DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
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Questo è il quarto dei dieci capitoli che compongono questo romanzo.
Cap. 4 Quello che racconta l'amore
La domenica era un giorno di vacanza da scuola che qualche volta coincideva con qualcosa di più speciale, come una ricorrenza familiare, ma non aveva mai rappresentato molto di più.
I genitori di Mauro non erano religiosi, il papà proveniva da una famiglia di atei dichiarati e la mamma, all'inizio del suo fidanzamento, tanti anni prima, si era adeguata a quel modo di pensare. Nella loro casa, la religione con i suoi riti e gli obblighi non era mai stata considerata necessaria per la salute dell'anima, perciò, educando i figli, non avevano imposto alcuna fede. Non essendo cattolici osservanti, né atei irriducibili, avevano lasciato che i ragazzi aderissero liberamente, ciascuno in misura diversa, all'una o all'altra idea, secondo com'erano condizionati dagli amici, dalla scuola e soprattutto dal corso dei propri pensieri. Negli ultimi tempi, il più devoto era stato proprio Mauro che la domenica costringeva il papà a ritardare la partenza per la villotta volendo assistere alla messa con gli amici.
L'atteggiamento di Mauro verso la religione in genere era di adesione alle forme più esteriori, come la messa e la comunione. La confessione, invece, rappresentava qualche problema. Superati gli anni dei 'peccati della marmellata', come li definiva suo padre, aveva cominciato a diradare sempre più quegli 'impegni autoaccusatori' che, secondo quell'impenitente filosofo, servivano soltanto a creargli sensi di colpa. Il motivo autentico dell'allontanamento era, però, nella difficoltà che lui aveva cominciato a trovare nel leggersi dentro e nel distinguere tra il bene e il male in una questione molto precisa. Trovava molto arduo spiegare ad un'altra persona, fosse anche ad un prete particolarmente aperto e tollerante, qualcuno dei dubbi che l'assillavano nelle questioni di sesso.
Aveva continuato a resistere allo scetticismo di suo padre, pur essendo sostanzialmente d'accordo con lui e perseverava in quella moderata devozione, anche se, qualche tempo prima, in un momento di debolezza, aveva confessato che la messa era il pedaggio che lui e i Cavalieri dovevano pagare per sfruttare durante la settimana il bel campo di calcio della parrocchia. Dio, quindi, l'aveva prontamente rimproverato suo padre, rappresentava per lui ed i suoi amici soltanto una buona occasione per giocare a calcio gratis su un campo decente. E poi, non contento dell'ammissione che Mauro gli aveva fatto a denti stretti, aveva anche insinuato: "E se, quando verrà il momento, dovessi scoprire che dio esiste davvero, averlo pregato già tanto sarà un buon biglietto da visita!"
Mauro era rimasto scandalizzato da quell'osservazione, così irriverente, ma alla fine l'aveva onestamente condivisa, pur continuando a frequentare la parrocchia, restando un devoto cattolico che attendeva con impazienza la fine della messa per correre a giocare a pallone.
Quella domenica mattina non uscì di casa per andare in chiesa ed attese tranquillamente che i genitori fossero pronti a partire per la villotta. Trascorse quel tempo a riordinare la sua parte di stiva e, quando la mamma gli chiese il motivo della defezione dalla messa e soprattutto di quell'improvvisa voglia di mettere ordine, lui le rispose, in modo sibillino, che, proprio in quei giorni, stava rivedendo molte sue convinzioni e che mettere in ordine le sue cose l'aiutava a pensare ed a sistemare anche le proprie idee.
La mamma, sempre rispettosa della libertà dei suoi ragazzi, parve accontentarsi della spiegazione e abbozzò, anche se continuò a tener d'occhio il suo adorato figlio minore. Negli ultimi giorni l'aveva osservato parecchio ed aveva colto segni di euforia, di evidente felicità, alternarsi a momenti di sconforto. Da qualche giorno, anzi, Mauro non faceva che sognare ad occhi aperti. Aveva avuto sempre molta fantasia e spesso occorreva richiamarlo alla realtà, perché volava davvero lontano con i suoi pensieri, ma, ne era certa, a suo figlio stava accadendo qualcosa che non era dovuto all'immaginazione, né all'adolescenza. Negli occhi di quel ragazzo prezioso c'era una luce che credeva di aver riconosciuto, quella dell'amore. Perché Mauro era certamente innamorato e, conoscendolo come lo conosceva lei, doveva essersi preso una cotta formidabile.
Ricordava molto bene le caratteristiche del proprio innamoramento per quello che sarebbe diventato suo marito. Era stato più di trent'anni prima e lei aveva proprio l'età di Mauro. La sua reazione era stata la stessa, s'era comportata proprio come stava facendo suo figlio in quei giorni. Ma chi era il fortunato destinatario di quell'amore, la futura compagna di quel figlio prediletto? Forse quella Roberta dell'anno scorso, oppure qualche altra compagna di scuola, o un'amica conosciuta da qualche altra parte. Con il carattere testardo che si ritrovava, se la prescelta non avesse corrisposto al suo amore, sarebbe stato un bel guaio.
Ne aveva già parlato a suo marito, chiedendogli se il ragazzo si fosse per caso confidato con lui, ma Mauro non aveva accennato nulla neppure al padre. Negli ultimi giorni, si erano entrambi resi conto dello stato euforico del ragazzo, ma non ne conoscevano ancora la ragione, l'origine.
Questi e altri erano i pensieri che le attraversavano la mente, quando scese dall'automobile, guidata con la solita nonchalance da suo marito.
Quella domenica erano arrivati alla villotta molto prima del solito. Da quando l'avevano ricevuta in eredità, era consuetudine che vi trascorressero tutte le domeniche e le feste comandate. Quest'abitudine aveva in principio fatto la felicità dei ragazzi, liberi di correre e di giocare, ma con gli anni era stato sempre più difficile convincerli all'isolamento dai loro amici. Continuavano ad andarci, anche se da qualche anno Sergio e Michele ci arrivavano solo per l'ora di pranzo e Mauro borbottava sempre più spesso, perché lo lasciassero tranquillo con i suoi amici.
La giornata era luminosa e il sole, insolitamente caldo per essere a novembre, intiepidiva le pietre e asciugava l'umidità scesa durante la notte. Mauro aveva dormito in uno stato di ebbra felicità e, svegliandosi quella mattina, aveva continuato a chiedersi quanta parte dei suoi ricordi, così dolci, fosse sogno e quanta fosse realtà. Trovò una risposta certa non appena giunse alla villotta, perché, arrivando con la macchina, vide, abbandonato lungo il viale d'accesso, il pallone che avevano lasciato fuori per l'emozione di quello che era accaduto. Era dunque tutto vero, oltre ogni sogno.
Appena sceso dalla macchina, corse sul retro della villotta a guardarsi il luogo dell'avventura vissuta il giorno prima, poi sognata e rivissuta ancora durante la notte. Con le mani in tasca, le braccia raccolte e la testa incassata, si mosse a piccoli passi su quell'erba che aveva assistito al gioco fatto con Niki. Chiuse gli occhi e sentì ancora il fazzoletto che lo bendava, gli parve d'avvertire l'odore di ciò che Niki indossava, non quello che fiutava ogni volta che l'incontrava e che già gli faceva battere il cuore, ma un profumo diverso, indimenticabile, un aroma delicato che aveva colto perché gli si era avvicinato, l'aveva sfiorato, come non aveva mai fatto prima. E per tutta la sera gli era rimasta nelle mani una fragranza delicata che gli ricordava Niki, ancora Niki. Niki che aveva popolato i suoi pensieri ininterrottamente da quando l'aveva lasciato.
Facendo quei pensieri, continuò a muoversi, girando in tondo e la cosa non sfuggì alla mamma che per un po' stette a guardarlo dalla finestra della cucina, poi, essendo curiosa almeno quanto suo figlio, non riuscì più a resistere e lo chiamò:
"Mauro, vieni qua!"
Si sentì strappato ai suoi sogni, ma quello era un richiamo che non ammetteva esitazioni, perciò, riposti con cura quei pensieri così dolci e delicati, raggiunse la mamma.
"Sei strano in questi giorni, che c'è che non va? Stai bene? Credi che io possa fare qualcosa?"
Riconobbe l'impeto indagatore della mamma e si rese conto che quella donna tenace non l'avrebbe mollato, finché lui non le avesse fornito una spiegazione plausibile.
"Mamma, va tutto bene..." mormorò, mentre era con la mente alla disperata ricerca d'un modo per sottrarsi alla verità.
Voleva dirle qualcosa, ma non il motivo vero di tutta la felicità che stava vivendo, sarebbe stato troppo difficile.
"Va proprio tutto bene a scuola?" fece lei " e con i professori? Hai litigato con qualcuno dei tuoi compagni? Se ci fosse qualcosa di brutto, tu me lo diresti, non è vero? È da un po' che ti guardo, sei sempre pensieroso. Non mi piace proprio come ti comporti!"
"Hai ragione, mamma, mi dispiace, ma tu non preoccuparti, perché mi sta capitando una cosa nuova. Forse mi sono innamorato!"
Lei alzò la testa, lasciando perdere per un momento la preparazione del ragù.
'Questo non ha ancora quindici anni e già parla d'amore. Io a mia madre non avrei mai detto una cosa del genere' pensò lei con tutto il buon senso di cui fu capace di fronte ad una simile rivelazione.
"Sono contenta!" riuscì a dire, prima di accorgersi di essere commossa.
Tornò alla preparazione del sugo. Prese una cipolla e cominciò a pulirla e poi a sminuzzarla. Così, pensò, suo figlio non si sarebbe accorto di nulla e avrebbe attribuito le sue lacrime a quell'ortaggio traditore. Ma perché, poi, avrebbe dovuto commuoversi?
Mauro approfittò di quella pausa per pensare. Girarci attorno, quello era il metodo della mamma per scoprire le cose, ma questa volta proprio non doveva caderci, le avrebbe spiegato il suo comportamento, perché non si preoccupasse, ma, per il momento, avrebbe sostenuto soltanto una mezza verità.
"Mi piace una persona, a scuola, ma non c'è niente di serio" questo non era per niente vero, si disse "Ci parliamo qualche volta. Sai come capita." e dicendolo, arrossì e distolse lo sguardo.
Entrambe le cose, diventare rosso e non riuscire a guardare la persona con cui parlava, gli accadevano quando era imbarazzato, ma anche le rare volte in cui era costretto a dire una bugia. La mamma, che pure conosceva questa debolezza, per fortuna di Mauro, credette più all'imbarazzo del figlio nel raccontare ad un adulto della sua prima cotta, che alla possibilità che il suo bambino non le stesse raccontando tutta la verità.
Mauro ebbe qualche rimorso per la mezza bugia, o mezza verità, appena detta, ma non poteva rivelare bruscamente a sua madre che amava il proprio compagno di banco, non così presto, non ancora. Avrebbe voluto dirle tutto e, come sempre, attendere il consiglio che lei gli avrebbe dato, ma non ora. Questa volta credeva di non poterlo fare, doveva pensarci ancora, perché, per poter spiegare e raccontare a qualcuno quello che gli stava accadendo, doveva prima capirlo e questo non era ancora avvenuto. Non del tutto, almeno.
Così la mamma abbassò la testa, tornando a concentrarsi sulla preparazione del pranzo e lui sgattaiolò sul retro della villa per guardare ancora il luogo dove si era compiuto il rito del loro innamoramento.
Fortunatamente Mauro non si era reso conto di quanto lei si fosse commossa, perché, se gli effluvi della cipolla le avevano raggiunto gli occhi, le parole di suo figlio erano andate direttamente al cuore. L'avevano intenerita e fatta tornare indietro di molti anni, ai giorni in cui anche a lei era accaduto di girare in tondo, attorno al luogo dove il suo futuro marito l'aveva baciata per la prima volta. Ed ora toccava al figlio più piccolo e più amato: decise che avrebbe cercato di volere bene a quella ragazza, allo stesso modo con cui amava lui e, se quella lì non avesse capito subito tutto l'enorme valore di Mauro, ci avrebbe pensato lei a spiegarglielo.
Mauro se ne andò a rievocare la strana e bizzarra liturgia che Niki aveva inventato per loro, perché si avvicinassero. Cercò di rivivere un'altra volta quel gioco che lui era stato così felice di fare e che aveva rischiato di rovinare con la sua immaturità. Ricordò che già per due volte aveva corso il rischio di perdere Niki a causa della sua presunzione, della sua inesperienza. Ma ora tutto il suo orgoglio si era dissolto davanti all'amore che provava.
Continuò a vagare attorno alla villotta con le mani in tasca, tirando distrattamente calci a tutto quello che aveva una forma adatta ad essere colpito e andò a finire, quasi senza accorgersene, davanti alla cappellina, nascosta dall'edera scura. Quando si rese conto di essere capitato proprio là, la sua fantasia gli suggerì che una forza arcana l'avesse guidato in quel posto.
Era andato in quel luogo misterioso, perché doveva pensare seriamente. Fino a quel momento aveva soltanto sognato, s'era lasciato sedurre dal ricordo di Niki, del suo affetto, ma ora doveva ragionare e decidere.
Quel giorno c'era molto sole, ma neppure un raggio riusciva a penetrare attraverso la volta che il rampicante aveva costruito nei cento e più anni in cui aveva potuto svilupparsi indisturbato. Al centro di quel tumulto di foglie scure, c'era l'edicola e dentro, protetta da un vetro sottile, stava, come sempre, la statuina bianca.
Fissò la madonnina che era stata testimone della loro promessa e si mise a pensare.
Se davvero era amore quello che provava per Niki, dovevano assolutamente parlarne. Lui non poteva più aspettare e forse anche Niki non desiderava altro. Magari, in quel momento, soffriva per l'incertezza che lui avesse compreso o, ancora una volta, avesse frainteso tutto. Decise che doveva dirglielo, perché non ci fossero più malintesi fra loro.
Improvvisamente non fu più così certo di volerlo fare, di essere pronto per quella prova e l'assalirono i dubbi peggiori: Niki aveva davvero le sue stesse inclinazioni? Era tanto sicuro che quel ragazzo, che conosceva da così poco tempo, fosse proprio come lui? Che fosse come non osava neppure dire?
Si scoprì improvvisamente preoccupato per se stesso. Nella sua mente, si svolse un colloquio tra due parti di sé: 'Lo sai come ti chiamerebbero i Cavalieri, se sapessero di voi due?' disse la parte che cercava di farlo ragionare. 'Mi chiamerebbero...' e non aveva il coraggio, non solo di dirlo, di ripeterselo, ma anche di pensarlo. 'Ti griderebbero dietro che sei un...'.
'Io sono un... finocchio!' trovò finalmente il coraggio almeno di pensarlo.
'Te lo griderebbero e si metterebbero a ridere. Giacomino ti guarderebbe con disprezzo, Alex ed Eugenio scuoterebbero la testa. E poi Enrico... Se sapessero che sei finocchio, ti chiederebbero certamente come hai potuto prenderli in giro per tanto tempo!'.
Questi pensieri lo spaventarono. Chiuse gli occhi, li strinse, tentando disperatamente di scacciare l'immagine dei suoi amici che lo guardavano con compatimento, forse anche con dispiacere, prima di mettersi a ridere di lui, assieme a tutti gli altri. Ma l'aver conosciuto Niki, lo aveva miracolosamente reso fiero di essere ciò che era, qualunque cosa fosse, e quell'orgoglio gli derivava da un convincimento: 'Gli voglio bene' disse l'altra parte di sé, quella che amava 'io voglio bene a Niki: non sono solo! Io non sono più un mostro!' gridò a se stesso e con questo il suo immaginario, razionale interlocutore parve, per un momento, sconfitto.
Invece tornò alla carica: 'E se Niki non fosse gay?' 'No' pensò terrorizzato 'non può essere. Lui mi ha cercato e poi ha lasciato che io lo baciassi. Per due volte!'. Questo ricordo lo intenerì talmente che non sentì più alcuna voce dentro, non ascoltò più null'altro che non fosse il carezzevole ricordo dei momenti in cui aveva baciato Niki, solo sfiorando la sua guancia con le labbra. Avrebbe voluto baciarlo in un altro modo, facendo anche qualcosa che non riusciva ad immaginare per quanto era audace.
Ebbe un brivido e poi arrossì a quell'idea.
Si sedette sul gradino di pietra, costruito sotto la cappellina per facilitarne l'accesso e invaso anch'esso dall'edera. Si abbracciò le ginocchia. Doveva dirglielo, ma non sapeva ancora se ne avrebbe trovato il coraggio. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime al pensiero di Niki, seduto accanto a lui, che attendeva le sue parole, come avrebbe fatto a spiegarsi? Era certo di commuoversi, di scoppiare a piangere davanti all'amico e non riuscire a trovare il modo per spiegargli quanto l'amasse.
E poi c'era la sua preoccupazione più grande, un dubbio che lo angustiava e che aveva cominciato a roderlo fin dalla sera precedente, dopo che aveva lasciato Niki. La mamma e il papà avrebbero compreso quell'amore? Era troppo importante che capissero, perché lui li amava tanto. E i suoi fratelli? Come l'avrebbero presa? Voleva veramente bene anche a quei due. Se, insomma, avesse dovuto scegliere fra la sua famiglia e Niki, chi avrebbe scelto?
Era ancora troppo piccolo per dover scegliere. Anche se ne fosse stato costretto, non poteva, non sarebbe stato giusto costringerlo a rinunciare a qualunque cosa. Si guardò intorno terrorizzato da questo pensiero, da quella possibilità. Si sentiva come un cucciolo spaventato e certamente lo era. Fissò lo sguardo sulle mura che si intravedevano tra gli alberi, poi si voltò, si dovette piegare, ma riuscì a fissare la statuina che assisteva insensibile al suo travaglio. Le chiese se davvero, per amare Niki, poteva rischiare di perdere la famiglia, gli amici, la villotta, tutto il suo mondo. Tentò di scacciare Niki dalla sua testa. Provò ad allontanare quel diavolo tentatore che rischiava di fargli perdere tutto quello che era stato sempre suo, in cui s'era sempre ritrovato.
Schiacciò la faccia contro le ginocchia e strinse gli occhi. Tese tutti i muscoli in uno sforzo, diventato fisico, d'allontanare, senza riuscirci, Niki dai suoi pensieri. Poi percepì l'odore dei jeans puliti che aveva indossato quella mattina e riconobbe il profumo del detersivo con cui sua madre li aveva lavati: quell'odore così concreto, quasi corporeo, l'aiutò a scuotersi.
Nel suo carattere c'era una dote rara, la capacità d'allontanarsi dai problemi per riaffrontarli con calma. Si guardò intorno, cercando qualcosa che lo distraesse e proprio allora gli arrivò la voce di suo padre che lo chiamava. Immaginò che quel testardo era impegnato, nel terreno attorno alla villotta, a cercare ancora olive tra quegli alberi troppo vecchi ed avari. Come gli aveva spesso detto la mamma, suo padre era un testardo ed era da lui che Mauro aveva ereditato, tutta intera, l'ostinazione nel perseguire le proprie idee.
In quel momento aveva bisogno di parlare con qualcuno che non gli facesse domande ed il papà, con tutta la sua filosofia, pur comprendendo che suo figlio era in ansia per qualcosa, non gliene avrebbe certo chiesto il motivo. Lo raggiunse correndo, felice che lo stesse cercando.
"Su quei rami, in alto, ci sono ancora olive. Guarda. Il tuo vecchissimo genitore non se la sente di andare fin lassù."
Si trovavano al confine della loro proprietà e suo padre s'aspettava che lui salisse a recuperare le sette, otto olive che aveva intravisto in cima all'albero, dimenticate su un ramo. Mauro s'arrampicò agilmente fino a coglierle. Continuarono a girare per circa un'ora e discussero di tutto e di nulla, spigolando olive quasi da ogni albero. Tutto questo lo distrasse abbastanza perché si sentisse più calmo e tranquillo, così da porre finalmente a suo padre la questione che gli stava tanto a cuore:
"Papà, se tu fossi obbligato ad una scelta, terresti in maggior conto la tua felicità o l'opinione degli altri? Anche se questi fossero i tuoi genitori?"
E suo padre non lo deluse neanche quella volta, fornendogli la risposta che lui sperava e s'aspettava d'avere.
"Io penserei alla mia felicità, Mauro, purché non fosse un limite alla libertà degli altri, di tutti gli altri, anche se li ascolterei attentamente prima di decidere. Ma non farti sentire dei tuoi amici preti, loro queste cose non le capiscono" gli aveva parlato come se fosse stato il suo migliore amico, poi tornando, per un momento, al suo ruolo di padre, gli chiese ancora qualcosa "Mauro, che cosa c'è che ti preoccupa? Mi hai fatto una domanda un po' strana. Non ti pare?"
"Ora non c'è più nulla che mi preoccupi, papà. Mi hai appena dato la risposta che volevo mi dessi. Hai detto quello che mi aspettavo."
