DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
Questo è il primo dei dieci capitoli che compongono questo romanzo.
Nota dell'autore:
Qualche giorno fa, mi è arrivata una mail da una persona che non conosco, aveva un nickname piuttosto inusuale. Era scritta in un italiano poco discorsale, mi dava del lei e mi chiedeva molto educatamente se ero l'autore di 'Storia di Niki e Mauro'.
Quel romanzo l'ho davvero scritto io, quindici anni fa. L'ho scritto e sono già passati quindici anni!
Non riuscivo a spiegarmi come avesse fatto a trovarmi, poi ho pensato che leggendo qualcosa di mio su Nifty avesse collegato il mio nick. Su Nifty infatti uso una mail che contiene lo stesso nick/autore di 'Storia di Niki e Mauro'.
Ho fatto una ricerca in rete per vedere se c'era ancora qualche traccia e ho scoperto che proprio quest'anno 'Storia di Niki e Mauro' è stata ripubblicata, seppure incompleta in un forum di racconti (http://www.pianetagay.com/forum/racconti-erotici-gay/). L'autore del post raccontava:
"Ho trovato questa serie di racconti nel web, ma non sono più riuscito a ripescarli e quindi non so nemmeno il Nik di chi li ha scritti. Poiché mi sono sembrati particolarmente belli, ho provveduto a dar loro un'aggiustatina per poi inserirli in questo sito. Se chi li ha scritti li riconoscerà potrà contattarmi mandandomi un messaggio in questo sito. A voi chiedo di dirmi se vi piacciono e se devo continuare a postarli."
Evidentemente sono piaciuti, perché ha inviato sette capitoli, suddividendoli, chissà perché, in modo diverso. E non erano tutti.
L'unico altro posto dov'è citato il romanzo è un blog "River 700 grammi di cazzate (riciclabili)" in cui, nel thread "Cronografia del web su carta" (http://www.river-blog.com/2011/05/06/cronografia-del-web-su-carta/), uno dei partecipanti elenca quello che c'è stato di memorabile nel web e dice tra l'altro:
"Nella mia personalissima memoria virtuale adolescenziale ricordo alcuni passaggi:
...
1999 teengay.it o qualcosa del genere, era un sito per giovani gay, antesignano dei socialgay di ora, ricordo dei bei racconti pubblicati, uno in particolare, una sorta di romanzo, che s'intitola "la storia di Niki e Mauro", mi appassionò, ricordo che la leggevo prima di andare al mare."
Questo ricordo mi ha commosso, perciò ho deciso di ripubblicare su Nifty 'Storia di Niki e Mauro'.
Storia di Niki e Mauro
Cap. 1 Prima storia di Niki
Fu un'estate diversa quella dei suoi quindici anni, perché rivide Stephan e con lui trascorse i tre mesi più belli della sua vita. Ciò che accadde in quell'estate, gli diede una percezione diversa di sé e del proprio futuro.
Era sempre stato solo, quasi tutta la sua vita era trascorsa nell'isolamento, attenuato soltanto dall'amore dei genitori e del nonno. Quando era diventato abbastanza grande per comprendere quella particolare situazione, l'aveva accettata come una condizione inevitabile della propria esistenza. Sapeva che c'erano bambini tanto poveri da non poter neppure mangiare, oppure afflitti da malattie. Cercava sempre di convincersi che erano meno fortunati di lui. Di lui che era solo, niente più che solo. Fare questi pensieri spesso riusciva a consolarlo, ma c'erano giorni in cui gli pareva troppo difficile non badare a quella sua sorte speciale.
Qualche volta aveva anche pianto, per se stesso, era stato quando la malinconia gli aveva stretto troppo il cuore. Una volta aveva pensato di sé come ad un essere nato nello spazio, condannato a vivere in un'astronave e per questo assuefatto al vuoto assoluto. Pianse quando capì che se non avesse fatto qualcosa, non sarebbe mai caduto ed avrebbe continuato a galleggiare nel nulla. Il silenzio in cui viveva l'avrebbe reso sordo per sempre. La mamma lo trovò con gli occhi pieni di lacrime e lui non volle spiegarle perché piangesse, ma si fece stringere nel suo abbraccio perché lei lo consolasse, mormorandogli parole che solo in parte riuscirono a confortarlo.
Niki era nato ed aveva trascorso la sua infanzia, a Boston. Aveva vissuto, assieme ai suoi genitori, nella casa del nonno. Era figlio di un italiano e di un'americana che si erano incontrati per caso. Suo padre era un giovane ingegnere, appena arrivato dall'Italia, la mamma, una promettente musicista. Loro s'innamorarono già conoscendosi e si sposarono dopo qualche mese. Niki nacque in settembre, ad un anno esatto dal giorno in cui i suoi genitori s'erano conosciuti. Durante la gravidanza, fecero una scoperta terribile, il cuore di Arleen era molto ammalato e tutti, anche Niki che stava per nascere, impararono a convivere con il rischio di una morte precoce.
La vita della famiglia cambiò quando il padre volle rientrare in Italia. Aveva intenzione di proseguire nel suo paese la carriera accademica che sarebbe stata facilitata dai titoli acquisiti in America. E questo fu vero solo in parte, perché fu costretto a rincorrere, per molti anni, gli incarichi universitari, tentando sempre di migliorare la propria posizione. Quel nomadismo rappresentò un prezzo pagato soprattutto dal resto della sua famiglia, composta da una donna ammalata e da un bambino, un po' viziato, entrambi costretti ad incrementare in fretta le poche parole italiane imparate quando erano ancora in America.
All'arrivo in Italia, Niki aveva appena compiuto cinque anni e fu allora che cominciò la stagione della sua solitudine.
Qualche mese dopo, quando fu tempo d'andare a scuola, proprio il primo giorno, ebbe l'idea di non essere come tutti gli altri bambini. Sebbene la famiglia fosse italiana da più generazioni, suo padre portava ancora un cognome straniero. Oltre a questo, a Niki era stato imposto un nome insolito, che non era il diminutivo, il nickname, come diceva sua madre, di Nicola. In tal caso almeno il nome sarebbe passato inosservato, ma Niki era proprio il nome che Arleen, arpista appassionata, aveva scelto per quello che sarebbe stato il suo unico figlio. Lei aveva scelto quel nome in onore del suo modello artistico, un virtuoso d'arpa spagnolo chiamato Nicanor. Così Niki, con la kappa e senza l'ipsilon, era il diminutivo americano di un nome spagnolo che, assieme al cognome tedesco del papà, fu più che sufficiente a decretare la diversità di chi lo portava in una classe di bambini dai nomi tutti assolutamente italiani. Dovette perciò fare i conti con quel nome che lo rendeva dissimile da tutti i Roberto, Luigi, Francesco, Alessandro e Leonardo che gli stavano intorno e si convinse che quelli appuntavano l'attenzione su di lui a causa di quel nome complicato e diverso. Anche con il cognome, pensava, le cose non andavano meglio, perchè quasi tutti i suoi compagni e persino gli insegnanti, non lo sapevano neppure pronunciare.
Negli anni che seguirono Niki attirò su di sé, involontariamente, l'attenzione, perché, cambiando città alla fine d'ogni anno scolastico, al seguito di un padre girovago, si ritrovò, sempre con nuovi compagni di classe, naturalmente sconosciuti. Accadeva che, ad ogni primo giorno di scuola, quando tutti già lo guardavano con naturale curiosità perché era nuovo, facendo l'appello, l'insegnante lo chiamasse. Allora tutti erano disorientati dal suono straniero di quel cognome strano e dal nome che era quasi un diminutivo. E quei ragazzi erano sempre poco propensi ad accettare un nuovo compagno che, come scoprivano subito, si esprimeva con un accento diverso da quello di tutti gli altri e con una proprietà di linguaggio inconsueta per la sua età.
Quando poteva, infatti, lui parlava in inglese, perciò pronunciava tutte le parole italiane con una leggera inflessione straniera che era del tutto diversa da quella dei compagni e degli insegnanti. Il suo modo di esprimersi, poi, era insolito, perché spesso gli accadeva di pensare in inglese e di dover poi tradurre in italiano ciò che stava per dire. Costruiva le sue frasi, che erano sempre corrette, in un modo che pareva almeno strano a chi le ascoltava.
Tutto questo, assieme al fatto che era sempre più alto di quasi tutti i suoi compagni, che era anche molto bello, educato, gentile e sempre inappuntabilmente vestito, che non correva mai, né si lasciava mai prendere dalla foga o da scatti d'ira, che, non litigando con nessuno, non faceva mai a botte, lo rendeva definitivamente diverso da ogni altro bambino.
Frequentando la scuola comprese una grande verità: essere sempre solo non era, come gli era sembrato di capire e come aveva fantasticato, il destino di ogni bambino, ma una sua sorte speciale e di sicuro indesiderata. Scoprì di volere per se stesso un po' dell'amicizia che univa quasi tutti i suoi coetanei, ma questo non accadde, né in prima elementare, né negli anni successivi. Attorno a sé vide crescere soltanto un isolamento che lo fece soffrire e lo spinse a chiudersi sempre di più. Sperò sempre che qualcuno gli si rivolgesse con amicizia, con un po' d'affetto e non solo per schernirlo, come avveniva quasi sempre.
Gli anni delle elementari e quelli delle medie corsero via con l'acquisizione di una dolorosa consapevolezza, quella della solitudine e della necessità, per non essere del tutto solo, di costruirsi un'avvincente vita interiore. Perciò si creò un mondo di sogni, pieno d'amici immaginari e di persone che l'amavano allo stesso modo con cui, nella realtà, l'amavano solo i suoi genitori, il nonno a Boston ed un cugino che era ancora più lontano. La mamma e il papà, consapevoli delle difficoltà di quel figlio così teneramente amato, esaudirono ogni suo desiderio, cercando in tutti i modi di rendergli la vita, per quanto possibile, meno triste.
I mondi che s'era costruito erano infiniti e i più fantastici, alimentati dalla lettura di tutti i classici per ragazzi e poi dai libri trovati nella fornitissima biblioteca accumulata dai suoi genitori, dai giornali che da tutto il mondo arrivavano in casa, e naturalmente dai tanti giochi che faceva. Aveva per sé i giocattoli più costosi e sofisticati che il nonno riusciva a scovare in America, per giochi che lui, purtroppo, faceva sempre da solo.
Come c'era da aspettarsi dal figlio di una musicista, amava la musica che accompagnava e cadenzava la sua vita fin da quando era nato. I loro traslochi erano sempre molto costosi, si lamentava il papà, per via di tutti quei libri, dei dischi e degli spartiti che Arleen s'era portata dagli Stati Uniti, per tacere dell'arpa e del grande pianoforte che imponevano sempre di trovare case con almeno una stanza sufficientemente grande per ospitarli.
La mamma gli aveva insegnato a suonare il pianoforte quando erano arrivati in Italia. Per lei era stato un modo di tenere occupata la mente e per Niki una scoperta e un gioco che non l'aveva mai impegnato molto, visto che, grazie al suo buon orecchio musicale non aveva mai dovuto faticare per ottenere qualche risultato. Aveva imparato a leggere le note e suonava con una certa fedeltà, interpretando abbastanza bene molte composizioni, ma soprattutto ripeteva o improvvisava su brani ascoltati da sua madre, dal giradischi o dalla televisione.
