DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
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Questo è il secondo dei diciotto capitoli che compongono il romanzo.
CAPITOLO 2 - La prima notte
Avevano appeso tre amache fra gli alberi. Ciascuna era grande abbastanza per poter contenere almeno due di loro, ma Mike insisté per dormire da solo e non ci fu modo di convincerlo. Joel e Angelo si divisero l'altra, mentre Terry e Tommy ebbero la terza. Ce ne sarebbero state delle altre, ma la fatica di montarle parve eccessiva a tutti.
Richard, tuttavia, preferì mettersi vicino a Chris che sicuramente non poteva essere spostato. Anche François avrebbe avuto difficoltà a salire su un'amaca, così l'aiutarono a sistemarsi su un materasso. Richard avrebbe dormito là, perciò Kevin e Manuel decisero di avvicinare un altro materasso e si misero alla destra di Richard che non fece obiezioni e si rese conto di essere molto contento per quella sistemazione, avere vicino Kevin e Manuel lo consolava.
Chris respirava a fatica, era madido di sudore e aveva la febbre. Com'era stato per tutto il giorno, era inquieto nel dormiveglia, ogni tanto si lamentava.
Inginocchiato davanti a lui e sfruttando la luce del fuoco, Richard gli fece un'altra iniezione di morfina.
Posata la siringa, si prese la testa fra le mani. Era scoraggiato, non sapeva più che fare, conscio dell'inutilità dei suoi sforzi, ma deciso a fare tutto il possibile almeno per non far soffrire il ragazzo. Non poté altro che disperarsi. Con un moto di stizza s'alzò e si guardò attorno. Sul campo era sceso il silenzio, tutti dormivano, ma lui distingueva solo il respiro irregolare di Chris, sentiva solo quello.
Era così nervoso e avvilito, che non riusciva neppure a piangere, aveva un groppo alla gola tanto grande da non poter respirare. Era stanco e sarebbe dovuto crollare esausto come gli altri, ma non riusciva a trovare pace.
Neanche Kevin dormiva e lo seguiva con lo sguardo. Non l'aveva perso di vista un solo momento, per tutta la giornata. Se ne stava rannicchiato sul materasso ad osservare impotente la disperazione di quel ragazzo così speciale.
Richard aveva paura, tanta. Andò alla riva del laghetto, giocò con l'acqua, accarezzò Hook che lo seguiva ovunque, poi si decise a stendersi, a cercare di addormentarsi anche lui. Vide che Kevin si era avvicinato a Chris e gli teneva la mano.
Lo guardò, si accorse che lo fissava, gli sorrise, poi finalmente si stese fra lui e Manuel.
Allungandosi sul materasso sentì le ossa scricchiolare e cercò di decidere quale parte del corpo gli dolesse di più. Forse le mani che erano piagate. Sulle spalle aveva i segni delle travi che aveva trasportato e dai reni gli giungevano fitte dolorose per gli sforzi che aveva fatto. Anche se adesso era sdraiato, le gambe gli tremavano e i lividi che aveva ovunque, i segni del naufragio, rendevano difficile qualunque movimento.
Neanche Manuel dormiva, si mosse e gli si avvicinò.
"Richard..." mormorò "io... voglio dirti grazie per quello che stai facendo per noi. E poi voglio dirti che io... io ti voglio tanto bene!" e gli appoggiò il capo sulla spalla.
"Anch'io ti voglio bene" lo rassicurò lui, accarezzandolo, stringendolo a sé. Lo baciò sulla fronte.
Manuel chiuse gli occhi, sereno e appagato da quel bacio, dall'affetto. Si accomodò meglio nell'abbraccio e allora Richard sentì il pene eretto del ragazzo contro la sua gamba. La cosa l'imbarazzò moltissimo, tanto che stava per scostarsi. Avrebbe detto qualcosa, anche protestato. Voleva allontanarlo e l'avrebbe fatto certamente, se solo Manuel avesse potuto ascoltarlo, ma il ragazzino era scivolato nel sonno e stava facendo lunghi, placidi respiri con la bocca appoggiata sulla sua spalla, perciò non poté far altro che accarezzarlo un'altra volta e posargli delicatamente il capo sul cuscino, cercando di accomodarsi alla meglio nello spazio che gli avevano lasciato. Allontanandosi come poteva.
"Richard?"
Era Kevin.
Si voltò, s'avvicinò per guardarlo meglio, dritto negli occhi. Erano così vicini che ne avvertiva il fiato, il respiro, il calore del corpo.
"Richard..." sussurrò "anch'io devo dirti una cosa... ma se tu non puoi, non riesci a capirmi... non devi preoccuparti per me, però... io voglio che tu lo sappia!"
Lo guardò senza capire. Si sentiva annientato dalla stanchezza, sul punto di svenire, ma l'espressione intensa di Kevin lo incuriosì.
"Io ti amo, Richard! E voglio essere il tuo ragazzo. Lo voglio tanto... e non m'importa di nulla... di quello che dicono gli altri! Di nulla... ma se tu noi puoi, io lo capisco."
E l'accarezzò, cercando di baciarlo sulle labbra.
Richard era disorientato, incredulo anche solo d'aver udito quelle parole. Provò a ritrarsi spaventato, ma Kevin non badò a quella reazione e lo baciò ugualmente, poi lo baciò ancora, incurante che Richard l'avesse respinto. Se l'aveva fatto davvero.
Stettero così per qualche secondo con le labbra unite. S'era alzato il vento e, pur non essendoci più la tempesta della notte precedente, il mare si era agitato e i tonfi sordi delle onde contro la scogliera superavano spesso per intensità il rumore della cascata.
Poi Kevin si raddrizzò, separandosi.
Continuavano a guardarsi, ma erano entrambi preoccupati. Uno, timoroso del rifiuto, non riusciva ad interpretare l'assoluta mancanza di reazione da parte di Richard che era semplicemente paralizzato dal terrore per ciò che aveva udito, dal senso di quelle parole, ma soprattutto dal fatto di non essersi sottratto a quei baci, di non essere saltato in piedi, di non aver riso, urlato. Di non essere scappato. D'essersi lasciato baciare. D'aver ricambiato quella tenerezza. Di averla accettata.
Perché Kevin era un ragazzo, un uomo come lui e Richard non era omosessuale, era certo di non esserlo. Non aveva mai neppure pensato che due maschi potessero baciarsi. Ed era proprio quello che avevano appena fatto. Che lui aveva fatto.
Non sapeva, non capiva, ma, in realtà, non aveva le idee chiare, perché in passato aveva avuto qualche dubbio.
Quando era stato il momento, il suo corpo aveva mandato i segnali inequivocabili dello sviluppo. Quelli più visibili non l'avevano turbato. Era diventato più alto di molti suoi compagni di scuola, si era irrobustito, il torace aveva assunto una struttura diversa e più definita, la voce si era ispessita e poi aveva assunto un timbro più profondo, morbido, baritonale. Sul corpo non erano spuntati tanti peli, se non nei punti giusti, perché era biondo, ma dove dovevano esserci, ce n'erano abbastanza, perché ne fosse orgoglioso.
