DISCLAIMER: The following story is a fictional account of teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
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Questo è il primo dei diciotto capitoli che compongono il romanzo.
L'isola del rifugio
Prologo
"Svegliati, Richard, svegliati..." Kevin l'accarezza, gli sfiora la fronte con le labbra.
Lui sente il tocco leggero e apre gli occhi, crede di aprirli.
È un po' confuso.
Ora è pomeriggio, oppure già sera, di un giorno che non è certo di poter dire.
Ricorda che, prima di assopirsi, ha provato a non prendere sonno, per paura che addormentandosi non si sarebbe più svegliato. Da qualche giorno fa pensieri come quello. Addormentarsi e morire, ma quello è un rischio che deve correre, perché nelle sue condizioni il sonno è una benedizione, così dice Joel.
Ma Joel ha anche detto che non deve dormire troppo, né stare fermo troppo a lungo, perché il suo maggiore problema è di fare circolare il sangue. Ma questo l'ha detto tanto tempo fa, tanto che ora non è più importante.
Cos'è importante adesso?
Forse muoversi? Cioè provare a farlo, se solo ci riuscisse.
Si guarda attorno e cerca di mettere a fuoco, per quanto gli è possibile, il volto di Kevin. Sa che è lì, l'ha appena sentito. Fa un movimento con le gambe, è istintivo, cerca di sgranchirsi e questo non lo fa stare meglio. Prova piuttosto il solito, fastidioso intorpidimento. Ma in realtà non si è mosso per niente, non ha mosso gli occhi, non ha guardato e non ha visto nessuno. Il formicolio che crede di avvertire è solo il ricordo di una sensazione provata molte volte negli ultimi mesi.
Sa di avere le estremità terribilmente fredde.
Qualche giorno prima, pochi o tanti, non ricorda, ha insistito, perché voleva toccarsi la punta dei piedi. Erano i suoi piedi e voleva toccarli. Kevin l'ha aiutato a piegarsi e lui ha provato una sensazione sgradevole, di gelo e di morte. E pensare che le mani non dovevano essere molto più calde. Quel giorno i suoi piedi gli erano parsi lontani, quasi non gli appartenessero più, ma fossero ora della nuova padrona, di quella morte che lo sta strappando ai suoi figli e che sta dando gli ultimi, bruschi strattoni.
È giunto il momento e lui lo sa, da qualche giorno, da quando la voce di Kevin è cambiata e si è fatta triste, anche quando ride.
"Non hai fame? Vuoi mangiare qualcosa?"
È Kevin che certamente gli fa un cenno con la testa, accompagnato da un sorriso, Kevin che lo guarda con i suoi occhi buoni. Ricorda quegli occhi, lo sguardo dolce, innamorato. Sa che saranno sempre così, anche quando lui non ci sarà più. Saranno tanto più tristi, perché Kevin potrà soltanto ricordarlo.
Dovrebbe essere contento di morire per primo.
Fra loro, fra tutti, c'è stata una specie di gara, per la paura di restare per ultimo. Adesso che è sicuro di vincerla quella gara, che sarà il primo ad andarsene, prova una grande tristezza all'idea di lasciarli a proseguire da soli, in un cammino difficile.
Tutti loro sono stati come un unico essere vivente, per tutta la vita hanno sofferto e gioito assieme. Al centro c'è stato lui e poi Kevin e attorno gli altri, con gli amori, le tristezze, la serenità della vita, come l'avevano vissuta.
Molto intensamente, perché era stata una vita sottratta alla morte che ora è tornata a reclamare ciò che le è dovuto. Lui sarà il primo, lei lo vuole subito, perché è quello che più di tutti l'ha ostacolata nei suoi disegni.
È stata in agguato, per riprendersi ciò che le era stato strappato cinquant'anni prima, quando per loro aveva fatto un altro progetto, più immediato, risolutivo, un disegno che la fortuna e l'amore avevano mandato a monte.
Il rosso, perché i capelli di Kevin sono stati, fino a qualche anno fa, di un bel rosso acceso, il rosso l'accarezza, lui riesce a sentirlo, anche perché ne ricorda il tocco, la tenerezza di sempre e questo lo intenerisce. Lo fa tremare.
"Non hai nemmeno un po' di fame, piccolino?" dice ancora Kevin che non ha notato quella specie di commozione, perché in realtà non è accaduto davvero che lui tremasse o si muovesse.
'Si... forse...' vorrebbe dirgli per non inquietarlo, perché sa che Kevin è preoccupato e sta soffrendo. Dio sa quanto sta soffrendo, ma lui non può fare più nulla per evitare quella pena. Non ha più fame, dubita di poter più mangiare alcunché. Di poter fare altro che morire.
"Vorrei che mangiassi qualcosa, Richard. Mi senti?" Kevin gli accarezza la fronte e lo sta quasi rimproverando.
I capelli gli cadono davanti agli occhi, Kevin li ha portati sempre lunghi, a incorniciare il volto calmo. Il gesto istintivo di ravviarli stavolta è più veloce, repentino, segno che è nervoso. Kevin perde la calma raramente, non dal momento in cui è entrato nella vita di Richard, adattandosi a lui, ma a sua volta dandogli forma.
Kevin è spaventato, confuso.
Lui sa che è così e vorrebbe parlargli, calmarlo, spiegare che niente può più cambiare il progetto della morte. Ma i pensieri, le intenzioni sono l'unica parte attiva di sé. Nel suo corpo, tutto il resto è morto, passato.
"Avanti, papà, mangia qualcosa" dice Tommy.
Il piccolo Tommy riesce sempre a farsi sentire e vorrebbe accontentarlo.
"Dove sei stato?" sta chiedendo Kevin.
"Solo un po' in giro. Lui come sta?"
"Non lo so... Joel..." abbassa lo voce, forse perché lui non l'ascolti "neppure Joel lo sa più" mormora, sta per piangere, poi si fa forza.
Sa che sono tutti disperati all'idea di perderlo. Vorrebbe intervenire, rassicurarli, come ha fatto sempre. Non è mai accaduto che non l'abbia fatto.
Tutti attendevano la sua opinione per prendere decisioni su qualunque argomento, ma doveva succedere che, alla fine, non parlasse e non dicesse la sua, non li tranquillizzasse, che non accarezzasse uno di loro, dandogli un bacio, per calmare il pianto, per rasserenare, per consolare una tristezza, per mettere pace e risolvere una questione, dare una soluzione. Oppure un'assoluzione, perché aveva fatto anche quello. Chi gli aveva affidato quei ragazzi gliene aveva concesso soprattutto le anime e lui aveva amministrato anche quelle, con tanta saggezza. Era contento di ciò che ne aveva fatto.
Sente altre voci, sono arrivati Mike e François.
Il bianco e il nero, diversi come il colore della loro pelle, tanto opposti da attrarsi irresistibilmente e restare uniti per un amore che ha sfidato cinque decenni. François è sempre stato la coscienza di tutti loro, tutti lo considerano il loro pastore. Li aveva sempre confortati, l'avrebbe fatto anche ora. Dopo.
Quel pensiero lo rincuora, perché sa che François continuerà a proteggerli come avrebbe fatto lui stesso.
La fine è vicina, il gelo del corpo presto salirà a stringere il cuore, a cacciarne l'anima e la paura lo riassale. È terrorizzato, ma non per sé, ha paura per loro. Come sempre.
Teme di lasciarli, di abbandonarli, anche se è certo che se la caveranno. Dopo tutto, sono insieme da tanto tempo e ognuno sa esattamente cosa fare e come e quando.
Questo pensiero riesce a consolarlo un'altra volta.
Smetterà di preoccuparsi solo quando non potrà più fare pensieri. Lo sa. Perché sono cinquanta lunghi e brevissimi anni che si inquieta all'idea che un giorno dovrà lasciarli, anche se ha sempre avuto coscienza che la sua funzione si è esaurita molto prima, quando li ha raccolti attorno a sé e condotti in salvo, quando le loro vite si sono incastonate e collocate in uno schema che qualcuno, nel cielo dei orfani, dei rifiutati, degli oltraggiati, aveva concepito e sulla cui esecuzione lui aveva soltanto vigilato.
Messo lì per rendere utile la sua vita di privilegiato.
Piuttosto, adesso che il tempo si è consumato, è ora che cominci a credere anche lui in qualcosa, a credere che chi li aveva fatti incontrare e li aveva salvati, fosse qualcosa più dell'accidente e della coincidenza, che insomma ci sia un dio a vegliare sui buoni e sui cattivi e ad assicurarsi che alla resa dei conti ognuno abbia il giusto. Per sé aveva creduto sempre e solo nella ragione e nell'amore per Kevin e per i ragazzi. Prima di conoscerli non aveva altra fede che non fosse la sua eccelsa facoltà di pensare, poi aveva imparato ad amare e aveva anche scoperto la dolcezza d'essere amato.
Dovrebbe riflettere su queste cose, è il momento di farlo, però è stanco, infinitamente stanco, anche di pensare.
Ha un solo desiderio, vorrebbe aprire gli occhi, stringerli per cercare di isolare, nella caligine che l'annebbia, il volto di Kevin e poi vedere anche Tommy.
Quanto l'ama e quanto l'ha amato, piccolo, povero orfanello. La sua vita, dolorosamente vera, pareva uscita dalla penna di Dickens, con una storia di abbandono affrontata solo con il carattere felice. Era stata così dolorosamente vera.
Ora c'è anche Manuel che è spuntato da dietro. Manuel è rimasto basso e minuto, mentre Tommy è diventato alto e robusto, un vero atleta. Quando li ha conosciuti, era il contrario.
Anche loro non si sono più lasciati.
'No, non voglio andarmene, voglio continuare a giocare con voi...' pensa, grida, ridendo, come se fosse tornato ragazzo. Quante corse, quanti giochi.
Manuel è sempre stato innamorato di lui. Era l'altro orfano della compagnia, figlio di nessuno, abbandonato da tutti, finché non aveva trovato quella nuova, incredibile famiglia.
'Kevin, aiutami...' pensa, ma vorrebbe gridarlo. Quante volte l'aveva fatto!
'Kevin, aiutami, ti prego' gli diceva implorando e Kevin lo prendeva per mano portandolo oltre le secche, superando tutte le difficoltà che avevano affrontato. Ed erano state tante.
Sempre insieme, gli aveva promesso. E adesso sa che non potrà tenere fede al suo impegno.
È stato tanti anni fa, in una notte piena di stelle, hanno giurato che il loro amore sarebbe stato eterno e tanto forte che avrebbe sconfitto la morte. Che sciocca illusione era stata, ma erano entrambi così giovani che potevano permettersi di sfidare qualunque nemico ed anche la morte, credendo perfino di sconfiggerla. E s'erano davvero convinti di averla battuta. Che ingenuità era stata.
Quella notte però c'era un numero inverosimile di stelle. Troppe per non essere temerari.
Prova a convincersi, a credere, che continuerà a vegliare su tutti, che potrà vederli quando vorrà, che resterà vicino a Kevin, gli andrà in sogno, gli bacerà ancora la fronte, le labbra morbide. Ma sa che non sarà possibile e se mai Kevin lo sognerà è certo che lui non potrà saperlo, perché sarà altrove, sarà nel cielo o all'inferno o nel nulla che è la stessa cosa.
Sta andando dove non si sa, non si conosce e non si ricorda, perché la morte sta vincendo e stavolta non concederà deroghe, ha già fallito e non sbaglierà ancora.
