erano più segni da interpretare per capire che Kevin era angosciato.
"Ma perché, piccolino, perché?" pentirsi, insistere.
"Tu sei il mio padrone! Ti ho dato tutto, Richard! Come potrei?" Uno spasimo, alla ricerca di un modo, di una giustificazione da dire con le parole.
"Lo so e ne sono così fiero che mi pare di impazzire dalla felicità!"
"Ti ho dato tutto" mormorò e parve calmare l'agitazione, perché, come sempre, le carezze di Richard facevano miracoli. Kevin si era come acquietato e non per aver trovato pace, era solo rassegnazione. Gli si era come spento tra le braccia.
Il cuore non batteva più all'impazzata, ma correva ancora.
Poi l'eccitazione ebbe il sopravvento. E la paura di Kevin gli parve insignificante per quanto intensamente lo desiderava.
"Devi darmi una cosa" gli disse dolcemente, fingeva d'essere calmo, sperando di convincerlo "una volta sola e sarà per sempre. Ti giuro che non te lo chiederò mai più. Voglio il tuo seme dentro di me!"
"Ho paura, Richard" Kevin stava piangendo.
"Di farmi male?"
"No, no, ho paura che dopo tu non mi amerai più!"
"Perché non dovrei? Come puoi pensare questo?"
"Oh, ma se ti faccio quella cosa tu penserai che voglio ribellarmi, mentre io desidero soltanto essere il tuo amante, voglio esserti solo fedele e ubbidiente, come sono sempre stato. Io... io non chiedo altro, Richard. Di continuare ad essere ciò che sono stato. Davvero! E se ti faccio quella cosa, come posso esserlo ancora?"
Finalmente capì, dai segni, dal suo cuore, dalla pelle, dall'odore della paura. Comprese fino in fondo la devozione assoluta di Kevin e le ragioni più intime del suo rifiuto. Forse ciò che aveva subito, gli abusi di Malcom avevano lasciato in lui delle ferite che non si sarebbero mai rimarginate e che lo portavano a negare a se stesso certe possibilità ed anche quella di essere un amante non sottomesso.
Ma non gli importava di nulla ormai, improvvisamente tutto aveva perso importanza, non gli avrebbe chiesto più di fare quella cosa.
Lo teneva stretto e lo cullava, sperando di calmarlo, di aiutarlo a scacciare i ricordi che lui stesso aveva suscitato e che, nonostante quei mesi d'amore, erano ancora così vivi.
Lo sentì tremare ancora e disperò di poter placare l'angoscia, tanta pena, anche se forse qualcosa poteva farla e si propose almeno di stare attento in futuro e non commettere altri errori, altre leggerezze, di non fare cose, qualunque cosa potesse turbarlo.
"Non ti chiederò mai più quello che non vuoi o che non ti senti di fare..." cercò di spiegare, di scusarsi "perdonami, piccolino... mi dispiace..."
Ma Kevin non l'ascoltava, guardava lontano, nel buio, vedendo e ricordando quello che Richard neppure immaginava, qualcosa che era avvenuto anni prima.
Ci aveva pensato negli ultimi giorni, tormentandosi a cercare qualche spiegazione al suo stesso rifiuto, alla sua paura. Aveva provato a ricostruire per sé le motivazioni di quel comportamento. Non aveva avuto risposte certe, ma solo il riaffiorare di ricordi, tanto dolorosi che aveva cercato di cancellarli, ricordi che ora stava per offrirgli, sperando che almeno lui riuscisse a capire e, magari, anche a spiegare. Richard aveva compreso così tanto di lui e così bene che sperava l'aiutasse anche stavolta.
"C'è qualcosa che non t'ho ancora detto, Richard" disse così, all'improvviso, facendolo sobbalzare "che non ricordavo neanche, ma che mi è tornata in mente. Non che sia importante, è solo qualche episodio" spiegò "di quando io cominciai a crescere e... insomma... arrivò la pubertà. Hai capito?"
L'accarezzò, che altro poteva più fare? Aveva aperto un'altra volta il pozzo dei ricordi di Kevin e sapeva che era un posto orribile.
"La mia adolescenza non fu soltanto una scoperta più o meno scioccante, come per gli altri ragazzi, per me fu un incubo lunghissimo che finì solo perché fu spazzato via da un guaio molto peggiore, ma, finché non arrivò mio padre a cercare di uccidermi, finché non sopravvissi alle sue pugnalate, quell'incubo dovetti viverlo da solo, perché Malcom mi abbandonò a me stesso."
Era immobile, ma sudava freddo, il suo corpo comunica paura, si fece piccolo tra le sue braccia e Richard capì che stava per ascoltare un altro pezzo di quella brutta storia.
Si chiese quanto avesse ancora da raccontargli e quante altre volte avrebbe dovuto inorridire confrontando la propria esistenza facile e protetta a quella inquietante e dolorosa di quel ragazzo. In quei momenti ciò che più lo spaventava era la voce piatta di Kevin, apparentemente priva di emozioni, un segno che non doveva sforzarsi di interpretare, per quanto era chiaro.
Il disagio, il terrore del suo innamorato lo contagiarono, facendolo tremare.
Sapeva che poi Kevin avrebbe pianto. Quando il peso delle parole e dei ricordi fosse diventato insostenibile, Kevin avrebbe pianto. Si sarebbe disperato, ma quei racconti cominciavano tutti con il tono spento e inespressivo della rassegnazione. Ed era già turbato da ciò che stava per udire.
"Una volta gli spruzzai in faccia" disse Kevin "e mi accorsi che ne fu infastidito. Solo poche gocce, erano i miei primi schizzi ed io lo guardai, spaventato, ma anche compiaciuto. 'Dovrei tagliartelo' disse lui, fissandomi. Era seccato ed io mi spaventai di più, ma mi aspettavo che poi mi sorridesse almeno un po', come faceva sempre quando lo facevo arrabbiare. Lui mi perdonava sempre, ma quella volta non lo fece ed io me lo sarei tagliato là stesso, perché all'improvviso avevo compreso che a lui non piaceva che fossi diventato grande. Io ero così orgoglioso di provare finalmente il suo stesso piacere, ma intuii che Malcom era contrariato per il mio sviluppo fisico e proprio non riuscivo a capirne la ragione. Lo guardavo e lui non parlava.