Assieme al corpo, anche il suo pene si era sviluppato e proprio da lì erano partiti segnali che avevano fatto vacillare qualche sua certezza. Aveva cominciato ad avere fantasie che aveva ignorato, perché troppo diverse da quelle che si sarebbe aspettato, essendo un essere umano di sesso maschile. Ma erano stati segnali davvero diversi da quelli che ricevevano i suoi compagni, tutti ragazzi della sua età, per quel po' che ne poteva sapere, visto che fra loro non parlavano certo di quelle cose.
Forse era stato anche per questa preoccupazione, questo segreto inconfessato anche a se stesso, che la sua disciplina nello studio s'era trasformata in una specie di mania. Sfruttando tutte le risorse del suo ingegno, prese a studiare come un forsennato, sempre e in ogni momento della sua vita, allontanandosi dalla realtà, sfuggendo le occasioni di contatto che non fossero le lezioni e l'indispensabile promiscuità della vita scolastica. E pur facendo sport, praticandolo come tutti gli altri, cercò di farlo da solo per evitare gli spogliatoi affollati che comprensibilmente lo terrorizzavano. Né pensò mai alle ragazze, arrivando perfino a convincersi che, se faceva così, era perché non aveva il tempo di incontrarle. Lo studio, sempre lo studio e tutti gli impegni dello studio.
Proprio quella folle corsa ad imparare, capire, tutto quello studio, gli avevano consentito di diplomarsi a pieni voti, il migliore in assoluto del suo corso e di tutte le scuole di Boston e del Massachusetts. Era stato allora che la mamma, la sua poco affezionata madre, spaventata da quella prova che considerava sovrumana e temendo per la salute del figlio, neanche tanto amato, l'aveva obbligato a fare quel viaggio, l'annuale, fatidica crociera della Venture. A dire il vero, ci aveva provato anche nelle estati precedenti e lui era sempre riuscito a svignarsela, ma non stavolta. E in questo era stata sostenuta dal nonno, pure lui preoccupato per il nipote, l'unico, il suo erede, che a modo suo amava e di cui già conosceva il valore assoluto.
Al momento di partire quindi, avendoli sempre repressi, Richard non era per niente sicuro della natura dei suoi desideri e durante la navigazione le sue convinzioni, se mai ne possedeva, avevano ricevuto forti scossoni per la presenza a bordo di tanti ragazzi, ma soprattutto per le attenzioni di Kevin e la devozione incondizionata di Manuel.
E adesso, dopo il naufragio, l'abbraccio proprio di Manuel e infine quelle parole dirette ed inequivocabili, la dichiarazione d'amore di Kevin, i baci che lui aveva ricambiato. Tutto questo aveva creato uno sconquasso nella sua mente, già provata dagli avvenimenti delle ultime ventiquattro ore.
In quel momento era totalmente incapace di abbozzare una reazione coerente, perciò assecondò Kevin, ma non proprio intenzionalmente. Per istinto aveva chiuso gli occhi e si era lasciato baciare e abbracciare.
Molto presto, però, gli tornò la ragione e capì che quelle parole, i baci, le carezze, così come, poco prima, la dolcezza e l'affetto di Manuel, gli davano un'intima felicità oltre che un'eccitazione così forte da mozzargli il fiato, perciò, non solo fu contento di lasciarsi baciare ancora, ma ricambiò quei baci e non per assecondare, com'era stato con Manuel, ma con una tale passione, un trasporto, una convinzione, che Kevin si sentì subito rassicurato.
"Kevin..."
"Abbracciami anche tu, tienimi così... per favore!"
"Io..."
"Non parlare, stringimi forte..."
E così fece, felice di trovarsi là, tanto sereno da arrendersi alla stanchezza, assopendosi fra le braccia di Kevin che non smetteva di baciarlo. Riaprì gli occhi, nel buio, perché il fuoco era quasi spento, cercò ancora lo sguardo di Kevin, capì che lo stava fissando.
"Mi dispiace, forse mi sono addormentato" mormorò "sono così stanco."
"No, dormi, dormi ancora" lo consolò Kevin "ne hai bisogno, veglierò io su Chris. Tu sei tanto stanco... e noi... parleremo domani..."
"Prima voglio dirti..."
Ma Kevin lo zittì, gli sfiorò le labbra con un altro bacio, poi l'aiutò a distendersi, a mettersi comodo per dormire davvero.
Fu allora che Richard sentì gli occhi riempirsi di lacrime, di commozione, di stanchezza e anche per un intimo sollievo, di avere finalmente capito tutto, sorpreso che fosse così semplice.
"Anche tu sei stanco..." mormorò, piangendo.
"Non quanto te..." l'accarezzò, gli sentì le guance bagnate, gliele asciugò con le labbra "Perché piangi adesso? Stai calmo, parleremo domani, ci spiegheremo!"
"Sono così stanco che..."
"Lo so. Dormi e non piangere più. Riposati adesso, perché noi dipendiamo tutti da te! Sei stanco, povero piccolo! Parleremo domani... di noi, di tutto."
Richard non l'ascoltava più e non perché si fosse finalmente arreso al sonno, ma se n'era andato lontano con la mente, inseguendo un pensiero bellissimo legato a sé e a Kevin.
Non dormiva, perché era spaventato, incerto su tutte le infinite cose che dovevano fare, oppresso dalla responsabilità che avvertiva su di sé. Eppure, si sentiva felice, perché, per la prima volta, aveva capito di essere desiderato e amato.
Le emozioni e il piacere fisico che Kevin gli aveva dato in quei brevi attimi d'intimità, l'avevano ripagato di ogni difficoltà e preoccupazione. Anche l'affetto quieto, silenzioso, incondizionato di Manuel era una esperienza diversa per lui, ma la forza di Kevin, il suo calore, la sensualità, che finalmente si era rivelata, gli fecero capire che non sarebbe stato solo a lottare contro la natura e che forse sarebbe stato in grado di sorreggere il fardello di cui il destino l'aveva caricato.
Lui non aveva fratelli o sorelle e i suoi genitori non avevano mai avuto abbastanza tempo da dedicargli. Sua madre gli aveva fatto presto capire che lo considerava poco più che un incidente nella sua vita di lussi e qualche vizio, l'insistenza perché partisse era stata la prima seria manifestazione di affetto da parte sua. Il padre gli aveva dedicato ancora meno tempo. Richard pensava a suo padre come all'essere vivente che aveva avuto la funzione meccanica di rendere possibile la sua nascita, tanto poco se n'era interessato, fino ad ignorare completamente la sua esistenza. Anche il nonno, pur amandolo, l'aveva sempre tenuto a distanza, assicurandosi solo che non gli mancasse nulla, perciò, fino al naufragio, Richard era stato un privilegiato per tutte le cose materiali della vita, ma terribilmente povero di emozioni e di amore. Ora pareva essere in una situazione completamente opposta, ma molto più seducente.