Lo baciò sulla guancia come faceva ogni volta che suo padre o sua madre gli davano il consiglio che per lui rappresentava il modo di risolvere un suo problema.
E, anche se il papà gli aveva dato, come sempre, la chiave per uscire dal labirinto in cui credeva d'essere finito, dopo pranzo sorse per lui un problema insormontabile, l'urgenza di tornare in città, per rivedere Niki e, se ne avesse trovato il coraggio, rivelargli il suo amore. Ma per assolvere un impegno tanto nobile, c'erano impedimenti decisamente concreti, perché Michele non aveva progetti per quel pomeriggio e nessun amico sarebbe andato in macchina a riprenderlo. Il papà non si sarebbe mosso dalla villotta prima che facesse buio, né c'erano biciclette in giro. Di tornare a piedi non se ne parlava neppure, perché non gli avrebbero consentito di farlo, se non avesse offerto spiegazioni molto precise che lui non poteva dare.
Era in gabbia, nella gabbia dorata della sua amata villotta. Tutti capirono che c'era qualcosa che gli stava terribilmente a cuore, compresero finanche che in città c'era qualcuno ad aspettarlo, e che non era un amico qualunque. Michele e la mamma tentarono in tutti i modi di farsi dire di chi si trattasse, ma non ci fu verso. Mauro non parlò e sopportò stoicamente che le loro insistenze si aggiungessero alla sofferenza di non poter rivedere Niki, pur sapendo quanto l'amico lo stesse aspettando.
La famiglia riguadagnò la città parecchio tempo dopo che l'oscurità aveva avvolto il mondo. Nel cuore di Mauro il buio era sceso già quando si era reso conto che forse non avrebbe rivisto Niki per quel giorno.
E Niki aveva trascorso la domenica mattina senza uscire. S'era alzato presto e aveva preso a girare per casa, non riuscendo a concentrarsi in nessuna delle sue abituali attività. Arleen, un po' preoccupata, gli aveva chiesto la ragione di tutto quel nervosismo.
"Sono felice, mamma!" le aveva risposto enigmaticamente, poi vedendo che lei era rimasta a guardarlo incuriosita, aveva aggiunto "A dire il vero, sono anche un po' preoccupato, ma sono certo che mi passerà presto."
E se n'era andato verso il pianoforte. Arleen l'aveva seguito con gli occhi e si era fermata ad ascoltare quello che suo figlio suonava. E quando lo faceva, ci metteva, molto di sé e del suo stato d'animo. Ad Arleen piaceva ascoltarlo, ma tutti i suoni che ottenne dal pianoforte quella mattina e il modo con cui lo fece, le indicarono che era in uno stato di grande eccitazione. Lei sperò solo che il suo piccolo fosse davvero felice, anzi, le parve che quel giorno, dopo tanta attesa, fosse addirittura entusiasta, come se avesse raggiunto qualcosa che aveva desiderato per troppo tempo.
Sapeva qual era l'origine di tanta beatitudine, ma decise di attendere che fosse lui a parlargliene, a lei, per il momento, bastò constatare che Niki era tornato alla felicità dei giorni di Boston, quando Stephan gli aveva regalato tanta serenità. E se ora aveva trovato un altro Stephan in Mauro, lei non poteva che essere contenta. Poteva solo sperare che Mauro corrispondesse in ugual misura al sentimento di suo figlio e soprattutto non lo deludesse.
Nel pomeriggio Niki rimase da solo in casa ad attendere e a sperare con tutto se stesso che Mauro si facesse vivo. Ciondolò pigramente di camera in camera, in quella casa che prima aveva odiato, come tutte le case in cui avevano abitato, ma che, da quando Mauro l'aveva illuminata con la sua presenza, era diventata la più bella delle sei, sette in cui avevano vissuto da quando erano tornati in Italia.
Pensò solo a Mauro, a come l'avesse desiderato già dal primo giorno di scuola quando era entrato nella sua vita e nei suoi sogni. La sua vicinanza gli aveva subito procurato un turbamento che s'era trasformato in qualcosa di troppo complesso anche per uno come lui, abituato fin da piccolo a guardarsi dentro e quindi a conoscersi e a controllarsi. Come avesse potuto capire di trovarsi di fronte l'amore nella sua forma più completa, gli pareva un prodigio. Desiderio fisico, affetto, dedizione, quel sentimento era stato subito tutto questo e il miracolo stava proprio nel fatto che lui l'avesse compreso, non se ne fosse fatto travolgere. Anche nell'esaltazione dell'innamoramento o nella disperazione dell'indifferenza, aveva sempre cercato di capire se anche Mauro stesse provando o potesse provare, un sentimento come quello. Ed ora credeva di aver compreso, era quasi certo di aver finalmente trovato il compagno che cercava.
Non era troppo piccolo per quelle cose, pensò, cercando di rassicurare se stesso. Quello della loro giovane età era uno dei più seri fra i tanti dubbi che l'avevano tormentato in quei giorni. Ma Mauro era maturo quanto lui per vivere un rapporto sincero e consapevole. Un altro miracolo, ne era certo, lo sperava, lo voleva con tutte le forze, stava quindi per compiersi. Loro sarebbero stati insieme come due fidanzati, anche se non poteva essere proprio così, anche se ci sarebbero stati degli ostacoli che avrebbero superati insieme, perché lui era abituato alle difficoltà e Mauro era fermo e risoluto. Con Mauro accanto avrebbe affrontato qualunque situazione, sarebbe andato anche all'inferno.
All'inizio, quando aveva capito di essersi innamorato seriamente di un altro ragazzo, quella consapevolezza l'aveva spaventato. Era stata la completezza di quel sentimento ad impaurirlo e non il fatto di essersi innamorato di un uomo, di una persona del suo sesso, per sé aveva superato da tanto tempo quella situazione. Ora però quello stesso problema tornava ad impaurirlo, perché non sapeva come l'avrebbe vissuto Mauro. E anche per questo non era del tutto sicuro di come il loro rapporto si sarebbe evoluto, perché non poteva in alcun modo fare ipotesi sulle reazioni di Mauro nello scoprirsi innamorato di un uomo.
Di una cosa era assolutamente certo, avrebbe sofferto in modo orribile, se, giunto dov'era, avesse scoperto di essersi illuso. Se Mauro non avesse corrisposto al suo amore, gli si fosse mostrato indifferente, disinteressato, se improvvisamente avesse riso di lui e l'avesse disprezzato fino a rifiutare anche la sua amicizia, per lui sarebbe stato molto difficile continuare a vivere.
Decise di non seguire quel pensiero, perché l'ipotesi che si verificasse lo terrorizzava.
Aveva subito amato Mauro, anche se erano diventati rivali già il primo giorno, l'aveva amato anche quando nel suo comportamento c'erano stati ostilità e disprezzo e quella sottile crudeltà che può esserci solo fra ragazzi. Di questo aveva pianto disperatamente, di notte, quando nessuno poteva sentirlo. Quasi altrettanto presto, però, la lealtà e la bontà di Mauro erano state più forti e lui aveva percepito un lento cambiamento. Mauro aveva l'accettato come compagno di banco e poi l'impossibile si era verificato, con l'aiuto di quella donna eccezionale che era l'insegnante di lingue. Allora era stato addirittura Mauro a cercarlo ed erano diventati inseparabili. Ora sperava che fossero finalmente divenuti indispensabili uno all'altro, insomma che anche Mauro l'amasse veramente.
Dei loro primi approcci, di come si stavano avvicinando fisicamente, non aveva premeditato nulla, in lui c'era stato solo il desiderio di donarsi e poi di scoprirlo, di toccare e sentire quel corpo. Aveva subito sognato e vagheggiato quali forme potesse nascondere sotto quei pantaloni sempre troppo grandi o troppo piccoli e sotto le magliette sempre logore che indossava.
Un'ondata di tenerezza lo travolse a quel ricordo. La figura di Mauro, il suo vestire trasandato e il corpo che un poco già conosceva, per tutte le volte in cui erano arrivati a sfiorarsi. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Se ne stava disteso sul divano in salotto e si raccolse su se stesso come scosso da un brivido.
La musica invadeva la casa, stava ascoltando la terza sinfonia di Mahler.
Fin dalla prima volta in cui l'aveva ascoltata, qualche anno prima, la musica di Mahler, e in particolare quella sinfonia, avevano rappresentato per lui uno dei mondi in cui rifugiarsi quando si sentiva triste e solo. Aveva già ascoltato quasi tutta la sinfonia e i violini avevano attaccato l'ultimo movimento, quello intitolato con una terribile parola tedesca che il papà una volta gli aveva tradotto in 'ciò che mi dice l'amore'. Era il momento che attendeva fin dall'inizio, quella musica l'aveva stregato una volta e lo commuoveva ancora, tanto che aveva ascoltato quel brano in tutti i momenti difficili che aveva incontrato negli ultimi anni e sapeva anche d'averlo fatto troppo spesso. Il tema degli archi, quello che dopo tanti ascolti lo inteneriva ancora, coinvolse l'intera orchestra, sollevandosi e portando con sé tutti i pensieri, belli e brutti, incantevoli e spaventosi, che andava facendo.
Quando Mauro gli aveva stretto la mano per la prima volta, era stato come sognare e tutte le occasioni in cui si erano toccati avevano rappresentato tanti passi verso una meta su cui ancora non osava fantasticare. Mauro lo aveva sfiorato con le labbra, poteva dire che già per due volte l'aveva baciato. E si erano stretti durante quella lotta divertita, quando ne aveva sentito il corpo sotto di sé, aderire al suo e vi si era adattato come per riportarne l'impronta. Quella volta era stato Mauro a provocare l'occasione per toccarsi e lui aveva provato un'emozione grandissima, avvertendo che anche l'altro era eccitato. E poi avevano continuato a giocare e a cercarsi fino a ieri. A quel ricordo si strinse le braccia intorno alle spalle, per ricordare la stretta di Mauro. Sentì la musica salire ancora, avviandosi a quel finale maestoso che gli dava i brividi.
Solo allora si accorse della propria eccitazione e ricordò che era stato così per quasi tutta la giornata. Quel disagio, pure così piacevole, si era accentuato durante il pomeriggio di solitudine e di attesa che aveva vissuto. Per quel giorno forse non avrebbe rivisto Mauro, sarebbe rimasto da solo e sperò che fosse l'ultima volta della sua vita ad essere solo.
Nella camera s'era fatto quasi buio e il giradischi con le lucette discrete formava ombre vaghe. Era solo in casa, ancora terribilmente solo. Si sfilò lentamente la tuta, rimanendo a torso nudo. Sentiva sul dorso la carezza della pelle morbida del divano, mentre si sfiorava, facendo correre le mani su di sé. Aveva ricominciato a fare il solito gioco, quello che tante volte l'aveva sottratto, per qualche minuto, alla malinconia e alla solitudine. Voltandosi, si stese a pancia sotto e cominciò a sfregare il ventre contro i cuscini, cercando con quel movimento di sfilarsi i pantaloni bloccati dall'elastico. Aiutandosi con le mani, se ne liberò e strofinando il pene eretto contro la pelle del divano, si procurò brividi di piacere. I pantaloni scesero lentamente, accompagnati dal movimento ritmico del bacino. Si sentì subito vicino all'orgasmo. Il suo ricordo tornò al momento in cui Mauro l'aveva toccato, facendolo godere improvvisamente, come se lui fosse giunto alla fine di una sollecitazione durata più di due mesi e cominciata già il giorno in cui l'aveva conosciuto. Con quell'immagine negli occhi, con quella sensazione in tutto il suo corpo, passandosi una mano che desiderava fosse quella di Mauro, come Mauro aveva fatto ieri, si spruzzò nel palmo che aveva infilato tra il pene e il divano.
Si portò lentamente la mano davanti agli occhi, per guardarla. Era stata la musica, il finale della sinfonia, in quel momento al culmine, a riportarlo al presente. La mano bagnata del suo seme lo accusò, si sentì disperato. Ebbe un singhiozzo di pianto, perché gli pareva d'avere irrimediabilmente tradito e infangato l'amore del compagno.
"Ti prego, Mauro, fa' che sia l'ultima volta!" mormorò quasi piangendo, poi lentamente si calmò e tornò alla realtà della sua solitudine, dell'amore che era, per il momento, ancora inappagato e forse non era che un miraggio, soltanto un fantasma seducente. Per ora aveva soltanto la speranza che Mauro l'amasse, che fosse come sperava lui, solo perché per due volte, forse, l'aveva baciato. Per due volte Mauro aveva avvicinato le labbra alla sua guancia.
Aveva soltanto quindici anni e non aveva mai pregato, i suoi genitori non gli avevano mai mostrato quella via di fuga dall'angoscia. Perciò restò nudo, sul divano, a rabbrividire, contemplando la sua mano bagnata e a chiedersi se Mauro l'avrebbe mai amato, quanto l'amava lui. Non poteva supplicare nessuno, in cielo o in terra, di dargli una risposta o d'aiutarlo a convincere Mauro e certamente avrebbe pregato e implorato se solo ne avesse conosciuto il modo.
Il suono del telefono lo scosse, qualche minuto dopo, mentre era ancora sul divano, raccolto su se stesso. Aveva sentito freddo e si era rivestito, ma era tornato a raggomitolarsi con gli occhi chiusi.
Era Mauro che lo chiamava:
"Ciao. Siamo appena tornati. Mi dispiace..."
"Non fa nulla, non è che ci contassi più" Niki sentì il tono aspro della propria voce.
"Non sono riuscito a scappare. Nessuno tornava o si muoveva."
Si commosse subito cogliendo il dispiacere che c'era nelle scuse di Mauro. Questo non gli impedì, comunque, di rimproverarlo ancora.
"Potevi anche venire in bicicletta oppure a piedi" 'io lo avrei fatto', aggiunse nella mente, ma poi si pentì d'averlo anche solo pensato. Non era giusto che riversasse su Mauro l'angustia che sentiva dentro per averlo appena tradito, masturbandosi. E pensava che fosse davvero così, un tradimento verso la lealtà del compagno.
"Non avevo la bicicletta e a piedi non mi avrebbero mai fatto ritornare e, poi, che gli raccontavo?"
"Non lo so! Sono stato ad aspettarti fino a poco fa e adesso sono molto arrabbiato, anche perché sono rimasto da solo per tutto il pomeriggio. Questo ti costerà caro quando ti metterò le mani addosso" e rise, perché era contento d'ascoltare la voce di Mauro, ma era soprattutto contento di riprendere finalmente quel loro gioco di minacce affettuose.
"Prometti solo di non farmi molto male" rise anche Mauro.
"OK, promesso!"
Ma Mauro desiderava fortemente vederlo, almeno per un po', e glielo propose.
"Ti andrebbe d'uscire? Non è tardi, facciamo solo una passeggiata e ci ritiriamo subito."
Gli parve che Niki esitasse per un momento a rispondergli e così aggiunse: "Ti prego!"
"D'accordo" per Niki fu molto facile convincersi "Al nostro angolo. Ma devo rientrare in fretta."
Quando scese, Mauro, invece che al loro angolo, era già davanti al portone e lo accolse con il suo miglior sorriso.
"Davvero sei arrabbiato?"
"Si e non immagini quanto. Non sai quello che ti sei perso" e s'incamminò in fretta davanti a lui, un poco per incuriosirlo e un po' perché già pentito d'aver detto quelle parole.
Camminando, quasi correndo, uno avanti e l'altro che pareva inseguirlo, giunsero nel giardinetto di pini. Mauro saltò su una panchina e si sedette sulla spalliera.
"Qualunque cosa io mi sia perso, spero non sia per sempre" gli gridò.
Niki andò a sedersi accanto, cercando la sua vicinanza.
"Ti ho aspettato per quasi tutto il giorno."
"Noi trascorriamo alla villotta ogni santo giorno di festa, non c'è scusa che tenga" spiegò Mauro facendo la voce solenne di suo padre "Però domenica prossima potresti venirci anche tu. Ai miei genitori farà piacere e potremmo stare insieme per tutto il giorno" e quello era il suo solito tono, come sempre carico di entusiasmo "Sai, ho altri mille posti segreti da farti vedere. Ci vuoi venire?"
"Si, certo, volentieri."
Niki quasi non riuscì a rispondergli, per come si sentì felice. Sarebbe stata forse la prima volta nella sua vita, trovarsi in un posto diverso da dove erano i suoi genitori per tutta una giornata, invitato da un amico, dal suo primo amico. Era naturale che accadesse, ma la novità lo sorprendeva e un po' l'avrebbe spaventato se non fosse stato Mauro ad invitarlo.
Rimasero in silenzio, ognuno con i propri pensieri, quelli erano momenti di serenità assoluta per entrambi, dopo le angustie che avevano provato durante la giornata. Poi Mauro incominciò a ridacchiare e raccontò a Niki dei tentativi fatti per tornare nel pomeriggio e dei sospetti che aveva sollevato nei familiari che avevano cominciato a prenderlo in giro chiedendogli se finalmente s'era trovato la ragazza.
"Pensa che mio fratello mi ha rincorso per tutto il giardino cercando di raggiungermi ed estorcermi con la forza il nome della persona con cui, secondo lui, avevo appuntamento, ma io non mi sono fatto prendere, perché" disse con orgoglio "io sono molto più veloce di lui che è ingrassato."
Niki, sorprendendolo, gli tirò un pizzicotto alla gamba.
"Cerca di raggiungere me, adesso" e scappò via "Prendimi se sei capace!" lo sfidò da lontano.
Mauro non ci riuscì, perché Niki era davvero molto veloce, ma si inseguirono per un po' di tempo per tutto il giardino che a quell'ora era deserto. Quando furono abbastanza stanchi, Niki si fermò buttandosi a cavalcioni su una panchina e Mauro gli si avvicinò.
"L'americano è veloce. Chi l'avrebbe detto?" e gli bloccò i polsi.
Niki rideva e aveva l'affanno. Mauro gli si sedette di fronte, senza più lasciargli le mani.
"Devo vendicarmi!" anche lui respirava velocemente per la corsa appena fatta.
"Non puoi! Non sarebbe leale!"
"Chi lo dice? Io sono più forte di te ed ora tu sei in mio potere. Posso farti quello che voglio!"
Mauro scherzava, rideva, ma Niki si fece immediatamente serio. Pensò a quanto reali fossero quelle affermazioni, anche se fatte per gioco. Era tutto assolutamente vero, lui era irrimediabilmente in suo potere. Ma non immaginava come anche Mauro avesse già posto la propria vita nelle sue mani.
"Sono stato ad aspettarti per tanto tempo" gli mormorò "Il pomeriggio è stato così lungo e non ce l'ho più fatta."
Era illanguidito dalla stanchezza per la corsa che avevano appena fatto, ma soprattutto dalla presa di Mauro sui suoi polsi che erano ancora così, stretti nelle mani dell'amico. Si era eccitato un'altra volta e capiva, non avrebbe saputo dire da cosa, che anche Mauro lo era.
"Non ce l'hai fatta a fare cosa?"
Mauro respirava con la bocca, le sue labbra erano aperte. Non era affannato per la corsa, era l'emozione, l'attesa di qualcosa che poteva accadere, a dargli il fiato corto.
Le parole di Niki erano misteriose per lui che era molto lontano dal capirne il senso e Niki se ne rese conto, rimpiangendo improvvisamente d'aver parlato a quel modo.
"Niente d'importante, domani ti spiego" disse e si sentì terribilmente imbarazzato.
"Non ce l'hai fatta a fare cosa? Dai, dimmelo!" la curiosità aveva riportato Mauro alla realtà, strappandolo ai suoi sogni.
"Adesso non posso. Adesso proprio non posso" e faceva di no con la testa.
"Dai, dimmelo, lo sai che sono curioso" Mauro rideva e gli scuoteva le mani, perché gli stringeva ancora i polsi "Tu lo dici sempre!"
"Ti prego, non voglio!" lo guardò fisso e Mauro cedette a quello sguardo
"Devo tornare a casa" fece allora "non vorrei che i miei genitori rientrassero... non trovandomi mamma potrebbe preoccuparsi. Lei forse non sa, non immagina che... adesso ci sei tu..."
Mauro ormai l'accarezzava, con le mani sui polsi, senza più stringerli. Voleva fare qualcosa prima di andarsene, prima di dovere attendere fino a domani. Lo guardava negli occhi e si guardava le mani. Voleva dirgli una cosa, doveva farlo, perché non avrebbe voluto trascorrere tutta la notte a desiderare d'averlo fatto. Doveva, anche se non se la sentiva di svelare tutto quello che aveva dentro. Erano soli, nell'oscurità del giardino. Si mosse, fino a posargli la testa sulla spalla.
"Mi sei mancato oggi" mormorò "la villotta non era più la stessa. Sono tornato a sedermi sull'erba, te lo ricordi? Ho cercato... come se avessi potuto trovare le nostre tracce... Niki, è stato bello ieri... è stato incredibilmente bello stare con te. Ma tu... tu mi hai perdonato per quello che ti ho fatto?" furono frasi che stentò a dire, tanta era l'emozione che provava, tanto forte il cuore gli batteva nel petto.