"'E perché non me lo tagli?' gridai, esasperato dal suo silenzio, 'Non essere stupido' disse e se ne andò, lasciandomi là, sul letto, senza neppure guardarmi, perché era infuriato. In quel momento avrei fatto qualunque cosa per lui, per non contrariarlo e se mi avesse chiesto di tagliarmelo, di staccarmelo con i denti e sputarlo via, io l'avrei fatto. Da allora cercai in tutti i modi di non farmi vedere, di mostrargli il mio corpo meno possibile. Il mio corpo che stava cambiando. Continuammo a fare le cose di sempre, ma ci mettevamo sempre nella stessa posizione, al buio o in penombra, lui mi metteva a pancia sotto e solo allora mi spogliava, poi mi penetrava da dietro. Non volle quasi più vedermi nudo e, quando lo facevamo, non si interessava se provavo piacere. Faceva le sue cose e poi mi lasciava là. Sapevo di non piacergli più.
"Era abituato a com'ero da bambino e perciò, dopo il mio cambiamento, dovevo sembrargli un mostro, con il pisello che diventava grosso ed emetteva quel liquido e poi quei pochi peli mi erano spuntati, forse gli facevano ribrezzo. Fu brutto, Richard, fu terribile, almeno finché non capii o credetti di capire" aveva cominciato a piangere "e dopo fu anche peggio, perché la sua indifferenza mi uccideva. Io l'amavo tanto e avevo capito che lui mi stava lasciando, mi abbandonava, soltanto perché il mio corpo stava cambiando. Come mi odiavo, odiavo me stesso! Di nascosto mi strappai tutti peli e lui si arrabbiò. Mi ricrescevano e non sapevo che fare. Una notte sognai di tagliarmi il pisello e non fu un incubo, ma un sogno, perché alla fine lui tornava ad abbracciarmi come faceva prima. Quando mi svegliai me lo toccai e ce l'avevo ancora! E scoppiai a piangere, a gridare, fu un incubo terribile, ma lui non venne a consolarmi. E la cosa che odiavo più di tutte era quel liquido bianco che usciva sempre più spesso e mi sporcava e che, ne ero certo allontanava Malcom da me..."
Le lacrime gli scendevano sulle guance, mentre Richard non smetteva d'accarezzarlo.
"Cercavo di nascondermi, di stare il più possibile al buio, a poco a poco, anche lui parve abituarsi a come ero diventato e riprendemmo la nostra vita di coppia, anche se fra noi erano cambiate molte cose, la nostra complicità non c'era più. Poi arrivò mio padre e ci pensò lui a farci tornare complici, perché dovevamo nasconderci sul serio."
Non c'era nulla che potesse dire. Pensò molte frasi, gli vennero in mente tante parole, ma nulla che potesse realmente consolare Kevin, perciò tacque, aspettando che lui si calmasse. Se ne stavano stesi e abbracciati. L'accarezzava sulla spalla, sfiorandogli la nuca con la punta delle dita.
Adesso non c'era davvero più nulla da interpretare.
"Dopo che perdetti Malcom e impazzii e dopo, quando fui guarito, quando fu tutto finito, in collegio, conobbi un ragazzo che era un poco più grande di me. Fu l'unico ad avere il coraggio di avvicinarsi, perché là ero considerato una specie di appestato. Tutti si tenevano lontani, nessuno dei ragazzi voleva avere niente a che fare con me, perché sapevano quello che ero, lo sapevano tutti. E chi si fosse avvicinato, anche un professore, sarebbe stato considerato un finocchio, proprio com'ero io. E non importa che avessimo solo parlato, era un finocchio anche lui e perciò tutti dovevano starmi lontani, per la loro stessa reputazione. L'infermiera era l'unica che si ardisse a parlarmi. Dopo tutto lei era una donna e non correva pericoli.
"Quel ragazzo, invece, mi conquistò con facilità, lui era insolente, audace, almeno così credevo. Pensavo fosse uno che se ne fregava delle opinioni degli altri e, quando mi disse che dovevamo diventare amici, ne fui felice. Lui disse proprio così, che dovevo essere suo amico per forza e non mi lasciò modo di rifiutare, ma io ne fui così contento che stupidamente gli credetti, perché pensai che fosse davvero uno che per essermi amico era disposto a sfidare il giudizio di tutti gli altri, dei miei compagni inibiti e dei professori bigotti.
"Poi ripensandoci mi resi conto che lui mi chiamò da dietro un cespuglio, mi tirò dentro e subito ce ne andammo nel folto del parco. Mi parlò mentre passeggiavamo lungo un sentiero isolato e, quando fu certo che proprio nessuno ci avrebbe visti o sentiti, senza molti preamboli, mi prese la mano e se la mise sull'uccello. Forse non era la mia amicizia che voleva, avrei dovuto immaginarlo, ma ero istupidito dalla solitudine e quella era la prima persona con cui parlavo da più di un anno ormai. In un certo senso l'ultima volta era stata con Malcom, perché tutti quelli con cui avevo parlato dopo lo facevano per lavoro o erano costretti a farlo ed io ero obbligato a rispondergli.
"Lo toccai con una specie di felicità. Ero contento di fare quella cosa per lui, qualcosa che evidentemente desiderava e che volevo anch'io. Visto che ci stavo, si sbottonò velocemente, io glielo tirai fuori e lui mi fece abbassare per prenderglielo in bocca, dopo un po' che glielo succhiavo, mi fece voltare e, sempre senza dire una parola, me lo mise in culo. Non fu violento, non mi fece male, anzi, fu abbastanza gentile con me e la sua non fu esattamente una violenza, perché fui consenziente in tutto. Solo una cosa non mi piacque, alla fine usò il mio fazzoletto per pulirsi l'uccello e lo lasciò cadere per terra, poi se ne andò senza neppure salutarmi, lasciandomi là con l'uccello duro a guardarlo allontanarsi in mezzo alle foglie.
"Capii che non desiderava diventare mio amico e scoprii in fretta che non voleva avere proprio niente a che fare con me. Il giorno dopo, quando mi avvicinai, dopo la scuola, provai a parlargli e lui mi dette un pugno nello stomaco, facendomi cadere, piegato su me stesso. Mi chiarì a quel modo che, come tutti gli altri provava la più grande repulsione nei miei confronti e quindi non tollerava che gli rivolgessi la parola. Non in pubblico, disse, raggiungendomi poco dopo nel parco.