L'aria è calda e il profumo dei fiori è tanto forte da stordire. Non è mai stato così forte. Dal mare si sta alzando una brezza leggera, ne riconosce l'odore. Pensa che se nel suo corpo tutto funzionasse ancora come il suo naso, sarebbe sano come un pesce. Gli odori, i profumi li percepisce benissimo, è il resto a scivolare via come la sabbia, come la sabbia bianca e fine su cui avevano giocato, si erano rincorsi e avevano fatto l'amore.
Sente arrivare anche gli altri, sono sempre gli odori a dirgli che i suoi ragazzi sono là. Gli pare che adesso siano tutti vicini, attorno al letto.
Joel gli sfiora la fronte, gli prende il polso. Terry e Angelo ai suoi lati lo stanno guardando ansiosi. Joel dice qualcosa, Angelo piange. Terry l'abbraccia.
"Non piangere, piccolino, così fai piangere anche me!"
Non li vede, non vede più nulla, ma sa che ci sono.
Li aveva conosciuti tutti nel giorno della partenza.
Erano arrivati su un camion militare non proprio nuovo, nel 1950 ce n'erano ancora tanti in giro. Con sé avevano vecchi zaini dell'esercito e i vestiti trasandati di chi deve tutto alla generosità degli altri. E con quei vestiti si portavano addosso un odore e un'aria smarrita che gli avevano stretto il cuore. Uno o due avevano un atteggiamento un po' insofferente, ma si capiva che era una finta. Solo il rosso, quello che pareva irlandese, era vestito in modo molto più accurato, aveva anche due belle valigie di cuoio. Si guardava attorno distrattamente, tanto da parere annoiato, ma fingeva anche lui.
L'aveva notato subito, perché portava i capelli lunghi, quasi fin sulle spalle, ed era insolito che un ragazzo andasse in giro con una zazzera così. E poi si muoveva in un modo che lo metteva a disagio.
Appena scesi li avevano fatti allineare sulla banchina. Due persone urlavano ordini secchi, come se, invece che ragazzi, ospiti, fossero militari o peggio, aveva pensato, detenuti da trasferire. E loro erano come sbigottiti. Poi era apparso lui, era sceso di corsa dalla Venture per andare ad accoglierli. Erano ragazzi, non galeotti, né reclute da maltrattare.
Si era subito presentato, aveva detto chi era a quelli che urlavano ordini, gli assistenti che avrebbero viaggiato insieme a loro. Quei due avevano immediatamente cambiato atteggiamento, trattandolo con rispetto, che era stata anche condiscendenza. Lui, noncurante, aveva salutato ad uno ad uno i ragazzi, man mano che glieli presentavano, aveva sorriso a tutti e non per cortesia, ma perché era felice di incontrarli, di conoscerli.
Soggezione, imbarazzo, orgoglio, in tutti gli sguardi aveva colto la diffidenza di chi è stato tante volte preso in giro, dal destino ed anche da chi doveva aiutarlo. Qualcuno però aveva colto prima degli altri la sincerità delle sue azioni e gli aveva ricambiato lo sguardo amichevole.
Lui si era sentito morire lo stesso dalla vergogna, per l'eleganza dei suoi vestiti, per la maglietta immacolata e i pantaloni accuratamente stirati e anche per quello che aveva fatto e detto, lo sguardo con cui li aveva accolti, l'atteggiamento sicuro di chi è sempre stato ricco.
Finalmente erano saliti sulla Venture, la goletta del nonno.
Ce n'erano ancora molte come quella in mare negli anni dopo la guerra, tutte costruite in Europa alla fine del secolo. La Venture era stata varata nel 1894 e suo nonno l'aveva acquistata all'inizio degli anni trenta. Aveva fatto crociere con la famiglia, poi la morte della nonna e la guerra l'avevano allontanato da quella passione e la Venture era finita in disarmo.
Finché qualcuno aveva suggerito al vecchio di utilizzarla per scopi benefici e così nel 1946, dall'Atlantico, l'avevano trasferita in California. Ogni estate veniva organizzato un viaggio, una lunga crociera, che portava in giro una decina di ragazzi. Il nonno li definiva 'sfortunati', oppure 'difficili'. La condizione era che fossero originari di Boston e cattolici. Venivano segnalati dalle parrocchie della città e scelti secondo regole scritte e non scritte sul rispetto delle minoranze e sul politicamente corretto che nel 1950 non si chiamava ancora così, ma esisteva già e voleva dire, nei limiti del possibile, cercare di non scontentare nessuno. Così il nonno ci faceva bella figura e poteva dedurre dalle tasse le spese che sosteneva. Il nonno era sempre stato molto attento a quelle cose.
Già all'inizio del viaggio Richard aveva deciso di stare il più possibile con i ragazzi, anche se non era obbligato a farlo. Si era subito avvicinato a loro, sperando che l'accettassero.
Sulla Venture, di cui era quasi il padrone, il capitano avrebbe voluto cedergli la cabina, ma lui non aveva accettato. Non volle dormirci neppure una notte, perché se ne andò sottocoperta, negli alloggi dei ragazzi. Là c'era un grande spazio con dei letti a castello e ne occupò uno per stare assieme a loro.
Si era accorto subito che quella intromissione non era piaciuta, che qualcuno l'aveva guardato male, almeno così gli era sembrato, poi Tommy, il più piccolo, sicuramente il più espansivo, gli si era avvicinato e avevano incominciato a parlare e subito a ridere. Su qualcosa che adesso non ricorda più, ma era stato come rompere una barriera, dietro Tommy, erano venuti quasi tutti gli altri e soprattutto Kevin, il rosso, che non si era più staccato da lui.
Kevin che aveva cominciato a fargli la corte dal primo momento in cui i loro sguardi si erano incrociati, l'aveva amato dall'inizio, mentre lui non si accorgeva ancora di nulla. E quelle cose non le capiva, perché non le sapeva.
Era così ingenuo, a disagio per le premure, così affettuose, che Kevin gli riservava.
Sorride ancora a quel tenero ricordo.
Durante la crociera erano diventati tutti amici, tanto da passare insieme ogni momento.
Poi era accaduto tutto quello che, nel bene e nel male, aveva reso il loro legame indissolubile ed avevano trascorso la vita assieme, fino ad essere molto più che una famiglia, mentre i sentimenti diventavano sempre più forti, fino ad renderli inseparabili.
Adesso sono là, a guardarlo, i suoi ragazzi, figli, fratelli.
Adesso che ci sono tutti, è più tranquillo e può tornare a dormire. Kevin capirà.
Infine si assopisce.
Il rumore del mare cresce e diventa fragore. È il rumore assordante dell'uragano, della catarsi per cui giunsero, in una notte di tempesta, a Venture Island.
PARTE PRIMA - Venture Island, l'isola del rifugio
CAPITOLO 1 - Il primo giorno
11 agosto 1950
"Svegliati, Richard, svegliati. Ti prego... abbiamo paura!" gridava Manuel.
Il ragazzino piangeva, si disperava e le urla gli penetrarono lentamente nella testa, diventando parte del sogno che stava facendo. Un sogno incomprensibile, un incubo fatto di luci accecanti, di rumori frastornanti, di qualcosa che gli raschiava la faccia e di qualcuno che gridando lo strattonava.
La prima cosa che vide, socchiudendo gli occhi alla luce intensa del mattino, fu una distesa di sabbia bianca e fine. Doveva essere quella a graffiargli la faccia e tutto il corpo, mentre le mani che lo stavano scuotendo erano quelle di Manuel.
Un primo ricordo gli si affacciò alla mente. Onde grandi come montagne, che avevano battuto la goletta per ore, poi una, più forte delle altre, li aveva scaraventati fuori bordo. Era stato dopo la mezzanotte e l'impatto con l'acqua l'aveva stordito, precipitandolo nel buio. Lui aveva cercato di lottare, era stato risucchiato e forse era svenuto, ricordava il senso di nausea e di aver tossito violentemente per espellere l'acqua ingoiata. Aveva ripreso a lottare come un forsennato, anche questo ricordava bene, perché ora gli dolevano tutti i muscoli. Era stata una lotta lunga, fino a sentire qualcosa di solido sotto i piedi, poi c'era stato un'altra volta il buio più completo e adesso era a pancia sotto, sulla sabbia, accecato dal sole.
Povero Manuel, povero bambino, doveva essere spaventato, pensò.
Strinse gli occhi, si fece forza e provò a guardarsi attorno, ma era disorientato, aveva ancora la guancia sulla sabbia e vedeva solo una porzione di spiaggia. Fece un respiro profondo e cercò di sollevare la testa. Gli tornò la nausea, richiuse gli occhi, si sforzò di aprirli un'altra volta.
Vide che la spiaggia di sabbia circondava una laguna, di forma quasi rotonda, protetta all'esterno da una scogliera ugualmente tondeggiante. Associò quello che vide ai ricordi, a frammenti di immagini colte alla luce dei lampi durante la notte, mentre lottava con le onde per non morire.
E il rombo lontano, ritmico che udì gli fece recuperare un altro ricordo, così forte e intenso che tremò, sebbene facesse molto caldo. Nell'acqua, tra le onde impetuose, aveva lottato per salvarsi e per tenere stretti a sé Kevin e Manuel, reggendoli per i giubbotti di salvataggio, afferrandoli disperatamente, perché se li avesse lasciati andare, li avrebbe perduti per sempre. Fu un ricordo terribile, risvegliato dal rumore dei marosi che si rompevano sugli scogli, che riconobbe subito, che ricordò.
L'onda che li aveva sbalzati oltre le murate era stata tanto alta da coprire l'albero maestro. O almeno, così gli era parso, mentre loro erano riparati dietro la plancia, ma non era bastato.
Un altro ricordo lo colpì, stando accovacciati là dietro avevano udito, netti, distinti dall'urlo della tempesta, i guaiti di Hook, il terranova del capitano Mendes. La povera bestia aveva pianto tutta la sera precedente, presagendo la tragedia che stava per compiersi, già sentendo avvicinarsi la tempesta. Il cigolio del legno, lo stridere delle sartie erano aumentati con il crescere del mare, fino a confondersi con il rumore ritmico e assordante delle onde e ad esserne una volta per tutte sovrastati.
C'era stato un movimento della goletta, come una violenta sgroppata, che li aveva spinti allo scoperto e poi era arrivata l'ondata che li aveva scagliati fuori bordo. Avevano sbattuto contro le sartie e non contro uno degli alberi e quella era stata una vera fortuna. L'impatto con il legno li avrebbe uccisi.
Erano finiti in acqua e c'erano stati per un tempo che non ricordava, poi altre onde li avevano sospinti nel canale tra la barriera e l'isola ed era stato un altro miracolo. Allora aveva visto chiaramente il profilo della scogliera illuminato dai lampi nel vorticare della tempesta, un rumore sovrastato solo dal rimbombo dei tuoni. Erano passati pericolosamente vicini agli scogli, senza poter controllare i propri movimenti, ma la corrente li aveva risparmiati, deponendoli nel canale e spingendoli fino allo specchio d'acqua della laguna, che era agitato, ma non tanto da impedire a tutti e tre di nuotare. Aiutando gli altri due, facendosi aiutare, si erano avvicinati alla riva e, quando avevano cominciato a toccare, lui era svenuto.
Questo gli pareva di ricordare e doveva essere andata così.