"Davvero ti sono mancato?"
Mauro gli fece di si con la testa, poi si riscosse. Teneva la testa appoggiata sulla spalla del suo amico e non era normale che lo facesse, né era normale che se ne stessero là, mani nelle mani, due ragazzi nel giardinetto, davanti a casa sua.
Sollevò la testa sorridendogli, lasciandogli polsi. S'incamminò e Niki lo seguì. Ma si voltò subito verso di lui.
Erano sotto gli alberi, uno di fronte all'altro, in un angolo buio. Pur non vedendosi chiaramente, avvertivano una tensione molto forte, un'attrazione che Niki comprese meglio, ma cui Mauro si arrese per primo, avvicinandosi fino a sfiorarlo. Si accarezzarono e i loro corpi entrarono in contatto. Le teste si appoggiarono sulla spalla dell'altro, per un attimo furono tanto vicini da essere abbracciati. Si staccarono subito, preoccupati d'avere ardito tanto.
Mauro rimase fermo, a testa bassa, incapace di parlare.
Niki tornò per primo alla realtà.
"È tardi, andiamo?"
Senza dirsi altro si avviarono verso casa. Ancora una volta si erano sfiorati, toccati senza parlarsi, senza dirsi ciò che entrambi ormai sapevano. Per loro si erano espressi i corpi che li spingevano ormai uno fra le braccia dell'altro. Non avevano parlato, ma l'avrebbero fatto presto, ed ebbero coscienza anche di questo. Tutto ormai, la felicità, il senso di letizia, il languido senso d'abbandono che li avvolse quella sera, mentre tornavano a casa, non faceva che confermarlo.
Al momento di lasciarsi a Mauro tornò in mente, chissà da quale recesso, che Niki non gli aveva più confidato a cosa non fosse riuscito a resistere, ma ritenne opportuno tacere per non sembrare maleducato verso l'amico che non voleva dirglielo. Si rassegnò a convivere, per quella notte, con il chiodo fisso di quella curiosità inappagata. Decise anche che l'avrebbe fatto per amore, per quell'amore che sentiva crescergli dentro ad ogni sguardo che si scambiavano.
Si lasciarono davanti al portone di Niki, dandosi appuntamento per il giorno dopo, sfiorandosi un'altra volta le mani.
Quella notte Niki, appagato e felice, s'addormentò facilmente, lasciandosi trasportare da uno dei suoi sogni in un futuro non più nebuloso, accanto a Mauro che, finalmente ne era certo, sarebbe stato il compagno della sua vita.
Mauro, invece, non s'addormentò subito. Era, come sempre, nel letto più alto del tunnel e, insolitamente, si mise ad ascoltare il russare lento di Michele che era caduto nel consueto sonno di piombo. Anche lui aveva il sonno pesante, tanto che la mamma doveva urlare per svegliarli ogni mattina, ma quella sera non gli riusciva proprio di addormentarsi, pensava a Niki e questo gli dava una grande felicità. Provava una sensazione fisica d'affetto per il compagno, sentiva le palpebre inumidirsi e gli venivano i brividi. Se ne stava nel letto con gli occhi chiusi e un leggero sorriso sulle labbra. Quelle erano sensazioni nuove per lui che non aveva ancora amato e, se qualche volta s'era infatuato di un amico, non vi si era abbandonato come stava facendo ora, ma aveva subito scacciato quell'idea come un pensiero sgradevole, qualcosa di cui vergognarsi.
Questo amore era diverso, era profondo, incondizionato, come quello dei romanzi che aveva letto. Era dunque un amore che poteva portare alla morte, che consumava e distruggeva.
Pensò che doveva essere proprio così, perché solo per amore ci si poteva sentire tanto felici, solo l'amore poteva essere così bello. Ne aveva letto tanti esempi, tante descrizioni ed ora gli pareva di riconoscerlo.
"Niki, ti amo" sussurrò immaginandosi inginocchiato davanti a lui. Avrebbe dovuto prendergli la mano mentre glielo diceva? Questo lo fece sorridere, non riusciva proprio a vedersi in un atteggiamento da tenore davanti al soprano, anche se per esprimere a Niki tutto quello che provava non avrebbe esitato a fare qualunque cosa. Forse, si disse, non sarebbe stato necessario. Quando fosse venuto il momento, avrebbe seguito l'istinto, avrebbe detto e fatto quello che l'amore gli suggeriva e, ne era certo, Niki avrebbe compreso.
S'addormentò pensando al suo innamorato e certamente lo sognò, anche se, quando fu mattino e la mamma, con la solita fatica, riuscì di svegliarlo, aveva la mente libera da tutti i pensieri beati che l'avevano impegnata di notte, tranne che dalla curiosità inappagata che Niki gli aveva lasciato e che era tornata ad insidiarlo. Era perciò ancora più desideroso di correre a rivedere il suo compagno.
Quando s'incontravano per andare a scuola, nel momento in cui si scorgevano, si scambiavano soltanto un sorriso che ogni giorno era diventato più dolce. S'incamminavano in silenzio, ognuno seguendo i propri pensieri e cominciavano a parlarsi solo dopo aver fatto un po' di strada, perché ad uno dei due era venuta un'idea, oppure, più spesso, Mauro aveva visto qualcuno di cui voleva commentare l'aspetto o l'andatura e voleva riderne con Niki. Era il loro gioco e lo facevano sempre quando erano per strada.
Quella mattina, invece, Mauro, invece di salutarlo, sorridendogli, quasi l'aggredì.
"Non ce l'hai fatta a fare che cosa? Sono stato sveglio quasi tutta la notte a pensarci" poi, visto che Niki se ne stava zitto, con la faccia soddisfatta di chi ha avuto la prova d'una sua tesi, Mauro aggiunse "E va bene, sono curioso e ho paura del buio. Ti prego, dimmelo. Non ho dormito davvero. Papà ritiene che la mia curiosità sia patologica."
"E non hai pensato a nient'altro stanotte?" gli chiese Niki senza badare alle proteste di Mauro.
"Beh... certo, naturalmente. Ho pensato anche ad altro" Mauro avvampò "A tutto quello cui hai pensato tu, credo."
Niki sorrise, felice, pago di quell'ammissione. Poi se ne stette un'altra volta zitto, tanto che Mauro, dopo un po' di strada, tornò alla carica:
"Abbi pietà. Davvero non ho dormito, pensando a quello che non sei riuscito a fare ieri pomeriggio. Si può sapere che cos'è che hai fatto o non fatto?"
Ma non valsero tutte le sue arti, né le minacce che gli fece per tutta la strada. Niki non si lasciò convincere. Solo al momento d'entrare in classe, magnanimamente, promise.
"Te lo dirò durante l'intervallo" e questo fu tutto.
Ancora tre ore di tortura per Mauro che per quel giorno, fortunatamente, non fu interrogato.
Per l'intervallo, come quasi sempre accadeva, fecero in modo di ritrovarsi da soli in un angolo della palestra. Niki era appoggiato al muro con le gambe leggermente piegate e si trovava così un poco più in basso di Mauro che lo sovrastava con le braccia puntate, ritto, ad assediarlo con aria minacciosa:
"E allora?"
"Vuoi proprio saperlo. Tu sei curioso!"
"E ho anche paura del buio: questo lo sappiamo tutti e due. Avanti, devi dirmelo. Me l'hai promesso! Altrimenti io ti... " e si guardò intorno cercando, chissà dove, l'idea per una minaccia che fosse finalmente persuasiva.
"Sei proprio sicuro di volerlo sapere?" Mauro gli fece di si con la testa "Anche se ti procurerà una delusione?"
"Qualunque cosa sia: voglio saperlo! Ne ho diritto!" e lo fissò con uno sguardo determinato.
Adesso doveva proprio dirglielo, anche se se ne vergognava.
"Beh... quello che non sono riuscito a fare è stato resistere."
"Cioè?"
"Insomma... avrei voluto resistere, ma... quello che ieri sera ho fatto, poco prima che tu mi telefonassi..." esitò ancora per un momento "Quando hai chiamato mi ero appena fatto una sega!"
Nonostante la disinvoltura con cui l'aveva raccontato, era arrossito e guardava per terra. Non era più tanto sicuro di sé, di quello che aveva appena mormorato, cedendo alle insistenze.
Mauro si raddrizzò, anche lui imbarazzatissimo, pentito per averlo costretto con la sua ostinazione. Era anche sorpreso per il fatto stesso che Niki avesse detto, perché loro di quelle cose non avevano mai parlato. Tutti i giochi che avevano fatto fino a quel momento, il loro avvicinarsi nei sentimenti, ed anche fisicamente, erano stati di una purezza e di una innocenza assoluti.
Era la prima volta che l'idea fisica del sesso entrava in un loro discorso.
"Non pensavo..." quasi balbettò.
"Scusami, ma eri così curioso... e poi anche tu ogni tanto fai qualcosa del genere, no?"
E gli venne comunque da ridere. Una risata allegra e provvidenziale che contagiò Mauro e scaricò la tensione.
"Certo! Si, è naturale!" riuscì a dire, ridendo, anche se era ancora a disagio e le gote avevano ancora il colore della porpora per l'imbarazzo che provava. Ma dentro di sé si sentì sereno, perché, anche se fra loro non ne avevano mai parlato, farlo così, senza troppi pensieri, con la risata allegra di Niki, era veramente fantastico "E ti è piaciuta?" aggiunse, fingendosi disinvolto.
"Si... anche se per ieri pomeriggio avevo un'altra idea, e tu dovresti saperlo!" dicendolo Niki lo guardò.
"Ah... si?" sorrise, ma si sentì avvampare un'altra volta ed anche Niki arrossì.
"Allora... lo sai?"
"Si! Si! Si!"
Quella fu conferma e la vera promessa per il futuro, il passo decisivo sulla strada del loro avvicinamento.
A Mauro pareva però d'aver esaurito il coraggio. Era troppo emozionato e con un dito faceva disegni sul maglione a rombi di Niki, ne seguiva le linee e, quando riuscì a parlare, non distolse lo sguardo da quelle figure geometriche che parevano affascinarlo.
"Oggi abbiamo troppo da studiare, altrimenti saremmo potuti andare alla villotta, oppure a fare una passeggiata in bicicletta. Per stare un po' da soli e parlare fra noi. Io credo... io devo dirti una cosa..." aveva finito con il borbottare quelle ultime parole.
"I miei genitori saranno via tutto il pomeriggio, perché mamma deve farsi visitare. Saremo soli a casa, così avrai l'opportunità di pagare le tue penitenze e i tuoi debiti. E potrai finalmente farti perdonare anche per ieri pomeriggio" fece Niki sorridendo e salvando entrambi dall'imbarazzo nel quale parevano dover precipitare.
Poi con un movimento improvviso delle mani gli diede un colpetto ai fianchi, lasciandolo per un momento senza fiato e, approfittando della sorpresa, gli passò davanti, allontanandosi correndo. Mauro lo rincorse, ma, nel momento in cui lo raggiungeva per restituirgli il colpo, suonò la campanella che li richiamava in classe.
Quel giorno affrontarono a larghi passi la strada del ritorno, un po' per la fame, un po' perché, avendo parecchio da studiare, volevano incontrarsi prima possibile nel pomeriggio. La giornata era grigia e incominciò a piovere, allora Niki aprì il suo ombrello, l'unico che avevano, dato che Mauro non ne portava mai. S'aggiustarono sotto il piccolo riparo. Mauro gli infilò la mano sotto il braccio. Niki con il gomito se la strinse contro il fianco.
La pioggia aumentò. Il piccolo ombrello copriva a stento le loro teste.
"It's raining cats and dogs!"
"Che c'entrano adesso gatti e cani?"
"In America diciamo cosi quando piove come sta facendo adesso!"
"Ah... vuoi dire che piove a catinelle?"
Risero, poi tornarono seri. S'avvicinarono ancora, coordinando i passi, e divennero una persona sola. Mauro accostò il capo a quello di Niki. Nell'aria bagnata e ripulita dalla pioggia, gli odori divennero più forti ed anche i loro sensi si fecero più acuti. Niki avvertì più forte di tutti gli altri il profumo di Mauro, era una fragranza muschiata, di giovinezza, di vigore, assieme al suo alito e all'odore di capelli bagnati.
Mauro percepiva Niki attraverso i suoi movimenti. Anche lui ne sentiva l'odore, che era di pelle lavata, di borotalco.
Anche se pioveva a dirotto, quel giorno giunsero troppo in fretta nel punto in cui si lasciavano o si ritrovavano. Si fermarono al solito posto, sciogliendosi dall'abbraccio affettuoso che li aveva uniti sotto l'ombrello. Cercarono di ripararsi sotto un balcone piuttosto largo.
"Piove troppo. T'accompagno a casa."
"No, non fa niente. Tanto quell'ombrello è così piccolo che ci si bagna lo stesso."
"Non dicevi così quando ci stavi sotto" Niki sorrise.
"Ma io non stavo là sotto per ripararmi dalla pioggia!" fece Mauro serio.
Niki non rispose a quell'affermazione, perché ne rimase turbato. Dopo tutta la sicurezza di quei giorni, fu scosso da un dubbio, si chiese quanto avanti si sarebbero potuti spingere insieme. La sua unica esperienza si fermava ad una condivisione fisica dell'amore, un'esperienza totalmente diversa da quella che ora stava vivendo. Avrebbe condotto Mauro per mano fino al punto che lui aveva raggiunto con Stephan, ma oltre cosa c'era? Potevano davvero sperare nella felicità per tutta la vita? Potevano farlo insieme?
Mentre questi pensieri gli attraversavano la mente, il suo viso assunse espressioni che incuriosirono Mauro:
"A che stai pensando? Hai fatto una faccia."
"A niente d'importante. Non c'è niente..." Niki s'interruppe e, completando per sé la frase, pensò e se ne convinse, non c'era nulla ormai che non potessero affrontare insieme.
"Verrò presto!" gridò Mauro, correndo rasente ai muri, riparandosi sotto i balconi. Si voltò ancora a guardare Niki "Verrò anche prima delle tre!" gridò.
La casa di Niki non era mai molto piaciuta a Mauro, era troppo grande e soprattutto vuota, troppo silenziosa e ordinata se confrontata all'allegria e al rumore che regnavano nella sua, alle sedie sempre occupate da qualcosa appoggiato là da uno di loro, tanto che la mamma era sempre a caccia di quello, marito o figli, che aveva abbandonato indumenti o libri su ciascuna delle sedie di casa.
Quel pomeriggio, sotto la pioggia, si avvicinava alla casa di Niki correndo e non desiderando altro che di esserci già. E Niki, che era alla finestra ad aspettarlo, lo vide spuntare, senza ombrello, come sempre quando pioveva, avvolto nel giaccone blu da marinaio indossato con la consueta noncuranza e forse anche abbottonato storto.
Sorrise pensando al disordine che regnava addosso al suo Mauro. Quello però era un disordine che si fermava all'abbigliamento, lui lo sapeva bene ormai, aveva scoperto che, dentro di sé, Mauro conservava un ordine scrupoloso e assoluto delle cose in cui credere e di ciò che era giusto fare. Sapeva che cercava sempre di essere onesto verso se stesso e gli altri. Aveva provato una forte emozione quando, all'inizio della loro amicizia, aveva compreso la misura della sua lealtà, di quella sincerità, di quella coscienza che oggi attendeva alla prova più difficile.
Ebbe un brivido pensando a quello che stavano per fare, ma aveva deciso che, durante quel pomeriggio, doveva arrivare a sapere tutto, ad essere certo, in un modo o nell'altro.
Ed anche Mauro aveva formulato lo stesso proposito. Arrivò davanti alla porta fermamente deciso a rivelare a Niki tutto quello che gli girava in testa, ma se Niki voleva continuare ad accarezzarlo con lo sguardo e con le parole per spingerlo ad aprirsi, perché si confidassero, il suo proposito era molto più diretto e presupponeva un coraggio ed una determinazione che proprio non possedeva.
Le sue buone intenzioni si vanificarono assieme all'impeto chiarificatore che le aveva generate e lui rimase zitto e fermo, sulla soglia, a guardarlo.
"Che fai là? Non vuoi entrare?"
Si convinse a muoversi e Niki l'osservò mentre si toglieva la giacca. Quasi senza parlarsi, decisero, con gran sollievo di Mauro, che prima avrebbero fatto i compiti e le lezioni furono esaurite in un tempo piuttosto breve, considerato quanto avevano da studiare e quanta parte delle loro menti fosse assorbita dal pensiero di ciò che forse si sarebbero detti.
Dopo aver chiarito a se stessi e a don Abbondio chi fosse Carneade, tradotto il giornaliero e arduo frammento di greco, ripetuta l'ultima lezione, riordinarono e misero da parte libri, quaderni ed altri strumenti di studio, poi si guardarono.
Niki si decise.
Non poteva più attendere e volle che tutto accadesse quel giorno e a partire da quel momento.
S'alzò e, girando attorno alla scrivania, andò ad abbracciare Mauro da dietro, bloccandolo sulla sedia e mormorandogli in un orecchio.
"Oggi sarai mio schiavo, sarà questa la penitenza che dovrai pagarmi. Farai tutto quello che io ti ordinerò, per tutto il pomeriggio. Qualunque cosa, che ti piaccia o no. Accetti?"
"Si, farò tutto quello che tu vorrai!" riuscì a dire, sebbene l'emozione lo stesse quasi soffocando.
Era immobile, bloccato dalla paura di quello che stava per accadere, ma anche felice d'avere detto quelle parole e di sentirsi così, di trovarsi in quella situazione. Accettare quel gioco, dare la propria parola di fare qualunque cosa gli avesse ordinato, voleva dire non poter tornare indietro, non potersi fermare, anche se l'avesse voluto. E questo lo spaventò. Cercò di concentrarsi su qualcos'altro e si mise ad ascoltare il battito del suo cuore, si chiese se anche Niki potesse sentirlo e se stesse tremando come tremava lui. capì subito che anche Niki stava provando le stesse sensazioni e quest'idea gli fece un poco di coraggio.
Niki lo liberò e andò a sedersi sul letto.
"Vieni qua!" disse e con la mano fece il gesto d'invitarlo.
Quando Mauro si fu seduto, gli passò un braccio attorno alle spalle e l'avvicinò a sé.
Mauro chiuse gli occhi e gli posò il capo sulla spalla. Stettero così, in silenzio, senza neppure pensare, tanto forte era l'emozione di quel contatto. Poi lentamente Niki gli cercò la mano, la prese fra le sue. Se l'avvicinò alle labbra e sfiorò le punte delle dita che odoravano di matita, di saponetta e di qualcosa di più remoto che Mauro non era riuscito a scacciare lavandosi le mani dopo pranzo. Si portò la mano sulle guance e sugli occhi. Quelle dita odoravano del suo innamorato, di Mauro, ed erano morbide, delicate e lo stavano accarezzando. Forse stava vivendo un sogno, ma non era così, perché quella era la realtà.
Mauro si voltò a guardarlo e, invece di ritrarsi come una sempre più piccola parte di sé gli chiedeva di fare, cercò di accarezzarlo come Niki aveva appena fatto con lui.
Come se le vedesse per la prima volta, notò che le mani di Niki erano più piccole delle sue, più delicate, erano mani che certamente sapevano anche stringere e forse fare male, anche se, e l'aveva appena scoperto, potevano accarezzare con una dolcezza che non gli pareva di aver mai provato. E se era accaduto era stato tanti anni prima, forse con la mamma, quando era piccolo, quando era nato da tanto poco tempo che sua madre lo considerava ancora una parte di sé. Così si sentiva in quel momento, parte di un altro corpo.
E mentre si portava le mani di Niki sulle guance, vide tutto chiaro, anche quello che negli ultimi anni gli era apparso così oscuro. La piega più riposta del suo carattere si distese per mostrarsi completamente e lui finalmente poté immaginate la sua vita futura, poté comprendere pienamente le sue inclinazioni.
Lo amava, era sempre stato così, e finalmente stavano per dirselo.
Lui l'avrebbe detto a Niki e soprattutto a se stesso. Seguì il suo istinto, senza più tentare di resistergli, investendo Niki con le sue parole, dicendogli tutto quello che aveva pensato durante la notte e la domenica, nei giorni e nei mesi precedenti ed anche negli anni prima che s'incontrassero. Rivelò a Niki quello che, per paura o pudore, aveva, sino allora, taciuto.
"Non l'avevo capito, ma ti aspettavo da tanto tempo, Niki. Ti stavo già cercando, senza conoscerti. Quel giorno, quando ci siamo visti per la prima volta e poi, quando la professoressa d'inglese si mise a parlare con te, io non capii che eri tu quello che cercavo, ma l'ho compreso a poco a poco.