I suoi studi musicali si erano fermati alla capacità di ottenere suoni gradevoli dal pianoforte, aveva una buona conoscenza della tecnica esecutiva, ma niente di più, perché alla mamma non interessava particolarmente che lui diventasse un musicista e a Niki piaceva molto suonare il pianoforte, ma trovava altrettanto interessante leggere, disegnare, fare le costruzioni ed inventarsi tanti altri giochi. Finì per suonare solo quando era triste e la musica in quei casi l'aiutava a tornare sereno. Oppure suonava per la mamma se si accorgeva che lei era malinconica e a lui premeva solo che tornasse allegra, perché era la sua sola compagna di giochi.
La musica e il pianoforte erano così diventati una delle tante vie di fuga dalla realtà, fin da quando aveva cominciato ad averne bisogno.
I giochi, le letture, la musica, tutti quei mondi erano i regni su cui governava con la sua fantasia e che lo tenevano in vita, consentendogli di sottrarsi alla miseria e alla solitudine della sua realtà quotidiana. Quelle fughe, però, finirono per condizionare il suo comportamento verso i compagni, facendone un alieno in un mondo di ragazzi molto normali. Non era mai riuscito a farsi un amico e ciò era accaduto senza che ne avesse molta colpa, perché non aveva mai trovato un compagno, un ragazzino che leggesse i suoi stessi libri, che ascoltasse o suonasse la stessa musica, che, almeno, avesse delle fantasie simili alle sue. Tutti i tentativi fatti per accostarsi a qualcuno dei compagni erano falliti, anche perché crescendo era diventato ostile al mondo esterno. Era un ragazzo che trattava con sufficienza gli altri, insegnanti e compagni di scuola, e questo gli attirava le antipatie anche di alcuni professori.
Durante la primavera, prima che compisse i tredici anni, notò che i discorsi, i bisbigli dei suoi compagni di scuola trattavano un argomento nuovo. Parlavano quasi esclusivamente di sesso. Non che lui partecipasse a quei ragionamenti, perché era sempre, irrimediabilmente escluso da qualsiasi discussione, ma aveva cominciato a sentirli discutere e vantarsi in termini coloriti delle proprie masturbazioni, di sperma e d'argomenti simili.
Di tutto quel sussurrare gli fu subito chiara una cosa: i suoi compagni di scuola si stavano divertendo parecchio con quella scoperta e, purtroppo, non avevano alcuna intenzione o voglia di metterlo a parte di quel segreto, perciò s'ingegnò e, da serio, piccolo studioso qual'era, cercò di documentarsi, sfruttando la biblioteca di casa. Le notizie che trasse da quella ricerca, unite alle esperienze carpite ai suoi compagni, gli diedero abbastanza conoscenze per darsi da fare per conto suo. Cominciò così ad esercitare la pratica, applicandola al proprio corpo che si stava risvegliando in quei mesi, già sviluppandosi armoniosamente.
I suoi primi orgasmi, dapprima, lo intimorirono, ma, essendo sorretto da una buona conoscenza scientifica dell'argomento, non lasciò che quelle sensazioni finissero fra le cose di cui vergognarsi. Fu contento di parlarne alla mamma e al papà, i quali accolsero la notizia con l'interesse che le era dovuto, dettero suggerimenti sulla moderazione e gli augurarono buon divertimento.
Poiché il suo approccio all'argomento, partito dagli scarsi indizi attinti presso i suoi coetanei, fu di tipo esclusivamente scientifico, Niki si masturbò per qualche tempo semplicemente strofinando il pene con la mano. Il suo membro rispondeva bene alle sollecitazioni, indurendosi e regalandogli momenti di piacere, ma la cosa che le prime volte era stata divertente e perfino entusiasmante, divenne subito un po' noiosa. La semplice emissione dello sperma, seppure accompagnata da quei brividi così piacevoli, non rendeva l'esperienza o il rito quotidiano tanto avvincente e il tutto si trasformò presto in un atto dovuto all'igiene corporale come lavarsi i denti e fare la doccia.
La svolta avvenne proprio alla fine dell'anno scolastico e fu repentina. Scoprì che nella sua vita s'era verificato un mutamento eccezionale, di cui non aveva ancora preso completa coscienza ed il merito di questa conquista fu tutto degli odiati compagni di classe. Per quel regalo, fu sinceramente grato ad uno di loro, al più detestabile, un ragazzo che, in seguito, si sorprese a ricordare con affetto.
Non avrebbe mai immaginato di poter provare altro che fastidio per di quegli sciocchi, ma un giorno accadde qualcosa d'impensabile per lui. Mentre si cambiavano dopo l'ora d'educazione fisica, il peggiore dei suoi compagni, un ragazzo già fisicamente maturo, ma anche particolarmente arrogante, gli si avvicinò e, abbassatosi all'improvviso gli slip, brandì il membro quasi eretto. Con uno scatto in avanti, glielo sventolò sotto il naso. Niki sussultò, sorpreso dal movimento, ma si riprese subito e non poté fare a meno di notare in tutti i particolari quella nudità esposta a pochi centimetri dai suoi occhi. Ne osservò prima di tutto le dimensioni, che gli parvero esagerate, poi fu colpito dall'aureola di peli scuri e dal sacco pesante col suo contenuto. Percepì anche un odore acre, penetrante che era diverso da quello che avvertiva su di sé. Ne fu affascinato.
Notò il ventre piatto del ragazzo e le gambe muscolose, già coperte da una peluria che gli parve oscena e desiderabile. Nonostante lo spavento e l'imbarazzo che stava provando, i suoi occhi curiosissimi registrarono tutto questo nei pochi attimi in cui si svolse la scena.
Tutti ridevano, alcuni incitavano l'aggressore e la situazione rischiava di precipitare, perché quello, imbaldanzito dal successo ottenuto presso i compagni, l'aveva sospinto in un angolo e gli avvicinava sempre più l'uccello alla faccia. Niki non sapeva proprio come cavarsela. In quel momento si trovava a fronteggiare una situazione molto grave. Sentiva su di sé gli occhi dei compagni e non sapeva come reagire all'attacco di quel prepotente. Per giunta, si stava eccitando, sentiva montare un'erezione difficile da nascondere, visto che era ancora in mutande.
Il dramma fu evitato dal professore di ginnastica che intervenne, tirando per i capelli il prepotente, che poi fu espulso, e salvando l'incolpevole Niki da quella situazione disdicevole.
La grande novità fu che, a partire da quel giorno, trovò uno stimolo tutto nuovo per le sue masturbazioni. Non dovette fare altro che ripensare a quei momenti indimenticabili. Guardava e riguardava nella mente quella scena, quando a pochi centimetri dagli occhi aveva visto il primo pene quasi eretto della sua vita.
Fu una rivelazione. Pur con tutta la sua fantasia, non aveva mai pensato alla possibilità d'aiutare la propria ricerca di piacere con dei ricordi o pensieri. Così, sfruttando quell'episodio e ringraziando in ogni momento il suo imprudente compagno, poté inaugurare una nuova, più esaltante stagione della sua vita sessuale, quella della fantasia, in cui erano coinvolti quasi tutti i ragazzi che per qualche motivo entravano in contatto con lui. Da quel giorno, prima di addormentarsi, passava in rassegna gli avvenimenti della giornata e sceglieva un personaggio con il quale ingaggiare una lotta selvaggia e senza quartiere che terminava, invariabilmente, con l'avversario che, ridotto in schiavitù, era costretto ad eccitare il vincitore. Questo accadeva se il prescelto era una persona che Niki avesse in odio, se, invece, era un personaggio buono del teatrino, l'avventura era combattuta a fianco a fianco dai due eroi che finivano sempre vincitori di una qualche lotta. L'eccitazione della vittoria infiammava i protagonisti che assieme giungevano all'orgasmo liberatorio.
Come sempre, come era accaduto alla fine di ogni suo anno scolastico, cambiò città a causa dell'ennesimo trasferimento subito dalla sua famiglia, perciò, in settembre, il teatrino notturno si arricchì di nuovi personaggi, e lui riprese, com'era ormai sua abitudine e necessità, ad ascoltare di nascosto i discorsi ed i bisbigli dei compagni. Quello che però gli premeva, era di capire perché quelli parlassero sempre più spesso di ragazze e di sesso femminile, mentre i suoi pensieri se n'andavano regolarmente in direzione opposta, fissandosi sempre sui loro corpi, in genere osservati durante l'ultima lezione d'educazione fisica.
Con il solito rigore scientifico, cominciò a studiare il problema e, dopo qualche difficoltà d'interpretazione, ne trasse una risposta che dapprima lo confuse. Era omosessuale, il risultato delle sue ricerche gli si parò davanti verso la fine della terza media e prima ancora che compisse i quattordici anni.
Nel suo studio era partito da una rudimentale autoanalisi ed aveva scomodato anche Freud e Jung, conosciuti leggendo avidamente un piccolo manuale di psicoanalisi acquistato su una bancarella. Poi, utilizzando come poteva quelle nozioni, era giunto ad una conclusione che non l'aveva stupito, né preoccupato eccessivamente, ma solo un po' confuso, non possedendo alla sua età gli strumenti per interpretarla compiutamente. Essendo figlio di una madre ammalata e forse possessiva, anche se a lui non pareva, e di un padre un po' distratto e qualche volta autoritario, questo poteva anche essere vero. Essendo stato costretto a tutti quei trasferimenti, tenuto conto di tutto ciò, riteneva di potersi definire, con buon'approssimazione, un buon candidato all'omosessualità. Anzi, ripeteva a se stesso per convincersi della validità della sua analisi, se poi accidentalmente non lo fosse diventato, si sarebbe dovuto studiarlo come caso clinico.
Fu così che giunse al convincimento d'essere quello che è sempre stato definito, in ogni lingua e dialetto, con abbondanza di termini ed espressioni.
Questa nuova consapevolezza lo lasciò indifferente giacché, si disse, tutte le implicazioni della scoperta potevano ridursi ad una diversa attesa per il futuro e ad un equilibrio nel presente. Il suo senso pratico gli impedì di farne una tragedia. Si persuase infatti che ritrovarsi omosessuale, non gli avrebbe arrecato un gran disturbo, perché la sua diversità non avrebbe potuto renderlo più solitario di quanto già non fosse. Nel suo futuro c'era, forse, una ricerca più difficoltosa ed attenta degli amici e forse, quando fosse cresciuto, di un compagno per la vita, piuttosto che di una compagna, ma di quest'ultimo problema, credendone non urgente la soluzione, non fece un dramma. E poi, cercare di farsi degli amici, secondo la sua esperienza, era certamente un'impresa impossibile, trovare chi la pensasse come lui ed avesse quindi i suoi stessi speciali desideri, non poteva essere tanto più complicato.