Possibile che Kevin e Manuel e tutti gli altri, le cui vite erano state tanto piene di difficoltà che aveva paura a sentirsele raccontare, avessero tanto affetto e calore da donargli, tanto da insegnargli e lui così poco da offrire, se non la gentilezza e la bontà del suo animo?
Le parole di Kevin presero a girargli in testa, mentre, stremato, si arrendeva alla stanchezza e scivolava nel sonno. Arrivò quasi a sognare, sentì Kevin ripetergli che l'amava, gliel'aveva appena detto e, come nella realtà, l'amava così tanto che non voleva neppure sapere se anche lui l'amasse, purché dormisse. Nel sogno l'accarezzava e lo persuadeva a dormire, tanto grande era il suo amore, tanta era l'ansia che lui si riposasse.
Finalmente riuscì a dormire e il sogno cambiò. Vide il volto di Chris, la sua smorfia di dolore. Il sonno profondo della stanchezza, popolato di figure benigne, si volse in incubo. Si svegliò, sbarrando gli occhi, nel buio che era diventato totale, nel silenzio sospeso della foresta.
Quella morte era forse inevitabile, ma lui non riusciva ad accettarla. Sull'isola non c'era nessuno, un medico o una persona più anziana di lui, qualcuno cui lasciare la responsabilità di Chris, della sua morte ed era una prospettiva che lo terrorizzava. Fissò in alto, dove doveva essere in cielo. Non c'erano stelle, forse perché la notte era piena di nubi, ma il cielo era là, dietro la chioma del grande albero, là sopra. E in quel cielo non c'era nessuno che fosse capace di salvare quella vita, ma solo forse di accoglierne l'anima e anche a certe condizioni.
La sua educazione elitaria nelle scuole più prestigiose, non lo rendevano capace di salvare Chris. Quel ragazzo aveva quattordici anni. Come poteva accettare che morisse?
Lui ne aveva appena compiuti diciotto e fino a quel momento nella sua vita non aveva mai fallito in nulla, tranne forse che con se stesso, si disse, ma a quello stava rimediando. Nessun fallimento, prima della probabile morte di Chris. E la morte era qualcosa con cui non si poteva lottare, né trattare. Se fosse stato possibile, avrebbe dato la sua vita in cambio, ma ora poteva soltanto piangere.
E poi doveva pensare a tutti gli altri, cercare di aiutarli, tenendoli insieme, quello forse, con un poco di fortuna, era nelle sue possibilità.
Pensò a quanto volesse bene a ciascuno di loro, anche a Mike che si comportava male con lui. Li amava tutti e di ciascuno aveva imparato ad apprezzare le doti e, se aveva visto qualche difetto, l'aveva sempre considerato con un'indulgenza quasi paterna, se non fosse stato che aveva solo qualche anno più di loro.
Nella vita di tutti c'era stato qualcuno che li aveva ingannati, sfruttati, traditi, fatti soffrire, che era miseramente venuto meno, ma lui avrebbe cercato di non deluderli, ci avrebbe almeno provato con l'amore e con tutto se stesso.
Ma cosa gli avrebbe detto quando li avesse avuti davanti, in attesa di capire cosa ne era delle loro vite? Da lui si aspettavano ordini e suggerimenti, oppure, più semplicemente, che gli dicesse come fare a tornare a casa in fretta, che i soccorsi stavano arrivando, che sull'isola avrebbero trascorso solo qualche altro giorno, prima che una nave, una barca, qualunque cosa, spuntasse all'orizzonte per riportarli a casa. Volevano certamente tornare, anche se nessuno di loro aveva una casa, un posto dove andare, che fosse degno di essere desiderato.
Questo ultimo pensiero lo commosse e pianse per quel turbamento.
Si ritrovò a pensare all'ironia, così amara, del loro destino. Era probabile che, se si fossero salvati, ognuno di loro sarebbe ricaduto nel suo inferno personale, fatto di sopraffazioni e abbandono. E quegli alberi, la laguna, l'isola, anche nell'oscurità profonda di quella notte, parevano un paradiso, per quanto fortemente terreno e certamente pieno d'insidie.
Kevin si accorse della sua agitazione.
"Va tutto bene, amore mio!" gli accarezzò la guancia, sentì che era bagnata di lacrime e si avvicinò a baciarlo. Gli sfiorò le labbra con le sue.
"Perché piangi ancora? Ti prego, basta, adesso devi riposarti..."
Ma Richard non riusciva a fermarsi, cominciò a singhiozzare, perché era tanto stanco e ancora più triste per tutti loro e specialmente per Kevin che doveva aver sofferto tanto nella vita ed ora gli era capitato di finire su un'isola selvaggia. Lui che odiava di sporcarsi le mani e aveva tanta paura per tutto ciò che strisciava. Gliel'aveva confidato un giorno ridendo, dicendo che aveva accettato di fare il viaggio solo perché era in mare e sulle navi strisciano solo i topi, ma sulla Venture non li aveva ancora sentiti. Gli aveva detto che mai e poi mai sarebbe andato in un campeggio. Ed ora era accaduto davvero, povero Kevin che era finito in mezzo alle sue fobie, per un tempo indefinito, a fare un campeggio che poteva durare per tutta la vita.
Quell'idea gli diede un'angoscia indicibile.
"Povero Kevin..." disse fra i singhiozzi, mentre le lacrime scendevano e gli bagnavano le guance "tu sei così buono con me e mi aiuti... ed io che posso fare per te?"
"Tu non capisci... Richard, tu non sai..." fece Kevin commuovendosi anche lui "perché non dormi?"
"Ho fatto un brutto sogno, ho avuto paura, anche se ci sei tu e so che non sono solo, ho tanta paura, perché non mi sento all'altezza di ciò che devo fare, che tutti vi aspettate da me... ho paura per voi. Mi dispiace per Chris, per quello che ci è capitato. Io... io me ne sento responsabile!"
La stretta di Kevin si fece più forte, energica.
"Non dire così. Che c'entri tu? Tu sei..."
"No..." l'interruppe "voi tutti siete bravi, siete stati bravi e coraggiosi, ma io... io no! Che ho fatto? Voi meritate uno che sia davvero in gamba ed io non lo sono... io non sono sicuro di nulla, Kevin! Oggi ho tremato di paura per la maggior parte del tempo mentre remavamo e avevo paura che la barca si rivoltasse. E non ho trovato di meglio che mettermi a piangere... come sto facendo adesso! Insomma, io non sono Clark Kent che entra nella cabina del telefono e ne esce vestito da Superman! Sono nudo, mi vedi? E nessuno mi potrà mai rendere un eroe!"
"No, non è vero! Per me tu sei Superman... per tutti noi, non lo capisci? Lo sappiamo che tu ci vuoi bene e che ci rispetti e ti preoccupi come nessuno ha mai fatto. Ce ne siamo accorti già il primo giorno. Cosa credi? Solo all'inizio abbiamo pensato che fossi il figlio del padrone, venuto sulla Venture per ridere di noi, ma poi abbiamo capito che non era così, che eri là anche perché volevi aiutarci. Lo sai che nessuno ci aveva mai trattato come hai fatto tu? Lo sai questo? Tu sei stato il primo a rispettarci e adesso sei quello che può salvarci e sei il migliore che ci potesse capitare."