"E prima sono anche stato così cattivo. Mi dispiace!" l'accarezzò sulla spalla, era ancora addolorato per come s'era comportato con lui, durante i primi giorni della loro conoscenza "Anche se tu non m'avessi suggerito quella frase, io t'avrei lo stesso stretto la mano. Davvero, ti avrei chiesto di diventare mio amico!
"Beh! Forse non sarebbe accaduto quello stesso giorno, ma certamente il giorno dopo o l'altro ancora, perché io desideravo conoscerti meglio. Avevo capito che tu cercavi la mia amicizia e questo mi rendeva felice!"
Mauro si mosse e poi guardò per terra. Doveva dirgli altro ancora, e questo era più difficile.
"Ora per fortuna ci siamo trovati, Niki, ma c'è qualcosa che devo dirti... una cosa che devi sapere di me..." e Mauro si bloccò per il turbamento e l'emozione che provava, senza riuscire più a trovare le parole per spiegarsi.
Quella di bloccarsi non avendo la forza di esprimersi era una situazione insolita per lui. Si portò le mani sulla faccia, più che per l'imbarazzo che provava, per tentare di concentrarsi, prima di svelare a Niki quello che credeva fosse il più inconfessabile dei segreti.
E Niki l'ascoltava immobile, incredulo. Si sentiva come chi esprime un desiderio e poi lo vedesse realizzarsi in una forma incomparabilmente più completa e appagante di quella che aveva chiesto e osato immaginare.
Gli sfiorò il braccio, come per fargli coraggio e Mauro riprese a parlare guardando per terra:
"Devo confessarti... Niki, devi sapere che da un poco di tempo ho capito di me una cosa che forse non ti piacerà, ma devo farlo. Voglio dirla, perché tu forse sei un poco come sono io. Vedi... io ho capito... io, in questi giorni, ho avuto la certezza di quello che già dovevo sapere dall'anno scorso, da quando mi capitò quell'avventura con Roberta. Tu forse non ne sai niente. Te la racconterò un'altra volta! Anche da prima di Roberta, io avevo avuto qualche dubbio..." era imbarazzato e chiuse gli occhi. Non riusciva neppure a parlare, ma doveva dirglielo "io... insomma, credo... a me piacciono i ragazzi, non tutti..." strinse i pugni, li portò gli occhi e attese.
Ecco, l'aveva detto. Ora Niki gli avrebbe dato una spinta. L'avrebbe allontanato da sé inorridito, oppure si sarebbe messo a ridere. Probabilmente non gli avrebbe neppure creduto. No, Niki era troppo educato per ridere di una cosa del genere. Forse avrebbe cercato di consolarlo, stando attento a non avvicinarsi troppo, però.
Niki, invece, gli sollevò il mento delicatamente e lo fece voltare verso di sé. Gli si avvicinò ancora.
"Perché non mi guardi?"
Mauro lo fece e tornò se stesso, perché in quegli occhi trovò il coraggio di continuare la sua confessione, liberazione e dichiarazione d'amore.
"Io... hai ragione, non c'è nulla di cui debba vergognarmi" s'era improvvisamente ritrovato e ora guardava Niki diritto negli occhi, prendendone forza, aveva capito che in lui avrebbe trovato comprensione e parecchio di più "Perché, Niki, io credo di essere omosessuale e... "
Quella era una dichiarazione d'amore, come ne aveva viste ed ascoltate tante nei film e nelle opere, ma era la sua, la prima e, per come era testardo, forse sarebbe stata l'unica della sua vita. Stava accadendo realmente quello che aveva sognato tante volte. Fra tutti i ricordi e le idee che affiorarono nella sua mente in quel momento, isolò il pensiero di NIki.
Gli prese la mano e gli parlò lentamente.
"Niki, so che per te potrebbe essere difficile anche solo da capire, ma... insomma stammi a sentire... è che... io credo di amarti. Cioè, Niki, io... ti voglio bene... veramente e... penso che senza di te... beh, non potrei continuare a vivere, io... penso che morirei."
Nella sua vita non aveva mai esitato tanto a dire qualcosa e, anche se quelle erano forse le parole più importanti e sofferte che avesse mai pronunciato, era la sua dichiarazione d'amore.
Anche Niki era senza fiato, non aveva previsto che Mauro fosse a tal punto cosciente di sé, né che potesse davvero amarlo, non così presto, non in un modo tanto completo. Quando era cominciata la loro amicizia, aveva anche temuto di poterlo traviare, ora però capiva quanto il suo compagno fosse già preparato e anche desideroso di volergli bene. Entrando nella sua vita aveva solo catalizzato tutti quei bisogni, rendendoli visibili, comprensibili proprio a Mauro.
Questa consapevolezza lo emozionò.
Aveva davanti a sé il ragazzo che gli aveva appena dichiarato il suo amore, che aspettava una risposta. Era il suo innamorato e gli aveva appena confessato tutta la propria passione.
Un giorno, neppure tanto lontano, un giorno in cui si sentiva troppo triste anche per mettersi a suonare, aveva cercato di distrarsi fantasticando come si sarebbe svolto quel momento speciale, quando avrebbe dichiarato a qualcuno il suo amore. Aveva immaginato una situazione molto romantica, fatta di sospiri e batticuori, ma soprattutto di un ragazzo che l'amasse quanto l'amava lui. In quei momenti, ormai così remoti, avvolto in tutta la sua tristezza, aveva deciso che, se una dichiarazione d'amore avesse mai fatto, questa avrebbe avuto bisogno di una musica molto particolare e si era messo a cercarla. Questo l'aveva un poco distratto, allontanandolo dalla malinconia. In quel lontano pomeriggio, per accompagnare le parole d'amore che avrebbe pronunciato, aveva scelto una musica dolce, un adagio.
Gli sorrise. Erano là a guardarsi negli occhi, vivendo il momento più bello della vita.
"Anch'io ti voglio bene, Mauro. È stato così fin da quando ti ho visto la prima volta. Tu mi hai fatto innamorare subito, ti ho sentito, dietro di me, parlare e ridere, mi è arrivata la tua voce allegra. Eravamo ancora fuori dalla scuola, il primo giorno, ed io non mi sono voltato, ho provato a immaginare di chi fosse quella bella voce e solo allora mi sono girato e ti ho visto.
"Ci siamo guardati e tu eri così bello, più di qualunque fantasia. Ti ho amato senza sapere chi fossi. Mi sono subito innamorato di te."
Mauro tentò d'interromperlo. Voleva scusarsi ancora, spiegare quanto fosse dispiaciuto di averlo ignorato, d'avergli procurato dolore, ma Niki non glielo permise passandogli dolcemente la mano sulla bocca.
"È stato tutto merito della professoressa d'inglese. Lei mi ha visto suggerire?"
"Dovevo immaginarlo!"
"Te lo ricordi? Quel giorno, dopo la tua interrogazione, mi ha chiamato per dirmelo: 'L'ho fatto perché diventiate amici, Mauro è un bravo ragazzo', l'avrei abbracciata, 'Certo, è bravo, è bello e io lo amo' volevo dirle. E lei non immaginava neppure quanto io avessi bisogno di te. E tu di me, non è vero?"
"Si" sussurrò Mauro che rimaneva immobile, con le mani fredde, fra quelle di Niki che erano ancora più fredde. Stavano là a guardarsi trasognati.
"Non mi lasciare!" disse dopo un poco "Non mi lasciare mai più da solo, Mauro, ti prego."
"No, sei con me adesso. Ed è per sempre!" mormorò.
Sentiva di avere gli occhi pieni di lacrime per l'emozione, avrebbe voluto abbracciare Niki, riempirlo di baci, ma riuscì soltanto a sorridergli, mentre gli giurava che il loro amore sarebbe stato eterno.
Restò immobile, come stordito.
Toccava a Niki condurre Mauro. Niki, non tanto esperto, ma un poco più sapiente, doveva portarlo in luoghi che Mauro non conosceva, che aveva visitato soltanto con la fantasia, ma che non aveva ancora conosciuto nella realtà. Toccava a Niki che era già stato per quelle strade, almeno fino ad un certo punto, anche se in vesti diverse e in altra compagnia.
Continuavano a guardarsi, entrambi bloccati dall'emozione, con il cuore in gola, senza sapere cosa fare e, persino, se fare qualcosa. Niki gli accarezzò il volto, prima col dorso della mano, poi con il palmo, passò le dita sulle labbra e lungo il profilo del naso, gli sfiorò le orecchie e la sua mano scomparve tra i capelli lunghi.
Spinse lentamente il capo di Mauro verso di sé, fino a che le labbra non si toccarono lievemente. S'allontanò un'altra volta per guardarlo, per esser certo che non fosse turbato da quel contatto, ma la sua espressione serena lo rassicurò. Tornò a sfiorargli le labbra. Baciò facendo coincidere la sua bocca con quella di Mauro. Tenevano gli occhi chiusi.
Mosse impercettibilmente le labbra ed anche Mauro lo fece, quasi socchiudendole, poi si staccò.
Si erano baciati per la prima volta ed era stato emozionante. Si sorrisero e Mauro arrossì violentemente. Con la mano tremante l'accarezzò e riavvicinò subito la bocca a quella del compagno, perché desiderava baciarlo ancora. Niki inclinò un po' la testa e aprì leggermente le labbra prima che si toccassero. Mauro s'irrigidì, perché non capiva, non aveva mai baciato a quel modo, ma fu sufficiente una leggera pressione della lingua di Niki perché finalmente socchiudesse le labbra. Anche Niki, che pure aveva cercato quel bacio diverso e più completo, era emozionato. La sua lingua trovò i denti di Mauro serrati. Fece una leggera pressione, Mauro si scosse, esitante, seguì Niki, ripetendone i movimenti, passandogli attraverso le labbra, poi sentì il sapore di un'altra saliva.
Stettero così ad rincorrersi per un po', eccitandosi in un gioco tenero e affettuoso. Niki si staccò e frappose le dita, lambì le bocche socchiuse, le labbra umide. S'accorse che Mauro seguiva ogni suo gesto e capì che attendeva la sua iniziativa. Gli sfiorò le spalle e le braccia, poi lo guardò fisso.
"Posso toccarti?" Mauro annuì, con un movimento quasi impercettibile.
Posandogli una mano sulla spalla, lo spinse delicatamente fino a farlo stendere. Mauro lo fissava mentre gli faceva scivolare le mani sul petto, le braccia e le gambe. E lui toccava, sfiorandolo con le dita, come suonasse un pianoforte. Chiuse gli occhi e gli parve che da quel corpo e dai suoi stessi movimenti nascesse una musica dolcissima.
Poi li riaprì e vide Mauro, il suo sguardo un po' smarrito. Gli sorrise.
"Posso toccarti di più?"
"Si" un sussurro.
L'accarezzò sulla pancia, poi si fermò a sfiorare il sesso che si disegnava sul davanti dei jeans. Desiderava toccarlo e baciarlo in tutti i suoi posti più segreti. Aveva sognato tante volte quel momento e sperava che Mauro comprendesse ciò che stava per accadere.
Lo guardava e tremava. Senza staccare mai gli occhi dai suoi, infilò le mani sotto la felpa e sbottonò i pantaloni. Mauro non portava la cintura. Tirò giù la cerniera e alzò i lembi della camicia. Apparvero gli slip, troppo grandi che già non aderivano all'addome, perché sollevati dal pene eretto. Alzò la maglia e vide il ventre, cercò di tirarla più su e Mauro allora si drizzò sulle spalle per assecondare quel movimento. La sollevò finché poté e vide il torace che conservava traccia dell'abbronzatura estiva. Ne restò affascinato, perché vi aveva tanto fantasticato e finalmente lo vedeva, muscoloso, con un'ombra di peli al centro e i capezzoli scuri, eretti, piccoli e rotondi. Dall'ombelico minuscolo e tondo, perfetto, partiva una traccia leggera che si perdeva dentro gli slip.
Guardò Mauro negli occhi, poi fu distratto da ciò che stava per scoprire e il desiderio fu più forte della paura che a lui potesse non piacere quello che stavano facendo. Infilò le dita sotto l'elastico e, mentre Mauro si alzava ancora, lo liberò degli slip. Finalmente apparve il sesso, diritto, coronato da un'aureola di peli neri e ricci.
Si fermò, con il cuore batteva come mai aveva fatto, osservando meravigliato quel corpo nudo. Spostò gli occhi cercando di incontrare ancora lo sguardo del compagno e s'accorse che in quello sguardo non c'era più la serenità di poco prima, vi lesse disagio, forse paura.
Si spaventò, fu improvvisamente sul punto di piangere, per il timore che Mauro non accettasse quei gesti. Pensando di farlo, pianse davvero e gli sfuggì una lacrima.
Allora Mauro si scosse. Si sollevò a sedere e lo baciò sulla guancia, poi sulla bocca, come aveva appena imparato a fare, l'abbracciò stretto, fino a sentire il suo sospiro. Solo allora lo liberò dalla stretta e tornò a distendersi, gli cercò la mano e la riportò su di sé.
Aveva pianto perché gli era sembrato turbato e, per un momento, per l'ultima volta, aveva avuto paura che anche Mauro, come Stephan, stesse solo cercando d'accontentarlo, di non deluderlo. E Mauro, pur non potendo indovinare tutti quei pensieri, pareva aver intuito il suo disagio e l'aveva consolato, poi l'aveva incoraggiato a continuare. Non si erano parlati, ma era stato come se si fossero detti tante cose.
Si chinò a baciarlo, tornò ad accarezzare l'asta e prese a muovere la mano che aveva stretto. Subito capì che Mauro era vicino a godere. Allora si fermò, l'accarezzò dolcemente.
Mauro s'alzò a sedere e cercò le labbra del suo innamorato. Stettero abbracciati a baciarsi.
Aveva trascorso quei minuti come in sogno, in una indifferenza da cui l'avevano strappato soltanto le lacrime di Niki. Ciò che s'erano detti, la preparazione dei giorni precedenti, preludeva ad un'esperienza d'amore fisico. Questo l'aveva immaginato. Avrebbero detto e fatto cose che dovevano cambiare le loro vite. Tutto conduceva a quello che stava accadendo, ma quando era cominciato, aveva avuto paura e si era sentito incapace di muoversi. Eppure aveva fantasticato tante volte su quella situazione, desiderare qualcuno e averlo fra le braccia, toccarlo, eccitarsi e poi godere. Mai, però, avrebbe immaginato che abbracciare e baciare per la prima volta la persona amata potesse essere così sorprendente, inquietante.
Niki gli aveva insegnato a baciare e lui aveva ripetuto quei movimenti che gli avevano procurato un piacere nuovo, mai provato. Poi, quando aveva cominciato a spogliarlo, come era naturale che facesse dopo tutto quello che era accaduto, non aveva potuto fare altro che lasciarsi svestire, senza riuscire a muoversi. In quei momenti aveva sentito su di sé tutto il peso della sua educazione, del mondo in cui era vissuto, delle sue regole, ma aveva anche sentito cadere le proprie difese ad ogni centimetro del suo corpo che veniva scoperto. Neppure l'eccitazione gli aveva permesso di confinare tutti i timori che il passato, tutta la sua vita, gli poneva davanti. E poi Niki aveva pianto ed era stato come se nulla fosse mai esistito, non c'erano più state regole, convenzioni da seguire, ogni cosa al di fuori di loro due aveva cessato d'esistere e gli occhi di Niki erano divenuti tutto il suo mondo.
Cercò tra i pensieri e s'accorse che non ve n'era alcuno che non fosse per il suo innamorato.
Doveva donarsi, era il momento e l'avrebbe fatto, perché ora toccava a lui di scoprire Niki, lo voleva con tutto se stesso, ma, per quanto lo desiderasse, non riusciva a muoversi, aveva davanti a sé un ragazzo, innamorato, che non attendeva altro che di essere accarezzato.
Inviava alle mani ordini, sollecitazioni a muoversi, di spingere Niki a stendersi, di togliergli i vestiti, ma le mani non rispondevano.
Si accorse di avere l'affanno e vide che Niki lo guardava, attendeva, si aspettava che almeno una parte dell'amore, dell'affetto che prima gli aveva donato, ora fosse mostrata per lui.
"Mauro..."
Si scosse.
La voce di Niki lo riportò alla realtà, per qualche momento aveva ancora avuto paura, di lui, di quello che stavano facendo, per l'ultima volta, qualcosa dentro gli aveva mormorato che dopo non sarebbe stato più lo stesso, che sarebbe rimasto contaminato per tutta la vita e additato per la sua diversità, ma Niki l'aveva richiamato e lui aveva scacciato l'ultima, estrema angoscia.
L'accarezzò sulle guance e poi lo spinse fino a farlo stendere, come poco prima Niki aveva fatto con lui. Gli sfiorò il corpo con le mani tremanti, suonando anche lui uno strumento celeste, l'accarezzò ovunque fino a raggiungere il sesso eretto che spingeva contro il tessuto della tuta. Infilò le mani sotto la blusa, sollevò il lembo aiutato dal movimento di Niki e gli scoprì il torace candido, glabro, dove solo una leggera traccia partiva dall'ombelico, scendendo sotto l'elastico dei pantaloni.
Per Mauro le sensazioni olfattive erano sempre state una parte molto importante delle sue percezioni e volle odorare il compagno. Si chinò avvicinando il naso fino a sfiorare l'addome per sentirne il profumo, poi si raddrizzò. Slacciò e sfilò lentamente i pantaloni della tuta scoprendo gli slip, abbassò anche quelli ed ebbe la visione del sesso di Niki, eretto, contornato da una piccola selva di peli lisci e biondi.
Pensò al colore del grano, registrò ciò che vedeva e lo confrontò con le immagini colte in passato, tutte le volte in cui gli era capitato di scorgere il membro di un suo compagno. Aveva sempre controllato le sue reazioni, l'emozione provata in quei momenti, concentrandosi fortemente su ciò che vedeva e rubava, per memorizzarla ed utilizzarla in seguito, quando sarebbe stato solo. Ricordava gli uccelli di tutti i suoi amici, per averli visti nudi, sotto la doccia, mentre si cambiavano dopo la partita di calcio, oppure al mare. Ricordava tutto, ma ciò che aveva sotto gli occhi in quel momento era radicalmente diverso da qualunque altra immagine precedente, perché rappresentava, insieme, un'offerta e una richiesta, non più una semplice figura, forma, da rubare.
Arrivare a toccare ciò che vedeva, rappresentò un'altra prova molto ardua e l'avere desiderato tanto spesso di poterlo fare, non l'aiutò. Avvicinò la mano ed esitò, guardò verso Niki e vide che lo fissava, in attesa, lo sguardo esprimeva desiderio.
Poi Niki gli prese la mano e se l'accompagnò sul pene, fino a stringergli le dita attorno all'asta.
Si guardavano negli occhi, lasciandosene ipnotizzare. Niki li teneva aperti non volendo allontanarsi con la mente da quella realtà così affascinante. Mauro continuava a fissarlo per essere certo che Niki accettasse tutte le sue azioni. Continuò con i suoi movimenti, finché Niki non gli sfiorò la mano e l'attirò fino a farlo stendere su di sé.
Si baciarono con gli occhi chiusi, si abbracciarono stretti. Niki lo sentì con tutto il corpo e anche Mauro avvertì il corpo di Niki. Non dovettero muoversi molto, né a Niki toccò di spiegare nulla, perchè insieme raggiungessero quel piacere che sentirono arrivare nell'altro anche prima che in se stessi.
Assecondarono i movimenti, finché non si furono calmati e poi si mossero per toccarsi con i ventri bagnati e il petto e le gambe, baciandosi e sfiorandosi con la punta del naso, solleticandosi con le ciglia.
Stettero lì a sorridersi e ridacchiare.
Poi Niki l'accarezzò sulla spalla, lui gli dette un altro bacio e gli scivolò di lato, spostandosi fino a posargli il capo sul petto. Vide il sesso di Niki, a pochi centimetri dai suoi occhi.
Quella vicinanza lo colpì, percepì l'odore dolciastro del seme e fu attratto dalla piccola bocca che pareva sorridergli. S'avvicinò di più, fino a sfiorarla con il naso. Gli odori che percepì furono tra i più diversi ed eccitanti, quella parte di Niki in quel momento profumava di bagnoschiuma, di sudore, d'orina, del seme che s'era appena sparso, e anche del suo stesso seme. Come un cagnolino curioso continuò la sua esplorazione scendendo fino alle gambe leggermente divaricate di Niki, lungo il sacco e alla giunzione dagli arti, poi più sotto, fin dove poté arrivare senza che Niki dovesse spostarsi. Fiutò odori che mai aveva sentito prima. Risalì passando ancora sul pene e si soffermò sulla punta. Desiderò di farlo e lo baciò, sentendo sulle labbra il sapore più segreto.
Niki aveva seguito quei movimenti con curiosità, li aveva assecondati e ne era intimamente eccitato. Terminata l'esplorazione, Mauro era tornato a farsi abbracciare dal suo amante e adesso lo guardava dritto negli occhi, con lo sguardo più dolce che avesse mai rivolto nella sua vita.