I genitori lo avevano allevato al culto della libertà individuale ed era stato attrezzato a seguire le proprie inclinazioni e i propri desideri, piuttosto che adeguarsi ai comportamenti degli altri e quindi a non preoccuparsene. Era dunque certo che, almeno da loro, non gli sarebbero giunte difficoltà nel futuro e, per quel che riguardava il presente, era già così solo che con la sua omosessualità non avrebbe potuto spaventare proprio nessuno. Gli pareva anzi di poterla pacificamente vivere, com'era giusto che fosse, come un diverso orientamento di gusti sessuali. Gli piacque, perciò, pensare a se stesso come ad una persona allegra, gaia, un gay, come l'avrebbero chiamato in America, e questo gli bastò.
O gli sarebbe bastato se, durante quell'estate, non fosse accaduto un fatto che lo disorientò parecchio, nonostante le conclusioni cui era giunto da pochissimo tempo. Le sue deduzioni, circa il proprio orientamento sessuale, denotavano sicuramente una maturità eccezionale per l'età che aveva, ma quello che avvenne in quell'agosto americano lo sconcertò, fino a farlo dubitare di sé e delle idee che s'era fatto senza tanta fatica.
Il nonno aveva insistito perché partecipasse ad un campeggio. Quella era il posto adatto a lui, aveva detto, e poi là avrebbe conosciuto altri ragazzi. Se proprio non fosse riuscito a fare amicizia con nessuno, almeno non sarebbe stato solo. Queste furono le ragioni portate dal nonno, condivise dalla mamma e dal papà, e Niki se ne fece convincere. Si ritrovò così a trascorrere quindici giorni in riva ad un lago, tra montagne altissime, in un paesaggio incantevole, per chi l'avesse apprezzato, ed in compagnia di ragazzi quasi tutti della sua età, anche se ce n'era qualcuno più grande. Dopo i primi giorni trascorsi cercando di adattarsi alla vita all'aria aperta, rinunciando a quasi tutte le comodità cui era abituato, Niki cominciò a divertirsi, fino ad ammettere con se stesso che il nonno aveva avuto davvero un'ottima idea.
S'accorse di trovarsi davvero bene a quel campeggio, anche perché nessuno dei compagni trovava strano il suo nome, né il modo di parlare, né qualche atteggiamento. Questo accadeva forse perché erano tutti americani come lui, o semplicemente perché non gli badavano, come lui non badava a loro. Si divertì e si stancò moltissimo a giocare e a praticare tutte le attività con cui i responsabili del campo cercavano di tenerli occupati.
Andò tutto bene, fino al giorno in cui capì di essersi innamorato.
Alzandosi, una mattina, il ricordo di un sogno, una traccia nella sua mente, gli fece cercare con gli occhi un ragazzo un po' più grande che il giorno prima era stato suo compagno in un gioco. Quello gli sorrise e lui se ne invaghì. Non capì di essere innamorato, non avrebbe potuto, ma s'accorse subito che tutto attorno a lui era improvvisamente divenuto più bello, più affascinante. Ogni oggetto aveva assunto una luce nuova, diversa da com'era fino ad un momento prima.
Per quel giorno, nei giochi, mentre mangiavano, in ogni momento, una forza misteriosa lo ispirò e gli fece desiderare di esser vicino a quel ragazzo cercando sempre di capitargli accanto. Così fece il giorno dopo e l'altro ancora. Purtroppo quello, dopo il primo sorriso, non gliene dispensò altri, non ne avrebbe avuto motivo, e la luce che aveva improvvisamente illuminato il mondo di Niki si spense a poco a poco, assieme alla speranza che il suo ignaro innamorato potesse accorgersi ancora di lui.
Il campeggio si trasformò velocemente in una tortura, peggiore di com'era la scuola e lui finalmente capì cosa gli fosse accaduto.
Cominciò allora ad attendere con ansia che tutto finisse e che il nonno andasse a riprenderlo.
Nel cuore gli si era aperta una ferita nuova, più profonda, diversa e più dolorosa dell'angustia che provava quand'era solo. Capì che era accaduto un fatto nuovo, più grave. Comprese che quello era uno dei tanti segnali che il suo corpo e la sua mente gli inviavano, era la sua adolescenza e lui stava crescendo, cambiando. Era a causa di questo, pensò, che s'era innamorato. E, poiché era gay, quel fatto glielo confermava, prendeva le sue sbandate per i ragazzi.
Aveva quasi quattordici anni e capire tutto ciò finì per turbarlo.
Gli ultimi giorni del campeggio trascorsero con una lentezza esasperante. Quel ragazzo, amante ignaro, era continuamente davanti ai suoi occhi, ma lui non poteva far nulla.
Finalmente andarono a riprenderlo e poté lasciare quel posto e l'innamorato. Tornò a Boston e quella sera stessa, rivelò ai genitori d'essere omosessuale. Parlò perché ebbe paura, sperando che l'aiutassero quando fosse accaduto ancora. Non voleva più soffrire così. Ne parlò alla mamma, perché sapeva che l'avrebbe consolato. Sapeva di poterlo fare e aveva capito che avrebbe trovato in lei il solito affetto e l'abituale forza d'animo. Glielo disse con semplicità, come aveva fatto circa un anno prima, quando le aveva confidato d'essere diventato grande, almeno nel corpo.
Arleen non se l'aspettava, non da suo figlio a quattordici anni, ma reagì dandovi il peso che si poteva dare ad una rivelazione come quella che, in ogni caso, non era impegnativa per la vita. L'abbracciò, cercò di alleviare quella nuova solitudine.
Quell'estate fu uno spartiacque nella sua esistenza e, anche se si sentiva ancora alla ricerca di molti pezzi di sé, fu abbastanza cosciente che da solo o con l'aiuto che poteva ricevere dai genitori, non sarebbe potuto sopravvivere. Ciò che gli era accaduto al campeggio, gli servì per capire un fatto molto importante: non doveva più cercare un compagno di giochi, ma un amico. Aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, cui confidare i propri pensieri, qualcuno che gli fosse vicino e possibilmente vivesse i suoi stessi dubbi. All'amore, quello vero, ancora non riusciva a pensare, ma a quell'amico, se mai l'avesse trovato, avrebbe chiesto anche qualcosa del genere.
All'inizio della scuola, in quarta ginnasio, si dedicò a questa ricerca, convinto che alle superiori sarebbe stato più facile trovare persone che fossero almeno culturalmente allineate alle sue possibilità. Cercò di agire senza quei pregiudizi che l'avevano bloccato tante volte e che gli avevano impedito di stringere legami con ragazzi che avrebbero anche potuto e voluto essere sinceramente suoi amici. Riuscì così ad entrare in confidenza con alcune ragazzine che trovavano particolarmente interessante la sua aria da ragazzo compito, con l'accento anglosassone, lui precisava 'bostoniano'. Anche qualche ragazzo, cui s'avvicinò, sembrò apprezzare la sua compagnia tanto che si creò un gruppo di quattro, cinque di loro che qualche pomeriggio si ritrovò per giocare e qualche sera uscì per il cinema o per una pizza. Ma anche se tutto questo rappresentava per lui un'esperienza inedita, non la considerava appagante, essendo ormai la sua ricerca volta ad altro.
C'era uno fra quei ragazzi, Alfredo, che, gli parve, condividere più degli altri le sue consuetudini di lettura e di studio. E Alfredo si rivelò davvero un buon amico, perché l'aiutò, soprattutto, a liberarsi da molti dei vizi cui l'aveva spinto la solitudine. Con lui imparò a mettere in discussione le proprie idee, a confrontarle, a battersi per difenderle ed a perdere qualche battaglia. Alfredo sarebbe stato un compagno perfetto, anche in quel senso speciale cui Niki pensava sempre più spesso, se un giorno d'inverno, stimolato dall'amico che voleva spingere la propria conoscenza anche a quello che gli premeva sopra ogni altra cosa, non avesse espresso le sue opinioni e i suoi desideri riguardo alle compagne di classe.
Fino a quel momento la loro amicizia era stata, per i reali desideri di Niki, poco coinvolgente, ma quelle rivelazioni lasciavano poco spazio alle speranze di cooptare l'amico nel suo circolo socratico, come aveva appena scoperto di poter definire un gruppo di gay. Purtroppo Alfredo, un po' eccitato dall'argomento e, messa da parte la sua innata riservatezza, rivelò a Niki tutti i suoi sogni, anche i più segreti. Quando era solo, il povero Alfredo fantasticava di ammucchiate in cui era soffocato dalle tette di donne procaci e vagheggiava, lui, piuttosto gracile, di amplessi travolgenti ed orge indescrivibili.
Niki ne fu sconvolto e si sentì molto vicino alla nausea. Alfredo l'aveva deluso e fu subito cancellato dal carnet degli eroi serali ad uso di 'felicità solitaria e passeggera', come lui aveva poeticamente cominciato a chiamare i suoi quotidiani appuntamenti autoerotici.
Tornò così, almeno da quel punto di vista, ad essere solo. Per tutto il resto, il sodalizio culturale con Alfredo proseguì e continuarono ad essere buoni amici e saltuari compagni di studi, di passeggiate, d'interessanti scoperte, soprattutto musicali. Un pomeriggio, quasi alla fine di maggio, partendo da un ascolto della sinfonia 'Patetica' di Ciaikovski, Niki, che non perdeva la speranza di ottenere da Alfredo almeno un po' di comprensione, pilotò il discorso sull'omosessualità del musicista russo.
"Lo sai che, secondo documenti scoperti di recente, Ciaikovski morì suicida, condannato da un giurì d'onore. Pare che avesse sedotto il figlio di un nobile. Pensa, Ciaikovski fu costretto a bere del veleno! Dovette morire!"
"È eccezionale lo stesso" Alfredo era un ammiratore acceso di Ciaikovski "lo sai che ho quasi pianto quando ho ascoltato questa musica per la prima volta. Però, hai ragione, è terribile, per un uomo come lui, dover morire così! E per un motivo così futile!"
Queste affermazioni incoraggiarono Niki. Fu allora quasi inevitabile parlare d'omosessualità.
"A te non importa, quindi, che un grande artista sia omosessuale?"
Alfredo non lo deluse.
"Che c'entra? Uno nel proprio intimo può credere e agire come vuole, non credi? Penso che l'unica cosa importante sia l'opera che l'artista ha creato. È per quello che si è ricordati!"
"E tu ragioneresti così per chiunque? Per le persone comuni?"
"Certo! Quel che importa è come si agisce con gli altri, non quello che si fa per conto proprio."
"Già..." e gli venne voglia di commettere una pazzia. Fu tentato di confessare la propria omosessualità ad Alfredo.
"Cosa ne penseresti, allora, se ti confessassi che forse sono omosessuale?"
"Non dire stronzate" fece Alfredo improvvisamente serio.
"È la verità!"
"Mi fai preoccupare. Una cosa è parlare in generale di Ciaikovski, una cosa è ritrovarti il mostro in casa" e poi rise in un modo che Niki trovò osceno.
"Perché, di che cosa avresti paura?" gli gridò Niki, sentendo la collera montargli dentro, una creatura sconosciuta che gli cresceva nel petto e che non seppe più controllare.
L'ipocrisia di Alfredo lo sconvolse.
"Pensi che, essendo gay, potrei saltarti addosso per farti chissà cosa? Oppure pensi che io sia tanto ammalato da contagiarti con un morso?"