"Quella fu la prima delle due regole del nostro rapporto, l'altra fu che dovevo lasciarmi fare tutto quello che voleva, così cominciò a portarmi nei posti più bui e sporchi e là si divertiva con me, cioè con il mio corpo. Io gli lasciavo fare quello che voleva, non protestavo, forse era l'unico contatto umano che avevo a parte l'infermiera e, insomma, dovevo accontentarmi.
"E poi, non mi dispiaceva andare con lui, perché, a differenza di Malcom, lui era attento al mio piacere e, dopo le prime volte, cominciò a pretendere, con la sua brutalità, che anch'io venissi dopo che lui aveva goduto dentro di me, anzi era contento se riuscivo ad eiaculare mentre mi inculava. Diceva, borbottava, mentre anche lui si dava da fare, che sentirmi venire lo eccitava di più. Questo almeno, mi aiutò ad accettare l'idea di avere un uccello che serviva anche a quelle cose. Però non parlavamo mai di altro, mai niente oltre e certe frasi su come ce l'aveva duro e grosso e quanto mi facesse male farmi inculare da lui... scusami Richard!"
Ascoltare quella parte della storia, quelle parole, gli aveva fatto un effetto strano. Era anche geloso, ma soprattutto si vergognava per il linguaggio usato da Kevin. L'aveva imbarazzato, era arrossito, si era mosso a disagio. Kevin se n'era reso conto e lui si diede dello stupido ipocrita come aveva fatto tante altre volte.
"Scusami tu, scusami, ti prego. Sono soltanto... sono uno stronzo! Ecco cosa sono, proprio uno stronzo ipocrita che non ti merita. Io... io..."
Con qualche difficoltà e con molti baci Kevin riuscì a farlo tacere.
"Lui non voleva mai che lo baciassi, sai?"
"Sono uno stronzo!" insisté Richard.
"E non s'è mai fatto baciare" disse Kevin "non ci scambiammo mai baci. E perché avremmo dovuto? Ma questo è un pensiero che ho fatto dopo, allora ero semplicemente disperato che lui neppure mi guardasse. Credevo di essere innamorato e arrivavo a giustificarlo, spiegando a me stesso che lui non poteva compromettersi con me, anche se, a suo modo, forse mi voleva un poco di bene. Neanche tanto però.
"Poi se ne andò, da un giorno all'altro scomparve. Inutile dire che non si ricordò di salutarmi, ed io rimasi solo un'altra volta. Pensa che arrivai anche a rimpiangere lui e quello che facevamo insieme, che lui mi faceva. Mi disperai, nella solitudine in cui ero piombato un'altra volta e ripresi a vivere trattenendo il fiato, finché non mi dissero che c'era un viaggio, una lunga crociera nel Pacifico con altri ragazzi, su una goletta. Quando gli avvocati me lo proposero, accettai subito, senza neppure capire di cosa si trattasse esattamente. Pensai solo che durante il viaggio sarebbe stato facile lasciarmi cadere in mare, molto più facile che impiccarmi ad una trave in quel collegio di merda. L'avrei fatto prima che la vita da marinaio mi rovinasse troppo le mani. Adesso sono tutte sciupate dal lavoro e anche piene di calli, ho anche due unghie spezzate, ma non mi importa, perché ho incontrato te!"
"Anche se sono uno stronzo? Davvero mi vuoi bene?"
"Tu scherzi sempre. Volerti bene... Ehi! Avevo davvero deciso che mi sarei ucciso, non l'ho detto per caso. L'avrei fatto davvero! Se non ti avessi incontrato, se non ti avessi visto, così bello e buono."
"Non tanto buono, non faccio altro che chiederti cose che non puoi fare e poi, quando mi racconti di te, mi vergogno per quello che dici. Sono geloso, come se non sapessi che tu mi ami e alla fine, capisco che ti ho molestato anch'io. Sono stronzo, proprio come quello là e anche di più, perché so che mi ami. Mi approfitto di te! Ecco!"
"Stai zitto, stupido, tu non capisci!"
"No, Kevin, piccolino, adesso che so e capisco, ma se solo l'avessi saputo prima..."
"Ho detto che non hai capito niente! Averti incontrato mi ha dato il coraggio per continuare a vivere. Quando ti conobbi, decisi che prima mi sarei goduto tutto il viaggio accanto a te e poi mi sarei ucciso quando ti avessi perso, alla fine, a Brisbane, forse, in un vicolo scuro del porto!"
"Che ne sai tu del porto di Brisbane? Dici che ci saranno anche là i vicoli bui?" fece Richard, cercando di scherzare, di distrarlo da quei pensieri orribili.
"Stai zitto, scemo, fammi finire. Non dire sciocchezze!"
"Ehi, ma io ti amo!" e tentò di abbracciarlo.
"No, aspetta, devo dirti un'altra cosa."
"E cosa?" disse sorridendo "E cosa?" ripeté abbracciando e accarezzando, toccandolo ovunque.
"Dicevo che non è tutto merito tuo" fece Kevin cercando di sottrarsi, senza troppa convinzione, contento dell'insistenza di Richard "anche trovare François mi ha fatto cambiare idea. Con lui è stata la prima volta in cui... insomma, quando l'abbiamo fatto, ho capito che nessuno mi aveva mai abbracciato come faceva lui che si è preoccupato per me, ha voluto che anch'io provassi piacere. François è stato proprio il primo, vero amico che abbia avuto, perché tu, ma soltanto all'inizio, sembravi così lontano."
"Avevo paura di te."
"E adesso?"
"Adesso ho paura di svegliarmi e scoprire che averti accanto è stato solo un sogno!"
"Allora sei davvero innamorato!"
"Lo puoi dire, urlare, gridare. Sono così felice, Kevin, e in questi giorni mi sono preoccupato tanto. Anche François era in pensiero, ma adesso ho capito e so tutto. E non devi più inquietarti, perché io non ti disturberò più con questa storia!"
"Tu, però, lo desideri. Non è vero?" chiese Kevin.
"Ancora un po', forse" gli sfuggì, anche se non avrebbe voluto.
"Un poco o tanto?"
"Un po' più di un poco" e sorrise, vergognandosi, ma era proprio così e gli doveva tutta la sincerità che poteva, perché ora lo desiderava più di prima.
"Allora continua a disturbarmi. Come hai detto tu, dai, amore disturbami ancora!" fece Kevin finalmente ridendo anche lui.