Le emozioni di quella giornata l'avevano travolto dolcemente e se ne era lasciato sopraffare, ma era tornato se stesso, aveva riacquistato la sua sicurezza e collocato quell'amore nuovo, il primo vero amore, al centro della sua vita. L'avrebbe venerato e difeso.
Abbracciò stretto Niki e lo strinse a sé, avvicinò la bocca ad un orecchio:
"Non voglio che tu pianga più, mai più" gli mormorò "Ci sono io con te, adesso" e si risollevò.
Niki lo seguì con gli occhi socchiusi e con un cenno del capo assentì.
"Hai freddo?" gli chiese allora.
"No" però si raccolse su se stesso e lo circondò con il corpo.
"Ti voglio bene, Niki. Ti voglio bene!"
Gli accarezzò il viso. Gli prese le mani e se le portò sugli occhi, poi baciò le punte delle dita. Lasciò correre le mani sul corpo, gli accarezzò il petto, baciò i capezzoli, poi gli si mise accanto, su un fianco, per continuare a fissarlo.
"Non pensavo che potesse essere così bello!" mormorò.
"Cosa?"
"Noi due insieme. Tutto."
Stettero così, stanchi, appagati e felici, poi Niki, gli si raccolse contro ed insieme si strinsero per darsi calore. Abbracciati com'erano si assopirono, senza una parola, semplicemente continuando a guardarsi, con gli occhi del sonno, attraverso le palpebre abbassate, sognando uno dell'altro.
Dormirono qualche minuto, finché Niki si svegliò, perché aveva freddo. Accarezzò Mauro. Si rivestirono e rimisero a posto il letto dove, per la prima volta, avevano fatto l'amore.
S'era fatta ora che tornasse a casa, ma non voleva lasciarlo senza che fossero tornati i genitori, non quella sera, perciò avvisò che avrebbe tardato e attese, assieme a lui.
"Mia madre è malata di cuore. È una malattia grave!" disse Niki improvvisamente.
Non gliene aveva ancora parlato, perché non era capitata l'occasione. Mauro sapeva qualcosa, perché sia Niki, sia sua madre gli avevano accennato che Arleen era ammalata, ma non aveva la precisa cognizione della gravità della situazione. Quella notizia lo sconvolse. Aveva sempre considerato i propri genitori, e di riflesso tutti i genitori, come il patrimonio inattaccabile di ogni ragazzo. Una volta, in uno dei suoi rari incubi notturni, aveva sognato che la mamma e il papà stavano per morire, ma per fortuna era riuscito a svegliarsi prima che accadesse l'irreparabile. Sapere che Niki rischiava di perdere sua madre, di vivere quindi la fine ignota di quell'incubo, lo terrorizzava e lo rendeva profondamente infelice.
"Loro credono che io non conosca bene il suo stato di salute, ma gliene ho sentito parlare diverse volte. L'ho scoperto quando avevo cinque anni, in America. Una notte litigarono, quella è stata anche l'unica volta in cui li ho visti bisticciare davvero. Fu quando papà decise di tornare in Italia. Mamma gli gridò che così sarebbe morta, perché il suo cuore non avrebbe retto agli strapazzi di quel trasferimento. Fui svegliato dalla voce di mia madre, non l'avevo mai sentita arrabbiarsi così. Sentii tutto. Corsi a svegliare Stephan e glielo dissi subito. Lui tentò di consolarmi e da allora l'ha fatto qualche altra volta, ma io vivo con il terrore di trovare mia madre morta, ogni volta che torno a casa."
Mauro gli accarezzò i capelli.
Erano andati a sedersi sui divani del salotto per ascoltare un po' di musica. Stava suonando una sinfonia di Ciaikovski. Mauro in un angolo del lungo divano e Niki che prima gli si era seduto accanto, s'era steso in modo da poggiare la testa sul grembo del compagno.
Gli parlava della malattia, gli confidava quel segreto, perché ormai lo considerava una parte di sé, in passato aveva affrontato quell'argomento solo con Stephan. La malattia di Arleen, la sua gravità, il fatto che ne fosse a conoscenza, era il segreto più intimo che aveva con suo cugino. Forse i suoi genitori non immaginavano che lui avesse ascoltato i loro discorsi e che, da quando era in grado di capire, sapeva che Arleen rischiava la vita quasi ad ogni passo, perché era proprio così.
I pianti di Niki, terrorizzato da quella consapevolezza, e le carezze di Stephan, che solo in parte riuscivano a consolarlo, erano una speciale confidenza della quale Mauro, senza averne ancora nozione, diveniva custode.
"Lei è sempre sotto il controllo dei medici. Siamo tornati ogni estate e ogni Natale in America perché fosse visitata. Qua in Italia ha sempre trovato buoni cardiologi e oggi è in città per una visita di controllo. Io ho sempre paura che lei possa morire" si strinse a Mauro che l'accarezzò "Tu non mi lascerai, non è vero?"
E così Mauro, senza ancora averlo capito, si sostituì definitivamente a Stephan.
"Ti starò vicino, qualunque cosa accada. Non ti lascerò mai!"
Niki chiuse gli occhi, come appagato e rassicurato da quelle parole. Mauro si chinò a baciarlo sulla fronte e avvertì sulle labbra il calore della pelle che quasi scottava.
"Come ti senti? Credo che tu abbia un po' di febbre."
Mauro aveva imparato dalla mamma a valutare la temperatura dal tocco della fronte e si rese conto che a Niki era davvero salita la temperatura. Lo guardò ancora. Niki gli sorrise senza badargli troppo e tornò a chiudere gli occhi. Si assopì col capo appoggiato sul grembo di Mauro, spossato e acquietato dalla confidenza che aveva appena fatto e soprattutto dall'aver realizzato ogni suo desiderio. Era finalmente ed assolutamente certo del loro amore ed aveva messo Mauro a parte del suo segreto.
Finalmente poteva dormire e riposarsi.
Anche la musica si placò, l'accompagnò mentre s'addormentava, declinando in un finale triste e doloroso. Mauro conosceva già quella sinfonia, perché l'aveva ascoltata a casa. Ricordava molto bene l'occasione, perché quella sera suo padre gli aveva parlato di Ciaikovski e lui aveva sentito, forse per la prima volta nella sua vita, la parola 'omosessualità'. Ma ora, nonostante la musica fosse così malinconica e la rivelazione che Niki gli aveva appena fatto gli procurasse tanta apprensione, non si sentiva triste. Era solo un poco preoccupato per i brutti pensieri che attraversavano la mente del suo innamorato il quale, adagiato su di lui, dormiva ormai un sonno quieto e pareva che stesse addirittura sognando.
L'espressione di Niki si fece improvvisamente corrucciata e subito più distesa. Mauro rimaneva immobile per non disturbare quel riposo e continuava a guardare il suo volto, il profilo ora affilato, le labbra sottili, tese, i capelli inumiditi dal sudore. Spostò lo sguardo lungo il corpo dinoccolato di Niki, mollemente adagiato, su lui e sul divano, mentre un braccio era scivolato a sfiorare il tappeto. La posizione che Niki aveva assunto gli fece tornare in mente una deposizione, un quadro del Caravaggio, visto durante il suo unico viaggio a Roma. C'era andato con la mamma per una gita scolastica, l'anno scorso e c'era anche Giacomo con loro. Sorrise a quell'idea che gli parve un poco esagerata, anche se l'abbandono e la tristezza che percepiva in Niki in quel momento gli rammentavano troppo quel quadro e il dolore della morte che vi era disegnato. Era stato l'anno prima, ma gli pareva un secolo per tutto quello che era accaduto e per come era cambiato. Riportò lo sguardo sul volto di Niki che gli sembrò più sereno, il suo sonno era tornato tranquillo. L'abbracciò con delicatezza, come per cullarlo.
Aveva ritrovato la sua sicurezza e stava collocando nella giusta luce gli avvenimenti del pomeriggio. Tutte le lezioni e gli insegnamenti di suo padre lo stavano aiutando in quel compito così arduo, perché il suo equilibrio non era mai stato messo tanto in pericolo, com'era accaduto in quelle ore.
Aveva fatto l'amore con la persona che amava..
Forse si poteva dirlo in un altro modo e fra ragazzi spesso si usavano espressioni più volgari. Ma era proprio quello che era accaduto ed avevano davvero fatto l'amore insieme. Era stato con una persona del suo stesso sesso, che fosse così era un fatto casuale e non essenziale, pensò subito, e ritrovò in questo la lezione di suo padre sull'importanza di assecondare i propri sentimenti. Chissà perché era andata così, che si innamorasse di Niki. I suoi geni, il caso, la sua educazione, qualunque cosa, l'avevano spinto fra le braccia di un uomo, anziché di una donna. Ora, però, l'importante era che lui amasse quell'uomo e che Niki ricambiasse il suo sentimento con la stessa intensità. E lui quel ragazzo l'amava veramente, l'amava tanto da essere certo che non l'avrebbe più lasciato.
Tutto questo, pensò, era certamente bello da sperare, ma molto più difficile da credere, dopo tutto non avevano che quindici anni e tutta una vita da vivere. Come poteva sperare che il loro amore fosse eterno? Solo perché era cominciato un mese prima? Sulla fedeltà che ci sarebbe stata fra loro, pur essendo così giovani, non aveva dubbi, ma, e questa fu la parte più difficile del discorso che s'andava facendo, forse il mondo e la società li avrebbero combattuti ed allontanati come corpi estranei.
Pensò alla lezione di biologia sulla composizione del sangue. C'erano globuli rossi e bianchi, le piastrine. Là in mezzo c'erano gli anticorpi, pronti a combattere ed eliminare ciò che non conoscevano, di cui per propria natura avevano paura. E quindi le diversità, come certamente erano loro due, diversi nella società, agenti sconosciuti e da combattere. Però non sarebbero stati soli, avevano tutti e due dei genitori eccezionali che li avrebbero sostenuti e difesi, ne era certo. Così come era deciso ormai a rivelare alla mamma e anche al papà tutto della sua omosessualità e dell'amore che provava per Niki. Era convinto che anche Niki l'aveva già fatto o l'avrebbe fatto presto.
Fu per tutti questi pensieri, oltre che per non disturbare il suo innamorato, che non si mosse quando sentì aprire la porta d'ingresso. I genitori di Niki erano tornati.
"Siamo qua, sul divano" parlò a mezza voce.
Erano rimasti al buio e lui lo teneva ancora tra le braccia.
"Niki s'è addormentato" fece piano "forse ha un po' di febbre."
"Fa così quando non sta bene!" disse Arleen che si era subito preoccupata.
Accese una lampada lontana da dove erano loro, lasciando la camera in penombra, si avvicinò al divano e accarezzò la mano a Mauro, poi avvicinò la guancia alla fronte di Niki.
"Scotta un poco, hai ragione. Anche tu misuri la febbre con un tocco?" sussurrò.
"Me l'ha insegnato mia madre ed io mi sono esercitato spesso con i miei fratelli. Niki dovrebbe avere fra i trentasette e i trentotto gradi, cioè gradi centigradi. Non so quanto faccia esattamente in gradi Fahrenheit, ma credo che siano circa cento."
Le sorrise. Arleen si chinò a sfiorare con le labbra la fronte di Niki che ancora assopito e poi baciò anche lui sulla guancia, allontanandosi e lasciandolo un po' meravigliato.
Il papà nel frattempo entrò nella stanza e Mauro, che quasi non lo conosceva, si sentì imbarazzato a farsi cogliere in un atteggiamento così affettuoso verso Niki, che in quel momento aprì gli occhi sbattendo le palpebre per abituarle alla luce.
Si guardò intorno e colse il gustoso quadretto di sé, sorpreso dormiente, fra le braccia dell'amante, da suo padre il quale, fedele al suo aplomb, aveva mostrato di non accorgersene.
Niki gli sorrise:
"Siete tornati, finalmente. E mamma dov'è?"
"Si sta cambiando. È già venuta a vederti, ma tu dormivi" gli disse il padre "Hai un poco di febbre e Mauro l'ha notato" Niki alzò lo sguardo verso l'amico che gli fece un sorriso comprensivo.
"Com'è andata con la mamma?" chiese Niki, raddrizzandosi un poco, senza uscire dall'abbraccio di Mauro il cui imbarazzo si era solo un poco attenuato, anche se il cuore gli galoppava ancora in petto. Si scoprì sudato e non riusciva a capire se era per il caldo oppure perché era ancora rosso fino alla cima dei capelli per la vergogna che provava per essersi fatto sorprendere abbracciato a Niki.
"Penso voglia parlartene lei nel vostro linguaggio" poi si rivolse a Mauro "io parlo l'inglese molto bene, ma quando questi due iniziano a discutere non li capisco più" gli sorrise.
Niki si alzò immediatamente e raggiunse la mamma nella sua camera.
"Brutte notizie?" le chiese fermandosi sulla soglia con il cuore che già gli gli batteva più forte.
"Quest'anno andremo in America prima del solito."
"Devi operarti, non è vero? Che è successo? È perché il cuore non sta bene?" Niki già piangeva e le si avvicinò.
La mamma lo prese fra le braccia e lo strinse:
"No, sta bene, anzi, è nelle condizioni migliori da qualche anno a questa parte. È per questo che devo operarmi ora. I medici hanno scelto questo momento proprio perché è il più propizio all'intervento. Dovremo partire nella prossima settimana."
Fu rassicurato solo in parte dalle parole della mamma e sembrò calmarsi, ma l'idea di dover partire di lì a poco lo colpì per le inevitabili implicazioni che tutto questo avrebbe avuto sulla sua vita. Poi lo aggredì una grande inquietudine per il pensiero del difficile intervento al quale avrebbe dovuto sottoporsi la mamma. Ne era più che certo, un'operazione a cuore aperto doveva essere estremamente pericolosa, forse mortale. Quante probabilità c'erano che sopravvivesse? Gli sembrò che, per quel giorno, nel suo cervello si fossero accavallati troppi pensieri, più di quanti riuscisse a sopportarne.
Le fece una carezza e senza più parlare, se ne tornò da suo padre e da Mauro che discutevano tranquillamente di scuola, si lasciò andare su una poltrona con lo sguardo fisso davanti a sé.
"Stai tranquillo, andrà tutto bene" gli disse suo padre abbracciandolo "Vedrai che andrà tutto bene" ripeté, ma Niki non l'ascoltava più.
Guardava chissà dove, poi posò gli occhi su Mauro e, quasi se ne ricordasse solo allora, si chiese che ne sarebbe stato di lui, di loro due, del loro amore.
"Lo so, ma ho paura. Io che farò, papà?"
"Vedremo di sistemare le cose nel modo migliore, anche per la scuola. Adesso calmati e non pensarci. Mi occuperò di tutto io."
Mauro non sapeva bene cosa fosse accaduto, ma capiva che era grave.
Il suo sguardo era smarrito quanto quello di Niki. Chiese a Dio di concedergli di non perdere Niki, di trovare il modo, in quella tempesta, qualunque cosa fosse accaduta, di non separarli e salvare il loro amore. Si sentì egoista per questo, ma nella sua preghiera aggiunse subito un pensiero per la mamma di Niki che, come immaginava, doveva essere all'origine di tutta quell'ansia.
Capì anche che doveva andarsene. Si alzò.
"Papà, Mauro potrebbe restare con noi per stasera?" disse invece Niki che non voleva proprio lasciarlo andare.
"Certo, se i suoi genitori sono d'accordo. Mauro vorresti chiamarli? Chiederò a tuo padre di farti rimanere con noi."
Anche lui non voleva andarsene e non fece neppure finta di pensarci. Fatto il numero ed ottenuta la comunicazione, Mauro gli porse il telefono. Dall'altra parte c'era, naturalmente, sua madre. Mauro restò ad ascoltare questa parte di telefonata:
"Sono il papà di Niki, buonasera... Chiamavo per chiederle... Si, abbastanza bene, anche se mia moglie dovrà operarsi... secondo i medici è arrivato il momento... per la prossima settimana. L'intervento è per metà dicembre... Si... credo che Niki verrà con noi... Si anche se... Si, lo so, perderà due mesi... Si, di scuola... si... no, non abbiamo ancora deciso... No, naturalmente... No, non abbiamo parenti in Italia... Si... No... Si, grazie, signora, grazie davvero è un'ottima idea e ne parlerò a mia moglie, grazie!... Certo, sono convinto che questo contribuirà alla riuscita dell'intervento. Mi creda!"
Mauro vide allargarsi il sorriso sulla faccia del papà di Niki e, da quel ragazzo intelligente che era, ricostruì i pezzi mancanti della telefonata e allora anche lui sorrise. Continuò ad ascoltare, ma con molta meno attenzione. Non poteva essere che avessero tanta fortuna, anche se l'occasione proveniva da un fatto poco lieto come l'operazione della mamma di Niki. Se aveva capito bene, e quando si trattava di sua madre, lui capiva sempre, avrebbe avuto il suo innamorato tutto per sé per almeno due mesi. E quello era quanto di più bello e desiderabile potesse accadere. Si voltò verso Niki che seguiva la telefonata con la stessa attenzione e gli fece un cenno d'intesa. Chissà come anche Niki aveva capito.
"Mia moglie la richiamerà, signora..." Mauro ridacchiava e riusciva facilmente ad immaginare il fiume di parole che sua madre stava riversando in quel momento addosso all'incauto papà di Niki "Si, mi creda sarà di grande conforto saperlo con voi... Signora... Signora, mi scusi... ma ho chiamato... avevo chiamato per chiederle se Mauro poteva restare da noi stasera. Si, anche a dormire. È una cosa che i ragazzi americani fanno spesso... si, si... si usa in America. Ma è solo perché si è fatto un po' tardi e Niki... credo che i ragazzi vorrebbero stare insieme... No, niente di grave, forse solo un po' di raffreddore... Si, ci farebbe piacere e non darà alcun fastidio, non suo figlio, assolutamente, mi creda... Si... Si, glielo passo... Ci risentiremo presto, signora... Certo, Arleen ne sarà felice... Si, buonasera, a presto. Mauro, tua madre vuole parlarti" e scappò via.
Mauro, con l'aria di chi è impotente davanti alla forza della natura, prese il ricevitore:
"Mamma... si... si... si, lo farò certamente... si..." continuò a fare di sì con rassegnazione, finché la mamma non lo punse nel vivo con una domanda "Si che mi sono cambiato stamattina, per chi mi hai preso? Mi hai scambiato per il tuo secondogenito? Io sono Mauro... Appunto! No, non mangerò troppo, né troppo poco e so come ci si comporta a tavola. Si, domani andrò a scuola... direttamente da qui, perché ho già tutti i libri... No, non so se Niki domani potrà venire a scuola... meno di trentasette e mezzo. Ma è soltanto un raffreddore. Avrà preso freddo da qualche parte..." e sorrise dentro di sé sapendo bene dove Niki potesse aver preso tutto quel freddo "Ci vediamo a pranzo, domani... Certo, si! L'ho capito da quello che diceva il papà di Niki, quando tentava di dire qualche parola, perché al resto pensavi tu... Lui non riusciva quasi ad articolare le parole... No, non sono irrispettoso, stavo solo constatando un dato di fatto. Va bene, dai un bacio a papà e, se ci tieni, anche a Michele... Ah! mamma, grazie. Anche da parte di Niki... E... mamma, vi voglio bene!"
Niki aveva seguito la telefonata con estrema attenzione. I giorni che si apprestava a vivere sarebbero stati entusiasmanti, se non ci fosse stata di mezzo l'operazione che la mamma doveva subire. Ma l'intervento sarebbe andato bene, ne era sempre più sicuro, perché non poteva capitare nulla di brutto nel momento in cui lui aveva trovato Mauro.
Con questo pensiero gli si avvicinò, guardandolo fisso negli occhi. Pensò che ora non dovevano più parlarsi per capire quanto fossero felici. Se ne tornarono in silenzio sul divano e s'accoccolò contro il compagno, poggiandogli il capo sulla spalla.
Entrò Arleen e sorrise a tutti e due, in un modo così tenero che Mauro si accorse di volerle bene. Poi posò la mano sulla fronte di Niki e si rese conto che la temperatura era scesa. L'accarezzò.
"Adesso va meglio? Sei un uomo ormai ed io sono una vecchia mamma" li fissò entrambi "Penso che voi due sarete felici insieme!" poi si rivolse a Mauro "E tu non farlo mai soffrire!"
"Oh, ma, don't...!"
"No signora, mai!" le disse Mauro serio.
Lei li accarezzò insieme.
"Ho sentito che stasera sarai nostro ospite, Mauro. Si mangia fra mezz'ora. Niki fai in modo che Mauro sia a suo agio."
I due si guardarono negli occhi e, ad un cenno di Niki, corsero a preparare il letto che avrebbe ospitato Mauro. Erano ovviamente entusiasti.