E, nel dire così, preda dell'ira, inaspettatamente l'afferrò e finse di morderlo sul collo. Ne venne fuori un succhiotto, specialità di cui aveva letto in un giornalino porno che era circolato a scuola. Alfredo si divincolò e, appena liberatosi, si toccò il collo, tentando di valutare il danno subito, poi fulmineamente gli tirò un pugno all'addome.
Niki fu colto alla sprovvista e si piegò, quasi inginocchiandosi per il dolore che provava, ma era anche impaurito dalla furia che aveva intravisto negli occhi di Alfredo che, sebbene più basso e meno robusto, aveva agito di sorpresa.
"Tu sei un finocchio, non è vero? L'avevo immaginato, ma non volevo crederci. Gli altri me l'avevano detto di stare attento con te. Quanto schifo mi fate tu e quelli come te!" gridò cominciando in italiano e finendo nel suo dialetto.
Niki era ancora piegato per il dolore e si sentì sul punto di piangere, ma era anche terribilmente offeso dalle ingiurie che quella specie d'amico gli stava riversando addosso e che in gran parte gli sfuggirono, perché espresse in una parlata che lui non era riuscito ancora ad imparare.
Non era in casa sua, perciò si tirò su con tutta la dignità di cui fu capace, mandò indietro le lacrime e s'avviò verso la porta senza una parola. Alfredo, non ancora soddisfatto, continuò a gridargli un insospettabile campionario di parolacce ed epiteti che sconcertarono più che offendere Niki, il quale non riusciva ancora a trovare una buona ragione più al proprio gesto, che alla reazione di quella specie di amico.
Quello che invece comprese subito fu che, almeno finché fosse rimasto in quella città, avrebbe ripreso a battere la via ben conosciuta della solitudine e dell'isolamento.
Rientrato a casa, confidò alla madre con un po' di vergogna tutta la storia, non tanto per la causa del suo scatto d'ira, quanto per la mancanza di controllo che aveva avuto. Ne ebbe, come sempre, ragione e conforto.
La madre l'abbracciò mormorandogli parole che lo rimettevano in pace con se stesso e confermavano l'amore che li univa. Poi gli fece, tutta d'un fiato, una proposta incredibile.
"L'anno scolastico è quasi finito e pare che anche questa volta dovremo andarcene da qualche altra parte. Tuo padre mi ha assicurato che si tratta del nostro ultimo trasferimento, perché la cattedra è finalmente quella che aspettava. Perciò a settembre avrai dei nuovi compagni.
"Che ne diresti se ce ne andassimo dal nonno? Partiamo anche domani e non torneremo più qua. Papà ci raggiungerà a luglio, dopo la sessione estiva. Che ne dici? Ti va?" capì che suo figlio era un po' disorientato e decise di rivelargli la parte più incredibile ed allettante della proposta "Sai, ho parlato con il nonno. Pare che a Boston ci sia Stephan. È tornato! Da quanto tempo non vi vedete?"
"Sono passati tre anni, nove mesi e qualche giorno" mormorò Niki.
Gli pareva impossibile, rivedere Stephan sarebbe stato un sogno. Non avrebbe mai osato sperarlo. Pensava a lui ogni notte prima di addormentarsi e gli mandava un bacio, ovunque quel matto si trovasse. Il suo unico, vero amico. Non s'erano più visti, divisi dalle vicende matrimoniali dei genitori di Stephan. Il padre era fratello di Arleen ed aveva divorziato quando i due ragazzi avevano dieci anni. Stephan era andato a vivere chissà dove con sua madre ed era scomparso dalla vita di Niki nell'autunno di tre anni prima. Non gli aveva più parlato, non ne aveva più saputo nulla, neanche il nonno aveva più avuto sue notizie ed ora eccolo saltare fuori.
Per lui, ritrovare Stephan avrebbe significato tornare a vivere.
Il papà avrebbe provveduto al trasloco, all'iscrizione in chissà quale ginnasio. Là avrebbe conosciuto nuovi compagni e questa volta sarebbe stato più attento, si sarebbe fatto degli amici veri. Pensò tutto questo e, nel tumulto che ormai c'era nella sua mente, tornò a Stephan. Chissà com'era diventato, che aspetto aveva.
"Mamma, credi che papà accetterà di fare tutto da solo?" era entusiasta ed emozionato all'idea che tutto poteva magicamente tornare a posto anche in un momento brutto come quello, di così nera disperazione.
"Questa volta credo di si" e lo disse con un tono che a Niki parve triste e non gli piacque proprio.
Era eccitatissimo al pensiero di rivedere Stephan, ma quelle parole della mamma lo riportarono ad una orribile realtà. Le mise una mano sul cuore e la guardò dritto negli occhi:
"Se questo signore si stesse comportando male, tu me lo diresti, non è vero?"
"Certo!" senza guardarlo.
"Mamma" la sua voce era vicina al pianto "dimmi la verità: ti prego! Sono grande e voglio saperla anch'io!"
"Certo, piccolo mio! Tanto alla fine te l'avrei detto o tu l'avresti capito" l'accarezzò lentamente "i medici dovranno stabilire se è giunto il momento d'operarmi. Tu l'hai sempre saputo che un giorno o l'altro avrei dovuto farlo, no?"
Niki l'abbracciò, appoggiandole il capo sul petto, in ascolto del battito di quel cuore che avrebbe potuto privarlo dell'amore e dell'appoggio di sua madre.
Rivide Alfredo la mattina successiva. Il suo ex amico portava la camicia insolitamente abbottonata e l'ignorò. Niki fece altrettanto, anche perché fortunatamente Alfredo ebbe il buon gusto di tacere i motivi di una rottura che appariva evidente e che eccitò la curiosità di tutta la classe.
Niki era in uno stato d'assoluta tranquillità, dovuto alla certezza di lasciare al più presto quel posto. Il padre aveva accettato tutto il loro programma per l'estate, sarebbero partiti entro pochi giorni e al resto avrebbe pensato lui.
Avrebbe riabbracciato il nonno, ma soprattutto avrebbe rivisto Stephan e tutto, veramente tutto, sarebbe andato al proprio posto!
Voleva davvero bene al nonno, loro due andavano proprio d'accordo. Avevano trascorso molto tempo insieme, a farsi compagnia e se il nonno, come diceva da qualche anno, gli voleva due volte bene, perché Stephan era lontano, Niki, oltre che amarlo, l'ammirava molto.
Sapeva di somigliargli parecchio. Crescendo, era apparso subito chiaro che aveva ereditato da lui la struttura fisica, il colore della pelle, dei capelli, degli occhi e, la mamma fu la prima ad accorgersene, anche un po' del suo carattere. Il nonno era un uomo di forte temperamento e a Niki non era mai mancata la decisione nel realizzare quello che aveva deciso di fare.
Spesso d'estate avevano viaggiato insieme, mentre la mamma e il papà se ne stavano tranquilli da qualche parte vicino a Boston. E, quando non erano in giro, facevano lunghe passeggiate, oppure il nonno l'accompagnava in posti dove poteva divertirsi. Parlavano molto fra loro, perché il nonno aveva sempre da raccontargli storie fantastiche, finché lui le aveva trovate interessanti. Da un paio d'anni invece parlavano di tutto, perché il nonno era un vecchio sapiente e Niki era avido di conoscenze. Per lui era come il saggio di una tribù pellirosse.
Di sé Niki non era riuscito a confidargli una sola cosa. Durante l'ultima estate che avevano trascorso insieme era giunto più volte sul punto di rivelargli di essere omosessuale, ma non ci era mai riuscito, forse perché l'aveva considerato troppo vecchio per comprendere ed accettare quella situazione. Poi non ci aveva più pensato, ma ora, oltre al nonno, attendeva di rivedere Stephan ed a lui era certo di non poterlo tacere.
L'America li accolse a braccia aperte.
Il nonno, preoccupato per la salute della figlia, fu felice della loro decisione di anticipare il viaggio. E quando arrivarono a Boston, in aeroporto, da dietro a lui spuntò Stephan che era splendente come il sole, selvaggio come un puledro, ed era il ragazzo più desiderabile che Niki avesse mai immaginato.
Stephan gli saltò al collo, s'abbracciarono e si baciarono sulle guance. Erano quasi coetanei, perché Stephan era nato solo qualche mese prima di Niki ed avevano la stessa notevole altezza.
Si guardarono per un momento, poi Stephan l'abbracciò più forte. Niki, invece, era come paralizzato dall'emozione. Finalmente si riscosse e si salutarono ancora facendo un potentissimo gimme five, battendosi le mani a palme aperte per due o tre volte. Continuarono a non parlarsi e, semplicemente, camminarono abbracciati, tanto stretti da non poter muovere i passi, precedendo gli altri verso l'uscita dell'aeroporto.
Dopo essersi lasciati bambini, si ritrovavano cresciuti e cambiati, praticamente sconosciuti uno all'altro. Sarebbe stato tutto come prima, avrebbero saputo riannodare quel rapporto totale che Niki ricordava con nostalgia? Quando erano piccoli, se Niki piangeva, anche Stephan piangeva. Per simpatia, diceva la mamma, perché erano come tamburi che vibravano insieme. E se Stephan ne combinava una delle sue, cosa che succedeva più volte durante la giornata, Niki era sempre pronto ad addossarsi la colpa di quello che era accaduto.
Voleva bene a Stephan, gliene aveva sempre voluto, ma ora quel sentimento era cambiato: rivedendolo aveva compreso di desiderarlo. Non l'aveva mai utilizzato nel suo teatrino serale, un po' perché, non vedendolo da anni e ricordandolo bambino, non riusciva a focalizzare l'immagine di un corpo da sognare e poi Stephan rappresentava un ricordo che non avrebbe mai potuto contaminare. Dopo la loro separazione era divenuto il suo immaginario interlocutore in tutti i giochi e nelle ore della solitudine, era stato una voce nella memoria, niente più che un ricordo rimasto bambino. Ed era stato molto attento a che restasse tale. Ora però quel ricordo era avvinghiato a lui, anzi, gli si era schiacciato contro, sul sedile posteriore dell'auto e, se con una mano gli stringeva una spalla, con l'altra gli strizzava il ginocchio, per poi saltare a fargli il solletico sulla pancia, avvicinandosi pericolosamente al desiderio, tutto fisico, che Niki sentiva crescergli in grembo. Stephan era vestito in una maniera che era incomprensibilmente anticonformista, aveva dei jeans larghissimi e una felpa ancor più smisurata d'un colore indefinibile gli copriva il torace che Niki, durante i frequenti abbracci, aveva potuto sentire splendidamente formato. Stephan era davvero cresciuto bene, meglio di lui che non faceva tanto esercizio fisico.
Il tragitto dall'aeroporto a casa del nonno, dove alloggiava anche Stephan, fu punteggiato da risate e squittii, perché continuarono a farsi il solletico, tirarsi pizzicotti e gridarsi tutta la contentezza che sentivano per essere un'altra volta insieme.
Era tardi quando arrivarono e naturalmente si sistemarono nella camera di Stephan, quella che avevano occupato quando erano bambini e tutte le volte in cui erano stati insieme in quella casa.