Nonostante l'agitazione di quei ricordi, riuscì a controllare il tremito e finalmente si arrese al tepore del sole e alle mani di Manuel che non lo scuotevano più, ma ora lo accarezzavano dolcemente.
"Svegliati, Richard, svegliati..." gli diceva, lo pregava.
La visione gli si schiarì e finalmente tornò in sé, riuscì a alzarsi sui gomiti, fino a guardare il ragazzo dritto negli occhi pieni di lacrime. Manuel era sempre inginocchiato accanto a lui, aveva quattordici anni, trascorsi tutti a scappare da qualcuno, a nascondersi da chi voleva approfittarsi di lui. Magro e sempre intimorito da qualcosa, in quel momento pareva ancor più spaventato.
"Come stai, Richard? Come ti senti?" gli chiese in un sussurro "Stai bene?"
"Credo... credo di si. E tu?"
"Tu ci hai salvati..." riuscì a dire prima di scoppiare a piangere e gettargli le braccia al collo. Richard lo strinse a sé.
"Va tutto bene, piccolo" mormorò, coccolandolo "vedrai che ce la faremo, ma non piangere più adesso. Non piangere..." ripeté accarezzandogli la spalla scossa dai singhiozzi.
Manuel cominciò a calmarsi, consolato da quelle attenzioni.
"Dov'è Kevin? Dove sono gli altri?" chiese allora Richard, che si scoprì timoroso di ascoltare la risposta "Dov'è Kevin?" ripeté, quasi cedendo anche lui al pianto, perché non lo vedeva da nessuna parte e aveva paura di scoprire che non ci fosse.
"Richard, Richard, sono qua!" sentì gridare "Richard..."
Lo vide arrivare, alto, magro, la pelle sempre ostinatamente bianca, nonostante i due mesi trascorsi al sole dei tropici. Correva alzando la sabbia con le gambe lunghe, i capelli al vento.
"Ho bisogno anch'io di un abbraccio..." disse Kevin buttandosi in ginocchio accanto a loro.
Gettò le braccia sulle spalle di Richard e anche di Manuel.
"Richard... tu stai bene?" chiese, cercando, senza riuscirci, di trattenere il pianto "Come ti senti?" balbettò singhiozzando.
"Si, si e tu?" mormorò Richard, commosso pure lui, quasi da non poter parlare.
"Adesso sto bene, ma ho paura. Ne ho avuta tanta prima, nell'acqua. E anche adesso, ho tanta paura" aggiunse piangendo, senza riuscire a trattenersi.
"Quando abbiamo toccato, quando abbiamo sentito la sabbia sotto i piedi" spiegò Manuel, piangendo pure lui "tu sei svenuto e sei andato sott'acqua. Era ancora buio e abbiamo dovuto prenderti e trascinarti per portarti all'asciutto, sulla spiaggia. Ti chiamavamo, ti scuotevamo, ma tu non rispondevi. Parevi morto! Poi abbiamo capito che stavi dormendo" e qua finalmente gli scappò un sorriso che Richard ricompensò subito con un abbraccio.
"Ci siamo stesi accanto a te" aggiunse Kevin "e abbiamo dormito anche noi. Nel frattempo il cielo si è schiarito e ha cominciato a diventare giorno e le nuvole sono scomparse, ma non c'era ancora il sole! Ma tu dormivi... perché eri stanco, non è vero?"
"Si, ero sfinito, ma ora va tutto bene, ragazzi. Sto bene adesso!" e li abbracciò più stretti per rassicurarli.
Manuel non pareva avere danni fisici, ma, come Kevin e lui stesso, era pieno di lividi e di graffi.
Di notte sulla goletta faceva caldo e tutti avevano addosso pochi vestiti, stavano quasi sempre a torso nudo. A Kevin erano rimasti addosso soltanto i calzoncini un po' strappati, Manuel aveva un paio di slip e chissà dov'era finito il resto.
"Siamo stati nell'acqua per... non so quanto tempo, Richard, e tu ci hai salvati..." riprese a lamentarsi "se non ci fossi stato tu..."
"Si... è vero! Tu ci hai tenuti stretti" disse Kevin "io... io avevo paura e finivo sempre sott'acqua e ho cominciato a bere, ma tu mi hai tenuto la testa fuori. Mi tiravi i capelli... mi urlavi di stare sveglio, mi hai dato anche degli schiaffi" gli sorrise "dicevi che dovevo continuare a muovermi" aggiunse "che non dovevo mai stare fermo..." adesso quasi rideva, contento di essere all'asciutto e che tutto fosse un ricordo, anche se brutto.
"E poi, non so come, un'onda ci ha spinti nel canale. Il mare si è come calmato e le onde sono diventate improvvisamente meno alte. Nuotavamo tutti e tre insieme e tu ci dicevi quello che dovevamo fare..."
Li teneva e li abbracciava, li baciava sulla fronte, sulle guance a tutti e due ed era felice di farlo, di averli ritrovati, perché, adesso lo ricordava, mentre era svenuto e poi mentre dormiva il suo sonno agitato, aveva continuato a sognare di averli perduti e per sempre. Che incubi aveva avuto.
"Senti, Richard" fece Kevin "sai... abbiamo trovato l'acqua dolce, è fresca... viene dalla foresta, là, dietro la roccia c'è un ruscello" era ancora affannato e le lacrime gli scendevano sulle guance, parlava con precipitazione, inciampando sulle parole "di là... vedi? Davanti a quegli alberi... è là che scorre. E poi quelle palme, mi pare che abbiano dei frutti... ma non so cosa siano esattamente... e più in là ci sono delle banane appese in caschi. Sono... grossi, non ne avevo mai visti così. Richard, dovresti venire a guardare, per dirci se li possiamo mangiare!"
Li proteggeva sempre nel suo abbraccio, tenendoli stretti come aveva fatto, mentre erano in acqua, giocando a quel folle ottovolante fra le onde. Avrebbe voluto non lasciarli più, né sciogliersi mai da quell'intrico di braccia.
E gli altri? Pensò rabbrividendo, dov'erano tutti gli altri?
"Joel, Mike, Terry e François stanno dall'altra parte della duna" disse Kevin, come se gli avesse letto nel pensiero "e ci sono pure Tommy e Angelo che sono andati in giro per l'isola. Perché questa è un'isola, non è vero, Richard?"
"Credo di si..."
"Manca Chris..." fece Manuel piangendo sconfortato "non l'ho visto da nessuna parte... l'ho cercato, ma pare che non sia mai arrivato a terra. Nessuno l'ha più visto... da prima..." e scoppiò a piangere un'altra volta.
"Lo cercheremo tutti insieme" disse Richard, cercando di rincuorarlo e soprattutto sperando che fosse vero, anche se gli pareva difficile.
"Forse è dall'altra parte della laguna" fece Kevin.
"Oppure è ancora sugli scogli."
"Dove sarà la Venture?" si chiese Richard allarmato "E l'equipaggio? Non c'è nessuno sull'isola?"
I ragazzi scossero la testa.
Forse erano davvero soli, si sentì disperato, ma non doveva lasciarsi andare, lui non poteva. Strinse i denti e cercò di farsi coraggio, per quanto possibile.
"Alzati, guarda su quegli scogli... laggiù..." Manuel gli indicò la barriera "Puoi alzarti? Ce la fai? Starai bene adesso?" e già la voce, nel dubbio che lui non stesse bene, pareva tornare al pianto.
Richard si liberò delicatamente dell'abbraccio di Kevin e lentamente si alzò. Gli girava la testa, ma guardò verso la laguna, socchiudendo gli occhi, cercando di mettere a fuoco il punto lontano indicato da Manuel. Lo riassalì il senso di nausea, tanto che dovette reggersi ai due ragazzi.
Era più alto di Manuel che era piccolino, ma anche di Kevin e solo per qualche centimetro. Aveva i capelli di un bel biondo dorato ed era chiaro di carnagione. Anche lui aveva indosso soltanto dei pantaloncini da tennis che una volta, fino alla sera precedente, erano stati bianchi e molto eleganti. La maglietta che indossava forse se l'era sfilata dopo essere finito in acqua.
Aveva diciotto anni, appena un accenno di barba sulla faccia e una sicurezza innata nei gesti e nell'atteggiamento. I suoi occhi erano sempre sorridenti ed era facile leggervi una grande mitezza d'animo, a dispetto del resto del volto, che era sempre molto serio, quasi in contrasto con l'età. Un'altra dote importante era la gentilezza, semplice e naturale, che aveva con tutti. E poi non perdeva mai la calma. O lo faceva tanto raramente che negli ultimi due mesi non era mai accaduto, perciò i ragazzi, che lui aveva incontrato solo all'inizio del viaggio, non potevano dire di averlo mai visto neppure spazientito.
Guardandosi attorno e fissando il relitto incagliato sulla scogliera, ebbe la certezza che qualcosa di terribile avesse sconvolto la sua vita e pensò che sopravvivere sarebbe stato forse superiore alle loro forze. Pareva che la morte avesse concesso soltanto una tregua a tutti loro, facendoli arrivare incolumi sulla spiaggia, ma destinandoli ad una fine più lenta e angosciosa. Forse era stata più misericordiosa con gli uomini dell'equipaggio. Chissà dov'erano.
Come se avessero percepito quei brutti pensieri, i due ragazzi gli si fecero più vicini. Li sentì cingerlo per essere protetti, ma anche lui in quel momento desiderava essere abbracciato e consolato.
La Venture giaceva dall'altro lato della laguna, ad oltre mezzo miglio, adagiata sulla scogliera, con il ponte inclinato in un'angolazione irreale.
Era stata una bella goletta, del tipo a palo, con tre alberi, invece dei soliti due, e grandi vele trapezoidali, che il capitano Mendes chiamava vele auriche per la loro forma particolare, compiacendosi quando poteva correggere qualcuno che le chiamava semplicemente vele quadrate. Era stata costruita nei cantieri di Essex in Massachusetts, in legno di pino bianco e per mezzo secolo aveva solcato in lungo e in largo l'Atlantico del nord, con il suo scafo nero e la cabina di un bianco abbagliante, sfidando le tempeste e i fortunali di quelle acque fredde, infide, evitando gli iceberg. Nel 1920 era stata acquistata da un famoso esploratore che l'aveva fatta viaggiare per diversi anni, seguendo rotte attorno alla Groenlandia e sempre più vicine al Polo Nord. Negli anni trenta il nonno l'aveva comprata e usata come panfilo. Solo dopo la guerra, quando era stata salvata dalla demolizione e trasferita nell'oceano Pacifico, le avevano dipinto il ponte di verde e giallo e negli ultimi anni aveva navigato in mari caldi, toccando i porti più importanti di quell'altro oceano.
La sua lunga e avventurosa vita si era conclusa contro una scogliera, mentre si scatenava una tempesta spaventosa, cui il capitano Mendes, esperto uomo di mare, non aveva potuto fare fronte, né porre rimedio.
Quello che restava della goletta era lo scafo, che appariva intatto, a parte la falla che la collisione contro la scogliera aveva certamente provocato. Non c'era più l'albero di maestra, che si vedeva galleggiare pigramente nel canale, assicurato allo scafo dalle gomene, e quello di trinchetto, ugualmente divelto, che era restato a mezz'aria, appeso alle sartie. A prua il bompresso era integro e a poppa l'albero di mezzana si alzava diritto, come se fosse contento di essere finalmente, e per il poco tempo restante, il più alto di tutti.