"Usa questo" disse Niki porgendogli un pigiama giallo e blu "sei libero d'indossarlo, tanto dopo te lo sfilo io" risero pensando con una certa eccitazione alla prima notte che avrebbero trascorso insieme.
Nella mente di Mauro però s'era formata un'idea.
"Tua madre sa di te no? Ma come faceva... a sapere... lei sapeva anche di me e di noi. Non è vero?"
L'aveva pensato già quando Arleen lo aveva baciato sulla guancia e, ora ne era certo, lei sapeva tutto di loro. Forse l'aveva capito anche prima di lui.
Niki rispose con la solita serenità.
"L'altra estate ho detto ai miei genitori che sono omosessuale e poi, in questi giorni, mamma ha capito che ero innamorato di te. Come poteva non accorgersene?" gli sorrise in modo disarmante.
"Tu, allora, non glielo hai proprio detto... di noi..." insisté.
Niki, allora, gli fece di no con la testa e sollevò le spalle, come per dirgli che non ce n'era stato bisogno, che lui e sua madre non dovevano dirsi parole per sapere certe cose.
Mauro si convinse ancora di più di quanto fosse necessario che lui ne parlasse al più presto a sua madre e a suo padre. Com'era accaduto per Niki, anche i suoi genitori dovevano aver capito che lui era innamorato ed ora, forse, erano inquieti perché non sapevano tutto, non sapevano ancora quanto lui fosse contento. Doveva tranquillizzarli al più presto. Sperava anche di riuscire a trasmettergli una parte della felicità che si sentiva dentro.
Poi fece un altro pensiero, meno lieto. Gli mise una mano sulla spalla, mentre Niki era intento a cercare una federa. Doveva essere azzurra, perché il lenzuolo era azzurro e lui aveva deciso che quello sarebbe stato il loro colore.
Mauro si sedette sulla sponda del letto e cercò di richiamare la sua attenzione.
"Niki..." doveva dirgli qualcosa di molto serio "Niki, ascoltami. Credo che non dovremmo parlare di quello che è accaduto... di quello che abbiamo fatto, non subito almeno. A scuola, gli altri potrebbero non capire..." non trovava le parole "Qualcuno potrebbe prenderci in giro e..." non sapeva come esprimere il timore che aveva e si vergognava profondamente di quegli scrupoli.
"Va bene!" lo soccorse Niki, cui da sempre importava molto poco del giudizio degli altri "Faremo come dici tu. Farò quello che vuoi tu. Farò sempre quello che vuoi tu. Sempre, Mauro, hai capito?"
E con questo mise davvero fine alla discussione.
Mauro si sentì infelice, perché gli aveva chiesto di nascondere la cosa straordinaria che era accaduta a loro due. Sarebbe stata un'ipocrisia intollerabile, se ne rese conto, ma capì anche che, per il momento, non aveva i mezzi per affrontarla, per evitarla. I suoi genitori forse l'avrebbero aiutato, era certo che l'avrebbero fatto, ne avrebbe parlato e suo padre l'avrebbe certamente consigliato, ma per il momento non c'era nulla che potessero fare.
A conclusione di questo ragionamento, gli disse d'impulso: "Niki, io sono fiero di noi due! Di ciò che siamo ed anche di quello che abbiamo fatto!"
Era sicuro che avrebbero avuto tempo per parlarne ancora.
"Anch'io!" e l'accarezzò sulla guancia.
La cena non fu allegra e non fu neanche triste. Parlarono dei pochi giorni che restavano prima della partenza, durante i quali ci sarebbe stato tanto da fare.
Quando furono soli nella camera di Niki, s'abbracciarono euforici e, riempiendosi di baci, si prepararono per andare a letto. Appena furono sotto le coperte, però, nonostante il proposito di restare svegli per parlarsi, fare progetti ed eventualmente, come aveva anticipato Niki, sfilarsi i pigiami, riuscirono a scambiarsi soltanto poche parole, perché crollarono addormentati, stanchi per la giornata intensa che avevano vissuto.
Mauro, che aveva dormito il sonno profondo della stanchezza, si svegliò un po' prima delle sette. Quando si accorse di non essere a casa, nella sua stanza, si guardò intorno per capire dov'era finito e scoprì che si trovava nella camera di Niki. E questo voleva dire principalmente che tutto ciò che credeva di avere sognato era accaduto davvero.
Ebbe un tuffo al cuore: dunque era vero, lui e Niki s'erano proprio fidanzati. Poteva dire così o c'era un modo diverso per definirli? Si ripromise di chiederlo al suo innamorato. Guardò in direzione di Niki che sembrava dormire ancora. Si ricordò della febbre della sera prima e di tutti gli avvenimenti, compreso, ricordò con eccitazione, la fantastica possibilità che la mamma, la sua formidabile, adorata mamma, gli aveva offerto: ospitare Niki per un paio di mesi. Quello era il vero sogno. Che sogno, ed era tutto vero, sarebbe accaduto realmente!
Ormai era perfettamente sveglio. Decise di uscire dal letto per controllare che Niki non avesse la febbre. Andò ad accarezzargli la fronte. A quel tocco Niki aprì gli occhi, era già sveglio anche lui e, da come lo guardò, Mauro capì che doveva aver fatto pensieri molto simili ai suoi.
"Hai mai baciato qualcuno stando al caldo, sotto le coperte?" chiese Niki.
"No!"
"E ti andrebbe di provare?"
"Si, ma... e se entra tua madre?"
"Dai, salta nel mio letto. Lei non verrà prima delle sette e mezza. Abbiamo mezz'ora. Vieni!"
Mauro si fece convincere molto facilmente e s'infilò sotto le coperte. Là, sotto, c'era un tepore che lo illanguidì. Si abbracciarono e Niki, invece di baciarlo soltanto, come aveva promesso, prese ad accarezzarlo ed a fargli un solletico leggero sui fianchi. Mauro squittì e cominciò a ridere cercando di fare meno rumore possibile. Niki capì subito di averlo in suo potere, perché Mauro mai sarebbe riuscito a fermare quella risata, e ne approfittò per sfilargli il pigiama e poi stringerlo e palparselo tutto, finché quello non fu scosso dagli ultimi risolini. Quando riuscirono a calmarsi, Mauro gli tolse il pigiama, poi, nudi, iniziarono ad accarezzarsi nel caldo accogliente del letto. Si strofinarono finché l'eccitazione non raggiunse il culmine, poi li avvolse un dolce languore che stava per riportarli al sonno. Fu Mauro a scuotersi e a rendersi conto che erano nudi, nello stesso letto e anche un poco viscidi sulla pancia. Si baciarono, dandosi appuntamento ad un altro simile incontro.
Mauro saltò nel proprio letto qualche minuto prima che Arleen li chiamasse.
Niki non aveva più febbre ed era in perfetta salute. Superò il severo esame materno e ottenne il permesso d'uscire, cosa che desiderava ardentemente, non tanto perché tenesse alla scuola in modo particolare, ma per amore di Mauro, per seguirlo ovunque e non lasciarlo mai più.
Nei giorni seguenti furono molto impegnati.
Arleen trascorse quel tempo cercando di prepararsi alla prova più difficile di tutta la sua vita. Suo marito e suo figlio fecero a gara a mostrarsi ottimisti e sereni, cercando di assicurarle tutta la tranquillità possibile, sebbene nutrissero entrambi la stessa grande apprensione. Ciò che le diede più serenità fu la certezza di affidare Niki ad una famiglia che l'avrebbe accolto con tutto l'affetto e la comprensione che potevano servire al suo ragazzo. E lei sapeva che lasciava Niki fra le braccia di una persona che l'avrebbe amato e consolato in ogni momento e in qualunque caso, anche nel peggiore. Lo sapeva, l'aveva capito senza bisogno che suo figlio gliene parlasse, Mauro era divenuto il compagno, l'amante di Niki. La conoscenza che aveva del suo ragazzo, unita a quello che la mamma di Mauro le aveva raccontato, la spingevano a considerare il rapporto che era nato fra i due come un fidanzamento tradizionale fra ragazzi che scoprono di essere innamorati. E la particolarità di quell'unione, lungi dallo spaventarla, la consolava. Suo marito, per conto suo, era sufficientemente immune da pregiudizi per non ostacolare o anche solo disapprovare le scelte di suo figlio. Quella che, insomma, in quasi tutte le famiglie sarebbe stata considerata come una catastrofe, per i genitori di Niki rappresentò, in quella situazione così difficile, una vera benedizione.
La mamma di Mauro fu molto vicina all'amica in quei giorni e, sapendo che il cruccio maggiore di Arleen fosse nel dover abbandonare in Italia un figlio che poteva non rivedere, cercò, in ogni modo, di rassicurarla. Avrebbe considerato Niki come un suo nuovo figliolo. Nei giorni precedenti alla partenza ebbe modo di conoscerlo molto meglio e di apprezzarne il buon carattere, perché i ragazzi, per provare la nuova sistemazione, avevano deciso di studiare in casa sua. Cominciò così a seguire, piuttosto incuriosita, l'intesa e il rapporto di comunione totale che si stava creando fra i due. Giorno dopo giorno le apparve sempre più chiaro, per gli sguardi che si scambiavano, per l'atteggiamento che tenevano l'uno verso l'altro, che l'affetto che li univa fosse troppo profondo per essere solo un'amicizia, anche molto forte, fra compagni di scuola. Questi pensieri, in ogni caso, non la turbarono troppo, perché la questione più importante in quei giorni era di dare tranquillità ad Arleen e uno dei modi per farlo meglio era di rendere sereno Niki. Anche Mauro, in questo compito, si stava dimostrando abilissimo.
A suo marito, d'altra parte, piacque subito il compagno di suo figlio e, da vecchio filosofo quale era, accettò quella forte intimità, il legame che s'era creato. A lui la singolarità di quell'amicizia parve subito evidente. Ma era nel suo ordine di idee di lasciare i propri figli liberi d'esprimere sempre le proprie scelte, di qualunque natura esse fossero e, quando sua moglie, con una certa preoccupazione, gli fece notare il comportamento di Mauro, lui cercò di spiegarglielo con molta semplicità:
"Quel ragazzo è speciale: noi lo sappiamo, perché è nostro figlio. È possibile che un suo compagno se ne sia innamorato. E Mauro è così tenero ed affettuoso" ci pensò un po' su, poi concluse "Ma anche Niki è un ragazzo eccezionale. Hai ragione: Mauro gli vuole davvero bene. In ogni modo, è probabile che passi a tutt'e due!"
"E se non passasse? Lo sai com'è tuo figlio" e gli ricordò le parole di Mauro, alla villotta, qualche giorno prima "Era di Niki che parlava. Ne sono certa!"
"È nostro figlio e, se davvero fossero innamorati, noi non potremmo che esserne orgogliosi!"
Questa fu la conclusione del saggio di famiglia e non fu neanche sorprendente per chi, come sua moglie, lo conosceva tanto bene. Così lei quasi non ci pensò più ed anche in casa di Mauro quell'innamoramento, così precoce ed insolito, fu considerato, a seconda dei punti di vista, un'infatuazione passeggera o una bella storia di cui sentirsi, comunque, fieri.
I ragazzi, da parte loro, erano felici e lo mostravano in ogni azione e, se la partenza di Arleen gettava un'ombra sulle loro vite, riuscirono a non darlo a vedere, contribuendo decisamente alla serenità di tutte e due le mamme.
L'avere conosciuto l'aspetto fisico dell'amore aveva prodotto in Mauro un mutamento importante, aveva acquisito una coscienza più definita del proprio corpo ed aveva soprattutto compreso ed accettato l'importanza di toccare il proprio innamorato. Prima di quel momento, ogni contatto fra loro era stato preparato seguendo un rituale, quasi una procedura d'avvicinamento, perché uno non era mai certo che l'altro accettasse quell'approccio. Ora, avendo apertamente manifestato i propri sentimenti, erano divenuti consapevoli anche della passione e del desiderio che erano nel compagno ed avevano cominciato a sfiorarsi, in ogni momento. Una carezza sulla mano, un bacio rubato in un angolo, quando erano proprio sicuri che nessuno li stesse guardando, i piedi sempre a contatto sotto il banco o le spalle unite, mentre erano appoggiati al muro durante l'intervallo a scuola, avevano cominciato a sfruttare tutte le occasioni per sentire anche fisicamente la presenza dell'altro nella propria vita.
Di pomeriggio, quando studiavano, se erano soli, si tenevano per mano e si guardavano continuamente negli occhi.
"Tu vuoi entrare nel mio cuore, ma, se lo farai, non te ne lascerò più uscire!" gli disse Mauro un giorno, mentre Niki, ripetendogli la coniugazione di un verbo latino, lo fissava concentrato.
"Il greco ed il latino mi fanno uno strano effetto, mi conferiscono poteri inimmaginabili. C'è ancora posto lì dentro?" rispose Niki interrompendo per un momento quella litania di suoni.
"E me lo chiedi ancora?" Mauro dicendolo gli aveva sfiorato la mano, poi gliela aveva stretta, ritirandola subito, perché suo padre era entrato in cucina a cercare gli occhiali che portava appesi al collo.
Niki, di spalle, aveva ripreso a coniugare, continuando a fissarlo.
"Io voglio restare chiuso là dentro per sempre!" aveva mormorato, fra un congiuntivo ed un condizionale.
In quei giorni non ebbero più occasione di ritrovarsi da soli, veramente da soli, né ci fu tempo per andare alla villotta e, quando di tempo ne avrebbero avuto, la pioggia aveva reso impossibile quel viaggio d'amore. Ma, se anche ce ne fosse stata la possibilità, forse non l'avrebbero sfruttata, perché erano tanto appagati e felici dalla sola vicinanza, quasi da non desiderare altri momenti di più grande intimità.
Fu, quindi, un po' per l'imminente partenza della mamma, un po' per la contentezza che l'essere vicini già gli dava, che non cercarono nei propri corpi la soddisfazione completa che solo per due volte avevano provato. Ma non fu solo questo a fermarli, perché in Mauro sorse una specie di timore e d'imbarazzo verso il compagno nel proporgli di fare certe cose, sebbene lo desiderasse quasi con disperazione. Il corpo torturava la sua volontà, ma lui eroicamente resisteva, per amore di Niki, perché temeva che il suo amico, già sofferente per la situazione della mamma, trovasse fuori luogo una sua richiesta, il suo desiderio.
Per Niki gli ultimi giorni furono difficili. Il conforto di Mauro fu determinante per il suo equilibrio e l'idea d'avvicinarsi per fare qualcosa di più che non fosse sfiorarlo, accarezzarlo, lo prendeva solo quando l'altro era lontano e la nostalgia era più forte. Ogni sera, addormentandosi, si stringeva in un abbraccio e cercava di ritrovare su di sé l'odore di Mauro. Affondava la testa nel cuscino e sentiva che il proprio corpo eccitato desiderava l'amante. Si addormentava sempre così, per svegliarsi il mattino dopo desideroso soltanto di correre a sfiorare la mano di Mauro al loro angolo, a sentirsi sobbalzare il petto quando l'avesse visto arrivare con la sua andatura flessuosa, di atleta che vorrebbe correre, ma si obbliga a camminare.
Se ne andavano a scuola, guardandosi e sorridendosi ogni tanto, come sorpresi di trovarsi vicini e certamente contenti di esserlo. Poi uno o l'altro cominciava a ridacchiare per un'idea che aveva avuto e insieme cominciavano a ridere, ricamandoci sopra. La loro giornata partiva così ed era sempre allegra, almeno quanto lo consentiva la partenza imminente.
Se la vita di Mauro era cambiata in modo radicale, anche i suoi rapporti con i compagni di scuola si erano trasformati. Fin da quando aveva stretto la mano di Niki per la prima volta, era stato come se un incantesimo gli fosse calato addosso. La parte di realtà non illuminata dalla presenza di Niki aveva cominciato a perdere progressivamente interesse e, dopo che il loro rapporto si fu chiarito, tutto ciò che viveva attorno, tutto il mondo smise di esistere. Ed anche quel brutto pensiero, avuto la prima sera, di non rivelare a nessuno il loro innamoramento, aveva perduto la sua gravità, se ne aveva mai realmente avuta. Non dovevano tacere ad alcuno il loro segreto, perché avevano smesso di considerare l'esistenza degli altri, di preoccuparsene, perfino di pensarci.
E, se il comportamento di Mauro era cambiato, i primi a rendersene conto furono i Cavalieri che da un giorno all'altro si videro privati del loro capo.
Avevano frequentato tutte le scuole insieme e quasi ogni sera, da quando erano diventati abbastanza grandi per disporre del proprio tempo, era abitudine che, muniti di pallone, corressero assieme ad altri, a giocare una partita dovunque ci fosse abbastanza spazio per tirare calci. Quando erano divenuti ancora più grandi, cioè da almeno un anno, ogni sabato sera andavano a mangiare la pizza e di domenica c'era il cinema, o qualcosa di simile, o viceversa. La regola non scritta, ma sempre rispettata era che, comunque andassero le cose, loro cinque fossero amici, ridessero e scherzassero su qualunque cosa e soprattutto si vedessero tutti i giorni, anche quando non c'era scuola.
Da qualche tempo, però, Mauro era scomparso dalle loro giornate. Lo vedevano a scuola, dove arrivava con Niki ed era come sempre affabile, allegro e vivace. Era anche sereno, contento, lo si capiva a guardarlo, ma rivolgeva ogni sua attenzione sempre e solo a Niki. Di sera, qualche volta, si facevano vedere per giocare al pallone, ma lo facevano senza che la cosa scalfisse quella specie d'estraneità che pareva li circondasse.
Così, dopo qualche occhiata interrogativa che si scambiarono, i Cavalieri decisero d'aspettare, in qualunque posto fosse andato a finire, Mauro sarebbe tornato. E l'avrebbe fatto molto presto, pensarono senza dirselo, non appena si fosse stufato di quell'amicizia esclusiva ed opprimente.
Nessuno, tranne Enrico, immaginò che quel rapporto potesse nascondere qualcosa di più profondo. E, se lo pensò soltanto lui, fu perché, al contrario degli altri, possedeva un intuito particolare e aveva colto, negli sguardi che Mauro e Niki si scambiavano, un'attenzione che, scoprì, sognava fosse rivolta a lui. Pur non capendone il motivo, in quei giorni, Enrico si trovò spesso a desiderare ardentemente che Mauro lo guardasse con la stessa espressione con cui si rivolgeva a Niki. Ed essendo onesto per natura, sperò fortemente che nella sua vita, un giorno, entrasse, come un uragano, una persona che lo guardasse allo stesso modo. Tenne per sé queste idee, perché fossero un segreto che in qualche modo l'unisse al suo amico prediletto, a Mauro che da sempre era il suo eroe.
La partenza della mamma era fissata per il lunedì mattina e ovviamente Niki avrebbe accompagnato i genitori all'aeroporto.
Mauro in quei giorni l'aveva aiutato e protetto in ogni momento, accontentandolo sempre e prevenendo, quando ci riusciva, tutti i suoi desideri. Perciò lasciò che fosse Niki a decidere cosa fare quella mattina. E Niki volle che lui fosse con loro, anche se così avrebbero perso un giorno di scuola.
La mamma di Mauro constatò in quell'occasione quanto fosse arduo negare qualcosa a Niki, forse più difficile che negarlo a suo figlio. Quando voleva, Niki incantava con i suoi modi e a nulla valevano le ragioni che avrebbero consigliato diversamente. La sera precedente alla partenza, Niki le si avvicinò timidamente e, prima ancora che aprisse la bocca, lei gli accordò il permesso di farsi accompagnare da Mauro all'aeroporto.
L'addio fu triste, ma non disperato come Mauro aveva temuto.
"Vi aspettiamo a Boston per Natale" disse Arleen, quando già chiamavano il loro volo "parlo a voi due!" e accarezzò le guance ad entrambi.
I ragazzi si guardarono negli occhi. Furono meravigliati e naturalmente subito entusiasti della proposta. Era già stabilito che Niki raggiungesse i genitori durante le vacanze di Natale, ma non avrebbero mai osato sperare che Mauro potesse accompagnarlo.
"Con i tuoi genitori" continuò Arleen rivolta a Mauro "siamo già d'accordo. Doveva essere una sorpresa, ma non ce l'ho fatta a non dirvelo" disse sorridendo.
Niki le saltò al collo, come se fosse stato un bambino, anche se era più alto di lei:
"Mamma... ti voglio bene" abbracciò anche il padre "A Natale!"
In quel momento Mauro si commosse, sentì di essere molto vicino a piangere. Poi vide Niki che non piangeva e pareva avere gli occhi asciutti e questo riuscì a carmarlo.
Arleen con uno sforzo evidente, che, comunque, non le valse a trattenere le lacrime, abbracciò ancora suo figlio e gli mormorò qualcosa in un orecchio. Niki assentì e si voltò a guardare Mauro, mentre lei parlava ancora. Il padre posò le mani sulle loro spalle, li abbracciò entrambi e poi staccò dolcemente la moglie da Niki.