"E come devo fare esattamente?"
"Oh, ripeti con calma quello che vuoi da me, dimmi esattamente cosa vuoi che faccia."
Il loro era stato un confronto pieno di tensione, commovente e difficile, ma era finito e si scoprirono eccitati, perché non avevano mai smesso di accarezzarsi e coccolarsi. Kevin profumava nuovamente di buono, d'amore e la sua saliva era tornata dolce come non lo era mai stata.
Richard lo sentì dal lungo bacio che si scambiarono, poi si mise supino e chiuse gli occhi.
"Voglio sentire il mio innamorato" mormorò, scandendo le parole "voglio sentirlo entrare piano nel mio corpo. Lui deve possederlo e, quando l'avrà fatto, voglio che lasci il suo seme dentro di me, voglio che mi faccia suo, mi copra e mi protegga con tutto se stesso. E, dopo che tutto sarà accaduto, voglio che resti unito a me, dentro di me, finché sarà possibile!"
"Sono questi i tuoi ordini, mio signore?"
"Si, amore mio, voglio che tu lo faccia!"
"Ed io lo farò, non temere, lo farò!"
Richard l'abbracciò stretto.
"Fallo ora, ti prego! Subito!" e si abbandonò sulla coperta, in attesa dei suggerimenti di Kevin, disponendosi a fare qualunque cosa con lui.
Il vento era aumentato d'intensità, era più forte, quasi violento, anche se caldo, ma lui pensò lo stesso a Boston, alle raffiche che rendevano gelide le strade della sua città.
Era dicembre e lassù avrebbe fatto molto freddo e forse già nevicava. Loro però si trovavano all'equatore e potevano stare nudi, al buio, sull'erba, a godere il fresco della notte. I loro corpi erano leggermente sudati, per l'umidità, ma anche per l'emozione. Il vento veniva dal mare e soffiava impetuoso, sfiorandoli e agitando gli alberi, scuotendoli con folate calde e profumate di salsedine, ma anche di terra e di fiori. Il mare era agitato, sentivano sotto di loro le onde frangersi sulla spiaggia e ancora più lontano, contro la scogliera. Non che ci fosse tempesta, non ancora, ma quella non era una notte da trascorrere in mezzo al mare, perché si sarebbe certamente rischiata la vita.
L'acqua della laguna si sarebbe certamente increspata. Chissà come se la passavano quei tre. E Angelo con la sua paura del mare, Angelo che voleva essere uguale a Terry e Joel, chissà se li aveva convinti.
Poi Kevin lo baciò e tutti i pensieri svanirono, perché cercò di concentrarsi su ciò che stava accadendo.
Anche Kevin si lasciava guidare dai segni, in modo meno consapevole di Richard, ma anche lui sentiva il corpo dell'innamorato vibrare di desiderio sotto di sé, in attesa delle sue mosse.
Quello che stava per fare era la cosa più difficile che gli avessero mai chiesto nella sua vita, anche più di quando l'avevano obbligato a ricordare, ma, anche se era complicato, era contento di farlo, emozionato, tremante d'eccitazione e assolutamente felice.
Non doveva fargli male. Questa era la prima condizione, poi voleva che, in quello che stava per fare, ci fosse tutto, assolutamente tutto, l'amore che provava per lui. E quello sarebbe stato facile, perché accadeva in ogni momento della sua vita. Infine sperava che Richard fosse soddisfatto da quello che aveva tanto desiderato e che non restasse deluso dalla sua inesperienza.
"Ti amo" gli disse in un soffio e l'accarezzò, spingendolo delicatamente, perché si voltasse.
Con i baci scese lungo la schiena, sfiorandolo con la punta del naso, facendogli un solletico delizioso che li fece entrambi mormorare di piacere e sorridere e poi ridere.
Continuò a baciarlo e ad accarezzarlo, fino ad avvicinarsi al punto che temeva anche solo di sfiorare. Si fece coraggio e lo baciò, era la prima volta che lo faceva. Nei loro giochi amorosi non si era mai spinto a toccarlo là, se n'era sempre tenuto lontano, proprio per quella ritrosia che, forse e solo per stasera, aveva abbandonato. Con quei baci sperò di ripagarlo di tutti i baci che non aveva avuto il coraggio di dare.
Lo leccò e lo bagnò meglio che poté, perché Richard non provasse il minimo dolore o solo fastidio. Pensò che si sarebbe ucciso là stesso, se avesse notato anche una sola smorfia di dolore nel bel volto del suo innamorato.
Forse era un pensiero troppo drammatico, ma se l'avesse in qualche modo scontentato, lui si sarebbe ucciso, perché la sua vita non era ormai che un complemento a quella di Richard e arrecargli anche il più piccolo dolore, per giunta compiendo l'atto che aveva sempre temuto, sarebbe stato intollerabile.
Baciò e cosparse, bagnò finché poté, l'accarezzò con la punta delle dita, spinse leggermente e corse a incrociare lo sguardo di Richard temendo la sua reazione e fu un sorriso quello che immaginò sul volto e nei suoi occhi, un sorriso beato, intuito nel buio di quella notte d'amore e di piacere.
"Ti amo, Kevin..." e lo sentì avvicinarsi, intuì la sua apprensione.
Kevin aveva il muso bagnato e quando lo baciò l'impiastricciò di saliva.
Risero insieme.
Il sogno si stava avverando.
Richard sentì la punta premergli contro e si accomodò, sfruttando la morbidezza dell'erba sotto la coperta, avvertì la spinta di Kevin, lo sentì tremare, infine l'accolse dentro di sé. Fu tutto molto facile, molto più di quanto lui stesso avesse pensato e non gli fece per niente male. La sensazione che provò, una specie di ingombro, così insolita, fu piacevole, anche perché accompagnata dalle infinite carezze di Kevin, dalle premure, dalla delicatezza con cui si muoveva sopra di lui e finalmente dentro di lui. Lo sentì ansimare. Prima per l'ansia, poi infine per il piacere che s'avvicinava.
Sentì le mani di Kevin infilarsi sotto di lui, prendergli il pene, poi accadde tutto molto in fretta. Raggiunsero insieme la meta, vibrando dello stesso piacere. Lui nelle mani di Kevin e Kevin dentro il suo corpo, finalmente deponendo quel seme che aveva tanto desiderato.