"La vedi?" chiese Kevin, con voce tremante, puntando il dito verso la goletta.
Poi gli appoggiò il capo sul petto e l'abbracciò ancora più stretto. Così tanto che Richard trasalì, mentre anche Manuel si avvicinava.
"Le onde la porteranno presto via... non è vero?" chiese Kevin.
Si, il mare se la sarebbe ripresa, pensò, era là ancora per poco, come per fare loro un ulteriore favore, dopo averli salvati.
"Si, credo di si, se il mare torna ad agitarsi, oppure con la marea."
Perché si erano salvati? Ancora lo sconforto e ancora una volta vi resisté, conscio di essere l'unica speranza per quei ragazzi, se nessun'altro dell'equipaggio fosse stato ancora vivo.
"Oltre a noi ragazzi..." gli mancò il coraggio di continuare, poi lo trovò "avete visto qualcun altro?"
Scossero entrambi la testa.
Dov'erano finiti gli uomini dell'equipaggio e Hook che fine aveva fatto? Voleva bene a quel cane.
"Il capitano Mendes... non avete visto nessuno?"
"Nessuno... pare che ci siamo soltanto noi... solo nove, manca Chris..."
"Ehi, Richard, Tommy e Angelo sono arrivati sull'isola su un canotto. Lo vedi?" disse Kevin indicando una forma oblunga, qualche centinaio di metri più in là, lungo la mezzaluna della spiaggia.
"Bene! Se quel canotto riesce a tenere ancora il mare, possiamo tentare di raggiungere la Venture... forse... c'è qualcuno a bordo" disse, cercando a riacquistare almeno un po' della disinvoltura di cui era andato tanto fiero fino a poche ore prima "e poi... poi dobbiamo cercare di recuperare tutto quello che ci potrà servire..." e si bloccò.
Il pensiero del tempo, l'idea di dover recuperare tutto il possibile, implicava ipotecare un futuro che aveva programmato con molta precisione per sé e solo per sé.
Richard era sulla Venture, perché suo nonno era il proprietario della goletta, oltre che il finanziatore della crociera. Alla sua decisione di partecipare a questa specie di missione avevano contribuito anche la sua voglia di viaggiare, l'interesse suscitato in lui dalle letture di racconti di mare che l'avevano affascinato e infine le insistenze di sua madre. Lei non si era mai particolarmente interessata a quel figlio indesiderato, ma una volta tanto aveva insistito perché partecipasse al viaggio e alla fine lui aveva acconsentito. Quella lunga crociera, prima del college, lo avrebbe aiutato a riprendere contatto con la realtà e forse anche con la sua stessa vita, perché aveva studiato troppo, senza curarsi di sé, soprattutto dei suoi sentimenti.
Era stato perfino felice di rispondere a quella rara manifestazione d'affetto materno, pensando che il viaggio sarebbe stato comunque interessante e divertente. Quanto alla compagnia, lui non ci pensava più di tanto, perché era sempre stato capace di trovarsi bene con chiunque. Il fatto che sulla goletta ci sarebbero stati dei ragazzi un po' particolari, forse asociali, disadattati per qualche motivo, turbolenti, perfino dei piccoli delinquenti, non l'aveva interessato più di tanto. Sulla Venture si sarebbero imbarcati anche un paio di accompagnatori che dovevano controllarli e ovviamente un equipaggio di marinai a fare il suo mestiere.
Alla fine di agosto, a Boston, l'attendeva Harvard.
Per lui, che era considerato da tutti un genio, era la migliore università del mondo. Ma prima di cominciare quell'avventura aveva un paio di mesi davanti a sé e quel tempo non voleva trascorrerlo leggendo o studiando, come avrebbe certamente fatto se fosse rimasto a casa, perciò alla fine aveva accettato l'idea di unirsi a quel gruppo così insolito. L'alternativa sarebbe stata un lungo viaggio solitario in Europa, ma aveva preferito la crociera e l'avventura, piuttosto che restare per due mesi a parlare con se stesso.
E durante il viaggio era davvero riuscito a stare in compagnia.
Ora, pensò, avrebbero avuto tutto il tempo di approfondire le loro amicizie, chissà quanto tempo.
Fino al momento in cui era scoppiata la tempesta, il viaggio era stato piacevole, divertente e lui si era trovato bene, proprio come aveva sperato. In quei due mesi, trascorsi navigando, i ragazzi, tutti più giovani di lui, erano velocemente passati dalla diffidenza all'amicizia nei suoi confronti. Si era aspettato qualche antipatia, ma non ce n'era mai stata. Qualcuno dei grandi l'aveva tenuto a distanza, timoroso della sue reali intenzioni, oppure diffidente dei motivi che potevano averlo spinto ad avventurarsi in quel viaggio.
Ma lui, non accettando di essere un semplice ospite, si era subito ritagliato un ruolo, diventando una specie di intermediario fra il piccolo equipaggio di marinai, efficienti, ma piuttosto scostanti, i due accompagnatori che si erano rivelati essere dei sorveglianti, poco disponibili ad alcun contatto umano e i ragazzi che erano dei mozzi a mezzo servizio, perché aiutavano dove c'era bisogno, in cucina, in coperta, per le pulizie e tutto il resto. Per l'altra metà del tempo, però, essendo i reali beneficiari del viaggio, facevano i turisti assieme a lui che li accompagnava ovunque ed a poco a poco aveva cominciato a dividere con loro anche i turni di lavoro sulla goletta. E anche se la cosa aveva sollevato l'aperta disapprovazione del capitano, gli era valsa l'amicizia incondizionata di tutti i ragazzi e dei membri dell'equipaggio.
A dire il vero il suo stesso comportamento l'aveva sorpreso, perché a torto si credeva capace solo di comprendere la filosofia e i problemi matematici, la biologia e la storia, ma poi si era trovato a seguire ovunque quei ragazzi, nel lavoro e nel divertimento, fino a scoprirsi loro amico. E se il viaggio era andato così bene, lo dovevano soprattutto a lui.
"Prima che faccia qualunque cosa, devo bere un po' d'acqua" disse con voce strozzata "per favore, Kevin, andiamo al ruscello."
Lui fece per sciogliersi dall'abbraccio in cui erano, ma Kevin lo riprese per mano, l'attirò a sé, praticamente gli si incollò addosso un'altra volta, come se non sopportasse di restargli lontano.
Manuel li seguì, tranquillo come sempre, poi, incoraggiato da Kevin, cercò anche lui un contatto con Richard, prendendogli l'altra mano.
Questa situazione gli fece tornare in mente una sera di pochi giorni prima, quando Kevin, parlando di sé, rivelò quanto fosse importante per lui il contatto fisico con le persone cui voleva bene, come gli piacesse toccare ed essere toccato. Quella era la prima volta che parlava di sé, perché, al contrario degli altri ragazzi, era sempre stato molto riservato e non gli era mai sfuggita neppure una parola sulla sua vita, mentre tutti gli altri si confidavano tra loro con molta naturalezza.
Anche se per la maggior parte avevano subito torti orribili dalla vita, ne parlavano con un distacco agghiacciante. A Kevin non era mai sfuggita neppure una parola. A parte quella sera quando, inaspettatamente e davanti a tutti, aveva confidato che, a chi gliel'avesse permesso, lui l'avrebbe abbracciato e stretto a sé, perché era quello che più desiderava, ma per lui sarebbe stato un regalo anche solo che lo si tenesse per mano. Doveva essere, disse, un risarcimento per tutto quello che aveva dovuto subire. Lo disse senza spiegare altro e con le lacrime agli occhi, ma dall'espressione che fece, Richard capì che doveva essere stato terribile.
Quell'imprevista manifestazione di sincerità era finita nel silenzio imbarazzato degli altri che non avevano compreso il senso di quelle parole o l'avevano travisato ed erano a disagio. Poi il buonsenso, la saggezza di Richard avevano stemperato gli effetti della rivelazione, perché lui per primo l'aveva abbracciato e accarezzato, l'aveva stretto e tenuto così per un poco, poi gli aveva tenuto la mano stretta finché erano stati insieme a discutere. Quando s'era fatto tardi, se n'erano andati a dormire.
Facendo così aveva liberato quella confessione e le intenzioni di Kevin da ogni malizia.
Una malizia che per sé aveva provato ed anche molto forte. Quella notte, nella cuccetta aveva pianto, perché abbracciare Kevin era stato il momento più bello di tutto il viaggio. E quella sarebbe stata anche l'ultima volta che accadeva, per quanto poteva immaginare. Perché avrebbe dovuto abbracciarlo ancora? Sarebbe stato doppiamente immorale, primo perché lui era in una posizione di superiorità nei confronti del ragazzo e non poteva approfittarne, secondo perché non poteva desiderare di abbracciare un altro uomo. Sarebbe stata un'azione disonesta, infame e contro natura.
Risalirono la duna e videro corrergli incontro Tommy e Angelo che si gettarono insieme al collo di Richard con un tale slancio da buttarlo a terra.
"State attenti!" urlò Kevin, mentre Richard riusciva a districarsi anche da quegli abbracci.
"Ehi... calma!" disse ridendo, contento "Chi c'è con voi?"
"Mike, Joel, Terry e François sono là, vedi ?" disse Tommy tutto d'un fiato, affannato per la corsa e per l'emozione "Però François si è fatto male alla gamba... è ferito. Non so, non può alzarsi! Come sono contento che ti sei svegliato, Richard!"
Mentre piangeva e parlava, non smetteva di baciarlo.
Tommy era il più piccolo della compagnia, un ragazzino vivacissimo e ancora molto infantile, soprattutto perché, pur avendo già dodici anni, baciava sempre tutti quelli che gli davano un poco di confidenza, incurante di creare imbarazzo. Per le guance di Richard poi aveva una vera e propria passione, sviluppata non appena aveva capito che Richard non si sarebbe mai preoccupato per tutte quelle effusioni.
"Oh... Ri-richard. So-sono... sono contento anch'io" fece Angelo, sempre molto riservato, con la sua leggera balbuzie, ma ugualmente contento, commovendosi anche lui "Noi... noi temevamo che tu... non stessi bene" aggiunse "prima, quando dormivi... e non ti muovevi... e non riuscivamo a svegliarti" spiegò piangendo.
Erano tutti scossi e tutte quelle lacrime erano anche di sollievo.
Dalla cima della duna Richard poté guardare sotto di sé, c'erano tre ragazzi in piedi e un quarto, steso per terra, con una smorfia di dolore sulla faccia.
"Angelo" disse "corri giù e dì a François di non provare a muoversi, di stare assolutamente fermo finché non arrivo" tossì, aveva la gola tanto secca che gli bruciava "Prima devo bere, devo assolutamente bere. Kevin, ti prego, andiamo al ruscello!"
La spiaggia era un insieme di dune di sabbia candida, più piccole e più grandi ed era dominata da una grande roccia affiorante, alta più di cinquanta metri, un masso erratico di proporzioni gigantesche posato sulla sabbia in posizione diametralmente opposta all'apertura della laguna. Con la sua mole impediva di vedere ciò che c'era dietro e Richard, da dove si trovava, non aveva ancora idea di che tipo di isola fosse quella su cui erano naufragati. Si vedevano solo le palme ed una vegetazione rigogliosa che incorniciava la costa. La spiaggia curvava da nord e da sud restringendosi con due semicerchi fino ad un passaggio che terminava di fronte alla scogliera, dove si frangevano le onde.