I due s'incamminarono verso il cancello d'imbarco. Arleen si voltò per salutare ancora i ragazzi, agitando la mano e così fece anche il papà, poi sparirono oltre i vetri dell'uscita, confondendosi fra turisti e gente che viaggiava per affari.
Allora Niki si voltò e, senza dire una parola, seguito da Mauro, uscì dall'aerostazione. Attesero all'aperto la partenza dell'aereo che avrebbe condotto i genitori a Boston. Niki se ne stava in silenzio, immobile e teneva gli occhi fissi, guardando lontano, verso un punto che Mauro non riusciva a vedere. L'aereo s'alzò in volo subito dopo e i due se ne andarono verso il taxi, già prenotato dal padre di Niki.
Quell'auto li avrebbe riportati a casa, alla sua nuova casa, pensò Niki, ma non gli venne da piangere, non ci riusciva.
Era una bella giornata e la partenza dell'aereo era avvenuta in orario, perciò i ragazzi avevano davanti tutta una giornata senza scuola.
"Pensi che potremmo andare alla villotta stamattina?" era la prima volta che Niki parlava dopo la partenza dei suoi. Mauro fu subito d'accordo. L'avrebbe accontentato in ogni caso, qualunque cosa gli avesse chiesto.
"Certo! Passiamo da casa, prendiamo le biciclette e magari anche le chiavi. Dovrebbe esserci ancora mamma: oggi ha la terza ora. Sarà contenta di quest'idea. Le fa sempre piacere sapere che respiriamo aria pura..." ma Niki aveva distolto la sua attenzione da Mauro e da tutto il mondo. Era tornato in una dimensione dove nessuna voce poteva raggiungerlo.
Mauro s'accontentò di tenergli la mano 'e il tassista pensi quello che gli pare, tanto chi se ne frega'.
Loro due e gli altri, tutti gli altri, quel pensiero gli era tornato mentre, il giorno precedente a scuola, durante l'intervallo, quando aveva preso Niki per mano e s'erano allontanati per rifugiarsi nel solito angolo della palestra. Come chi si accorge improvvisamente d'essere nudo davanti a tutti, aveva notato alcuni sguardi fissi sulle loro mani unite. Si era liberato dalla stretta e le aveva infilate velocemente in tasca, quasi per nasconderle a quegli sguardi, ma s'era sentito quasi osceno ed era corso avanti, precedendo Niki che non aveva notato nulla. Non gli aveva fatto parola di quell'episodio, perché in quei giorni Niki non era nello spirito giusto per ascoltare discorsi d'alcun genere e lui s'era tenuto per sé questa preoccupazione. Quella storia gli era tornata in mente e, ancora una volta, non era il momento adatto per parlarne. Ne avrebbero discusso quando Niki fosse stato più calmo, in un'occasione diversa. Il problema però esisteva e lo preoccupava.
Che cosa vedevano e comprendevano realmente gli altri della loro relazione? Lui sapeva bene, né si nascondeva, quanto male il loro rapporto potesse essere giudicato. Forse qualcuno li aveva già visti mentre si baciavano? Oppure, qualche amico li aveva guardati una delle tante volte in cui uno cercava la mano dell'altro e la stringeva? E gli sguardi che continuavano a scambiarsi? Se qualcuno li avesse interpretati per quello che realmente erano? Quando erano insieme, Niki lo seguiva ininterrottamente con lo sguardo ed anche lui faceva lo stesso.
Si vedeva benissimo, almeno dal suo punto di vista, che loro due erano innamorati, perché si comportavano in un modo molto diverso da come due ragazzi avrebbero dovuto fare. Ma davvero nessuno, proprio nessuno dei loro compagni, di tutti gli amici era in grado di interpretare ed intendere correttamente quei segnali? E gli importava davvero di saperlo?
Quest'idea lo colpì.
Dovevano preoccuparsene? Ciò che gli altri pensavano era veramente tanto importante da condizionare le loro vite?
Sentì crescergli dentro un senso di ribellione a tutto questo. Avrebbero dovuto nascondere i propri sentimenti per tutta la vita? Non credeva di poterlo fare e neanche Niki l'avrebbe voluto. Era ansioso di parlarne con lui, di avere il suo conforto. Se il loro amore fosse durato per sempre ed aveva pochi dubbi su questo, sia per parte sua, sia per parte di Niki, se avessero dovuto vivere una vita da diversi, segnati dalla disarmonia con il mondo circostante, avrebbero dovuto affrontare e cercare di risolvere per primo ed anche in fretta il problema dell'evidenza del loro affetto, senza dimenticare che del giudizio degli altri non dovevano farsi alcun cruccio.
Suo padre glielo aveva sempre raccomandato e lui intendeva osservare quell'insegnamento.
"Il giudizio di chi ci circonda è importante, finché non limita la nostra libertà. A patto che non sia la nostra condotta a limitare la libertà degli altri!"
La libertà. Quello era il chiodo fisso di suo padre e, pensò Mauro, sarebbe stata anche la loro bandiera. Per un momento si sentì eroico ed imbattibile, immaginò di essere un paladino e di combattere per difendere il loro amore. Sentiva la mano morbida, sudata di Niki, stretta fra le sue, lo guardò e vide che si era assopito, anzi, forse aveva soltanto chiuso gli occhi e chissà dov'era con i suoi pensieri.
Povero Niki, quella notte non aveva quasi dormito e anche lui, a dire il vero, si era svegliato molte volte, immaginando, sognando che avesse bisogno di aiuto e che lo stesse chiamando. Ma lì, in macchina, non aveva proprio sonno, anzi, era fin troppo sveglio e preoccupato, per Niki e per sua madre, naturalmente, ma anche per il loro futuro.
Pensò ai suoi amici, ai Cavalieri, che stava proprio trascurando. Niki assorbiva ormai ogni suo pensiero e non c'era più spazio per nulla e per nessuno, proprio nessuno, neppure per i suoi amici. Ogni tanto però se ne ricordava, ma non rimpiangere la loro compagnia, sebbene fosse ancora molto affezionato a tutti loro, a Giacomo ed Enrico, in particolare. Gli erano tutti ancora molto cari, ma la presenza di Niki faceva impallidire e perdere importanza ad ogni ricordo, anche il più bello, rendendolo, appunto, soltanto un ricordo. I tempi dei giochi, delle scorribande con quei compagni fedeli non gli erano mai parsi tanto remoti, erano ormai una memoria dell'infanzia, dolce e lontana, e loro stessi, i Cavalieri, i compari di quelle avventure, gli parevano personaggi irrimediabilmente appartenenti al passato.
Forse, pensò, era così che si diventava grandi e, quindi, si invecchiava. Sorrise a se stesso. Ma non era giusto liquidare a quel modo i propri compagni. Gli amici crescono e cambiano assieme a chi li ama davvero. L'aveva scoperto proprio vivendo accanto a loro negli ultimi dieci anni. Se gli stessi amici andavano bene per un girotondo e una battaglia fatta con i soldatini, per un giro in giostra, per scoprire il sesso e farsi le seghe insieme, allora dovevano per forza essere adatti per crescere e diventare adulti, con quello che la vita avrebbe riservato a tutti, anche se qualcuno di loro si fosse scoperto omosessuale ed avesse chiesto a tutti di diventare amici sinceri del proprio compagno.
Questo però era difficile da pretendere, ma decise che doveva fare lo stesso qualcosa, almeno tentare, perché Niki diventasse loro amico e tutti insieme tornassero ad essere un gruppo di compari. Sarebbe stato molto bello se ci fosse riuscito, ma, per il momento, era solo un sogno. E poi, a quelli avrebbe dovuto spiegare troppe cose che non erano molto chiare neppure a lui. Ci avrebbe pensato al ritorno dall'America.
Già, l'America! Incredibile, stava per andare nel continente lontano, nel Nuovo Mondo! Mauro De Marco che non era mai andato più lontano di Roma.
Chiuse gli occhi e si sentì come Cristoforo Colombo, in partenza per le Indie. Forse avrebbe scoperto una nuova terra, assieme a Niki. Avrebbero circumnavigato il globo: la Terra del Fuoco, la Polinesia e le terre più remote. Finì per assopirsi anche lui.
Una stretta di Niki, lo strappò a quei pensieri e al sonno, riportandolo alla realtà: erano ancora mano nella mano nel taxi che correva verso quella casa che ormai era anche di Niki.
"Ti amo!" gli disse a voce bassissima, temendo seriamente che il tassista potesse sentirlo e, inorridito, li costringesse a scendere.
Erano arrivati a casa, alle nove di una mattina di novembre, luminosa di sole e piuttosto fredda. Niki aveva richiamato involontariamente la sua attenzione, ma teneva ancora gli occhi socchiusi ed era certamente molto lontano con il pensiero. Mauro lo guardò, cercando di superare la barriera che l'amico aveva alzato per difendersi in quel suo dolore, così intimo.
Quella era la prima prova alla quale sottoponevano il loro amore e Mauro sapeva che sarebbe stata un esame difficile per entrambi.
"Niki, siamo a casa, vieni, scendi."
La mamma li aspettava davanti alla porta. Conoscendola, c'era il rischio che li mandasse a scuola, e Mauro sperò, subdolamente, che Niki, con la sua faccia proprio triste, riuscisse ad impietosirla. Lei invece abbracciò subito il ragazzo.
"Come stai?" gli disse in un orecchio, Niki alzò le spalle e le ricambiò la tenerezza.
"Mamma, potremmo andare alla villotta, stamattina?"
"Certo, certo, mi sembra davvero una buona idea, anzi vi ci porto subito io, in macchina! Che ne dite?" Mauro guardò Niki aspettando che fosse l'amico a decidere.
"Grazie signora" disse lentamente.
Quella mattina, pensò Mauro, si sentiva molto di più che Niki non era italiano, che si sforzava di parlare una lingua non sua.
Poco prima delle dieci furono scaricati davanti al cancello della villotta dalla iperattiva professoressa di matematica, che aveva parlato ininterrottamente durante il viaggio ad un assonnato, così pareva, ma, come sempre, educatissimo Niki.
"Non combinate guai. Non perdete le chiavi. Non fate entrare nessuno. Non azzuffatevi. Fatevi trovare pronti e qua fuori alle dodici e mezza in punto, altrimenti tornerete a piedi. Tu cerca di non rompere anche quelle scarpe e non azzardarti a sporcare quei pantaloni" era stato un crescendo che era terminato con un acuto, dedicato ai pantaloni nuovi di Mauro, poi s'era rivolta a Niki "E tu sorridi un poco, prima che ti caschino gli angoli della bocca. Ciao ragazzi!" detto questo in un tempo di molto inferiore a quello occorrente anche solo per pensarlo, ripartì sgasando e sottoponendo la vecchia Fiat di famiglia ad una performance estrema.
Mauro scoppiò a ridere e si coprì la faccia con le mani. Anche Niki sorrise, consolando un poco il suo preoccupato amico.
Aprirono il cancello, richiudendoselo alle spalle, e s'incamminarono sul viale. Uno di buona andatura e l'altro molto più lentamente, tanto che Mauro, giunto al portone si voltò a gridargli:
"Ti va di leggere?"
Niki assentì distratto. Aperta la villa tirarono fuori due sedie a sdraio e le sistemarono, orientandole verso il sole. S'erano portati dei libri che provarono a leggere, ma Niki era troppo inquieto per fare qualunque cosa e dopo qualche minuto s'alzò.
"Mauro, fa caldo qua!" gli disse quasi protestando, perché l'aria era intiepidita dal sole che splendeva, ignaro della sua inquietudine. Si diresse verso i pini e andò a sedersi, appoggiando la spalla contro uno degli alberi.
Mauro lo seguì e Niki, guardandolo dal basso, gli tese la mano per invitarlo a sedersi. Mauro gli s'inginocchiò accanto, guardandolo fisso, gli passò il dorso della mano sulla guancia, poi si sedette vicino, gli accarezzò ancora il volto e lentamente l'attirò a sé. Lo spostò fino a farlo stendere sugli aghi di pino, con il capo appoggiato sul suo grembo. Voleva guardarlo e adorarlo, proteggerlo.
L'abbracciò, gli pose una mano sul petto e gli tenne l'altro braccio sotto il capo.
Niki si lasciò cullare. Chiuse gli occhi, come se stesse per addormentarsi, ma quando, poco dopo, li riaprì, erano pieni di lacrime. Pianse piano e quasi senza emettere suoni. Se le lacrime avessero fatto rumore, nel silenzio di quel mattino d'autunno, Mauro le avrebbe udite mentre scivolavano sulle guance di Niki e scendevano a bagnare le coste dei suoi pantaloni di velluto blu, finalmente nuovi. Li avevano comprati insieme qualche giorno prima. Niki li aveva timidamente scelti per lui.
Tutto il suo dolore si stava sciogliendo in quelle lacrime silenziose ed era stato il calore di Mauro, il suo amore, i suoi gesti affettuosi ad allentare la tensione che gli impediva di piangere. Anche Mauro era commosso e partecipava a quel dolore così privato, con tutta la sua anima. Si chinò a baciarlo sulla fronte calda. Era turbato e intenerito da quella situazione, dall'atteggiamento di abbandono che vedeva in Niki. Ebbe un brivido di commozione e si strinse a Niki ancora di più. Rimasero così, uniti per proteggersi. Mauro a cullarlo, dondolandosi e Niki piangere, fino a calmarsi.
Teneva lo sguardo fisso sul compagno, con gli occhi umidi ed arrossati dal pianto:
"Mi ha detto" le parole giunsero a Mauro in un sussurro "'Sei grande ormai e voglio che tu lo sappia: c'è un poco di pericolo per me in questa operazione, ma tu devi essere forte e non devi avere paura', e poi 'Niki, io sarò sempre orgogliosa di te e di Mauro'."
Mauro lo baciò. Questa volta sulla bocca, a lungo e con gli occhi chiusi. Si sollevò per un momento e poi tornò a baciarlo, attratto dalla sua espressione sconsolata.
Non si sarebbero mai lasciati, se ne convinceva ad ogni passo che compivano insieme.
Ed anche Niki che pure era angustiato dall'ansia per tutto quello che di brutto sarebbe potuto accadere a sua madre, riuscì a formulare lo stesso pensiero, mentre si lasciava cullare in quell'abbraccio affettuoso. Pensò che fosse giunto il momento di raccontare qualcosa del suo passato che non aveva ancora avuto modo di confidare. Mauro non conosceva ancora Stephan, se non per i molti accenni che lui gli aveva fatto. Sapeva che era stato il suo unico amico, che era stato una presenza importante nella sua infanzia. E sapeva che s'erano rivisti quell'estate dopo anni di separazione, ma certamente non immaginava che fossero stati amanti. Lui non glielo aveva ancora rivelato, perché non ne aveva avuto l'occasione e perché riteneva che quella della sua relazione con Stephan non fosse una storia da raccontare in un momento qualunque. In qualche occasione era arrivato sul punto di parlargliene, ma tutte le volte era accaduto qualcosa che li aveva distratti e lui aveva desistito.
Stephan gli aveva fatto un regalo enorme e meritava che anche Mauro l'amasse, che gli fosse sinceramente amico e non che ne fosse geloso. Solo per questo aveva atteso tanto per parlargliene ed ora che era certo del sentimento che li univa e sapeva che il loro rapporto si era divenuto più saldo, voleva che Mauro accettasse Stephan e tutto quello che rappresentava. Gli avrebbe confidato tutto, anche che, senza Stephan, forse non sarebbe riuscito ad amarlo, come l'amava ora.
"È di me che ti sei innamorato per la prima volta?" gli chiese.
"Si" ora era Mauro a mormorare.
Neppure di questo avevano ancora parlato. Quella parte della vita di Mauro era un mistero ancora che attendeva di essere svelato.
"Hai voluto bene a qualcuno prima d'incontrare me?"
"No, mai, a nessuno."
"Mai, neppure per un momento, neanche un'idea, un sogno?"
"Ho fatto tanti sogni. Ho desiderato tante persone, ma per nessuna è stato come per te. Ti desideravo già senza conoscerti. Erano tutti sogni, Niki. Non ho mai amato nessuno. No, non credo... mai nessuno. Tu sei davvero il primo."
"Anche il primo bacio?"
"Il mio primo bacio l'ho dato a te."
Per Mauro rivelargli la propria assoluta verginità fu un atto d'amore e in quei momenti si sentì in un'altra dimensione, in una vita diversa. Non era seduto sotto i suoi pini alla villotta, ma, assieme a Niki, era volato in un eden da cui mai nessuno li avrebbe scacciati. Abbracciava un ragazzo, uno come lui, e questo lo metteva in armonia con se stesso. Gli regalava una beatitudine assoluta.
"Per me no! Non è stato così" disse Niki, strappandolo a quel paradiso.
Gli occhi di Niki guardarono il cielo attraverso i rami del pino, molto più in alto. Mauro pensò che cercasse di sentirsi vicino ai genitori che, in quel momento, volavano sopra l'Atlantico, oppure che stesse pensando a qualcuno in particolare. Provò un sentimento nuovo per il misterioso oggetto dei pensieri di Niki, qualcosa che, immaginò, fosse gelosia.
Niki aveva chiuso gli occhi, il suo respiro si era fatto più veloce. Cercava le parole per parlargli di sé e di Stephan e Mauro percepì l'ansia che lui provava in quei momenti.
"C'è stato Stephan, mio cugino, in America. All'inizio l'ho amato, come ora amo te, ma lui non voleva, anzi, non poteva!"
E allora Mauro si accorse di saperlo già. Aveva compreso che Niki doveva avere accumulato in qualche modo la conoscenza che aveva mostrato quando avevano cominciato a sfiorarsi, a toccarsi. Aveva notato che, quando lui si era bloccato, Niki aveva proceduto con troppa sicurezza per essere alla sua prima esperienza. Ma, nonostante l'avesse immaginato, si scoprì ugualmente deluso dalla rivelazione e terribilmente geloso di quello sconosciuto che aveva osato amare il suo Niki prima di lui e che forse l'amava ancora.
"Mauro, Stephan non è come noi!" lo rassicurò subito, quasi leggendogli nel pensiero, e Mauro pensò che fosse accaduto proprio questo "Lui non è omosessuale, anche se ha accettato di donarmi il suo corpo. Questo, solo questo, è accaduto fra lui e me!"
Mauro notò che a Niki costava molto parlare in modo tanto esplicito, ricordare di quei momenti. Si accorse che non gli interessava, che non era più geloso, che non lo era mai stato veramente. Tentò di far tacere Niki e si chinò a baciarlo sulla bocca.
"Non m'importa..."
"Voglio che tu lo sappia. È stato questa estate. Ho dato a lui il mio primo bacio ed è con lui che ho fatto l'amore per la prima volta. Poi io sono venuto via e lui è tornato se stesso. Fortunatamente!"
S'accomodò meglio nell'abbraccio di Mauro e prese a raccontargli di sé e di Stephan, rivelandogli tutti i sentimenti che provava nei confronti di quel ragazzo sfortunato, amato solo dal nonno e da lui che era troppo lontano per sperare di aiutarlo. Gli raccontò quasi tutta la storia del suo rapporto con il cugino, da quando aveva ricordi all'ultima estate passata insieme. Di una sola cosa non parlò, non volle rivelare i particolari dei loro amplessi. Quelle sarebbero state scoperte che avrebbero fatto insieme, quando la loro intesa fosse maturata. Non voleva violare l'innocenza di Mauro con azioni che non fossero state coscientemente accettate da entrambi. Sapeva che Mauro avrebbe accolto e fatto tutto quello che lui gli avesse proposto, anche in quello stesso momento, ma voleva che quelle scelte non scaturissero soltanto dal desiderio o dalla devozione. Sperava di giungervi assieme al compagno, passo dopo passo.
"Quando ci siamo lasciati in settembre, credo che lui sia tornato se stesso ed abbia ripreso a mangiarsi con gli occhi le sue amichette e tutte le ragazzine che incontra. E spero che ora sia felice!" aggiunse, temendo davvero che non lo fosse.
"E tu sei felice?" gli chiese Mauro a voce bassa, perché era emozionato, anche se era certo della risposta e questo lo commuoveva.
"Certo! Vorrei che Stephan fosse felice come lo sono io. Ma ho paura. Lui... io credo che lui non ci riuscirà facilmente. Se solo trovasse una persona come te!"
Mauro era ormai rasserenato da tutte quelle spiegazioni e Stephan non gli appariva più come un rivale nel cuore di Niki, ma come l'alleato prezioso che aveva aiutato Niki e l'aveva guarito dalla solitudine che lo intristiva.
"Non mi importa di quello che è accaduto in America, a me importa solo di te! Adesso!"
"Volevo solo che tu lo sapessi."
"Credi che conoscerò Stephan in America?"
"Penso proprio di si. Vedrai, ti piacerà e sono certo che tu piacerai a lui. È più matto di me e te messi insieme! Diventerete amici?" Niki finalmente sorrideva.