"Kevin, io... non so che fare!"
"Vogliamo solo che tu ci aiuti, perché sappiamo che puoi farlo! E... Richard, adesso faresti una cosa per me?"
"Si, piccolo, qualunque cosa."
"Dimmi che mi ami!"
"Oh... si... si, Kevin, credo di amarti anch'io, ma sono anche così confuso che... forse... non so trovare le parole giuste! Ma... ti amo. Oh, si... accidenti se ti amo!"
"Grazie... ma spero che poi le troverai quelle parole, che ci riuscirai presto, amore mio, perché io me le aspetto... quelle parole voglio sentirle, voglio che tu me le dica... e che me le ripeta tante volte... tutte le volte in cui te lo chiederò" gli disse con un sorriso dolce "però adesso basta anche a pensare, tu devi dormire" l'accarezzò "penserò io a Chris. Resterò sveglio... tu dormi, ti prego."
Lui avrebbe voluto ribattere, spiegarsi, dire qualcosa, forse anche prendere l'iniziativa di baciarlo, perché non l'aveva ancora fatto e gli pareva di volerlo più di ogni altra cosa al mondo, ma fu sopraffatto dalla stanchezza e ancora di più dalla felicità, dal sollievo che le parole di Kevin gli avevano dato. Gli si addormentò tra le braccia, prima di articolare un altro pensiero, una parola.
Quella notte, però, si svegliò ancora.
La prima volta fu quando sentì Manuel muoversi accanto a lui e si accorse che il ragazzo gli si stava proprio strofinando addosso, contro la sua coscia nuda, con il pene che gli era uscito dagli slip. Sospirava e muoveva i fianchi lentamente. E quello che stava facendo era molto chiaro. Faceva pensare ad un cagnolino che fa i suoi tentativi, ma Manuel non era più un cucciolo.
Richard però non si inquietò come poco prima. In quelle ore era cambiato tutto e istintivamente l'accarezzò, l'attirò a sé, sentendo nelle mani il calore di quel corpo, la pelle liscia e morbida e i muscoli del dorso che si tendevano ad ogni movimento. Continuò ad accarezzargli la schiena.
Nel sonno Manuel rispose all'abbraccio, stringendosi di più, i suoni che emetteva si fecero sempre più articolati:
"Richard, Richard..." finì per mormorare con gli occhi sempre chiusi, nel suo sonno di ragazzo. Stava sognando e si capiva bene cosa.
Il respiro si fece rapido, mosse i fianchi più velocemente, strusciando il pene, poi all'improvviso una specie di singhiozzo, un gemito e Richard sentì il calore, l'umidità del seme scivolargli lungo la gamba.
Manuel si svegliò, spalancò gli occhi, dai movimenti capì che anche Richard era sveglio e si rese conto di quello che era appena accaduto. Cominciò a singhiozzare, disperato.
"Mi dispiace... mi dispiace... io stavo sognando, Richard! Sognavo che stavo bene con te, tu mi abbracciavi e mi accarezzavi. Era tutto così reale" piangeva forte, con le lacrime che gli scendevano sulle guance "io non pensavo... di fare una cosa così disgustosa. Credevo di sognare... per favore non essere arrabbiato con me. Non ti arrabbiare. Non mi odiare per quello che ti ho fatto. Puniscimi, ma non mi odiare... io non so cosa farei se tu mi odiassi, se tu non mi volessi più bene..." e continuò a singhiozzare senza riuscire a controllarsi.
Richard era completamente disarmato, travolto dall'affetto e dalla compassione che provava per quel ragazzo così gentile ed educato.
"No, Manuel, va tutto bene per me, davvero. Non sono per niente arrabbiato e ti voglio bene come sempre, non devi preoccuparti. Ti voglio bene anche più di prima..." cercava di rasserenarlo, accarezzandolo.
"Sono stato... cattivo! Ho fatto una cosa disgustosa" ripeteva. Era davvero scosso e non riusciva più a calmarsi, tremava.
"Ehi, Manuel... io sono felice che tu mi abbia sognato. Davvero sognavi che stavi bene con me?"
Il ragazzo gli fece di si con la testa.
"Beh... io non ti ho sognato, ma penso spesso a te e sono contento quando stai con me, perché sei così caro... e penso che con te starei bene dovunque. Davvero, piccolino... e poco fa io ti stavo abbracciando davvero. Mi sono svegliato per i tuoi movimenti e ti ho accarezzato e abbracciato... mentre tu continuavi a sognare."
Con le carezze e le parole era finalmente riuscito ad acquietarlo ed ora Manuel lo guardava con gli occhi sgranati.
"Credimi, Manuel, è andata proprio così!"
"Ti credo, Richard, grazie, ma mi dispiace lo stesso..." disse ancora "è una cosa che non dovevo fare e... non è... sicuro che non sei disgustato?"
"No, Manuel, niente che tu possa fare sarà mai disgustoso. Per me e per nessun altro! Mai... hai capito? E fammi asciugare queste lacrime..." lo baciò sugli occhi e poi sulle guance.
Manuel gli gettò le braccia al collo e lo baciò pure lui sulle guance, poi lo guardò e gli baciò le labbra, con un movimento veloce, assolutamente pudico.
"Nessuno, mai... mai... nessuno mi ha trattato come te. E mi ha detto le cose che mi stai dicendo tu, Richard. Ed io non sono mai stato tanto felice nella mia vita! Voglio restare sempre con te!"
"Anch'io, piccolo."
"Richard..." chiese mentre tornava a stendersi "come sta Chris?"
"Credo si sia assopito. Kevin lo sta vegliando..."
"Mi dispiace tanto per lui... sta morendo, vero?"
"Non lo so, ma di sicuro sta molto male!"
"Credo che mi mancherà" disse, molto triste, ma non poté reprimere uno sbadiglio.
"Adesso dormiamo, Manuel... siamo stanchi tutti e due!"
"Si, è vero!"
Richard l'accarezzò e lo fece coricare. Gli dette un altro bacio sulla fronte e continuò ad accarezzarlo.
Non sapeva molto di Manuel, tranne che aveva trascorso la sua vita in diversi orfanotrofi. Era stato abbandonato quando era molto piccolo e non aveva mai conosciuto i genitori. Chissà perché nessuno l'aveva mai adottato, si chiese, ma era chiaro che aveva ricevuto pochissime carezze e molti schiaffi. Gli tenne la mano finché non capì che si era addormentato.
Poi sentì la voce di Kevin.
"Voi due siete proprio bravi a fare ingelosire le persone. Ehi... Richard, quand'è che potremo fare quelle cose fra noi?"
"Quali cose?" chiese, ma Kevin gli stava già accarezzando la coscia su cui il seme di Manuel si stava asciugando "Ah... si" sussurrò con il fiato conto, arrossendo e sentendo un brivido corrergli lungo la schiena.
"Sai... poco fa mentre vegliavo Chris, ogni tanto mi assopivo e sognavo di... baciarti" fece Kevin con il suo più amabile sorriso.