Forse il capitano Mendes, manovrando nella tempesta, era andato alla ricerca proprio di quel passaggio per portare la Venture in salvo nella laguna. Quella manovra disperata aveva significato la fine della goletta e la morte di tante persone, ma la miracolosa salvezza per loro che, seguendo inconsapevolmente le intenzioni del capitano, erano davvero riusciti ad arrivare nello specchio d'acqua protetto.
Ai piedi della roccia, rasente il limite della vegetazione e protetto da una serie di dune, scorreva il torrente. Era largo qualche metro e proveniva dal folto degli alberi, da dietro alla roccia per andare a gettarsi nella laguna. Richard non riuscì a vedere più in là nella vegetazione, ma credette di distinguere un rumore continuo, come in sottofondo, che si aggiungeva al fragore delle onde contro la scogliera. Forse proprio dietro il muro d'alberi c'era una cascata.
"Prova quest'acqua, Richard" gli disse Kevin entusiasta, lasciandogli la mano e correndo verso gli alberi "Viene dalla foresta, vedi? È freschissima!"
Richard lo raggiunse, si chinò sulla riva e con la mano si portò un poco di acqua alla bocca. Aveva le labbra secche e la gola in fiamme. L'acqua era perfino troppo fredda, ma fu un sollievo, il primo vero sollievo da quando Manuel l'aveva svegliato.
Tommy, che li aveva seguiti, continuò verso il folto della vegetazione, risalendo il ruscello.
"Ehi... Tommy, non allontanarti" gli gridò Richard "Kevin, portiamo un po' d'acqua a François."
"Come facciamo?"
"C'è una conchiglia là... usa quella. Non è abbastanza grande, ma credo che dovremo abituarci, se non recuperiamo le borracce o delle stoviglie!"
Mentre provavano a riempirla e non fu facile, Tommy tornò correndo.
"Richard... Richard, devi vederla assolutamente" gridò tutto infervorato "di là c'è una cascata grandissima e sotto c'è il laghetto. È di là che parte il ruscello. Sembra un posto fantastico! E c'è anche un albero gigantesco! È... e c'è..."
"Sarà sicuramente una cosa bellissima, Tommy" lo placò Richard "ma ora dobbiamo tornare da François a vedere cosa non va alla sua gamba, poi ci andremo tutti insieme."
Tornarono indietro, raggiungendo gli altri.
Il corpo bruno di François contrastava con la sabbia bianca, resa brillante dal sole del primo mattino. Angelo era inginocchiato al suo fianco e pareva una versione meno colorata e più infantile di François, perché aveva due anni meno di lui e il sole dei mari del sud aveva dato alla sua pelle il colore del bronzo. Era di razza bianca, di origine italiana, ma di colorito assai scuro.
C'erano anche Mike e Joel.
Richard vide subito che François era sveglio e cosciente, ma la sua faccia era una maschera di dolore.
"Che ti senti, fratello?" gli chiese, inginocchiandosi accanto e cercando di non guardargli la gamba.
François era un buon compagno di conversazione, con la battuta pronta. Sicuramente il più maturo fra gli ospiti della Venture. In quel momento però stava davvero soffrendo.
"La gamba... mi fa male" gemé "Mi fa un male tremendo, Richard. Non posso muoverla!"
Richard si fece forza e voltò lentamente la testa, sforzandosi di guardare la gamba ferita. Si sent ì svenire, perché poteva vedere chiaramente il bianco dell'osso nella lacerazione della pelle.
Facendo appello alle sue scarse nozioni di pronto soccorso, gli tastò con attenzione la caviglia destra, il polpaccio e poi la tibia. Intuì, più che sentirlo al tatto, il punto in cui doveva esserci la frattura che per fortuna non era esposta, appena più in basso della ferita. François accentuò la sua già terribile smorfia, contrasse i muscoli e gridò, quando Richard premette leggermente.
Un po' più sopra della frattura c'era una grande lacerazione della pelle, in alcuni punti abbastanza profonda perché si scorgesse l'osso.
Quella era una cosa che Richard non avrebbe mai immaginato di dover vedere. E di guardarla senza svenire. E non svenne.
Lui non aveva mai pensato di poter fare il medico. Il sangue gli dava i brividi, le ferite lo sconvolgevano, la sofferenza degli altri diveniva immediatamente la sua, ma dimenticò tutto e si convinse in fretta a guardare con attenzione la gamba di François, perché capì che in quel momento, in quell'occasione era l'unico a poterlo fare. E questo gli diede la forza di continuare a guardare, dopo la prima tremante occhiata.
Non potendo farlo apertamente, pianse dentro di sé fingendosi forte. L'ultimo pensiero che fece, prima di concentrarsi su quel povero ragazzo ferito, fu che se avesse potuto sarebbe svenuto volentieri, ma quello non era il momento adatto.
François doveva aver perso sangue, ma la ferita pareva miracolosamente asciutta, forse cauterizzata dalla lunga immersione nell'acqua salata e poi dall'esposizione al sole. Era anche abbastanza pulita e con un poco di fortuna si sarebbe rimarginata senza infettarsi
Il problema era curare la rottura dell'osso. E non sarebbe stata una cosa facile, né indolore. Per il ferito, soprattutto, ma anche per il medico che si sentiva morire al pensiero di ciò che stava per fare, sempre che fosse la cosa giusta.
"Credo che l'osso sia rotto, François, ma per fortuna la frattura è ben composta, cioè l'osso è allineato" si obbligò a dire, con una voce tranquilla che non gli pareva sua "Credo insomma che si salderà da sola, ma finché non lo farà, tu non potrai appoggiarti su questa gamba per nessun motivo. Adesso però dobbiamo rendere rigida la gamba e anche disinfettare la ferita, ma per ora non abbiamo niente per farlo. Ci penseremo non appena avremo recuperato la cassetta del pronto soccorso dalla Venture. Per favore, Kevin, vai a cercare due pezzi di legno dritto che possano servire come stecche."
"Come te la sei fatta?" chiese cercando di distrarre François e se stesso, provando a non pensare a ciò che stava per fare.
"Un'onda mi ha sbattuto sugli scogli" disse François "Avevamo visto la spiaggia per il bagliore dei lampi ed io nuotavo nel canale con Terry e Joel, cercando di raggiungerla, quando mi sono sentito sollevare e scaraventare contro gli scogli. Ho pensato che sarei morto... e allora... credo... ho visto mio padre..." si fermò, con gli occhi sbarrati poi incominciò a piangere, commosso dal ricordo, dal pensiero che suo padre potesse averlo protetto in quel momento terribile.
"È passato... è finita adesso" Richard l'accarezzò "siamo al sicuro" gli disse per tranquillizzarlo.
"Si... Richard, ma è stato lui a proteggermi, io lo so. Lui mi ha tenuto la testa, non me l'ha fatta sbattere. E allora mi sono fatto male alla gamba. Lui però mi ha..." disse e si agitò "protetto la testa... tu mi credi, Richard? Tu credi ai miracoli? È stato lui dal cielo..."
"Si... fratello, ci credo. Ci credo anch'io!"
"È stato mio padre a salvarmi!" ripeté François, convinto e sempre più commosso da quell'idea che certamente lo confortava.
"Si, è andata così!"
"... e poi Terry è riuscito ad afferrarmi e con Joel mi hanno portato a riva..." era sempre più commosso "insomma, direi che anche loro mi hanno salvato, no? Il merito è anche loro... se sono qua."
"A dire il vero" puntualizzò Joel con la sua voce squillante, talvolta più grave, sempre diversa a seconda dei momenti, perché nel tredicenne Joel stava cambiando tutto proprio in quei giorni "ad essere onesto... è stato Terry a salvarti, perché è riuscito a riprenderti dopo che sei finito contro la scogliera. Io ero solo attaccato a lui che tirava anche me. Pensandoci, adesso che è tutto finito... forse ero più un peso... Richard, è stato Terry a salvarci! Anche a me!"
"Certo... sei stato davvero in gamba, ragazzo" fece Richard, guardando Terry che sorrideva orgoglioso "ma anche tu, Joel, sei stato bravo!"
François continuava a piangere.
"Ehi, fratello" sbottò allora Terry, inginocchiandosi accanto a lui "se non la smetti di piangere, mi farai pentire di averti salvato!"
Terry era molto spiccio, ma aveva un grande cuore e non gli andava di essere troppo lodato, né che François piangesse tanto.
"Dai... fratellino..." urlò Tommy "vedrai che adesso Richard ti farà guarire!"
Là accanto c'era Mike che se ne stava silenzioso.
"Ehi, Mike, e a te come va?" chiese Richard che aveva già notato la sua aria afflitta.
"Sto bene!" brontolò, distogliendo subito lo sguardo.
"Richard... Richard" era Tommy che non ne poteva più di stare zitto e cercava di attirare la sua attenzione "a me e ad Angelo ci ha salvati Jason. È stato lui a dirci che dovevamo gettarci in mare, prima però ci ha fatto indossare i salvagente. E poi ha lanciato il canotto gonfiabile. Angelo è stato bravo a saltarci dentro e poi ha tirato a bordo anche me. Io non ce la facevo più a stare in acqua, perché avevo freddo. Poi abbiamo visto che Jason stava per saltare in mare, ma proprio allora, invece di lanciarsi nella nostra direzione, è volato via dall'altra parte, ha sbattuto contro la murata ed è sparito... lui era un bravo marinaio!"
Tommy concluse con la faccia seria e gli occhi lucidi. E anche se quelle parole furono dette con una voce squillante, ancora da bambino, avevano il tono tragico di un epitaffio del quale il povero Jason, davvero un buon marinaio, un uomo gentile e sensibile che era diventato amico di tutti i ragazzi, sarebbe stato certamente orgoglioso.
"Noi ci ha salvati Richard... a me e a Kevin" disse Manuel anche lui preso dalla foga di raccontare, di rievocare "e siamo arrivati a nuoto nella laguna. Ci ha salvati lui" ripeté, accarezzandogli la spalla "e io credo ai miracoli!"
In quel momento Kevin tornò con due rami ripuliti, della giusta lunghezza e spessore.
"François, adesso forse ti farò un po' male" disse Richard, preparandosi alla prova "ma poi vedrai che ti sentirai meglio. Cerca di stare fermo. Kevin, mettiti alle sue spalle e reggilo" gli fece segno di tenerlo per le braccia, poi con la massima attenzione toccò la gamba fratturata "Joel tu tienigli il piede. François stai fermo per favore e stai attento."
Mise le stecche ai lati del polpaccio e poi si guardò attorno: "Ho bisogno di qualcosa con cui legarle... Kevin, hai visto qualcosa che sembrasse una corda, una liana?"
"No... niente"
"Mike, posso usare i tuoi pantaloncini?"
Mike era più vicino ai sedici che ai quindici anni, era il più robusto e sviluppato del gruppo ed anche il più maturo fisicamente. Guardò Richard con orrore.
"Vaffanculo! No!" urlò "Non me ne andrò mai in giro nudo, come se fossi un finocchio!" e si allontanò offeso, con la faccia in fiamme, cosa che gli accadeva molto spesso.
Immediatamente Richard si alzò e si tolse i pantaloncini, restando solo con gli slip.
"Terry, posso usare anche i tuoi pantaloni, per favore?"
Il ragazzo se li sfilò e glieli diede senza protestare.
Richard strappò velocemente gli indumenti, facendone delle strisce. Poi, con molta attenzione, sollevò la gamba di François che grugnì e si lamentò per il dolore, sforzandosi di non urlare. Richard se ne accorse.