E proprio mentre godeva, ebbe l'idea che quella fosse la vera origine di tutto e desiderò che quel seme potesse dargli un figlio, che fosse suo e di Kevin.
Era un'idea folle o blasfema, ma che, in quel momento e negli anni successivi, lo avrebbe affascinato. E ciò che trovava di più avvincente era non gli sarebbe importato di essere madre o padre del frutto del loro amore. Lo desiderava. Era un sogno.
Si commosse, mentre ancora Kevin era in lui e vi lasciava una parte così importante di sé, pensò che l'avrebbe conservato il più possibile e desiderò di non doversene separare mai più, perché se fossero stati in grado di generare un figlio sarebbe accaduto proprio questo. E la certezza che quel desiderio sarebbe rimasto inappagato, di ciò che non avrebbero mai potuto avere, lo spinse a piangere.
Kevin lo stringeva, lo copriva come lui gli aveva chiesto, lo proteggeva e, quando lo sentì piangere, tremò spaventato.
"Abbracciami forte, Kevin, stringimi più forte" lo pregò, facendosi piccolo sotto di lui, poi gli raccontò di quel pensiero fatto e Kevin pianse con lui. Di felicità per essere stato l'artefice di quella felicità, per trovarsi là abbracciato al suo uomo, di malinconia per non poter generare un figlio che fosse assolutamente tutto loro, espressione meravigliosa dell'amore che li univa.
Si assopirono. Kevin si spostò solo un po' di lato, per non pesargli troppo e così, ancora uniti nei corpi, sempre abbracciati, si lasciarono prendere dal languore dell'appagamento.
Dopo un tempo che non avrebbero saputo dire, Richard si svegliò, un po' per la posizione, un po' perché erano all'aperto e il vento era aumentato ed era rumoroso, tanto forte che faceva quasi freddo per come li sferzava.
"Kevin, amore mio" sussurrò, accarezzandolo per svegliarlo "torniamo a casa. Ci siamo addormentati. Ehi" e lo scosse, perché non si svegliava, oppure faceva finta di non sentirlo "Kevin, Kevin, Kevin, ti prego, non possiamo restare qua a dormire. Dobbiamo tornare a casa, ci staranno cercando!"
"La famiglia, eh?" disse aprendo un occhio solo "Noi ce l'abbiamo già una famiglia, sai? Hai otto figli, te lo sei scordato?"
"Anche tu sei mio figlio?"
"Si, ma io sono quello prediletto!"
"Ehi, otto figli, ma è una pazzia! Io ho diciotto anni!"
"Quasi diciannove a dire il vero e poi, credo che qua stiamo tutti crescendo molto in fretta!"
"Andiamo, dai! Sarà mezzanotte o chissà che ora!" si alzò e gli tese la mano. Finalmente anche Kevin balzò in piedi.
"Richard, ti fa... ti fa male là?"
"No, per niente. È stato fantastico, una cosa bellissima. E per te è stato bello? Ti è dispiaciuto farlo? Io, io credo di averti obbligato, in un certo senso."
Si erano incamminati, seguendo il sentiero, e Kevin si bloccò a guardarlo.
"Sentimi bene, papà Richard" e gli puntò un dito contro "se faccio qualcosa mi può piacere di più o di meno, ma, farla per te, la rende sempre e comunque la più bella e dolce e importante che io possa fare. Sono stato chiaro?"
Richard gli fece un bel sorriso che completò con un bacio sul dito, che non aveva quasi visto e poi, già che c'era gli diede anche un piccolo morso.
"Ahi! Sei un selvaggio!"
"Ehi! Non mi hai ancora detto se ti è piaciuto."
"È stato bello, amore mio!"
"Sei stato il mio maschiaccio!"
"Se mi chiami maschiaccio un'altra volta, me lo taglio davvero! E sia chiaro che a me è piaciuto tanto quello che abbiamo fatto, però, non so se si è capito, quella cosa non è la mia preferita, va bene?"
"Si, si, piccolo, l'ho capito" e qua Richard arrossì un poco, ma poi si disse che con Kevin non poteva avere alcuna vergogna "e, se ti dicessi che a me è piaciuto così tanto che vorrei rifarlo ancora in futuro?"
"Oh, non c'è problema, maschione, dovrai soltanto guadagnartelo!" e l'abbracciò, adattandosi al suo corpo, praticamente gli si schiacciò contro.
"E come?" fece Richard, incuriosito, ma non tanto, perché, da quello che gli pareva d'aver capito, il prezzo sarebbe stato eccitante.
La stretta di Kevin era stata eloquente, anzi invitante, perché gli aveva dato un bacio che avrebbe svegliato anche un morto, mentre il suo corpo mostrava già i segni del desiderio. Le carezze furono fra le più seducenti che gli avesse mai fatto. Non che lui ne avesse bisogno, perché, insomma, non era per niente stanco.
Erano ancora nudi, con i vestiti sotto il braccio, lungo il sentiero che il riportava alla cascata. Dai baci e dalle carezze, passare a fare l'amore non fu difficile.
I vestiti e la coperta finirono per terra, mentre loro due si tenevano in un abbraccio fatto di coccole, finché a Richard non fu chiaro che Kevin voleva riscuotere subito il suo premio e il pagamento per qualcosa che forse sarebbe accaduto in futuro. Non se la sentì di negarglielo.
"Adesso?"
"Si!"
"Qua, in piedi?"
"Proprio così!"
La serata sulla spiaggia fu ugualmente romantica, in certi momenti addirittura drammatica e molto più movimentata. Ed era prevedibile considerato chi vi era coinvolto.
"Insomma, si può sapere che ci hai portato a fare qua?"
Gli si erano messi di fronte e da come lo guardavano pareva che si aspettassero chissà quale rivelazione, non senza qualche risolino che non l'aiutava certo a concentrarsi.
Lui ci aveva pensato per tutto il tempo, il suggerimento di Richard era certamente buono: andarsene dove nessuno li sentisse e parlarsi, perfino gridare, ma per ottenere qualche risultato ci voleva una buona parlantina, e quella forse ce l'aveva, oltre ad una dose di coraggio e una faccia tosta che non credeva di possedere.
Sperava di non mettersi a balbettare.