"Allora parliamone subito... dai... parliamone adesso! Proprio ora!" fece Richard, improvvisamente sveglio. La stanchezza pareva averlo miracolosamente abbandonato.
"Allora posso?"
"Baciarmi? Perché non lo fai?" disse sorprendendosi e non se ne pentì come aveva temuto, ma gli parve naturale, anche se era la prima volta nella sua vita che pensava qualcosa di simile e poi la diceva.
Chiedere a un altro uomo e ricevere un bacio, il bacio di Kevin, sulle labbra.
Davvero non era poco, perché soltanto ventiquattro ore prima avrebbe trovato assurda quella situazione, ma nel frattempo erano accadute troppe cose per poterle anche solo tenere a mente e quindi essere felice per un bacio, chiedere al suo innamorato di baciarlo, gli parve davvero naturale, oltre che estremamente desiderabile e soprattutto eccitante.
Senza perder tempo Kevin posò le labbra sulle sue, trovandole addirittura socchiuse, perciò insinuò la lingua e cercò quella di Richard.
"Voglio baciarti ancora!" gli disse Kevin dopo un po' che si accarezzavano, coccolandosi in silenzio, avvertendo nell'altro il calore del corpo, la consistenza dei muscoli, la pelle liscia e morbida, udendo il battito del cuore.
"Ma se lo hai appena fatto..." disse lui ridendo, ebbro di felicità, ma anche incuriosito, travolto dalla tenerezza di quei momenti.
"No... di più..." e già scendeva con le labbra, baciandogli il collo e poi il torace. Gli sfiorò le ascelle e i capezzoli e poi fino al ventre, facendosi sempre più ardito.
Richard era eccitato da molto tempo, mormorò qualcosa, fu quasi un sospiro, mentre Kevin gli abbassava i pantaloncini e gli slip, sfiorandogli l'uccello con le labbra. Scese a baciargli il sacco.
Per Richard era tutto così nuovo, insolito, esaltante. Gli sfuggì un gemito quando lo sentì prendergli delicatamente l'uccello fra le labbra. Sapeva, ne aveva sentito parlare. Qualcosa di simile era accaduto a dei compagni di collegio, ne aveva origliato i discorsi. Ma erano ragazzetti che raccontavano esperienze fatte con prostitute o donne compiacenti, certo non con ragazzi pallidi dai capelli rossi e con una spruzzata di lentiggini sugli zigomi.
Quando l'aveva sentito ci aveva fatto sopra qualche fantasia, su queste donne che con la bocca facevano certi lavoretti, ma non ne aveva tratto molto piacere, a parte quello che si dava con la mano, mentre ci pensava. A dire il vero, qualche volta, quelle poche volte in cui si era consentito certe divagazioni, aveva pensato che non gli sarebbe dispiaciuto provare di persona quello che lo sbruffone di turno raccontava estasiato al suo uditorio di maschietti eccitati, ma era una fantasia che durava pochissimo, il tempo necessario a placare il desiderio.
E per non averle mai provate, non aveva mai neppure immaginato quanto fossero seducenti quelle sensazioni.
Kevin gliele stava regalando e lui l'accarezzò tra i capelli, sottili, delicati, con le dita seguì il disegno complicato delle orecchie. Gli fece anche un poco di solletico e avvertì il sorriso di Kevin direttamente su di lui, in un posto dove non avrebbe mai creduto che quelle labbra, increspate dalla felicità, potessero trovarsi.
Poi Kevin cominciò a muoversi lungo l'asta.
"Kevin, io sto..." mormorò subito, troppo presto.
E Kevin accelerò i movimenti, stringendogli le labbra attorno al pene, mentre lui esplodeva nel più intenso orgasmo della sua vita, desiderando che quel momento non finisse mai, che continuasse per tutta la vita, si perdesse nel tempo.
Si calmò lentamente e Kevin fece in modo di ingoiare ogni goccia che lui gli aveva schizzato in bocca.
Il rosso alzò la testa e si spostò fino a baciarlo, facendogli assaggiare il suo stesso seme.
Fu un'altra prova che Richard accettò per amore.
"Dio..." balbettò "è incredibile!" e l'accarezzò "Io... io non l'avevo mai provato..."
"Io si!"
"Tu?" e qualunque cosa stava per dire, Richard tacque, quasi spaventato. Non sapeva da cosa, forse dall'idea che Kevin l'avesse già fatto con qualcuno altro.
"È una storia lunga..." bisbigliò Kevin, ma era esitante e a disagio e Richard lo fermò.
"Non dirmi nulla se non vuoi. A me non importa!"
"È una storia che ti racconterò tutta, ma non ora. Adesso voglio dirti una cosa sola, non l'avevo mai fatto con qualcuno che amavo, né avevo mai desiderato tanto di farlo come ora. Lo volevo con tutto me stesso, Richard, perché ti amo tanto!"
"Anch'io... anch'io ti amo tanto!
"Perdonami, ti prego!"
"E di cosa? Perché dovrei perdonarti?"
"Te lo dirò, ma tu perdonami!"
"Io ti amo, Kevin!"
"Perdonami" insisté.
"Ti perdono per qualunque cosa. Di tutto quello che non so, anche se non lo saprò mai! Ti perdono, amore mio! Va bene così?"
"Si, ti amo tanto!"
Mentre parlavano, Manuel, sempre dormendo, gli si era avvicinato e lui l'abbracciò, mentre dall'altra parte era Kevin a stringersi. La quiete era assoluta e stava per scivolare nel sonno un'altra volta, quando si ricordò di Chris.
"Come sta?" chiese.
"Mi pare che respiri meglio, comunque dorme, ma forse è per l'effetto della morfina. È sempre molto caldo. Prima gli ho passato un panno bagnato sulla fronte e sulle braccia... forse ci vorrebbe del ghiaccio, Richard!"
"Chissà quando rivedremo un cubetto di ghiaccio..."
"Già..."
"Vorrei poterlo aiutare!"
"Sta morendo, non è vero?"
"Non lo so, forse si ed io non posso fare niente per aiutarlo. Mi sento così impotente, Kevin, mi pare di venire meno ad un impegno, al mio dovere che è quello di proteggervi tutti, perché è stato mio nonno a farvi arrivare qua. Il capitano Mendes si è sacrificato per salvarlo ed io adesso non faccio nulla, solo perché non so cosa fare per aiutarlo a sopravvivere..."
"Smettila, Richard!" si arrabbiò Kevin, cercando, senza molto riuscirci, di mantenere basso il tono della voce "Sei un medico tu? Sei stato tu a fargli cadere addosso l'albero maestro della Venture? O hai deciso tu di essere gettato su questa fottuta isola dove non c'è neppure un ospedale? E per giunta sei circondato da un gruppo di ragazzini incapaci di badare a se stessi! Forse tu non riuscirai a guarirlo e Chris morirà, ma noi siamo fortunati ad averti qua. La nostra buona sorte è nel fatto che tu ti sia salvato e che adesso ti prenderai cura di noi" la voce era tornata dolce "Non lo capisci?"