"Grida... François. Grida, ma cerca di non muoverti!" l'incitò.
Finalmente riuscì ad assicurare le due stecche. Quando ebbe finito il ragazzo era stremato.
"Adesso ti porteremo all'ombra, sulla riva del ruscello. Vieni, ti aiuto ad alzarti, ma tu tieni la gamba sollevata e non appoggiarla per nessun motivo. Metti un braccio sulle mie spalle e su quelle di Kevin."
Lo spostarono, sistemandolo all'ombra, sotto le palme.
"Ragazzi, cercate qualcosa che sia possibile mangiare, senza avvelenarci. Io e Kevin cercheremo di sistemare François meglio possibile. Per qualche giorno non potrai camminare, fratello!"
Trovarono con molta facilità della frutta già sui primi alberi attorno alla spiaggia. C'erano banane, manghi e papaie.
Tornarono verso gli altri portando bracciate di tutto quello che erano riusciti a trovare, spaccarono i frutti usando le mani e qualche sasso. Erano tutti affamati e cominciarono a divorare tutto il possibile.
"Dobbiamo fare un sacco di cose" mormorò Richard mentre anche masticava avidamente.
Aveva parlato più a se stesso che agli altri. I ragazzi, che erano ancora troppo impauriti, lo guardarono, aspettandosi che li aiutasse, che avesse pronta una soluzione per tutti i loro problemi.
"Non so se avremo il tempo di fare tutto, perché presto la Venture sarà trascinata via dalle onde" proseguì lui, spiegandosi "dobbiamo assolutamente tornare a bordo e dobbiamo farlo prima che si alzi la marea, per vedere se là c'è ancora qualcuno e portare via quello che è rimasto e che potrà servirci. Soprattutto il cibo e gli attrezzi da lavoro che riusciremo a trovare e poi dei vestiti. Dobbiamo vedere se la radio funziona ancora. Un'altra cosa che dobbiamo fare in fretta è trovare un luogo adatto a dormire per stanotte e finché non verranno a cercarci..."
"E quando verranno?" chiesero.
"Non lo so. Credo che sarà presto, ma dobbiamo prepararci ad aspettarli. Non sappiamo per quanto tempo."
Lo guardavano tutti. Forse qualcuno non si rendeva ancora conto della situazione. Tommy era il più spaventato e aveva gli occhi sbarrati, qualcuno tremava, anche tra i più grandi. Erano tutti terrorizzati.
"Qualcuno sa dove siamo esattamente?"
Tutti scossero il capo.
"Io... io mi ricordo che..." Terry cominciò esitante "ero con il capitano a fare il punto... ieri sera, ma non ricordo bene le coordinate. Però ho capito che era molto preoccupato per la tempesta che si stava avvicinando. Ha detto che eravamo molto lontani... disse proprio così: 'Dio mio, siamo così lontani da tutto!'. Poi si è accorto che c'ero anch'io e che lo stavo ascoltando, allora mi ha chiesto di portargli una tazza di caffè e perciò adesso non so dove siamo esattamente."
"E non ha nominato nessuna isola, il nome di un posto?" chiese Kevin.
Terry fece di no con la testa, sconsolato.
"Eravamo in navigazione da cinque giorni" ricordò Kevin.
"Si, facevamo rotta a sudest, e il capitano Mendes diceva che eravamo ancora assai lontani dalle Filippine" aggiunse Terry e questa notizia non contribuì a risollevare il morale.
"Va bene, ragazzi, tenteremo di capirlo in qualche altro modo" disse Richard "per ora cerchiamo un posto per ripararci nel caso ci sia un'altra tempesta, un posto che non deve essere molto lontano dalla spiaggia. Tommy, credo che sia arrivato il momento di farci vedere la tua cascata. Forse andrà bene. Chi resta con François?"
Manuel che era seduto accanto al ferito gli prese la mano.
"Sto io con lui, Richard" disse, anticipando Mike che stava per dire qualcosa.
Intanto Tommy, felicissimo, era saltato in piedi e già correva guidandoli velocemente verso il posto che aveva trovato, ma non attraversò la fitta vegetazione, preferì risalire il pendio e scendere dall'altra parte. Appena superato il crinale, improvvisamente i ragazzi non udirono più il rumore delle onde che si infrangevano sulla scogliera, ma un fragore improvviso, il rumore della cascata che cresceva ad ogni passo. Camminarono per poco, facendosi largo nella vegetazione e finalmente giunsero alla radura.
Nessuno si aspettava ciò che gli si parò davanti.
Tommy aveva ragione, lo scenario era grandioso. C'era un laghetto, in parte circondato da alberi molto alti e alimentato dalla cascata che cadeva dal dirupo per almeno un centinaio di metri, dividendosi in un'infinità di rivoli. Le rive del lago erano di sabbia fine e bianca che si arrendeva all'erba di un verde molto scuro e dall'apparenza morbida. Una sponda del lago era presto inghiottita dalla foresta equatoriale. Dall'altro lato si apriva la radura, nel cui centro c'era l'albero più grande che avessero mai visto oppure anche solo immaginato. Era gigantesco, in confronto al lago e alla cascata, al dirupo, alla montagna che dominava la radura, così grande da far sembrare tutto uno sfondo, una cornice messa lì a celebrare quel fenomeno della natura.
Nessuno parlava, erano tutti rapiti dallo spettacolo, finché Kevin disse: "É meraviglioso... Richard, Tommy, è incredibile!" e tutti gli altri lo seguirono con esclamazioni di stupore.
"Che albero è?" chiese Tommy, con gli occhi sgranati.
"É... è enorme..." dissero insieme Joel e Angelo.
"Credo sia una mangrovia" spiegò Richard "Non è stupenda? È un albero vecchio di migliaia di anni, quasi come le sequoie del Sequoia National Park."
E nel dirlo gli venne in mente che forse lui era l'unico che aveva potuto visitare il parco. Se anche li avessero avuti, i genitori di quei ragazzi difficilmente li avrebbero accompagnati a vedere le sequoie in California.
"Che ne dite di questo posto, ragazzi?" chiese, riprendendosi in fretta da quei pensieri.
"Oh... è fantastico!" ripeterono un po' tutti e perfino a Mike sfuggì un fischio di ammirazione.
"Per stanotte ci accamperemo qua, che ne dite? Quell'erba sembra davvero morbida! È protetto ed è abbastanza vicino alla laguna. C'è l'acqua per bere e per lavarci e potremo dormire sotto l'albero."
Prese Tommy da dietro e l'abbracciò, stringendogli le spalle, si abbassò fino a parlargli quasi in un orecchio.
"Sei forte, piccolo!" gli bisbigliò, poi alzò la voce "Credo che dovremmo chiamarle 'Tommy's Falls'. Questo ragazzo se lo merita! Che ne dite, siete tutti d'accordo?"
"Si!" gridarono insieme, esaltati da quell'avventura, mentre Tommy era così commosso che non riuscì neppure ad urlare la sua gioia.
Quell'entusiasmo, quella felicità così presto conquistata procurò a Richard un po' di preoccupazione. Quando fosse passata l'eccitazione dell'avventura, di là a qualche giorno, o a qualche ora, davanti alla prima difficoltà, sarebbero stati ancora così uniti ed entusiasti, oppure sopravvivere sarebbe diventato ancora più difficile?
Tornando verso la spiaggia riuscirono a segnare un sentiero nella foresta che evitasse di salire troppo in alto sul crinale. Quando arrivarono alla laguna, Richard li divise in gruppi. Kevin e Manuel l'avrebbero accompagnato con il canotto sul relitto della Venture, gli altri avrebbero cercato fra le dune il materiale che vi era stato gettato dal mare e avrebbero atteso il loro ritorno per decidere ciò che c'era da fare. Ovviamente dipendeva tutto da quanto era danneggiata la Venture e da cosa c'era ancora di recuperabile a bordo.
Richard voleva cercare soprattutto altri superstiti e anche recuperare la cassetta del pronto soccorso. Poi con calma, se ce ne fosse stato il tempo, avrebbero raccolto gli attrezzi, di ogni genere, qualunque cosa sarebbe stata utile nei giorni successivi e chissà fino a quando. Dovevano portare via il cibo, le coperte, le amache che sarebbero state preziose per dormire, corde ed ogni tipo di materiale. I vestiti, le scarpe, perché non potevano andare in giro scalzi e nudi. Infine, anche se non era proprio il momento di pensarci, sperava ardentemente di recuperare almeno qualche libro e della carta, penne e matite, per scrivere, per continuare ad essere un essere umano, razionale, abituato ad affidare alla carta i suoi pensieri e a trarre da un libro l'ispirazione per un'idea, per un progetto.
Prima del naufragio, sulla Venture c'era tutto questo, il problema era di scoprire cosa era scampato ed avere l'opportunità per metterlo in salvo.
Avvicinandosi con il canotto, notarono un movimento sul ponte e poi udirono il guaito di un cane.
"È Hook... è vivo" gridò Richard "anche lui è salvo" disse commovendosi fino alle lacrime.
"Hook... Hook " lo chiamarono contenti e la grande testa nera del cane spuntò da sopra alla murata, mostrando la lingua penzolante.
Si guardarono felici e fecero tutti e tre lo stesso pensiero, immaginando quanto e come Hook stesse scodinzolando in quel momento e come li avrebbe leccati una volta che li avesse avuti a portata della sua grande lingua rosa.
Il cane faceva parte dell'equipaggio ed era il compagno fedele del capitano Mendes che seguiva come un'ombra. Ma lo era anche di un po' tutti gli uomini e di tutti gli ospiti che si avvicendavano sulla Venture. Hook era un meticcio di origini incerte che tutti però facevano risalire ad un antenato Labrador o più probabilmente Terranova. Nero come la pece, era abbastanza grande e pesante per gettare a terra chiunque tentasse di resistergli se avesse deciso di correre o di saltargli addosso, facendo le feste. A bordo era l'essere vivente trattato meglio e il più coccolato di tutti. Il suo posto era il ponte di comando, proprio sotto il timone che abbandonava solo per qualche nuotata e per giocare con i ragazzi, rincorrerli, lasciarsi cavalcare da Tommy e grattare un po' da tutti.
Anche lui doveva aver trascorso una brutta nottata ed ora era certamente spaventato e addolorato per il naufragio e la probabile perdita del suo padrone, la scomparsa degli altri uomini.
"Povero Hook..." sfuggì a Richard, mentre pensava a queste cose.
Il cane li accolse scodinzolando come avevano immaginato, ma, quando Richard balzò sulla coperta, invece di saltargli addosso, Hook gli prese la mano in bocca lo tirò senza tanti complimenti verso la cabina, quasi facendogli male con i denti. E là dietro c'era Chris, steso, in una posa innaturale, come un manichino caduto da chissà dove. Una gamba quasi sotto il corpo e un braccio in alto come se cercasse di alzare la mano per farsi notare.
Era l'unico dei ragazzi a non essere arrivato sulla spiaggia e stava là, con il corpo sottile, contorto, coperto di lividi e ferite. Aveva sangue sulla faccia, per un taglio che lo segnava dalla bocca allo zigomo. E un segno violaceo ed escoriato che gli attraversava il torace.
Richard gli si mise accanto, in ginocchio, tremante. Per un momento temette che fosse già morto, ma posatagli la mano sulla fronte si accorse che era calda, febbricitante. Chris aprì gli occhi per un attimo, li richiuse, poi tornò ad aprirli.