Niki fu riassalito dai dubbi: come doveva comportarsi? Stephan era in tutto la realizzazione dei suoi sogni. L'aveva immaginato, era prevedibile. Sapeva di dovergli confidare tutto di sé, ma Stephan era bello e desiderabile, come non avrebbe mai immaginato, e lui aveva paura che lo respingesse. Quello che l'aveva sorpreso era stata la confidenza con cui il cugino l'aveva accolto, come se non fossero trascorsi quasi quegli anni dall'ultima volta in cui s'erano visti. Ma era cambiato tutto: loro erano diversi, assai lontani da quei due bambini che si erano salutati piangendo tanto tempo prima.
Conosceva bene una caratteristica di Stephan, la felicità di donarsi senza condizioni, ma si chiese se suo cugino, conoscendo l'esatta natura dei suoi pensieri e, soprattutto, dei suoi desideri, l'avrebbe trattato sempre allo stesso modo. Mentre scherzavano in auto, mentre la mano di Stephan si muoveva sul suo corpo dandogli sensazioni nuove, era rabbrividito più volte all'idea che Stephan potesse accorgersi della sua eccitazione e respingerlo, disgustato.
E se non fosse stato così, se anche Stephan avesse avuto le sue stesse inclinazioni? Dopo tutto, la situazione familiare del cugino ne faceva un disadattato e lasciava qualche spazio alla speranza, si disse, ricorrendo alla sua esperienza di psicologia ed autoanalisi. Poi rammentò a se stesso che in America un ragazzo su quattro è figlio di genitori divorziati. La sua sensibilità, infine, gli suggerì che Stephan non era come lui, conosceva abbastanza i suoi coetanei, italiani o americani che fossero, per capire che il cugino aveva desideri diversi dai suoi. La realtà era che Stephan l'aveva accolto con l'amicizia e con l'affetto delle altre volte ed erano cose che avrebbe potuto perdere, se si fosse comportato avventatamente. Oppure solo con sincerità.
Avrebbe pianto se fosse stato solo, ma c'era Stephan là con lui.
Dovevano raccontarsi tutto quello che era accaduto negli ultimi anni, questo era il proposito che avevano espresso insieme, cui Stephan aveva accennato, proprio mentre lui lo pensava. Fra loro era sempre stato così. Ma Niki non sapeva quanto avrebbe potuto raccontargli e se nascondergli qualcosa della sua storia e, soprattutto, dei suoi desideri che per la prima volta si trovava a voler maledire.
Anche Stephan aveva molte avventure da raccontargli. E gli disse che aveva trascorso gli anni della loro separazione cercando qualcuno che l'amasse. Allontanato dal padre, dal nonno, da Niki, era vissuto da solo con sua madre, cercando d'avere da lei quello che gli era stato tolto, amandola. Aveva accettato di rinunziare a tutti gli altri, pur di conservare quella che per lui era la più importante fonte d'affetto, ma lei, pur avendo preteso di tenerlo con sé, non era stata altrettanto costante, né così perseverante nelle proprie azioni ed aveva cercato di liberarsi di lui quando le era diventato di peso. Perciò, un mese prima, l'aveva lasciato a suo marito che in quel periodo viveva in casa del padre a Boston. E così, il nonno era diventato il punto di riferimento più importante nella vita di Stephan, anche perché il ragazzo s'era subito avveduto che, dopo sua madre, anche il papà si era, a suo modo, disfatto di lui. Una l'aveva lasciato a Boston scomparendo e senza dare più notizie di sé. L'altro, pur vivendogli accanto, semplicemente, lo ignorava, come aveva sempre fatto da quando lui era nato.
Questi erano i pensieri tristi che popolavano la sua mente ed ora che erano tornati insieme, sperava che Niki con la sua presenza illuminasse quella vita solitaria.
Glielo disse mentre salivano le scale e sulla porta della loro camera, poi gli si strinse contro perché Niki l'accarezzasse.
"Sei con me ora..." gli disse, sentendo una stretta al cuore.
'Sei con me che ti desidero...' pianse dentro di sé.
Appena entrato in camera Stephan si sfilò la felpa, rivelando il suo torace.
Era proprio come aveva immaginato e temuto: Stephan era bellissimo e lui lo desiderava. Sentì la testa scoppiargli.
"Faccio la doccia" disse Stephan e, mentre con la mano destra si slacciava le scarpe da ginnastica, con la sinistra, con una manovra del tutto tipica in lui, riuscì a tirare giù i pantaloni, togliendosi d'un colpo anche gli slip e rivelando a Niki il suo corpo da sogno.
Fisicamente erano molto simili: avevano gli stessi capelli biondi e gradevolmente ondulati, il viso ovale, la carnagione chiara, gli occhi di un azzurro cupo, ma Niki rimase ugualmente colpito da quella specularità. Riconobbe in Stephan il proprio doppio e si chiese ancora, se anche nel carattere potessero essere simili come lo erano nel fisico, se anche il cugino potesse, in qualche modo, provare le sue stesse sensazioni.
Stephan lo scosse tirandogli un cuscino: completamente nudo e per nulla eccitato, gli si era piazzato di fronte.
"Vedo che non hai perduto il vizio di restare incantato e con la bocca aperta" scoppiò a ridere e questo, almeno, aiutò Niki a superare l'impatto con la visione del cugino, nudo, in piedi davanti a lui.
"E un giorno mi si riempirà di mosche!" riuscì a dire, rispondendo al gioco e ripetendo una frase con cui Stephan lo prendeva in giro quando erano più piccoli.
"Sto andando a fare la doccia!" disse e s'incamminò verso il bagno, poi si voltò improvvisamente cogliendo lo sguardo di Niki che era fisso di lui "Si può sapere che hai da guardarmi?" e dopo un altro passo si voltò ancora "Ma tu non ti lavi?"
"No, fai una doccia. Falla tu. Forse dopo..." riuscì a balbettare Niki, spaventato.
Si voltò tremante, per come era andato vicino a non sapeva neppure cosa: Stephan avrebbe capito molto presto cos'era diventato lui, ne era certo. Non poteva nasconderglielo, con Stephan non sarebbe stato possibile. Ai suoi genitori era stato molto facile dirlo, ma Stephan era un ragazzo come lui e Niki sapeva bene cosa ne pensavano i suoi coetanei delle checche. Si sentì davvero disperato. Era stato bello ritrovarlo dopo tanto tempo, ma ora era semplicemente terrorizzato all'idea di dovergli rivelare l'esatta natura dei suoi desideri. In ogni caso non poteva nascondergli di essere gay, non a Stephan.
Lo sentì aprire i rubinetti e infilarsi sotto la doccia. Stephan non aveva mai chiuso la porta del bagno, qualunque cosa stesse facendo. Era proprio come lo ricordava, lo stesso di sempre, spontaneo ed entusiasta in ogni sua azione. Aveva conservato intatta la sua naturalezza. Si chiese come fare a non perderla. Mentre lo sentiva muoversi sotto l'acqua, non poté trattenersi dall'andare verso il mucchio d'indumenti lasciato da Stephan, per prendere gli slip e odorarli. Sapevano d'orina, perché Stephan non s'era mai lavato molto volentieri, ma avevano anche altri odori, più profondi che Niki distinse e sperò di ricordare per sempre. Poi, come impaurito da quel che aveva fatto, cercò di rimetterli dov'erano e si spogliò velocemente. Indossò il pigiama e s'infilò sotto le lenzuola.
Si voltò su un fianco, verso il letto di Stephan, cercando di nascondere con l'erezione anche tutto il suo imbarazzo. Chiuse gli occhi, ma i pensieri che fece lo terrorizzarono. E se Stephan gli si fosse avvicinato e l'avesse costretto ad uscire dal letto? Da quello lì c'era da aspettarsi qualunque cosa. Se l'avesse visto in quelle condizioni avrebbe capito tutto, non voleva perderlo un'altra volta.
Cercò di scacciare quei pensieri dalla testa, poi lo sentì tornare. Naturalmente, era ancora gocciolante ed aveva lasciato le impronte dei piedi bagnati sul parquet.
Stephan s'avvicinò e andò a sederglisi accanto, con l'accappatoio soltanto buttato sulle spalle. Gli accarezzò una guancia con il dorso della mano ancora umida e odorosa di bagnoschiuma. Lo guardò e gli sussurrò:
"Sei gay, non è vero? Perché non me l'hai detto subito?" lo tirò su di peso, senza attendere risposta, e l'abbracciò, stringendoselo al petto.
Stephan lo stava baciando su una guancia e lui era stupito. Poi non riuscì più a trattenersi e pianse, l'investì con una valanga di parole. Aveva temuto che lo respingesse, ma ora gli confidava tutto il suo patimento, la sua disperazione. Parlava all'amico, al fratello che aveva ritrovato. Cercò di raccontargli della scoperta della propria omosessualità, gli disse di quanto i suoi genitori l'avessero aiutato. E poi cominciò a parlargli della sua vita, di quanto si fosse sempre sentito solo.
Stephan l'ascoltò, l'interruppe, tentò anche di scherzarci su, spingendolo a sorridere e infine a ridere. Il ghiaccio era rotto, erano riusciti a parlarsi come avevano fatto sempre.
E poi fu la volta di Stephan che raccontò del suo peregrinare con la madre di città in città, fino al nuovo possibile matrimonio e alla decisione di liberarsi di lui, di quel peso, restituendolo al padre o più esattamente al nonno. E ora era qua a godersi la casa e la tranquillità di Boston.
Niki stretto ancora nell'abbraccio protettivo del cugino non poté non pensare che Stephan patisse quanto lui la solitudine, ma senza la sua forza d'animo. E Niki che conosceva bene la propria personalità e quella di Stephan, temette molto per il cugino, perché il dolore, la ricerca disperata d'affetto, che aveva indovinato nelle parole di Stephan, gli parvero subito troppo ardue per un carattere fragile.
Stephan, invece, in qualche modo, cercava già di consolare lui:
"A Boston mi sono già fatto qualche amico e... soprattutto qualche amica! Mi diverto ad uscire con loro, qualche volta, quando ne ho voglia! Però, Niki, devi sapere che io non sono gay o, almeno, non credo di esserlo. Mi dispiace. A me piacciono le ragazze. Mi piacciono...!"
"E a me i miei compagni di scuola!" replicò Niki, cercando di sorridere.
"Se io fossi una ragazza, faresti l'amore con me?" gli chiese Stephan, sorprendendolo.
"Non lo so. No, non credo!"
"Davvero? Neanche se fossi io, proprio io, ma fossi una donna?"
"No, Stephan, non credo. Neanche se quella ragazza fossi tu. Ne sono certo!"
"Niki, l'anno scorso io e un mio compagno di classe ci masturbammo insieme nel deposito della palestra, alla fine ci mettemmo a ridere e scappammo via. Mi prometti che, se noi due dovessimo fare qualcosa del genere, sarà così e basta?"
"No, Stephan, non posso prometterlo!" si costrinse a dire, ma voleva gridargli che lo desiderava disperatamente, se solo lui gliel'avesse permesso.