"Credo che mi sentirei perso senza di te" gli disse in un soffio.
"No... no... ero io perduto senza di te! Ed ora che ti ho trovato, finalmente posso vivere. Ti amo tanto!"
"Ehi... io, io... vorrei..." balbettò e arrossì "vorrei dirti una cosa... vorrei..."
"Qualunque cosa, amore mio!"
"Vorrei... fare a te quello che mi hai fatto tu" disse allora tutto d'un fiato, per paura che il coraggio gli venisse meno.
Kevin sorrise felice, perché Richard gliel'aveva chiesto e per come l'aveva fatto. Si sentì scoppiare il cuore per la tenerezza che il turbamento di Richard gli aveva procurato.
"Oh... davvero? Tu?"
"Si..."
"Anch'io vorrei tanto che facessi come hai detto!" disse, mostrandosi sorpreso per quella richiesta, poi nascose maliziosamente la faccia affondandola nel petto di Richard "ma non adesso... perché tu sei stanco, proprio stanco" aggiunse sorridendo "dormi un poco, amore mio. Riposati. Abbiamo tutto il tempo, no?"
"Perché invece non dormi tu? Starò io attento a Chris..." propose Richard.
"No, perché tu sei sfinito e domani devi fare tante cose che puoi fare solo tu!"
Era vero. Si sentiva a pezzi. La stanchezza era tornata ad assalirlo, più forte di prima, anche il desiderio di fare quella cosa a Kevin gli pareva al di là delle sue forze.
"Si, hai ragione..." disse infine "ma poi ne riparliamo, no?"
"Oh, si... ne riparleremo tante altre volte, credimi, ma adesso dormi! Tu sei importante per me e per tutti noi e devi riposarti!"
Rassicurato, Richard tornò a stendersi fra lui e Manuel. Li abbracciò assieme, o almeno ci provò, pensò di farlo, perché il sonno lo colse ancora improvviso, mentre gli pareva di ascoltare una voce sommessa ripetere parole dolcissime. Ma era realtà e non un sogno, perché Kevin, con gli occhi volti al cielo, stava davvero sussurrando qualcosa.
"Ti amo, ti amo, Richard, ti amo..." come fosse una preghiera e la ripeté per chissà quanto.
Quando si svegliò per la seconda volta, non riusciva a capire per quanto tempo avesse dormito.
A riportarlo alla coscienza fu il tocco di qualcuno che non era né Kevin, né Manuel. Era un tocco leggero e caldo, sulla gamba. Qualcuno lo stava scuotendo delicatamente.
Prima ancora di aprire gli occhi, sentì la voce di Tommy.
"Richard, posso stare vicino a te? Ho tanta paura... per favore..." bisbigliava e tremava.
Capì che era là, inginocchiato ai suoi piedi, l'immaginò con un'espressione afflitta sulla faccia e le guance rigate di lacrime, perché parlando piangeva, sforzandosi di mantenere bassa la voce.
"Si... piccolo" gli disse, ancora un po' addormentato "dai... vieni, mettiti qua in mezzo."
Fece un poco di spazio nel groviglio di corpi che c'era ormai sui materassi e gli mise il braccio sulle spalle esili.
"È successo qualcosa? Perché ti sei spaventato?"
"Io credo... forse ho avuto un incubo... e mi sono svegliato..." disse piangendo.
Richard l'abbracciò: "Adesso è tutto finito, stai tranquillo ... vedi? Sei con me e anche se è buio, non c'è niente di spaventoso qua vicino."
L'accarezzò, lo strinse e solo così Tommy parve consolarsi. Aveva avuto uno dei suoi incubi e dopo le emozioni del naufragio c'era da aspettarselo.
"Davvero ci siamo noi soli qua?" chiese, dopo averci pensato un po' su, poi riprese a piangere "Nessuno sa dove siamo, vero? Non lo sappiamo neanche noi... che cosa c'è qua attorno? Siamo soltanto dei ragazzi e io ho paura, Richard, tanta paura!"
Piangeva e non erano singhiozzi disperati, ma una specie di pianto privato, discreto, così silenzioso da non disturbare nessuno e per questo ancora più penoso.
"Tommy, lo sai che sei stato in gamba oggi? Sei stato il più coraggioso di tutti e non hai avuto paura! Io ne avevo, sai? E ne ho ancora. E non mi sarei mai avventurato da solo nella vegetazione come hai fatto tu che sei il più piccolo. Se ora siamo qua, protetti dagli alberi ed abbiamo l'acqua dolce e fresca, è tutto merito tuo. E se nei prossimi giorni ci comporteremo come hai fatto tu oggi... beh, credo che riusciremo a stare molto meglio e anche a salvarci!"
"Davvero pensi questo, Richard?"
"Si... te lo giuro! E ricordati che io ti voglio bene, come ne voglio anche agli altri!"
"Anch'io ti voglio tanto bene, Richard..."
"E la vuoi sapere una cosa? Se avessi un fratello più piccolo, vorrei che fosse come te!" e lo baciò su una guancia.
Tommy l'abbracciò più stretto e lo baciò tante volte, poi lo guardò, in attesa di qualcosa e Richard non lo deluse.
"Resta a dormire qua con noi. Vuoi fare così?"
"Si, si!"
"Cerca di sistemarti e vedi di non svegliare Manuel. Lui dorme, ma io adesso mi sposto un poco più vicino a Kevin."
Non se lo fece ripetere e si lasciò guidare fra le braccia di Manuel che pur nel sonno gli fece posto, l'accolse e lo prese con sé, allora Richard li accarezzò tutti e due e li cullò, finché non sentì che anche il piccolo si era addormentato completamente.
Quando si voltò verso Kevin capì che questi lo fissava. Ed era uno sguardo che esprimeva una specie di incanto, di suggestione.
"Perché mi guardi?" chiese.
"Tu non immagini che cosa rappresenti per me, ma te lo dirò, te lo prometto. Adesso non posso, perché sono troppo felice... e poi non ne ho voglia, però vorrei piangere... posso farlo?"
Richard si accigliò.
"No... amore mio... non voglio che ti inquieti" spiegò Kevin "Non è per paura o perché sto male o sento qualche dolore, ma è solo perché sono felice. Va bene? E tu non consolarmi, non devi, non ce n'è bisogno. Piango perché sono felice... davvero."
Le lacrime cominciarono a scendergli sulle guance, in un pianto silenzioso.
Richard non seppe resistere alla tenerezza che provava e l'abbracciò, stringendolo a sé, tergendogli le lacrime con le labbra, mentre piangeva anche lui. Poi si baciarono per un tempo lunghissimo, arrivando quasi ad assopirsi.
Kevin aprì gli occhi e vide che anche Richard era sveglio e lo guardava.
"Mi pare di... io ti avevo promesso qualcosa... credo..." fece Richard balbettando, temendo che Kevin avesse cambiato idea. Ma l'eccitazione che sentiva era assai più forte di ogni imbarazzo e della stanchezza.
Kevin sentì su di sé la stessa eccitazione.