Ma come poteva convincerli solo con le parole, s'era detto disperato, mentre li spingeva lungo il sentiero verso la spiaggia, come sperava di farlo, dopo che quei due si erano già rifiutati in tutti i modi, anche arrabbiandosi? Le parole, la dialettica, che lui non sapeva si chiamasse così, era tutto ciò che aveva, assieme alla passione e all'amore. E quello non gli mancava, non a Venture Island. Si sentiva il cuore scoppiare e gli occhi pieni di lacrime, ma fino a quel momento non era stato sufficiente.
"Devo dire una cosa, a tutti e due" cominciò, incerto, come se stesse confessando una colpa tremenda "e devo anche farvi una promessa, cioè..."
E qua si bloccò, mentre quelli lo guardavano, aspettando la rivelazione.
Almeno non aveva balbettato, pensò. Si era fermato anche per quello.
Stette zitto e i due si mossero innervositi dall'attesa, Joel arrivò a roteare gli occhi e cominciò a fargli una smorfia, nella speranza che si decidesse.
"Ehi! Vuoi che dormiamo qua?" lo canzonò.
"Stai zitto, scemo" lo mise a tacere Terry che, più sensibile ed anche più consapevolmente innamorato, aveva avvertito l'inquietudine di Angelo e già se ne preoccupava.
"Prima vi dico la promessa. È che" era sempre più emozionato "io vi dirò sempre la verità, qualunque cosa accada, anche se dovesse essere brutta o sgradevole e fare male a qualcuno! Ve la dirò sempre, ve lo giuro sul nostro amore, sulla mia vita, su tutto!"
Terminò con un affanno dovuto all'agitazione, ma anche contento di aver saputo esprimere così bene la prima parte del suo discorso. Era quella più facile, però.
Terry era attentissimo, Joel solo un po' meno.
"E allora?" disse infatti, con una insensibilità che urtò Terry.
"Ehi! È una cosa seria" disse, dandogli una gomitata "vai avanti, fratello, non badargli!"
"Quello che voglio dire è che io vi amo, a tutti e due, e vorrei una cosa da voi, da tutti e due, perché io, io voglio essere come voi. In tutto!"
E improvvisamente non trovò più le parole e scoppiò a piangere, disperandosi.
"Vi prego!" gridò, gettandosi in ginocchio e coprendosi la faccia con le mani.
Fu allora che Terry scappò, correndo verso gli alberi.
Quando fu lontano dalla vista degli altri si gettò per terra e cominciò a piangere anche lui, cercando non di chiudere gli occhi, ma di tapparsi le orecchie, per non sentire il pianto e la disperazione di Angelo che, pur se coperti dal rumore del vento e del mare, gli giungevano fin nel folto degli alberi. Oppure li immaginava soltanto, fondendoli nel ricordo all'altro pianto di Angelo, quello che lui aveva provocato con le sue azioni. E nella testa gli si fece strada un altro pensiero, e cioè che stava provocando anche questo pianto, pur se con migliori intenzioni. Lo stava facendo disperare un'altra volta e, insomma, non ne faceva una giusta. Versare altre lacrime gli parve a quel punto ancora più giustificato. E così pianse e si disperò.
In piedi, a metà strada tra la foresta e la riva del mare, Joel era indeciso se rincorrere Terry, oppure restare a consolare Angelo. Nel dubbio rimase bloccato con gli occhi sbarrati, incredulo, non sapendo neppure se spaventarsi, tremare, piangere anche lui. E per un attimo, a lui che non ci era abituato, il pianto parve l'unica soluzione possibile. Anzi, meglio ancora sarebbe stato mettersi a gridare, sperando che Richard arrivasse in fretta a risolvere questo nuovo guaio in cui si erano cacciati tutti e tre.
Pareva che non ne facessero mai una giusta.
Se fosse arrivato François sarebbe andato bene, perché era buono e pure Kevin avrebbe saputo cosa fare. Forse perfino Manuel. Mike, invece, si sarebbe certamente arrabbiato. Lui era un po' brusco, specialmente con loro tre, ma in quel momento anche vedere Mike l'avrebbe consolato, perché era buono pure lui, solo un poco scontroso.
Pensare ai suoi fratelli inaspettatamente lo calmò e soprattutto lo fece ragionare, perciò non ci mise molto a capire che per primo doveva tentare di recuperare Terry, tanto Angelo se ne sarebbe stato là a piangere ancora per un po'. Lui lo sapeva che Angelo aveva paura sia del mare che del buio che c'era sotto gli alberi, perciò, senza di loro due, sarebbe rimasto là fermo, forse fino all'alba. Doveva andare a cercare Terry, ma quello era come un gatto che vede al buio e chissà dov'era arrivato, prima di fermarsi. Sempre che si fosse fermato.
Corse in direzione gli alberi e si ricordò di avere paura anche lui del buio, dell'ignoto, degli animali selvaggi che non aveva ancora visto a Venture Island, ma non si poteva mai sapere, degli alberi che qualche volta muovono i rami e ti afferrano e ti stritolano senza pietà.
"Terry, dove sei?" sussurrò con il cuore in gola.
Avrebbe anche gridato, ma quello che gli uscì fu poco più che un rantolo, perché era terrorizzato. Sapere che sull'isola non c'erano grossi animali, diurni o notturni, né fantasmi o altro, in quel momento non l'aiutava, perché lui era uno che animali bruttissimi e feroci riusciva ad immaginarli facilmente.
Là in mezzo era buio, ancora più che sulla spiaggia, e ogni tanto nel cielo passavano grosse nuvole a peggiorare le cose.
Vai a sapere dov'era finito quello.
"Terry, ti prego, ho paura. Dove sei?" un altro bisbiglio, solo un po' più udibile.
"Joel" disse una voce proprio accanto a lui, facendogli fare un balzo.
"Cristo! Fratello, mi vuoi fare morire?"
"Mi dispiace" provò a dire, mentre cercava di trattenere le lacrime.
"Mi stavo pisciando sotto" disse ridendo per il sollievo, poi tornò immediatamente serio "Si può sapere che ti prende?"
"Lo sai che vuole Angelo, no?"
"E allora?"
"Neanche tu vuoi farglielo, mi pare!"
"Io credo che, se tu glielo facessi, potrei farlo anch'io. Noi stiamo insieme e siamo tutti uguali! Ha ragione lui, secondo me!"
"E allora faglielo tu!"
"No, è da te che lo vuole per primo e si capisce perché!"
"No, no, Joel, ti prego. Ho troppa paura!"