Si sciolse dall'abbraccio, gli accarezzò una guancia e tornò a stendersi nel letto, voltandosi e dandogli le spalle. Cercò di ricacciare le lacrime che gli bruciavano gli occhi, e quasi gli sfuggì un singhiozzo.
Ma Stephan gli voleva bene, gliene voleva senza condizioni. Niki era stato per lui il punto di riferimento in ogni momento della sua vita da quando, ancora instabili sulle gambe, giravano nella casa del nonno, sempre tenendosi per mano. Erano cresciuti e avevano scoperto il mondo insieme, ma era stato Niki ad interpretarlo e renderlo accessibile a Stephan che s'era sempre fidato ciecamente di lui. Ed ora c'era questa situazione inedita e così difficilmente controllabile.
Un gesto, un passo e avrebbe perduto Niki per sempre. Se fosse servito, gli si sarebbe offerto, gli avrebbe dato il proprio corpo, quello che, l'aveva capito, Niki desiderava tanto dolorosamente. Mentre era nel bagno, l'aveva intravisto prendere gli slip che s'era appena tolto. Aveva miracolosamente compreso e accettato la verità.
In quel momento ebbe coscienza di non potersi semplicemente offrire a Niki, perché il cugino non avrebbe mai accettato un sacrificio. Pensò che amarlo veramente doveva essere volergli bene nel modo in cui lui lo desiderava. L'atto d'amore che si apprestava a compiere, non doveva assolutamente sembrare un sacrificio, né doveva esserlo, perché, se Niki lo desiderava, lui gli avrebbe veramente regalato tutto se stesso.
Gli passò lentamente la mano fra i capelli e continuò ad accarezzarlo, finché non lo sentì sospirare, allora gli posò la mano sulla spalla, spingendolo a voltarsi. Stettero per qualche secondo a guardarsi negli occhi, Stephan sempre seduto sulla sponda del letto e Niki con il capo posato sul cuscino. Era come se ciascuno vedesse se stesso.
"Niki, perdonami! Lo sai, io so parlare poco e quando lo faccio, non riesco mai a dire tutto quello che vorrei. Prima non volevo offenderti, io... quello che volevo dirti è... che anch'io potrei... forse un po' desidero fare qualcosa con te. Ma non potrà essere, non so come dirlo... come se tu fossi il mio fidanzato, o la mia fidanzata. Ma, Niki, voglio dirti anche un'altra cosa" e l'accarezzò "se tu ne hai voglia, potremo divertirci insieme tutte le volte che vorrai. Sempre! Nel modo che più ci piacerà ed io farò tutto quello che vorrai!"
Sorrise e si guardò davanti, perché dire quelle cose l'aveva fatto un po' eccitare. Poi si coprì con pudore. Era ancora così ingenuo. Niki ebbe quasi un singhiozzo per come lo commuovevano quelle parole. Gli accarezzò una guancia e fece di no con la testa: come poteva approfittare di tutto quel candore?
Ma Stephan continuò, noncurante.
"E non voglio più vederti piangere per causa mia, perché io non sono gay. Vedi, io sono quasi certo di non esserlo, come tu sei quasi certo d'esserlo, non è vero? Allora, io proverò con te, ma tu potresti provare con una ragazza? Qualche amica che io ho. Si può fare! Che ne pensi? Per vedere chi ha ragione?"
Niki, un po' travolto da quel diluvio di parole che sapeva certamente sincere, si tirò su appoggiandosi sui gomiti. Era diviso dalla voglia d'abbracciare Stephan, baciarlo, stringersi a lui e non lasciarlo mai più e poi mettere in chiaro che era proprio certo che lui, per una ragazza, non avrebbe mai provato nulla. Ed infine rassicuralo dicendogli che, per la sua esperienza, anche se procurata cercando di interpretare qualche manuale di psicanalisi, sapeva che Stephan avrebbe potuto tranquillamente offrirsi a lui, rimanendo sempre se stesso.
"Stephan, con le ragazze ci ho provato, ma non mi piacciono" non era vero che ci avesse già provato, ma era più che sicuro che le donne non lo avrebbero mai interessato "Se uscissi con una ragazza, io penserei soltanto ai suoi fratelli, ai suoi corteggiatori, oppure a come sarebbe lei, se fosse un maschio. Comunque, d'accordo, proverò ad uscire con te e con le tue amiche. Posso provare a farlo. E poi..." e il suo sguardo smarrito destò l'istinto protettivo di Stephan che lo strinse a sé un'altra volta.
Fu lui a cercare la bocca di Niki.
Si baciarono a lungo e con perizia, con una dimestichezza misteriosamente accumulata da Niki che non aveva mai baciato prima e da Stephan che aveva già baciato soltanto qualche ragazzina meno esperta di lui.
Le loro labbra si schiusero e le lingue si insinuarono, si incrociarono e penetrarono nella bocca dell'altro, la saliva di Niki si mescolò a quella di Stephan e, quando si staccarono, percepirono nelle bocche il sapore dell'altro e lo gustarono con curiosità più che con trasporto. In quel primo contatto li aveva aiutati la familiarità che avevano accumulato negli anni in cui erano vissuti come fratelli, spartendo ogni aspetto della propria vita.
Si erano baciati ed era stato come se l'avessero sempre fatto, ma ora erano incerti sui passi da compiere, ogni azione da quel momento sarebbe stata per ciascuno di loro una vera scoperta.
Stephan, cui l'accappatoio era scivolato dalle spalle, pareva un poco più esperto o forse, essendo più impulsivo, era meno intimidito da quella situazione particolare.
Si rese conto di desiderare Niki, di volerlo toccare, per sentire quel corpo che conosceva per averlo visto crescere accanto al proprio. Tirò via il lenzuolo con cui Niki aveva cercato di nascondere l'eccitazione. Gli sfilò la parte superiore del pigiama, poi, accarezzandogli le braccia, arrivò ai fianchi. Infilò i pollici nell'elastico dei pantaloni, cominciò ad abbassarglieli. Niki era come ipnotizzato dagli occhi di Stephan che continuavano a fissarlo. Si sollevò per fare passare sotto di sé l'indumento.
Ora era nudo anche lui, disteso sul letto e, seduto accanto a sé, aveva Stephan, nudo, che lo guardava. Erano entrambi eccitati e spaventati. Stephan gli avvicinò la mano tremante al viso, accarezzandolo dolcemente, scendendo lungo il collo, gliela passò sul petto, poi fece l'unica cosa che sapeva fare, per averla provata a lungo su di sé, avvicinò la mano al pene, prima l'accarezzò soltanto, poi si fece coraggio e l'impugnò. Cominciò a muovere lentamente la mano, sempre guardando Niki negli occhi.
Quei movimenti portarono Niki vicino a godere e il suo corpo cominciò a tendersi per accogliere il piacere che s'avvicinava. Con l'altra mano Stephan gli accarezzò il ventre e Niki rispose a quelle sollecitazioni. L'orgasmo arrivò subito, bagnando le mani di Stephan.
Niki si sollevò, era un po' spaventato per ciò che era avvenuto, avrebbe voluto baciarlo, ma temeva di offenderlo. Fu Stephan che gli si avvicinò, perché lui lo baciasse.
Quando si staccarono, Niki lo fissò. Toccava a lui adesso. Lo spinse fino a farlo stendere accanto a sé, andò a baciarlo sulla bocca e poi fece quello che aveva sognato mille volte di fare con il corpo del ragazzo che amava. La realtà gli parve tanto più appagante di tutte le sue fantasie e per adorare Stephan si ispirò ai sogni che aveva fatto. Gli si mise accanto e l'accarezzò adagio, poi l'abbracciò stretto. Gli prese il sesso tra le mani e cominciò a sollecitarlo, finché Stephan godette fra le sue braccia, lasciandosi andare contro il suo petto con gli occhi chiusi, mentre lui lo stringeva a sé, come per cullarlo.
Ciò che avevano fatto era il completamento della loro fratellanza, perché, dopo aver spartito ogni esperienza ed ogni scoperta nei primi anni della loro vita, dopo essersi persi, si erano finalmente ritrovati ed ora avevano condiviso anche il piacere dei propri corpi.
Quella notte Niki non riuscì a pensare a nulla. Accanto gli si era materializzato un sogno e questo lo appagava completamente.
Aveva desiderato e pianto spesso per avere un amico ed ora aveva trovato anche un amante. E non gl'importava che Stephan lo facesse a certe condizioni e con qualche limitazione. Quello che più l'interessava, era di avere un compagno accanto a sé. Stephan rappresentava tutto questo e, gay o non gay, insieme si stavano divertendo.
Si erano ritrovati dopo quasi quattro anni ed era stato come se fosse trascorsa soltanto una notte dall'ultima volta in cui si erano salutati all'aeroporto, tanto tempo prima. La loro vita in simbiosi riprese, cominciarono subito a godere della vicinanza ritrovata, si divertirono insieme, litigarono e fecero subito pace. Dimenticarono presto i propri crucci e si amarono cercando di soddisfare tutti i loro desideri: iniziarono ad esplorare le vie dell'amore, che per entrambi erano una scoperta. Niki cercava di registrare tutti quei momenti per riviverli nel proprio futuro e facevano l'amore solo quando era Stephan a prendere l'iniziativa, perché lui attendeva sempre che fosse il cugino a cercarlo. Dopo tutto, pensava, era Stephan che andava contro la propria natura ed era giusto che fosse lui a mostrare per primo il desiderio, cosa che, comunque, accadeva abbastanza spesso. E questo non lo preoccupava più di tanto, perché in quei giorni Stephan pareva veramente felice e pareva che avessero ritrovato la spensieratezza e l'incoscienza di quando erano molto più piccoli.
La loro intesa tornò subito ad essere com'era prima che si perdessero e impararono facilmente ad aumentare il piacere, proprio e dell'altro, mantenendolo fino allo sfinimento. Avevano ripreso a vibrare insieme e a riconoscere nell'altro, come facevano da piccoli per ogni emozione, anche l'avvicinarsi del piacere. Ogni volta che Niki guardava il corpo di Stephan, cercava di stamparselo nella memoria, già conscio che, a settembre, una volta tornato in Italia, in un posto di cui già non ricordava il nome, ben difficilmente avrebbe trovato un compagno come quello.
'Per amore fraterno' si ripeteva sempre 'Stephan ti si offre solo perché ti ama. Come un fratello. Lo fa per te, perché è tuo fratello'.
Non faceva che dirselo, ogni volta che Stephan l'abbracciava perché ricominciassero a giocare all'amore, ma pensato questo, fatta quella specie di penitenza, godeva con tutto se stesso l'eccitazione che li avvolgeva ogni volta che si toccavano.
Quello che stavano facendo era per Stephan quasi un gioco, forse l'ultimo della sua adolescenza. Aveva scoperto che utilizzando il corpo del cugino poteva soddisfare molto meglio tutti i propri desideri. Questo regalava a Niki momenti di piacere che, lui sapeva, erano molto diversi, molto più intensi.