"Oh, Richard, non pensavo che tu... me lo chiedessi... ora... non lo so. Ne sei sicuro? Vuoi davvero farlo? Non sei stanco?"
Non si erano mai sciolti dal loro abbraccio e, mentre si scambiavano quel bacio lunghissimo, avevano potuto ascoltare il battito dei loro cuori. Per quanto erano stati vicini, si erano sentiti un unico corpo, nessuno dei due era mai stato così vicino ad alcun altro, come in quel momento.
Richard non gli rispose, ma si fece coraggio. Lasciate le labbra che aveva baciato così a lungo, scese lungo il corpo esile, tremante, in attesa.
Non aveva mai fatto prima nulla del genere, ma in quella giornata, in quelle ore, ad ogni azione nasceva un nuovo Richard. Quell'ultima trasgressione per lui era forse la più estrema sovversione a ciò che credeva fosse il giusto, la norma, il compito, il dovere, perfino la missione, di un maschio della specie umana.
Poco tempo prima però, aveva abbandonato ogni pensiero e nozione, aveva smantellato il proprio ordine interiore, per accogliere Kevin nella sua vita ed ora stava semplicemente scendendo con la bocca verso il pene eretto, verso l'uccello di Kevin, per prenderlo in bocca e succhiarlo, leccarlo, dargli piacere, perché godesse. Proprio nella sua bocca, per mezzo di essa, delle sue labbra e della lingua.
La prima scoperta che fece fu il profumo e il gusto della pelle del suo innamorato. L'odorò e lo sfiorò con le labbra, assaporò ogni centimetro, avvallamento e piega. Quando raggiunse la corona dei peli affondò il naso per cogliere anche quella fragranza. Non sapeva che ci fosse, ma l'istinto l'aveva guidato a scoprirla e a goderla. E laggiù il desiderio di leccare e succhiare gli fu dettato più dall'impulso che dalla volontà.
Quando gli prese l'uccello in bocca, sentì che Kevin tratteneva il respiro. Imitando i movimenti che aveva sentito su di lui, cercò di rieseguirli, per quanto poteva e ricordava. Mosse le labbra lentamente lungo l'asta, accarezzandola con la lingua. Lo raccolse tra le labbra e sentì le mani di Kevin tra i capelli. Con le mani gli sfiorò il ventre, il torace che sentiva teso nello sforzo del piacere che stava arrivando.
"Ti amo..." mormorò Kevin e con uno spasmo cominciò a schizzare il suo seme nella bocca di Richard che cercò di controllare quella forza inaspettata.
Quando si furono calmati, poterono baciarsi e, come era già avvenuto prima per Richard, Kevin assaggiò il proprio seme dalla bocca dell'innamorato.
"Ti ho fatto male?" chiese Richard ancora non sicuro di aver fatto bene.
"No, no, volevo che non finisse mai! Mai, amore mio!" disse Kevin ancora affannato, emozionato, intenerito dalla dolcezza, dal candore e dalla premura di Richard.
"Vuoi dormire, riposarti un poco?"
"Si, adesso credo di si. Sono stanco, Richard" bisbigliò, chiudendo gli occhi e accomodandosi nell'abbraccio "stanco, esausto come un micino appena nato, ma tu non te ne andare. Voglio dormire abbracciato a te. Ti prego, Richard, ti amo tanto! Non lasciarmi mai!"
"Anch'io ti amo" l'abbracciò stretto, come volevano tutti e due "è vero, sembri proprio un gattino" gli mormorò, ma Kevin già dormiva e lui poté mettersi a pensare.
Il sonno gli era passato, assieme alla stanchezza, allontanato dalla tenerezza che provava e che era così forte da non farlo quasi respirare. Era come un dolore, una sofferenza che premeva sul petto e gli stringeva la gola.
Il cielo era ancora scuro, ma si era diffuso un debole chiarore, una luce quasi impercettibile che gli rivelò qualche dettaglio di ciò che lo circondava, di quello che fino a pochi secondi prima era un unico ammasso di tenebre e lentamente divenne riconoscibile. Lui cercò subito il volto di Kevin, i suoi lineamenti, di Kevin che dormiva sereno.
Seguì i tanti piccoli movimenti che faceva nel sonno, le espressioni, gli occhi che anche chiusi continuavano a muoversi, l'osservò, finalmente acquietato, in tutto il suo candore. Anche se ormai aveva capito che l'innocenza di Kevin era andata persa molto tempo prima.
Kevin aveva certamente avuto una vita difficile, drammatica, per come lo traumatizzava anche solo sfiorarne il ricordo, di questo era certo e quelle ore, i giorni sulla Venture, erano forse i primi momenti che quel ragazzo trascorreva in serenità. Da molto, moltissimo tempo.
Il loro naufragio si stava trasformando in qualcosa di inaspettatamente positivo per qualcuno di loro. Per molti, forse per tutti.
Non gli sfuggì l'involontaria ironia di quella situazione. Quello che per lui era un danno forse irreparabile alla carriera e alla vita stessa, poteva accomodare, almeno temporaneamente, alcuni torti e la vita stessa dei suoi compagni di sventura e avventura.
Poi i pensieri si persero un po' e vagarono, rendendosi incomprensibili a lui stesso. Era ancora stanco e in un barlume di coscienza si rese conto di stare scivolando nel sonno. Per non farlo si concentrò sulla realtà, sui rumori, cercò di distinguerli e analizzarli.
Su tutti, quello della cascata, continuo, incessante e per questo non più realmente percepito. Poi c'era il mare che pareva essersi calmato, ma che mandava ritmicamente le onde ad infrangersi sulla scogliera. Anche quel rumore, abbastanza continuo, era stato relegato in fondo alle sue sensazioni. E il sommesso brusio che ricominciava ad alzarsi dalla vegetazione dove milioni di piccoli animali vivevano e si muovevano, incuranti di loro, degli invasori, dei nuovi abitanti dell'isola. Ogni tanto su tutti si levava il grido di un uccello seguito da nuovi fruscii in mezzo all'erba.
In quella specie di irrilevante, sorgente frastuono, riuscì a identificare il respiro regolare dei ragazzi e l'ansare frequente e ritmico di Hook che era il più riconoscibile. Chris aveva un respiro corto, febbrile e distinse anche quello. Si sollevò sui gomiti a guardarlo, vide che dormiva un sonno agitato, ma almeno dormiva, così tornò ai suoi pensieri.
Quel giorno non ci aveva fatto caso, ma adesso, ripensandoci con calma, si convinse che quasi certamente sull'isola non avrebbero incontrato grossi mammiferi. Sapeva che nelle isole del Pacifico non ce n'erano, a meno che non vi fossero stati portati dall'uomo e quell'isola pareva disabitata. Ed era una fortuna, perché forse avrebbero trovato soltanto qualche roditore, scappato dalle navi che nei secoli potevano essersi fermate nella laguna, e anche dei piccoli anfibi e rettili che, almeno lo sperava, non sarebbero stati pericolosi. In Polinesia la fauna si era creata sfruttando i veicoli naturali, perciò c'erano soprattutto gli insetti portati dal vento o arrivati con gli uccelli che, volando da un posto all'altro, erano stati i veri promotori della vita animale in quelle isole.