"Ehi, fratello! Angelino si è messo in ginocchio e ci ha pregati piangendo. Adesso è là a disperarsi. Che altro vuoi che faccia per chiedercelo? Oggi si è perfino gettato in mare perché l'hai fatto arrabbiare! Lui, in mare, e poi ha nuotato fino a riva. Capisci? O no?"
"Lo so, lo so..."
"E adesso sta sulla sabbia, in ginocchio, con le mani sulla faccia" insisté Joel, in quella conversazione fra ciechi, nel buio più buio che ricordasse. Allungò le braccia, cercando, fino a sfiorare le mani di Terry, gliele strinse e lo tirò a sé. Terry lo lasciò fare, contento di avere qualcuno da abbracciare.
"Quello sta con le mani sulla faccia e piange" ripeté "che vuoi fare?"
Terry non lo sapeva proprio. Se avesse potuto vederlo, Joel si sarebbe accorto che aveva gli occhi sbarrati.
Era spaventato.
Gli pareva di comprendere l'esigenza di Angelo che desiderava partecipare completamente ai loro giochi che ormai non erano più giochi, perché loro facevano l'amore nel senso più completo di quelle parole. Facevano l'amore. Forse era questa la risposta ai suoi dubbi. Non era sesso, non solo e non più, era amore e lui amava Angelo e forse doveva dargli quello che gli chiedeva con tanta passione.
Era amore e per questo si disperavano, perché lui gliene stava negando una parte importante e con il suo rifiuto condizionava tutti e tre.
"Ti prego, fratellino" gli stava dicendo Joel che l'accarezzava tra i capelli con una delicatezza affatto nuova in lui e lo baciava e gli tergeva le lacrime "adesso andiamo, non lasciamolo ancora da solo. Avrà paura, non credi? È buio anche là e non c'è nessuno con Angelo! È proprio solo."
L'aiutò ad alzarsi e fu Terry, con i suoi occhi di gatto, a guidarlo fuori dalla vegetazione. Raggiunsero in fretta Angelo che si era raccolto su se stesso, come se avesse freddo, quasi addormentato.
L'acqua della laguna era increspata e da lontano giungeva forte il fragore delle onde che si frangevano sulla scogliera. Era un'atmosfera molto simile alla notte del naufragio, sebbene di forza inferiore, perché se ne sentissero realmente intimoriti.
Quando aveva visto Terry correre verso gli alberi e Joel inseguirlo, si era allontanato prudentemente dalla riva, e si era messo al riparo di una duna, perché l'avanzare della marea lo spaventava, ma si era subito rasserenato, sicuro che Joel avrebbe compiuto il miracolo.
E infatti li sentì arrivare. Sollevò la testa e stava per alzarsi ma non ce la fece, perché Terry e Joel lo circondarono, abbracciandolo insieme.
"Perdonami, fratellino, ti prego!" gli diceva Terry stringendolo e attirandolo a sé, mentre Joel si creava uno spazio tra loro due, in modo che l'abbraccio di Terry comprendesse anche lui "Perdonatemi tutti e due, ma è che io non voglio farti male un'altra volta! Ma non male come se fosse dolore, insomma, male, perché poi tu poi ti spaventi. Capisci?"
"Si, si ho capito. Lo so e te l'ho promesso, te lo prometto. Se avrò paura, ti pregherò di fermarti e questa volta tu mi ascolterai. Non è vero? Anche Joel si fermerà se glielo chiederò. Non è vero?"
"Certo!"
"Ma non capisci che è proprio di questo che ho paura?" fece Terry ricominciando a piangere.
"Stavolta ci sarò io" fece Joel, risoluto. E vista la posizione in cui era, stretto in mezzo ai due, c'era proprio da credergli "Ti fermerò, Terry, non avere paura!"
"Ci sarà Joel, lo senti? Ti prego, fammi quella cosa, Terry. Ti prego!"
"Fidati di me, di noi due. Non avere paura!" l'incitò Joel.
"Va bene, ma tu devi stare attento e, se succede, dammi un pugno forte e poi una botta in testa e poi tagliamelo. Va bene?"
"Che schifo!" mormorò Joel, strappando agli altri un sorriso che contribuì a rendere meno drammatico il momento.
"Dai, spogliamoci!"
"Ehi, abbiamo ancora i cravattini!"
Solo allora si resero conto di avere ancora addosso gli abiti della cena e quei papillon che Richard insisteva che si mettessero al collo. E se non fosse stato che papà ci teneva, li avrebbero fatti sparire da un pezzo, anzi li avrebbero messi tutti insieme su una barca in miniatura e l'avrebbero spinta al largo, dopo averle dato fuoco. L'idea era di Angelo che l'aveva letto in un libro. Pareva che i vichinghi onorassero così i loro morti. Un giorno l'avevano messa quasi in pratica, nel senso che avevano costruito una piccola zattera e preso anche delle liane per legare i cravattini fra loro, con l'idea di farne una specie di piccolo cadavere. Joel aveva procurato un po' di olio dalla cucina per alimentare il rogo, ma alla fine non ne avevano fatto nulla temendo la reazione di Richard.
Anzi la sua disapprovazione, perché il timore maggiore era stato per quello che ne avrebbe pensato Mike, il quale, di fronte al disappunto di Richard, non avrebbe esitato a sculacciarli se l'avessero fatto davvero. Li aveva spesso minacciati per molto meno. E poi ci sarebbero stati i muti rimproveri di Manuel e le battute di Kevin e François. Così avevano lasciato perdere, ma non era detto che non ci ripensassero, perché la zattera stava sempre là, pronta a celebrare qualche funerale importante.
I farfallini però stavano antipatici a tutti e tre e quella notte se li tolsero con grande felicità, ma li piegarono, posandoli con attenzione sulla sabbia.
Angelo fece mettere Joel seduto, poi gli si stese fra le gambe, posandogli il capo sul grembo e mettendosi con le spalle sulla sabbia che ancora tiepida.
Nonostante facesse caldo, rabbrividì per l'emozione.
Tirò Terry fino a farlo inginocchiare davanti a sé. Alzò le gambe e gliele posò sulle spalle.
Gli occhi correvano frenetici da uno all'altro, fissandosi e sorridendosi. Tutti e tre si scambiarono sguardi felici, un po' inquieti, perfino preoccupati.
Forse erano ancora troppo giovani perché la loro eccitazione risentisse delle emozioni della serata, perciò erano tutti e tre più che pronti a fare l'amore.