Una di quelle volte, dopo che Stephan, l'aveva abbracciato e si erano spogliati ridacchiando per il solletico che si facevano togliendosi i vestiti, Niki lo baciò sui capezzoli e poi trascinò le labbra sul ventre, fino alla corona di peli biondi attorno al pene. Non l'aveva mai fatto prima, ma improvvisamente si accorse che desiderava baciare Stephan proprio là, nel punto in cui sapeva che era concentrato tutto il suo desiderio. Non si curò di controllare la reazione del cugino ed arrivò a sfiorargli la punta del pene con le labbra. Affondò la faccia fra le sue gambe per sentire il profumo forte che emanava da quei recessi. Stephan era come bloccato dalla sorpresa, ma l'eccitazione lo faceva già mormorare di piacere. Niki si sentì incoraggiato e volle completare l'esplorazione del corpo.
Con la mano sul fianco, gli fece il gesto di girarsi e Stephan si voltò. Allora a Niki si presentò lo spettacolo meraviglioso dei due globi perfetti e simmetrici sormontati dal dorso muscoloso. Le gambe erano diritte e appena coperte da una fine peluria bionda. Niki gli posò le mani aperte sulle spalle e le fece scivolare, poi tornò su, come in un massaggio, soffermandosi ogni volta di più sulle natiche. Infine, vi appoggiò le palme aperte e con delicatezza ne allargò il solco per scoprire l'ultimo segreto di Stephan che già si muoveva, sfregando il pene sulle lenzuola. Quando Niki sfiorò con la lingua quel fiore delicato, Stephan si riscosse:
"Che fai? È una cosa... sporca..."
"No, no... ti sto solo scoprendo. È perché voglio ricordarmi ogni parte di te. Posso farlo? Lo farai anche tu per me?"
"Si!"
Stephan era in uno stato d'eccitazione molto vicino al punto in cui non avrebbe più saputo controllarsi e stava provando qualcosa di nuovo, di diverso, da quello che aveva creduto, fino allora, di poter sentire con il proprio corpo. E la persona che lo stava conducendo in quel mondo sconosciuto, era Niki, la persona più vicina a definirsi suo fratello. Spesso avevano scherzato chiamandosi 'fratelli di latte e di sangue' e una volta, prima dell'ultima separazione, s'erano finanche feriti per mischiare il sangue e fare un giuramento, promettendosi conforto ed aiuto in ogni circostanza.
E Stephan stava aiutando Niki, donandogli se stesso e il proprio corpo, ma, quando l'aveva sentito avvicinarsi a quello che pensava fosse il centro del suo orgoglio di maschio, la propria misteriosa verginità, celebrata nei discorsi proibiti fatti a scuola fra ragazzi, non era riuscito a rimanere fermo. Aveva subito pensato che a Niki avrebbe dato anche quello se glielo avesse chiesto, ma qualcosa dentro di lui l'aveva fatto reagire e s'era voltato.
Niki tornò ad accarezzarlo, ad annusarlo e Stephan immaginò che forse non ne aveva cognizione, non sapeva di poter fare quella cosa proibita, non sapeva che c'era anche quella strada. Tutti questi pensieri scorsero nella sua mente, mentre Niki lo venerava come fosse un dio d'amore, leccandolo e fiutandolo, finché non gli si stese accanto, esausto.
Poi toccò a lui di esplorarlo. Iniziò a stringergli il capo fra le mani ed anche lui, come se la notasse per la prima volta, fu colpito dalla rassomiglianza che c'era fra loro. Credette di baciare se stesso e, poi, scendendo lungo il corpo, quando s'avvicinò al pene eretto, credette di sentire, sulle labbra con cui lo baciava, il suo stesso membro e sul pene le labbra di Niki. Sentì il sapore salato del sudore nella piega che le natiche creavano con le gambe. Lasciò scorrere le dita lungo il solco e s'avvicinò a sfiorarlo con le labbra. Inspiegabilmente, anche per se stesso, appuntì la lingua e lo penetrò dolcemente, fermandosi a percepire la contrazione del muscolo che aveva sollecitato.
Anche Niki si scosse come aveva fatto lui, ma fu una reazione di piacere. Stephan tenne il viso affondato e lo cinse ai fianchi, prendendogli il pene fra le mani, continuando a muovere impercettibilmente la lingua, gli accarezzò lentamente il ventre e Niki cominciò a rispondere alle sollecitazioni, muovendosi. L'orgasmo arrivò subito.
Poi si guardarono: "Vieni qui" disse Niki aprendo le braccia.
Stephan s'avvicinò e lui l'attirò a sé, lo mise a sedere sulle ginocchia. Prese ad accarezzarlo dolcemente e Stephan godette subito, lasciandosi andare ad occhi chiusi contro il suo petto, mentre Niki lo stringeva a sé e lo cullava.
Stephan non riusciva a spiegarsi in qual modo Niki avesse imparato a baciare così bene e a fare tutte quelle cose che lo eccitavano tanto, lui che non aveva avuto contatti con nessun altro, ma proprio con nessuno. Ed anche Niki talvolta era sorpreso dalla perizia di Stephan e dalla fantasia che anche lui mostrava quando facevano l'amore. E, poiché fra loro non c'erano mai domande taciute o senza risposta, Niki raccontò a Stephan di tutte le sue fantasie, dei suoi teatrini serali, della solitudine. L'esperienza che pareva avere gli era nata in quel modo, leggendo e interpretando le risposte che il suo corpo dava a certe fantasie, a quei pensieri, alle sollecitazioni delle sue mani. Stephan, da parte sua, gli confessò dei discorsi fatti con i compagni di scuola e popolati da fantomatiche fidanzate, da donne lascive, da corpi di ragazze. Gli enumerò, anche e non senza orgoglio, una perfetta contabilità d'esperienze con ragazzine conosciute dove gli era accaduto di fermarsi e con le quali s'era spinto non oltre i baci e le toccatine.
"Forse il corpo della donna non è molto diverso dal nostro e quindi gode sfruttando gli stessi stimoli. La verità, Niki, è che quando sto con te, penso al tuo corpo come a quello di una donna."
"E io a te come se fossi gay. E così siamo pari..." lo rampognò Niki con finta serietà, perché a lui, in quei giorni, non importava più di tanto che suo cugino non fosse gay, o dicesse, credesse, di non esserlo. In quei giorni era appagato e felice.
Stephan, per conto suo, visse una parentesi di serenità fra le braccia sicure del cugino, il quale aveva ripreso in mano le redini del loro rapporto. Niki lo riportò alla spensieratezza degli anni d'infanzia, facendogli dimenticare il dolore per l'abbandono della mamma e l'amarezza che l'indifferenza di suo padre gli portava. Quello che a Niki non riuscì, fu di comprendere quanto fosse profondo quel dolore e quale abisso quella sofferenza avesse scavato nell'animo di Stephan. Niki non lo comprese, anche perché Stephan, amandolo, antepose la felicità del cugino alla propria consolazione, credendo, per un terribile malinteso, che l'essersi scoperto omosessuale rappresentasse per Niki un dramma peggiore di ciò che la solitudine affettiva rappresentava per lui. Fu con questa certezza che Stephan gli nascose l'infelicità in cui il disamore dei genitori l'aveva gettato. Nè all'altro riuscì di comprendere quella verità che Stephan aveva nascosto così bene.
L'allegria e la spensieratezza di quei momenti, l'incoscienza della sua età, non gli permisero di vedere alcun pericolo, nè consentirono a Niki di farlo. Niki che, sapendolo, l'avrebbe certamente aiutato e forse trattenuto dal cadere.
Una sera, qualche giorno prima della partenza, erano nella loro camera. Se ne stavano distesi sui letti e indugiavano a guardarsi, senza parlare. Niki vide lo sgomento negli occhi di Stephan, sempre limpidi e ridenti. Gliene chiese la ragione.
"Pensavo a quando ve ne sarete andati. Questa casa sarà vuota. Sentirò nostalgia di voi. Soprattutto di te e non sarà come le altre volte" Stephan distolse lo sguardo "La verità è che, adesso, un po' ti amo come se tu fossi diventato il mio fidanzato. D'altra parte, è come se lo fossimo, no?"
Toccò a Niki allora salvare Stephan dai dubbi in cui l'aveva cacciato:
"No, non è così Stephan! È stato solo perché tu mi vuoi bene ed anch'io te ne voglio tanto, ma era così anche prima. Fare insieme le cose che abbiamo fatto noi è stata soltanto una conseguenza. È accaduto perché io sono gay. Credo che, se non lo fossi stato, non sarebbe successo niente di tutto questo. Noi due eravamo fratelli e lo siamo ancora!"
"Ne sei sicuro?"
Niki gli accarezzò la testa: "Siamo più grandi adesso e dobbiamo cercare di capire noi stessi e i nostri sentimenti. Tu li stai confondendo..." se lo strinse al petto, come faceva quando da piccolo andava a consolarlo, perché piangeva "Quello che tu provi per me è affetto, tenerezza, ma non è amore. Il tuo amore vero arriverà presto. Lo troverai, ne sono certo!"
"Non è vero, Niki. Non è vero!"
"Stephan, quando ti ho visto all'aeroporto, ho capito una cosa... che quando segnavo un ragazzo, il mio ragazzo era uno come te che sognavo! Poi, quando ti ho trovato... tornando a stare con te, ho anche capito che il mio desiderio, i miei sogni, erano condizionati dall'affetto che provavo per te. Quando sarò in Italia, cercherò di innamorarmi di qualcuno e il ragazzo di cui mi innamorerò sarà molto simile a te, ma non sarai tu, perché i tuoi desideri sono altri!"
Stephan gli si strinse ancora di più, raggomitolandosi nel suo abbraccio.
"Allora, io ti piaccio..."
"È un'altra cosa. Quando ci siamo rivisti, avevamo entrambi voglia di essere vicini uno all'altro. Tu avevi bisogno di un amico. Non è così? Io però sono gay e quindi, oltre alla tua amicizia, desideravo il tuo corpo, volevo toccarti. Tu me l'hai lasciato fare, perché mi volevi bene, anche se non lo volevi veramente. Pensaci, è così. L'avresti fatto fare a qualunque altro sulla terra? A chi altro l'avresti fatto fare, Stephan?"
"A nessuno..." bisbigliò.
"Ti amo tanto!"
"Allora, tu non credi che io sia diventato gay?"
"No, perché sono certo che continui a sognare le ragazze. Non è vero?" Stephan sorridendo gli fece di si con la testa "Lo vedi? A me non è mai capitato. Mai!"
Rimasero in silenzio, abbracciati, poi Stephan si mosse un po' a disagio.
"Niki... voglio dirti una cosa. Anche se a me piacciono le ragazze... Ti ricordi della nostra prima sera, quando ci siamo baciati? Voglio dirti che mi è piaciuto da impazzire, Niki! Non immaginavo proprio che potesse essere così bello... con te, con un maschio!"
Niki tacque, ma si sentiva realmente appagato da quelle rivelazioni, dalla felicità che Stephan gli stava regalando.
"Con te è stato veramente bello, Niki, ma forse hai ragione, io... Si! Sicuro! A me piacciono le ragazze, ma anche fare l'amore con te è bello! Ed è eccitante!"
Lo baciò, pareva che volesse continuare e che si dovessero amare un'altra volta, ma si perse dietro ad un pensiero e Niki attese senza parlare, perché aveva capito che Stephan stava solo cercando le parole per dirgli qualcosa e non le aveva ancora trovate.