Qualcuno dei ragazzi avrebbe potuto essere sensibile alle punture d'insetto, ma forse c'erano abbastanza medicinali per curarli, anche per periodi lunghi. Si ricordò che nella biblioteca della Venture aveva inserito un manuale di erboristeria, doveva consultarlo quando avesse avuto un po' di tempo, per cercare le piante con poteri curativi che certamente erano presenti fra la vegetazione rigogliosa che li circondava. E non c'erano piante carnivore, né alberi dai rami prensili, né creature mostruose che solo la loro fantasia avrebbe potuto partorire.
Su quell'isola avrebbe fatto sempre molto caldo e non avrebbero avuto bisogno di coprirsi, quindi i vestiti non erano un problema, ma la temperatura equatoriale e il sole troppo forte potevano essere pericolosi e dovevano stare attenti. Le scarpe col tempo si sarebbero consumate e non potevano certamente andare in giro scalzi, oppure ci si dovevano abituare gradualmente per far indurire la pianta del piede.
Il vero pericolo sarebbe venuto dal mare. Non dovevano avvicinarsi, se non stando molto attenti. A quella latitudine le acque erano infestate da squali e altri predatori, come i barracuda, e anche i piccoli pesci potevano essere pericolosi, con i loro aculei velenosi o urticanti che potevano scatenare allergie nei ragazzi. Poi c'erano sicuramente le meduse e chissà che altro, nascosto negli anfratti della barriera corallina e anche nell'acqua placida della laguna. Non sapeva esattamente cosa, ma l'idea di immergersi un'altra volta in quell'acqua blu lo atterriva, l'esperienza del naufragio era ancora troppo viva.
Fu così, tra tante preoccupazioni ed ansie, che tutti i peggiori pensieri tornarono ad accavallarsi nella sua mente, ma poi su tutto, a mitigare la gravità di quelle congetture, come un velo che ne stemperava l'effetto, si adagiarono la memoria e la certezza di aver trovato l'amore. Alla luce del giorno tutto gli sarebbe sembrato diverso e forse meno angosciante, ma il suo amore, quello ci sarebbe stato sempre, di giorno e di notte, con la luce e con il buio.
Kevin coi capelli rossi, sempre educato e pieno di dignità, anche quando era in costume da bagno, a dispetto della sua storia, quale che fosse. Kevin che aveva paura dell'erba che frusciava, si era addormentato esausto, scivolando sull'erba, incurante delle sue manie, dei suoi timori. E l'aveva fatto, ora Richard lo capiva, per stare vicino a lui, rifiutando il posto sull'amaca, perché lui aveva deciso di dormire per terra accanto a Chris.
E lui l'avrebbe aiutato, con gli abbracci e con i baci, a trovare il coraggio di affrontare i suoi fantasmi, oltre che i fruscii nell'erba.
Il primo giorno, quando si erano conosciuti, l'aveva guardato e salutato come tutti gli altri, poi Kevin era stato fra i primi ad avvicinarsi. Avevano fatto facilmente amicizia e parlato di molte cose, arrivando presto a scoprire di essere molto simili. E non era stato un caso che si fosse trovato accanto a lui la notte del naufragio. Adesso tutto gli appariva più chiaro, anzi, ripensando a quei due mesi, rivedeva tutto in una luce completamente nuova. Kevin non l'aveva più lasciato, neppure per un momento, gli era stato sempre accanto, perché s'era innamorato di lui. C'era stato quell'abbraccio, qualche sera prima, quando Kevin aveva confessato davanti a tutti che gli piaceva tanto essere coccolato e che più di tutto desiderava essere amato. Lo comprendeva solo adesso, ripensando alla scena. Quel discorso era indirizzato soltanto a lui, per fargli capire qualcosa che non poteva dirgli in alcun modo, non ancora. Kevin l'amava e chissà da quanto gli faceva la corte, in un modo tanto indiretto che lui non aveva capito. Oppure era stato così stupido da non accorgersene e chissà come aveva sofferto Kevin di fronte alla sua indifferenza.
Poi gli tornò in mente un'altra cosa. Se interpretava a quel modo il comportamento di Kevin, poteva fare lo stesso con quello di Manuel, anche Manuel non l'abbandonava mai ed era sempre accanto a lui, forse anche Manuel l'amava. Cominciava a sentirsi sopraffatto dalla felicità e anche dalla responsabilità che quei legami comportavano.
Sentì Chris muoversi, tossire. Vide che aveva aperto gli occhi. Era sveglio.
"Come va, fratello? Come ti senti?" gli sussurrò.
"Non lo so... ho caldo..." bisbigliò.
Si lamentò e Richard cercò di calmarlo con qualche carezza, poi si alzò per bagnare un fazzoletto all'acqua.
"Vuoi dell'altra morfina?"
"No, non adesso. Ehi... Richard, sto per morire?" gli chiese con una voce che era sempre flebile, ma infinitamente più ferma.
Richard gli prese la mano, posò le labbra sulla fronte che sentì calda e febbricitante, lo baciò.
"Non lo so, Chris, ma non posso fare molto per aiutarti. Quando l'albero ti ha colpito, ha fatto qualcosa di... brutto dentro di te ed io non so cosa sia, né come fare ad eliminarlo."
"Tu sai quello che succede quando uno muore, Richard? Dov'è che va?"
"Non lo so. Nessuno lo sa per certo. Alle volte ho pensato che... forse è come cadere in un sonno profondo, senza più dolore..."
"I miei genitori erano buddisti, poi ho vissuto con degli zii che non praticavano nessuna religione, e poi... le famiglie che mi adottavano erano sempre cattoliche, quindi non ci capisco molto... non so proprio dove andrò... dopo!"
"Io so che i buddisti credono nella vita dopo la morte..." ma già dicendole pensò che quelle parole fossero troppo complicate per il ragazzo in quel momento e non ricevendo risposta si limitò ad accarezzarlo.
"Credi che rivedrò i miei genitori?" fece Chris dopo un poco.
"Oh, sono sicuro di si, li incontrerai certamente."
"Resta vicino a me, Richard, ti prego."
"Non ti lascerò, fratellino, stai tranquillo. Non ti lasceremo mai da solo!"
"Ti prego..." e si riassopì, perché parlare l'aveva spossato.
A Richard era costato più di tutte le altre fatiche, ad ogni parola che diceva si era sentito sempre più disperato. Continuò a tenergli la mano e ogni tanto si abbassava a sfiorargli la fronte con le labbra.
"Vorrei provare a passarti un poco di acqua fresca sulla fronte, per vedere se aiuta ad abbassarti la temperatura" disse più a se stesso che a Chris che non l'ascoltava più.
Quando si avvicinò al laghetto, alzò gli occhi e vide che dietro le cascate il cielo si stava decisamente schiarendo.
La loro seconda giornata stava cominciando, piena di incognite e sorprese.
TBC
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