"Finalmente... Richard, sapevo che saresti tornato!" bisbigliò quando lo riconobbe "Ti ho aspettato tanto... fortuna che c'era Hook con me!"
"Come va, piccolino?" chiese accarezzandolo.
Gli toccò la gamba piegata, fissandolo per cogliere qualunque espressione di dolore. Lentamente gliela sfilò da sotto il corpo. Forse non era ferita oppure, e Richard tremò, Chris non provava più dolore.
"Ehi... non sento pi ù le gambe" disse infatti, ma la voce era quasi un rantolo.
"Riesci a respirare?"
"Non... non tanto bene" infatti era affannato "non so che cosa mi succede, ma tutte le volte che penso ad alzarmi, mi manca l'aria e mi fermo."
Manuel era scosso da ciò che vedeva e sentiva, era intontito, ma gli prese la mano, e l'accarezzò, incapace di parlare.
"Cerca di stare calmo" disse Richard, cercando di apparire lui stesso sereno "adesso ti aiuteremo e verrai con noi sulla spiaggia. Sai se c'è qualcun altro a bordo?"
"Non lo so... a parte Hook non credo... non c'è più nessuno" faceva fatica a parlare.
"Va bene, va bene, non affaticarti."
"Ma... ho visto che molti venivano sbalzati fuori bordo, prima che finissimo sugli scogli."
"Si... ma non pensarci... ti porteremo a terra e là starai meglio."
Richard stava alzandosi per guardarsi attorno e cercare il modo migliore per trasportarlo, quando Chris gli prese la mano.
"Richard... senti, aspetta... ti prego. Devo dirtelo... adesso. Poi chissà... voglio solo dirti che è stato il capitano a salvarmi! Lo sai che... quando l'albero mi è caduto addosso, lui è venuto ad aiutarmi? Credevo di morire, ma lui mi ha aiutato... ha sollevato l'albero e mi ha sfilato da sotto. Però... proprio mentre lo faceva, un'ondata l'ha spazzato via. E allora è scomparso... e non l'ho più visto. E adesso mi dispiace tanto... è stata colpa mia..."
Forse stava per piangere, ma cominciò a tossire, mentre Richard gli teneva la testa sollevata per aiutarlo a respirare e l'accarezzava per calmarlo, per rassicurarlo.
"Non parlare adesso, Chris... vedrai che andrà tutto a posto" ma anche lui era disperato e addolorato.
"Chi c'è sulla spiaggia?" volle sapere quando si calmò.
"Tutti noi ragazzi, ma nessuno dell'equipaggio. Noi stiamo bene, sai? Solo François ha una gamba rotta."
Chris parve acquietarsi per questa notizia e chiuse gli occhi, cadendo in un torpore che preoccupò Richard ancora di più. Manuel gli teneva la mano, mentre Kevin li guardava spaventato. Hook se ne era andato al suo posto, sotto il timone. Stava accovacciato, forse aspettando il capitano che non sarebbe più tornato.
Richard si scosse a questo pensiero, s'alzò guardandosi attorno. Vide subito e con grande sollievo che una delle grandi scialuppe era ancora legata ai supporti. Per l'inclinazione della Venture, poteva essere calata in mare dalla parte della laguna, anche da loro tre e senza tante difficoltà.
La tempesta era stata così improvvisa che non avevano avuto il tempo di usarla e chissà dov'erano finite le altre.
Kevin e Manuel manovrarono insieme i paranchi per calarla in acqua e Richard stese un telone accanto a Chris.
"Ti spostiamo qua sopra, poi cercheremo di farti scendere nella lancia. Vedrai, faremo in fretta e tu non farai in tempo a sentire nulla. Va bene?"
Chris pareva assopito e Richard non era sicuro che avesse capito.
Sapeva che le ferite di erano molto gravi, probabilmente aveva un'emorragia interna e i polmoni schiacciati e non sentiva più le gambe, chissà per quale motivo. Il corso di primo intervento, fatto a scuola, non l'aveva preparato a fronteggiare situazioni come quella, ma conosceva abbastanza l'anatomia umana per capire che quelle ferite erano assai gravi, forse mortali e non sapeva quale fosse il rimedio, ammesso che esistesse. Quella gravità, la sua impotenza, anziché assolverlo, lo fecero tremare di più, perché pensò che adesso, nelle sue mani e solo nelle sue, c'era la vita di un ragazzo. Lo guardò e pensò che quella vita era ormai come sabbia che gli sfuggiva tra le dita. E non c'era nessuno cui chiedere aiuto. Si ribellò a quell'idea, a rassegnarsi.
Chris si lamentò quando lo spostarono, tossì e dalla bocca gli colò un poco di sangue, poi si calmò. Ricadde nel torpore che lo difendeva dalla sofferenza. La discesa nella lancia fu difficile, ma finalmente riuscirono ad adagiarlo sul fondo. Lasciato con lui Manuel che non smetteva di guardarlo con gli occhi sbarrati, risalirono a cercare la cassetta del pronto soccorso. La trovarono agganciata ad una parete della cambusa, era intatta. Anche gli alloggi dell'equipaggio erano in buone condizioni, solo il pavimento era invaso dall'acqua che passava attraverso una grossa falla nello scafo.
Il contenuto della cassetta si rivelò molto ricco. Ci trovarono antibiotici, stecche e bende per François e anche fiale di morfina che Richard pensava di somministrare a Chris, per essere certo che non soffrisse.
"Ho trovato della morfina, Chris, ora te ne inietterò un poco e non sentirai più male."
Pensò che avrebbe dovuto bollire la siringa, ma scacciò l'idea. Sulla scialuppa non c'erano fornelli per scaldare l'acqua e non ce ne sarebbero stati su tutta l'isola, chissà fino a quando.
Si concentrò sull'iniezione. Era la prima volta che ne faceva una. Ma prima non aveva mai fatto naufragio, né aveva ricomposto una frattura, né aveva visto morire delle persone. Il pensiero dell'equipaggio e del capitano che ora erano chissà dove, gli strinse il cuore e credette di stare per piangere. Guardò Chris e si concentrò sul suo volto, sul dolore che certamente provava. Non ebbe più esitazioni e facendo del suo meglio gli iniettò il liquido nella coscia. Il ragazzo non se ne accorse nemmeno. Dopo l' iniezione però si rilassò e prese a respirare più facilmente.
Portarono Hook nella scialuppa e per farlo dovettero prenderlo in braccio e passarselo con qualche problema di equilibrio. Il cane non voleva abbandonare la Venture e fu un ulteriore motivo di commozione per loro. Lanciava guaiti strazianti, guardando la goletta allontanarsi, mentre Richard e Kevin remavano cercando di raggiungere la laguna prima possibile.
Manovrando la lancia, tornarono alla spiaggia e trasportarono Chris accanto a François.
Hook fu accolto con entusiasmo da tutti, ma specialmente da Tommy che ne aveva fatto il proprio giocattolo personale sulla Venture.
"Tieni d'occhio Chris" fece Richard a François che per fortuna se l'era cavata con molto meno "cercate di farvi compagnia anche se lui non può parlare e tu non puoi muoverti. E se ti accorgi che qualcosa non va, chiamaci, oppure convinci Hook a venire ad avvisarci."
Risero tutti, perché era nota l'impossibilità di convincere Hook ad essere in qualche modo utile.
"Ehi... fratello, tu grida forte" gli raccomandò Mike "se hai bisogno, grida, va bene?" e gli accarezzò la spalla, con un movimento inatteso e improvviso. Poi scappò lontano, in attesa di capire come rendersi utile.
"Si, ragazzi... va bene" disse François "e non vi preoccupate per me! Per noi..."
"No, fratello" disse Richard, serio "anche se fosse per te, se hai bisogno di qualcosa. Se la gamba ti facesse male. Quella che hai è una frattura e potrebbe farti davvero male fra un poco, quando ti sarai calmato! Se sarà così, chiamaci. Va bene?"
Poi alzò la voce, perché tutti lo sentissero.
"Nessuno tocchi mai le medicine. Per favore. Per ora Kevin sarà il responsabile della cassetta del pronto soccorso! Chiunque abbia bisogno di qualcosa dovrà chiederla a me o a lui!"
"E che ha di speciale Kevin?" urlò Mike da dov'era, pareva esasperato e stava per piangere "È il tuo fidanzato, non è vero?" insisté "Perché sei un finocchio anche tu! Non è vero? Come ho fatto a non capirlo prima?"
"Vuoi la responsabilità di qualcosa, Mike?" chiese Richard senza scomporsi, con una voce così calma che risultò più efficace che se si fosse messo a urlare.
"Dobbiamo scaricare tutto dalla Venture" borbottò Mike, improvvisamente calmo "e lo dobbiamo fare il più in fretta possibile!"
"È vero, hai ragione, dobbiamo fare tutto in fretta e tu devi aiutare. È per questo che ho chiesto a Kevin di guardare le medicine, tu mi servi sulla Venture. Dobbiamo darci da fare, cercare di capire quali cose ci servono di più, cominceremo a recuperare le più importanti. Mi fido di te, Mike! Tu ed io siamo i più forti. Dobbiamo farlo noi, tocca a noi due fare il lavoro pesante."
"Va bene..." borbottò confuso da quella manifestazione di fiducia. Non se l'aspettava da Richard, né da nessun altro, mai. Nessuno aveva mai avuto fiducia in lui.
Lanciò un'ultima occhiata a François e corse verso la lancia, seguito dagli altri.
Tornarono alla goletta e Richard andò a cercare un paio di pantaloncini, perché girare mezzo nudo l'imbarazzava. Poi andò nella cabina dov'era la radio per capire in quali condizioni fosse, ma ebbe una brutta sorpresa. Nella collisione con la scogliera, la parete contro cui era assicurata aveva subito i danni peggiori e la radio giaceva per terra, a pezzi, mostrando oscenamente le interiora, valvole rotte e fili staccati. E così se ne andava anche la remota speranza che con una radio intatta riuscissero a produrre l'energia elettrica per farla funzionare. Lui in fisica se la cavava abbastanza e avrebbe almeno potuto tentare. Sarebbe stato comunque un miracolo, ma con la radio in quelle condizioni, avrebbe dovuto fare una vera magia per farla funzionare.
Tornò in coperta e si diede da fare con gli altri per cercare di recuperare il possibile.
A babordo la Venture era integra, mentre a dritta, dov'era finita contro gli scogli, appariva molto danneggiata, tanto che nello scafo entrava acqua ogni volta che un'onda si infrangeva sulla scogliera.
Con la lancia e il canotto i ragazzi fecero i turni ai remi, recuperando ogni tipo di materiale e scaricandolo sulla spiaggia. Non smisero un momento e, quando il sole sfiorò la linea dell'orizzonte, tutto quello che c'era di trasportabile, che non si era perso nella tempesta e non era stato rovinato dall'acqua, fu messo un salvo. Quello che considerarono più prezioso e importante fu trasportato fino alla grande roccia, tutto l'altro materiale fu lasciato al riparo delle prime dune di sabbia, all'interno della laguna, per essere spostato in seguito.
Avevano recuperato gli alberi di maestra e il trinchetto, schiodato buona parte delle tavole della coperta e quello che potevano del fasciame, trainandolo fino alla spiaggia con grande difficoltà, perché era materiale troppo pesante per le loro forze. Fra tutti, solo Mike, Richard e Kevin, che però era molto magro, potevano dirsi fisicamente sviluppati, gli altri erano ancora troppo giovani e qualcuno anche gracile, oltre che denutrito, fino a un mese prima.