Per pensare meglio, infatti, si raddrizzò, sciogliendosi dall'abbraccio, corrugò la fronte. Niki capì che il cugino era terribilmente imbarazzato.
"Ti ricordi di una volta in cui hai cominciato ad accarezzarmi? È stato poco dopo che siete arrivati, una delle prime volte in cui noi due... abbiamo fatto l'amore..."
Niki non se lo ricordava, non immaginava a quale delle tante occasioni Stephan potesse riferirsi, ma fece lo stesso di si con la testa: accarezzare Stephan era stato sempre bellissimo, in ogni momento, per tutte le volte in cui l'avevano fatto, durante quell'estate così lunga.
"Niki, quella sera tu mi facesti voltare, poi mi toccasti e mi baciasti" si portò esitante la mano sul fianco, poi sulla coscia "Ti ricordi?"
"Si!" lo ricordò improvvisamente.
"Ecco... io pensai che tu allora... mi volessi 'inculare'. Per questo mi voltai a chiederti cosa volessi farmi..."
"Come 'inculare'?"
"Non sai che vuol dire?"
"No, non lo so. Io... è una parola che non ho mai usato. Non so..."
Niki era arrossito ed aveva distolto gli occhi. Con il cugino parlava inglese e il termine usato da Stephan gli era ignoto tanto in quella lingua quanto nella possibile traduzione italiana. Ma, pur essendo un autodidatta del sesso, aveva immaginato che fra uomini dovesse esistere un momento di congiunzione e aveva realizzato anche che l'unica via dovesse essere quella, ma mai aveva avuto occasione d'approfondire. E in quel momento, nonostante fosse con Stephan, si sentiva terribilmente imbarazzato da quello che stavano dicendo.
"Vuol dire metterlo dentro, cioè... infilare l'uccello nel culo. I gay, credo, forse... pensano che sia una cosa eccitante" gli spiegò Stephan, anche lui turbato.
"E tu come lo sai?"
"Beh... a scuola, con gli altri, si dice qualche volta per prendere in giro qualcuno. Diciamo proprio così: 'vai a farti fottere' oppure 'infilatelo nel culo'. Ma è per... disprezzare qualcuno. Sai, sono quelle cose che si dicono, senza sapere, senza neppure immaginare. E quella sera io credetti... pensavo che tu lo volessi... fare a me. Non lo so neanche io!"
"Stephan" erano ancora abbracciati e Niki lo strinse di più "tu me l'avresti lasciato fare?"
"Si."
"E lo vuoi ancora?"
"Si..."
Stephan indossava solo i calzoncini da jogging. Senza una parola, s'alzò e andò davanti alla finestra, divaricò leggermente le gambe e cominciò ad abbassarsi i pantaloni. Si scoprì i glutei, poi portò le mani davanti e liberò il pene che forzava il tessuto elastico dei pantaloncini.
Non aveva esitato, neanche per un momento.
Perché non dare tutto a Niki? E a chi altro se non a lui? A chi altro in quel momento, se non all'unica persona che l'amasse, che avrebbe continuato ad amarlo anche di fronte ad un rifiuto? Per questo era felice di farlo.
Era impaurito e un po' tremante per quello che stava per subire. Aveva ascoltato tante volte gli scherzi pesanti di qualche suo compagno: forse dopo non sarebbe stato più lo stesso. Avrebbe perso una parte di sé, forse una verginità di cui non sapeva l'esistenza, ma a Niki l'avrebbe data volentieri e assieme a quella avrebbe voluto dargli anche la sua vita, perché, dopo la partenza del cugino, non gli sarebbe più importato neppure vivere, lo comprese in quel momento.
Fu allora che decise di lasciarsi morire.
In piedi, davanti alla finestra, eccitato e tremante, gli venne da piangere. Avere pena di sé a quindici anni è doloroso e Stephan si spaventò, ma sentì Niki avvicinarsi. Non poteva chiudere gli occhi che gli si erano riempiti di lacrime, non voleva che Niki capisse la sua sofferenza, che pensasse ad un sacrificio. Stava per regalargli se stesso ed era felice di farlo. Vide il proprio riflesso nei vetri e attese le carezze che Niki stava per fargli.
Anche Niki era spaventato. Forse aveva obbligato Stephan a farsi fare qualcosa che non voleva davvero e ne era già pentito. L'aveva costretto, ma era stato per paura. Per un momento, il terrore di restare per sempre solo, di non trovare mai più nessuno con cui compiere quell'esperienza, quello che gli pareva una specie di atto estremo, l'aveva spinto a chiedere il sacrificio. L'eccitazione l'aveva reso egoista ed ora Stephan avrebbe sofferto, perché gli avrebbe fatto molto male, ne era certo.
L'abbracciò da dietro, appoggiando il pube contro di lui. Tremavano entrambi, Niki si sbottonò la camicia, se la sfilò, si liberò dei jeans e degli slip. Posò il pene, parallelo al corpo, sul solco fra le natiche di Stephan che respirava velocemente, con gli occhi socchiusi. Spingendo leggermente, Niki s'insinuò fino a sentire sulle proprie gambe la peluria delle gambe di Stephan. Si trovava ora su un terreno sconosciuto, doveva fare movimenti nuovi che neppure l'istinto riusciva a suggerirgli. Ebbe un'intuizione: si staccò da lui, s'inginocchiò e aprendo l'incavo cercò l'apertura e la inumidì con le labbra. Stephan mormorò o mugolò qualcosa che Niki percepì come un invito a proseguire. Vi spinse la lingua.
Si rialzò, appoggiò la punta del pene contro la fessura e spinse un po'. Sentì Stephan trattenere il fiato e spinse ancora.
"Mi fai male, un po' male" Stephan lo disse in un soffio, ma Niki arretrò inorridito e, sedendosi a terra, s'appoggiò con le spalle al letto. Si prese la testa fra le mani. Cominciò piangere, capendo finalmente l'enormità del suo gesto e del sacrificio che stava chiedendo al cugino.
Stephan andò a mettersi accanto a lui:
"Voglio che tu lo faccia, anche se mi farà male. Non piangere... voglio che tu lo faccia, Niki. Perché... sarai tu e solo tu!" voleva dirgli che non gli importava più nulla di sé, che voleva solo esaudire ogni suo desiderio e vederlo felice, che non piangesse più. Gli tolse le mani dalla faccia lo baciò sulle guance e lo costrinse a guardarlo. Quando fu certo che lo sguardo di Niki era fisso su di lui, andò a stendersi a pancia sotto sul letto.
"Bagnalo ancora, Niki, con la saliva... Bagnalo di più."
A Niki pareva di essere scivolato dentro ad un sogno.
Vide se stesso muoversi, avvicinarsi a Stephan. Gli si stese sopra con molta esitazione e ripeté la manovra, bagnando meglio l'apertura con le dita e poi passandosi molta saliva anche sull'uccello. L'appoggiò al buco e spinse delicatamente. Sentì il muscolo cedere, mentre Stephan cercava di rilassarlo. Lo penetrò lentamente, ascoltando il proprio respiro farsi sempre più corto.
"Voglio che anche tu lo faccia a me" gli mormorò in un orecchio, quando l'ebbe penetrato, prima che fosse troppo tardi, mentre con il pene avvertiva i movimenti che Stephan stava facendo per adattarsi a quell'intrusione.
"Domani, non oggi. Oggi è per te."
E, mormorando queste parole, Stephan, come se Niki con i suoi movimenti dentro di lui avesse toccato un pulsante misterioso, si rilassò, liberando dolcemente ondate di piacere. Regalò a Niki la percezione dell'orgasmo del compagno, attraverso le contrazioni dei muscoli attorno al pene.
Niki lo cinse e prese a muoversi dentro di lui, sentendo con tutto il corpo le forme sotto di sé. I movimenti si fecero subito più veloci fino all'esplosione che Stephan accolse con un mugolio.
Non si dissero nulla. Niki rimase dentro Stephan che voltò il capo per guardarlo, si sorrisero, per loro parlarono gli occhi felici e appagati di Niki e lo sguardo dolce che Stephan gli rivolse.
Il rito si ripeté la sera successiva e questa volta fu Niki ad accogliere Stephan che lo penetrò con la stessa dolcezza, lo fece godere accarezzandolo, poi raggiunse il piacere. Calmatosi, mentre era ancora dentro e lo stringeva da dietro con le braccia, appoggiò la bocca sull'orecchio di Niki e gli mormorò queste parole:
"Adesso siamo ancora di più fratelli. Ti giuro che tu solo sarai stato dentro di me e che io non penetrerò mai più altro uomo che non sia tu, ma non voglio che tu faccia a me questo giuramento. So che troverai qualcuno da amare e che t'amerà più di quanto possa fare io. Tu sei..." Stephan non riusciva a continuare, era commosso "...non sarà difficile per te. Tu troverai certamente un ragazzo che si innamorerà di te!"
Poi uscì da Niki e si voltò, rannicchiandosi, raccogliendosi su stesso per nascondere il dolore che quelle parole gli avevano procurato. Perché, anche se non l'aveva mai realmente desiderato, anche se gli aveva solo concesso il proprio corpo, lo amava e sapeva di doverlo perdere. Sarebbero stati troppo lontani per continuare ad amarsi come avevano fatto durante quei tre mesi. E proprio l'amore senza condizioni che provava per lui gli imponeva di lasciarlo libero d'andare per una strada su cui non avrebbe potuto seguirlo.
E quello che Stephan gli diceva fu per Niki l'addio al compagno della sua infanzia. Stephan lo lasciava da solo su una strada che era una via impervia e poco battuta e su quella Niki avrebbe dovuto cercare i suoi nuovi compagni. Credette davvero che Stephan non potesse abbandonarlo. Si convinse che il cugino l'avrebbe sempre accolto e sempre aiutato come aveva fatto durante quell'estate in cui, per amore suo, aveva messo da parte il proprio orgoglio spingendosi a credere d'amarlo e desiderarlo.
"Stephan" l'accarezzò "non piangere!" e anche lui scoppiò in lacrime, perché aveva paura del futuro, di quando si sarebbe ritrovato un'altra volta senza nessuno che lo consolasse.
Anche quella notte dormirono abbracciati, ma cercarono di stringersi più stretti, sapendo di doversi lasciare presto. La mamma li trovò così il mattino successivo.
La partenza era fissata di lì a qualche giorno. All'aeroporto c'era tutta la famiglia a salutare gli italiani che se ne andavano un'altra volta.
Niki e Stephan si erano salutati a modo loro durante l'ultima notte che era stata memorabile.
Si promisero lettere che non avrebbero scritto, telefonate che forse non avrebbero fatto. Si proposero di ritrovarsi presto per raccontarsi delle strade diverse che avrebbero percorso. Stephan lo baciò un po' troppo languidamente sulle labbra e poi scappò via. Niki si strinse a sua madre e cominciò a piangere.
Quel giorno compieva quindici anni e dava addio alla propria adolescenza. Senza saperlo e senza nulla poter fare, abbandonava Stephan al proprio destino.
TBC
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