Angelo fissava Terry che guardava alternativamente lui e Joel. Joel non distoglieva gli occhi da Terry, ma seguiva i movimenti e le espressioni di Angelo.
"Aspetta, fratellino" bisbigliò Terry e si abbassò per bagnarlo di saliva. Solo quando fu certo di aver fatto tutto il possibile si raddrizzò, pulendosi la bocca con il dorso della mano. Si avvicinò a baciare delicatamente Angelo, guardò Joel fisso negli occhi e baciò anche lui sulle labbra. Inspirò tutta l'aria che poté e chiuse gli occhi.
"Dai, Terry" sussurrò Angelo, vedendolo esitare.
"Tocca a te adesso" lo incoraggiò Joel, sfiorandogli il braccio.
E Terry spinse, appena appena, con tutta la dolcezza che poté mettere in quell'azione inevitabilmente violenta.
Angelo aveva gli occhi chiusi, fra le braccia di Joel, mentre Terry gli teneva le mani sui fianchi, lo accarezzava e si stava lentamente spingendo dentro di lui.
Era stato lui a far mettere Joel dietro di sé e Terry davanti.
Solo allora si rese conto che inconsciamente aveva ricostruito una delle posizioni in cui lo prendevano i fratelli, bloccandogli le braccia e le gambe, ma era tutto così radicalmente diverso che quell'idea, invece di spaventarlo come poteva temere, lo fece quasi sorridere, tanto gli parvero lontani quei ricordi. La tenerezza che stava ricevendo, la premura di Terry, il grembo morbido e profumato di Joel, le mani che lo accarezzavano, lo reggevano, lo sfioravano, ma non lo bloccavano in alcun modo. Terry era là, con gli occhi ben aperti, a spiare le sue reazioni, mentre Joel gli sfiorava dolcemente il petto e il ventre, poi scendeva un poco più giù ad accarezzarlo proprio lì. Non che ce ne fosse bisogno, ma era bello sentirglielo fare.
Stava quasi per dirglielo: 'Smettila, Joel, sto per venire.'
Ma la carezza era così piacevole, deliziosa, ammaliante che non poté parlare. Fu con un sorriso che accolse dentro di sé tutta la virilità del suo Terry e il dolore che sentì solo all'inizio fu la spinta che lo portò a godere, mormorando di piacere, mentre due lacrime gli scendevano dagli occhi, per la felicità di avere visto avverarsi il suo sogno.
Anche Terry era arrivato in fretta a godere, assai più in fretta di quanto volesse. Aveva liberato la sua forza nel compagno, abbassandosi lentamente fino a appoggiarsi su di lui, per baciarlo, e poi baciando Joel che era anche lui felice, come mai era stato.
E fu proprio per Joel il primo pensiero compiuto che fecero, quando si sciolsero da quell'abbraccio complicato, come solo loro sapevano fare.
Cominciarono ad accarezzarlo, a baciarlo.
"Adesso tocca a te" fece Angelo "passa da questa parte. È il nostro patto!"
"No, no! Non posso farlo adesso, tu sei già venuto!"
"Mi dispiace, ma non ce l'ho fatta. Terry è stato troppo forte" e sorrise al compagno "Ma ora devi farlo tu, fratellino!"
"Ti farei male!"
"No, nessuno di voi due potrà mai farmi male, non lo capisci? Adesso tocca a te, dai, mettiamoci come prima!"
"Ma sei sicuro?"
"Si, dobbiamo fare così. Voglio che tu lo faccia ora!"
"Allora, posso?"
"Ti prego."
Ricostruirono in fretta la combinazione di braccia e gambe e sguardi, con le mani che si rincorrevano sui corpi, finché Joel, tremante, puntò il suo pisello per penetrare Angelo. Si fermò. Voleva dire una cosa che gli sembrava importante.
"Ti amo, Angelo, e amo anche te" disse guardando Terry "e perdonami per tutto quello che ti ho detto prima, quando è successa quella cosa. Mi dispiace. Adesso va proprio tutto bene."
"Va bene, fratello!" disse Terry che aveva un motivo in più per essere commosso "Adesso va tutto bene!" e chiuse gli occhi per non ricominciare a piangere.
Riversò nelle carezze che stava facendo all'uno e all'altro, con le sue mani grandi, le dita affusolate, l'emozione che era così forte che quasi gli impediva di respirare.
Anche Joel chiuse gli occhi e spinse leggermente, timoroso che Angelo soffrisse. Lo sentì gemere, riaprì gli occhi, ma si rese conto che il ragazzo gradiva davvero quello che lui stava facendo. E non erano gemiti di dolore, quella era una faccia sognante, non rassegnata. Spinse ancora e, quando gli fu dentro completamente, Angelo gemette e sempre di piacere. Udire quel sospiro fu troppo per lui e si perse nel corpo del compagno, amante, fratello, andando poi a rifugiarsi fra le braccia di Terry che ormai piangeva senza preoccuparsi di nasconderlo.
Finirono sulla sabbia tutti e tre abbracciati, stretti nel solito groviglio, ma questa volta a nessuno venne da ridere, né si sottrasse al solletico che non era tale, ma erano le carezze più dolci che si fossero mai scambiati.
Stavano sperimentando sensazioni che appartenevano molto più alla sfera emotiva, alle cose che si provano, più che a quelle che si sentono, all'appagamento fisico. C'era la gioia della vicinanza, il piacere dell'affetto, dei baci, dei corpi provati dalle piccole violenze degli amplessi. Erano cose che ancora non sapevano e non comprendevano, ma che vissero nella felicità più assoluta.
Consolato il pianto di Terry, asciugate con le labbra le sue lacrime di gioia, baciato Angelo ovunque, ma proprio in ogni posto, anche quello là, perché giurasse ad ogni bacio che non provava dolore, né fastidio, né bruciore o prurito, accarezzato e coccolato Joel, perché era pur sempre il più piccolo e gli volevano bene perché, sebbene di qualche mese, erano i suoi fratelli maggiori, si chiusero nel loro bozzolo composito e intricato e si addormentarono nell'incoscienza dei loro anni.
Là, sulla spiaggia, di notte, nel buio più buio che ci fosse mai stato a Venture Island, come se al mondo non ci fossero che loro stessi.
Il vento soffiò sempre più forte.
TBC
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