Recuperarono tutte le vele, anche i brandelli di quelle che si erano strappate, le corde e le gomene che sarebbero state preziose per fare legature e costruzioni con il legno.
Fu un lavoro difficile, massacrante e quando il sole cominciò a tramontare erano esausti per la giornata di lavoro, senza contare che la notte precedente avevano fatto naufragio e rischiato seriamente di morire.
Nessuno si era risparmiato e tutti avevano le mani e le spalle piagate, qualcuno anche tagli e ferite dovute soprattutto al legno che avevano maneggiato. Ad ognuno di loro Richard aveva tentato di portare un po' di sollievo, disinfettando le ferite e fasciando le piaghe come si formavano. Aveva fatto il possibile e non era stato abbastanza, per il suo modo di pensare.
Non si univa al pianto di fatica e di sofferenza dei più piccoli, solo perché facendolo li avrebbe demoralizzati. Tutti si aspettavano che fosse lui a far coraggio, a mostrarsi forte, instancabile. Non lo pensava per presunzione, ma lo sapeva, per la sensibilità del suo animo.
Insieme avevano lottato contro il mare che presto, non appena il vento fosse aumentato d'intensità e per effetto della marea, si sarebbe preso quello che restava della Venture.
Nel pomeriggio l'acqua del canale aveva cominciato ad incresparsi e poi ad agitarsi, tanto che non avevano potuto più usare il canotto. Anche la lancia, dopo un poco, aveva cominciato ad avere difficoltà a tenere il mare. Appariva e scompariva tra le onde che diventavano più alte ad ogni passaggio. A quel punto, su tutti, anche su Richard, era calata un'inquietudine che nei più piccoli era diventata apertamente paura, per il ricordo del naufragio, dei momenti terribili vissuti solo la notte prima.
Richard li vide tremare all'idea di tornare sulla scogliera un'ultima volta e fu allora che ordinò di abbandonare definitivamente la Venture.
Quella decisione lo fece soffrire come se fosse stato il vero capitano di quella nave.
Persero l'albero di mezzana, l'unico rimasto ritto e che era impossibile tagliare. Dovettero lasciare anche il motore diesel che era troppo pesante e che, se avessero avuto più tempo, avrebbero anche potuto smontare, portandolo via a pezzi. O almeno provarci. Lasciarono delle tavole ancora attaccate alla chiglia e molte delle parti in ferro, ma, in realtà, quello che il mare si sarebbe portato era poco più che lo scheletro della goletta. Quello che più crucciava Richard era di dover abbandonare il carburante nel serbatoio. La nafta che non era andata perduta nella collisione sarebbe stata preziosa per loro, se la permanenza si fosse prolungata. Avevano recuperato poche candele e torce e ancor meno petrolio. Far luce di notte sarebbe stato difficile, se non impossibile, ma non avevano né il tempo, né recipienti adatti a travasare il carburante. E poi non sapevano come estrarla dal serbatoio.
Quella fu una giornata molto difficile anche per François che assistette Chris praticamente da solo, trascinandosi, strisciando, di qua e di là per passargli di continuo il panno bagnato sulle labbra e sulla fronte. Quello fu l'unico conforto che poté dargli. Trascorse il tempo a sorvegliare il dormiveglia agitato del ragazzo e a disperarsi per non poter aiutare i compagni. In alcuni momenti pianse per Chris, ma fu ben attento a non lasciarsi prendere dalla disperazione, sapendo di essere solo con se stesso ed anche l'unico sostegno per il ferito che ogni tanto apriva gli occhi, come richiamato da qualcosa e dopo essersi guardato attorno, forse sorpreso d'essere ancora vivo, lo gratificava con una smorfia che forse era un sorriso e poi ricadeva nel torpore. Anche Hook era triste, accovacciato accanto a loro, seguiva i movimenti di François, ogni tanto guaiva, guardando tristemente verso la scogliera, al relitto della Venture, cercando il suo padrone.
Quelle fatiche, i disagi di tutti, però, avrebbero portato un enorme beneficio, perché ora avevano una buona varietà di attrezzi da carpenteria, reti e canne da pesca, coperte, materassi e cuscini, oltre che lenzuola e federe che avevano messo ad asciugare, perché la parte di stiva dov'erano ammucchiati era stata invasa dall'acqua. Avevano recuperato anche molti viveri che sarebbero stati sufficienti a nutrirli per qualche mese, ma solo se utilizzati con parsimonia ed integrati con la frutta fresca che pareva esserci in abbondanza sull'isola. Avevano preso alcune amache, perché altre erano scomparse nella tempesta, parecchi vestiti che appartenevano soprattutto ai marinai. La maggior parte del loro vestiario invece era andato perduto, perché la zona di coperta in cui dormivano era stata devastata dalla collisione con la scogliera. Fortunatamente avevano recuperato molte paia di scarpe, la maggior parte in misure grandi. E quello, aveva pensato Richard, sarebbe stato un bene se avessero dovuto trascorrere qualche anno sull'isola. Essendo ancora ragazzi, a tutti sarebbero cresciuti i piedi e avrebbero avuto bisogno di scarpe sempre più grandi.
A quel pensiero, gli si strinse il cuore. Era possibile che trascorressero anni su quell'isola, lontani da tutto, prima che qualcuno riuscisse a trovarli. Sarebbero stati tanti piccoli Robinson Crusoe, forse sarebbero morti là e nessuno al mondo avrebbe avuto più notizie di loro.
Quella fu un'idea terribile, un pensiero che lo perseguitò per tutta la giornata, solo mitigato da una visione che gli diede un enorme, temporaneo sollievo. Fu quando, entrando in una delle cabine, constatò che i libri della Venture erano tutti, proprio tutti, salvi. Ce n'erano alcuni per terra, scaraventati fuori dagli scaffali, ma il posto in cui erano sistemati non era stato danneggiato dalla collisione con la scogliera. Non se n'era perso nessuno, neppure uno era bagnato.
Quando aveva deciso di partire con la Venture, aveva chiesto al nonno il permesso di curare la composizione di una biblioteca, con l'intento di offrire qualcosa da leggere ai ragazzi. Il nonno gli aveva risposto che ragazzi come quelli che avrebbe trovato a bordo della Venture, difficilmente avrebbero letto qualcosa, ma lui era stato irremovibile e alla fine il vecchio aveva ceduto, apprezzando soprattutto il modo con cui aveva cercato di difendere quell'idea. Gli aveva consentito di portare sulla goletta tutti i libri che voleva, l'occorrente per scrivere, con abbondanza di quaderni, matite, penne e inchiostro, righelli, fogli e cartoncino, addirittura l'occorrente per dipingere, con un'infinità di pennelli, colori e acquerelli.
Fortunatamente avrebbero recuperato tutto, quasi nulla era stato danneggiato.
Lui era un ragazzo previdente e coscienzioso, molto assennato. Lo era sempre stato. Era razionale nelle azioni ed era anche un vero studioso, uno che, fino al giorno prima, per le sue qualità, era destinato a diventare un importante scienziato, forse anche un uomo famoso, ma ora la sua vita era cambiata improvvisamente e non sapeva per quanto tempo. Quel giorno, alla vista dei libri, scoprendo che non erano andati perduti, si commosse fino alle lacrime e scoppiò a piangere. Era la prima debolezza che si concedeva in quella giornata tremenda, ma si ricompose subito, per paura che i ragazzi lo vedessero. Ringraziò con tutto il cuore la dea della sapienza, Pallade Atena, Minerva, chiunque e ovunque fosse, protettrice e depositaria del sapere, per aver salvato i suoi strumenti. Quegli oggetti sarebbero stati preziosi per mitigare il loro isolamento.
E se durante il viaggio quasi nessuno aveva provato a leggere, ora tutti avrebbero avuto tanto tempo per farlo e per godersi le storie raccontate nei romanzi, le poesie, tutti gli argomenti che vi erano racchiusi. Li avrebbe convinti a leggere ed era certo che più o meno tutti si sarebbero appassionati. Quei libri sarebbero stati una fonte di sapere e soprattutto un ponte gettato fra loro, persi nell'oceano, e il mondo, la civiltà, che non sapeva ancora di doverli cercare, e forse non avrebbe mai avuto idea di farlo.
Il sole era tramontando quando pensarono a sistemarsi per la notte ed anche a mangiare. Richard incaricò qualcuno di preparare una latrina e una buca per sotterrare i rifiuti, mentre con gli altri trasportava i materassi, le coperte e le amache fino alle Tommy's Falls. Infine trasferirono i malati.
Chris era assopito, ma si svegliò mentre lo spostavano, lamentandosi per il dolore.
Mentre andavano avanti e dietro con il canotto, Joel e Angelo avevano trovato il tempo di pescare alcuni grossi pesci e senza che nessuno glielo avesse chiesto. Mike preparò un bel fuoco e li arrostì velocemente, riuscendo anche a vuotarli delle interiora prima di metterli a cuocere.
Poi si fece scuro improvvisamente, perché è così che accade all'equatore e quasi al buio, al solo bagliore che veniva dal fuoco, i ragazzi, non sapevano se più stanchi o affamati, mangiarono i pesci e i frutti che avevano raccolto.
Quando finirono, fu Tommy a pensarci per primo.
"Tutti nel lago" urlò, trovando chissà dove la forza e la voce.
Sfilandosi con un unico gesto i pochi indumenti che indossava, corse nudo verso il laghetto, tuffandosi senza esitazioni per godere del fresco di quell'acqua. Sparì nel buio, ma lo si sentiva sguazzare allegro. Incosciente, ignaro di possibili pericoli che potessero essere in quell'acqua che alla luce del sole era parsa limpidissima, ma che ora, nell'oscurità, pareva nera, pericolosa.
Richard si era alzato per andare a riprendere Tommy, quando anche Terry, Angelo e Joel corsero verso la riva, togliendosi anche loro quel poco che avevano indosso e gettandosi nel laghetto, urlando di gioia, schizzandosi e afferrandosi in una lotta divertita, recuperando misteriosamente le forze e il vigore.
Mike, Kevin e Manuel li seguirono, ma tennero addosso i pantaloncini, mentre François li guardava invidioso, immaginandoli più che vedendoli, interpretando le urla di gioia e i rumori che facevano. Finalmente anche Richard si convinse che nessun mostro notturno abitava quelle acque e anche lui corse a giocare e schizzare.
L'acqua era gradevolmente fresca, rispetto all'aria calda della notte e, sebbene fossero stremati dalla fatica, giocarono, si lavarono strofinandosi le spalle l'un l'altro. Fra alcuni corsero anche carezze, ma nessuno parve badarci, a parte qualche risolino e qualche rossore che comunque non poté notarsi, perché era buio. Oppure tutto accadde proprio perché non ci si vedeva.
Quello era il primo momento di divertimento da quando la tragedia del naufragio li aveva sconvolti e se lo godettero fino a crollare esausti.
Richard li osservò divertirsi e sperò che potessero riacquistare presto un po' di serenità, poi annotò mentalmente di aggiungere la questione 'sesso' all'agenda della riunione che stava preparando per la mattina successiva.
Pensò che l'argomento andasse affrontato, ma cosa avrebbe potuto dire proprio lui su una questione tanto delicata?
TBC
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