"Oh, ne sono convinto, è assolutamente impossibile che io non riesca a fare amicizia con qualcuno!" gli rispose ridendo "E poi ci sono riuscito con te? Con te era difficile, no?"
Stettero ancora a chiacchierare, seduti sotto il pino. L'America, Boston, l'idea di poterci andare fra un mese avevano troppo solleticato la curiosità e la fantasia di Mauro, perché non ne parlasse, non gli facesse mille domande, ma erano rimasti fermi per troppo tempo ed erano intorpiditi quando s'alzarono.
Mauro desiderava solo una cosa ed era di farlo continuare a sorridere, sottrarlo per più tempo possibile ai pensieri che certamente sarebbero tornati ad intristirlo, si guardò intorno alla ricerca di un pretesto per distrarlo e, raccolti da terra degli aghi di pino, glieli infilò fulmineamente nella camicia, allargandogli il colletto e facendoli cadere dentro.
"No!" urlò Niki e lui incominciò a ridere.
Niki era rimasto sorpreso dal movimento, ma tentò subito d'infilarsi una mano da dietro per togliere gli aghi. La sola idea di averli fra i vestiti, gli provocava prurito, prima ancora di sentirlo davvero e poi, che Mauro gli avesse fatto una cosa come quella, lo faceva arrabbiare. Ma era uno scherzo e da Mauro accettava tutto, perciò, prima accennò anche lui ad un sorriso, poi si mise a ridere, scacciando finalmente dalla faccia l'espressione triste che pareva essersi incollato.
Con calma cominciò ad estrarre gli aghi. Dovette contorcersi per recuperare gli ultimi che, erano finiti all'altezza della cintola. Decise a sfilarsi camicia e maglietta dai pantaloni, per farli cadere da sotto, ma proprio allora Mauro, approfittando della distrazione, gliene infilò ancora nell'apertura del colletto.
Questo fu troppo anche per l'infinita pazienza di Niki il quale, dimenticando il prurito che già ricominciava a sentire, scattò improvvisamente verso di lui. L'afferrò per i fianchi, lo spinse, cadendogli sopra ed immobilizzandolo.
"Chiedimi perdono o ti riempio il naso e la bocca di aghi di pino" e dicendolo rideva, rendendo Mauro felice e davvero in pace con il mondo "e poi te li faccio ingoiare!"
Mauro era felice di tenerlo seduto sulla sua pancia e non gli importava di sentirsi quasi soffocare.
Niki si abbassò su di lui e avvertì un altro cuore battere contro il proprio, il fiato sulla faccia. Lo bloccava senza possibilità di movimenti, tenendogli ben ferme le mani contro il terreno.
"OK, perdono!" disse Mauro ridendo anche lui, per quanto gli era possibile, considerato che era ormai quasi senza fiato "Ti chiedo scusa e perdono, ma ora sto soffocando! Aiuto!"
"Non va bene per niente. Il tuo Niki pretende delle scuse molto più formali!"
Mauro lo guardò incuriosito. Non capiva, anche se aveva sentito, proprio sulla pancia, che Niki si era eccitato. E forse ora aveva voglia di giocare. Lui non osava sperarlo, ma sentiva l'eccitazione montargli dentro. Essere sicuramente soli, lontani da tutti, era un'occasione molto rara, ma non avrebbe mai proposto alcun gioco, non in un giorno come quello. Niki, invece, pareva aver messo per un po' da parte i suoi pensieri e sembrava essere tornato il complice che lui amava tanto.
"Sei in mio potere e le tue scuse me le renderai facendoti baciare dal sole. Ho la tua parola che non scapperai?"
Era un linguaggio oscuro che Mauro non comprendeva, ma fece ugualmente cenno di si.
Niki finalmente gli si tolse di dosso, permettendogli di respirare, poi, sempre tenendolo per i polsi, se lo tirò dietro verso i gradini di pietra che erano davanti alla villa.
"Vieni e offriti ai raggi del sole!" disse Niki con voce solenne e lui giunse infine ad immaginare come sarebbe andato il gioco.
Naturalmente trovò la cosa molto interessante, perché Niki lo fece stendere sull'ultimo largo gradino, davanti al portone della villa. Era una piattaforma di lastre di pietra annerite dal muschio e intiepidite dal sole che le aveva riscaldate per tutta la mattinata. Gli si inginocchiò accanto e, senza più parlare, cominciò lentamente a svestirlo. Prima sollevò maglione e camicia, poi sbottonò i pantaloni che abbassò fino alle caviglie, scoprendo le gambe, infine alzò la maglietta di cotone che Mauro portava sotto la camicia. Reagendo all'aria fredda, la pelle del torace si increspò, inturgidendo i capezzoli. Niki lasciò correre le mani sul corpo che in quel momento era caldissimo contro le sue mani gelide per l'aria fredda e l'emozione. Sfilò lentamente gli slip, scoprendo il sesso duro come le pietre sulle quali era disteso.
Con le mani sotto la testa, Mauro era in attesa, in eccitata attesa di scoprire come sarebbe continuato il gioco. Sulla pancia sentiva l'aria fredda che gli increspava la pelle e con il dorso si godeva il calore delizioso che saliva dalle lastre di pietra su cui era adagiato.
Niki sfiorò con le labbra la punta del sesso, l'accarezzò, lo impugnò come fosse uno scettro, il simbolo del suo regno, e lo lavorò fino a portarlo vicino a godere. Quando sentì che mormorava di piacere, si fermò, Mauro aprì gli occhi per chiedergli la ragione di quella crudeltà.
"No, non ora. Non è ancora il momento. Aspetta!"
Così dicendo, velocemente si spogliò anche lui e si stese sopra, facendo combaciare i sessi. Cominciarono a muoversi uno contro l'altro e non passò molto che Mauro non poté più controllarsi e fu travolto dal piacere. Niki continuò, strofinandosi con voluttà sulla pancia bagnata, viscida per il seme che si era appena sparso e godette subito dopo con un sospiro.
Allora Mauro l'abbracciò stretto.
L'istinto gli suggerì che in quel momento Niki avrebbe avuto bisogno di conforto e così fu. Lo sentì gemere e lo protesse, lo strinse a sé, fino a fargli male, fino a che non capì che il pianto si era placato e per il momento Niki aveva lenito il dolore e l'ansia che aveva dentro.
"Mi dispiace. Sono uno stupido. Mi sto comportando come un bambino" mormorò, con gli occhi ancora pieni di lacrime e le guance bagnate "Mi dispiace!"
Mauro lo zittì con un bacio, poi un altro ancora e, mentre lo baciava e l'accarezzava, gli diceva parole che lo consolavano.
"Non sei un bambino, sei soltanto il mio cucciolo e con me puoi piangere tutte le volte che vuoi e non dovrai mai chiedermi scusa. Mai!" gli mormorava "Non sei più solo, amore mio. Sei con me ed io ti voglio bene! Non piangere più adesso. Ti prego!"
Le carezze di Mauro riuscirono a rasserenarlo.
"Dai, rivestiamoci, qua fa freddo e tu hai il culetto gelato!" e, mentre continuava ad accarezzarlo, gli dette una sculacciata leggera "A proposito, lo sai che non l'ho mai visto alla luce del sole? Dai fammelo vedere! Ti prego! Ti prego! Ti prego!"
Niki era tornato a sorridere, era quasi spensierato. S'alzò e si voltò con grazia, mostrando a Mauro che era ancora seduto per terra uno spettacolo che il ragazzo ritenne incomparabile. Mentre sentiva la sua eccitazione montare un'altra volta, si alzò, si avvicinò a Niki e lo accarezzò sulle natiche rotonde e perfette. Fece scorrere la mano lungo il solco e fra le gambe fino a toccare il retro del sacco, allora riportò la mano verso la schiena sfiorando involontariamente la bocca delicata e dando a Niki una deliziosa sensazione di piacere. Quindi lo baciò sulla nuca.
"Copriti fa freddo!" e gli dette un colpo leggero sulle natiche gelate.
"E io? Neanche io t'ho mai visto bene."
Fu la volta di Mauro a voltarsi e lo fece con altrettanta grazia, mostrandogli il sedere vigoroso, che era forse più maturo, con i glutei sodi separati dal solco diritto. Là in mezzo, parve a Niki, fosse racchiuso il più dolce e nascosto dei segreti. Decise di essere ardito, si abbassò fin quasi ad inginocchiarsi, allargò le natiche fino a che il sole non arrivò ad illuminare la fessura rosa. In quel momento Niki percepì un moto di disagio in Mauro il quale forse non s'aspettava quell'esplorazione. Allora si rialzò e lo baciò sul collo:
"Va tutto bene?" gli mormorò nell'orecchio.
"Si" Mauro si voltò sorridendo e Niki fu contento d'essersi sbagliato "e a te come va, ti senti meglio?"
"Si. Adesso si. Ci voleva proprio!" concluse Niki rabbrividendo, perché si rese conto di essere nudo "Ho freddo!"
Si rivestirono e se ne tornarono ai libri che però abbandonarono subito, perché a Niki era venuta voglia di tirare qualche calcio al pallone. Lo fecero fino a stancarsi e non fu ora di andare fuori ad aspettare che la mamma passasse a prenderli. Se non li avesse trovati, spiegò Mauro, c'era davvero il rischio che li lasciasse là. L'aveva già fatto qualche volta.
Mauro, però, non aveva detto qualcosa che aveva pensato e così, fedele all'impegno di essere sempre sincero con lui, gliene parlò, mentre aspettavano la mamma:
"Niki, dopo che abbiamo fatto l'amore, ti ho chiesto di lasciarti guardare... e quando mi sono voltato io, tu stavi per fare qualcosa, poi ti sei fermato e mi hai chiesto se andava tutto bene, e per me andava veramente tutto bene. Ma, Niki... era una cosa che facevi con Stephan, non è vero?"
"Si! E se vorrai potremo farla insieme."
"Si, la faremo. Me l'insegnerai? Non è vero?"
"Sono convinto che diventerai più bravo di me!" e tacque con fare misterioso.
Erano sul muretto a secco davanti al cancello della villotta, Mauro aveva il braccio attorno alle spalle di Niki, che era seduto più in basso di lui. Gli sfiorava i capelli con le labbra, lo stringeva, lo proteggeva.
La mamma li trovò così, qualche minuto dopo, ma non fece caso sulle prime al fatto che erano abbracciati, né i ragazzi si ricomposero vedendola arrivare.
Quando, durante il tragitto in auto, le tornò in mente quella scena, ripensò a tutti gli sguardi che aveva colto negli occhi di suo figlio e poi pensò a quello che le aveva detto suo marito. Si chiese ancora se poteva fare qualcosa, se c'era qualcosa di sbagliato. Le risposte che si diede furono tutte negative e decise d'aspettare per capirne di più, anche se quei due le parevano solo candidamente innamorati, nulla di più o nulla di meno. Perciò, con un certo rimpianto, per il momento scartò l'idea che ci fosse una qualche Roberta da sperare di conoscere. Tutti i cambiamenti occorsi in suo figlio negli ultimi tempi avevano ormai una spiegazione piuttosto chiara.
Si sorprese per aver fatto pensieri, così insoliti per la madre di un quindicenne, anche se lei e suo marito si erano sempre considerati evoluti per il modo con cui avevano educato i propri figli. Si chiese anche se tutto questo non eccedesse il loro concetto di educazione liberale. Si convinse subito, però, che la felicità di Mauro sarebbe stata molto condizionata dalla loro reazione. Se davvero tenevano a quel ragazzo, e l'amavano più degli altri figli, da parte loro non poteva venire altro che tanta attenzione e comprensione. E la serenità di quel figlio prediletto era la cosa più rilevante, l'unica che avesse importanza.
Quello che la sorprendeva in questa situazione, era il fatto di non riuscire a rammaricarsene quanto avrebbe immaginato. Essere certa che il figlio prediletto avesse preso una seria sbandata per il suo compagno di banco, avrebbe gettato nella disperazione molte, forse tutte le mamme di sua conoscenza. Lei, in quel momento, non ebbe altra reazione che pensare a quanto le sarebbero mancati i futuri ipotetici nipotini, a quanto avrebbe potuto amare i figli di quel figlio adorato. Ma, si disse, se proprio avesse voluto dei nipoti, glieli avrebbero dati Sergio e Michele. L'importante, ora, era che Mauro fosse felice e le pareva che questo si stesse verificando nel modo più completo.
Nell'auto, contrariamente al viaggio di andata, erano stranamente tutti in silenzio, ciascuno immerso nei propri pensieri. La mamma a meditare sull'amore nuovo e insolito di suo figlio. Niki era tornato con la mente ad un aereo forse già in volo sull'Atlantico, mentre Mauro, più prosaicamente, cercava di ignorare, senza molto successo, l'erezione che Niki gli aveva procurato con quell'accenno a tutti i nuovi giochi che doveva ancora imparare.
La loro prima notte in casa di Mauro fu memorabile, ma non nel senso in cui i ragazzi si sarebbero aspettati.
Poco prima che fosse ora di dormire era arrivata la telefonata da Boston e con Niki, oltre a suo padre e ad Arleen, avevano parlato il nonno ed anche Stephan il quale si era impossessato del telefono per raccontare che si era trovato una ragazza e che l'amava pazzamente. Niki allora buttò lì che anche lui aveva qualche novità. Non gli disse di più, aspettandosi che Stephan si incuriosisse, ma il cugino non parve accorgersi di quella confidenza. In ogni caso, la telefonata lo rasserenò parecchio e dopo cena fece un'accurata visita alla biblioteca-museo di casa.
Il papà di Mauro apprezzò subito la buona cultura e la curiosità intellettuale del suo ospite.
"Tu sei uguale a Mauro. Sono convinto che la vostra amicizia sia destinata a durare. Due come voi non potevano non incontrarsi ed essere tanto amici."
'E tu, papà, non sai quanto già lo siamo' pensò Mauro dando una spallata a Niki che ascoltava compassato. Poi valutò meglio l'espressione di suo padre e si rese conto che il 'vecchissimo', come lo chiamava quando voleva prenderlo in giro, lo sapeva benissimo. Anzi, come al solito, di quella storia ne sapeva molto più di quanto ne sapesse lui che, entusiasta com'era, stentava ancora a raccapezzarsi.
I ragazzi se ne andarono a leggere nella loro camera che, per un colpo di fortuna, era tutta a loro disposizione. Sergio era impegnato fuori città nel servizio civile e Michele dormiva in casa di una vecchia zia per farle compagnia durante il ricovero in ospedale del marito. In un momento diverso, il compito d'andare a dormire dalla zia sarebbe stato affidato a Mauro, ma data la presenza di Niki, dalla parente c'era stato spedito Michele che aveva brontolato parecchio per questo cambiamento di programma.
Michele era anche tornato ad insinuare, fortunatamente scherzando, che Niki fosse omosessuale. Ridendo aveva anche raccomandato a Mauro di fare molta attenzione, perché dormire con un 'finocchio' nella stessa stanza poteva essere pericoloso. Era stata solo una battuta detta con noncuranza, ma ascoltata da Mauro con molto maggiore coinvolgimento dell'altra volta. Quello fu un motivo in più che ebbe per parlarne con i genitori. Ormai aveva deciso, doveva farlo al più presto. La sua famiglia doveva conoscere e possibilmente accettare la sua scelta.
E se non fosse stato come sperava?
Preferiva non pensare ad una simile eventualità. Non subito almeno, e non quella sera.
Offrì al compagno la scelta del letto. Niki scelse di dormire sul più alto, quello perpendicolare agli altri, mentre Mauro si sistemò subito sotto di lui, in modo che le loro teste fossero vicine e potessero parlarsi.
Cominciavano già a spogliarsi per andare a letto, quando Niki, al momento di togliersi i pantaloni, disse con la sua voce più seria:
"Girati. Devo cambiarmi."
"E perché?" chiese Mauro, sorpreso e un po' incredulo.
"Se tu guardi, io mi eccito."
"E allora? "Mauro era ancora perplesso, non capendo dove Niki volesse arrivare.
"E non ce la faccio ad aspettare che dormano tutti!"
Niki cominciò a ridere, ma non si aspettava la reazione fulminea di Mauro che lo afferrò per i fianchi. Fattolo piegare, gli tirò giù i pantaloni e gli assestò un sonoro sculaccione. Non ce la facevano più a fermarsi. Risero fino alle lacrime, perché Niki aveva cominciato a fare il solletico a Mauro sapendo che così l'amico sarebbe caduto ai suoi piedi.
Quando si calmarono avevano il mal di pancia dal troppo ridere e Mauro era contentissimo per averlo fatto finalmente distrarre. Però, come spesso accadeva a Niki in quei giorni, le occasioni di divertimento erano seguite da momenti di tristezza e il ragazzo vi cadde non appena la sua risata si fu calmata. A testa bassa e con gli occhi già socchiusi, indossò il pigiama e si arrampicò fino al suo letto. Senza più dire neanche una parola, si voltò contro il muro e lasciò il compagno da solo al centro della stanza.
Anche Mauro si sistemò in silenzio nel proprio letto. Aveva il cuore pieno di tristezza, ma non ce la fece a stare zitto e mormorò un 'buonanotte'.
"Anche a te" gli rispose Niki, con una voce lontana e tristissima.
Le lenzuola erano un po' fredde e Mauro si rannicchiò, cercando di conservare il calore del corpo. Coricato su un fianco, con un braccio sotto il cuscino assunse istintivamente la posizione che in pochi secondi l'avrebbe fatto addormentare. Era accaduto così ogni notte, da quando poteva ricordare, ma quella volta non fu così. Quella sera non prendeva sonno, perché aveva vissuto una giornata lunga ed eccitante che era giunta al termine delle quattro settimane più esaltanti della sua vita. In quel mese la sua esistenza era diventata semplicemente emozionante. Stava vivendo un sogno impossibile anche solo ad immaginarsi prima che tutto accadesse grazie a quel ragazzino biondo che era nel letto un po' più in alto.
Ogni tanto lo sentiva muoversi. Certamente Niki non dormiva ancora, vegliava anche lui, ma con chissà quali pensieri per la testa. Riusciva un po' ad immaginarli e compianse la tristezza, l'ansia, il dolore che il compagno stava provando.
S'accorse di volere per sé almeno un po' di quel dolore, se solo fosse stato possibile. Perché l'amava tanto. Amava Niki che l'aveva liberato di tutti i dubbi che lo tormentavano e l'aveva reso capace di guardarsi dentro, finalmente di capirsi. Di sé sapeva molto di più ora di quanto non sapesse qualche giorno prima, era cresciuto molto in quel mese, da quel pomeriggio alla villotta. Immaginava e temeva di dover aspettare per tuta la vita una donna avvolta in vesti bianche, una fanciulla che apparisse fra cortine di fumo, tanto seducente da farlo innamorare. Come era lontano quel sogno, ora che vicino, poco più in alto, riposava il suo compagno bellissimo, amabile, dolce, innamorato di lui, con la stessa forza e lo stesso amore. Poi, il dubbio che entrambi fossero troppo giovani, troppo bambini per pensare a cose così grandi, tornò ad affacciarsi alla sua mente e travolse tutti quei pensieri affascinanti.
Come potevano parlare di amore per tutta la vita, arrivare a promettersi fedeltà e tutto quello che tante volte si erano ripetuti? Come potevano anche solo pretendere di riconoscere l'amore? Loro due non ne sapevano nulla. E se non fosse stato amore? Se fosse stata solo un'infatuazione, un gioco bellissimo, ma solo un gioco e nient'altro? Se, una volta passata l'eccitazione, finite le scoperte sui modi d'amarsi, e lui sapeva di avere ancora tanto da scoprire, se dopo tutto questo, fosse arrivata la noia, l'indifferenza? Se avessero scoperto che l'amore senza fine, invece, stava finendo? E se, peggio, un giorno, uno solo di loro due si fosse accorto di non essere realmente innamorato, che ne sarebbe stato dell'altro, di quello ancora innamorato?
Gli venne voglia di piangere.
Se fosse toccato a lui di essere abbandonato? Non riusciva ad immaginarlo, ma la sofferenza che, intuiva, avrebbe potuto derivare da quella delusione sarebbe stata troppo grande da sopportare. Per questo sperò fortemente che, se una disillusione doveva esserci nel loro futuro, toccasse a lui per risparmiare, ad ogni costo, altre sofferenze a Niki. Questi pensieri affettuosi, ingenui, eroici ed anche un po' inquietanti, l'allontanarono ulteriormente dal sonno che per quella notte, gli parve, non volesse proprio accoglierlo fra le sue braccia.
Allora tese le orecchie e, nel silenzio quasi assoluto della casa, colse qualche rumore sommesso. Gli fu facile indovinare cosa stessero facendo i suoi genitori. Erano ancora svegli. Il papà continuava a leggere e prendeva appunti per un libro che non avrebbe mai scritto e la mamma, vicina a lui, ogni tanto lo guardava, fingendo di lavorare a maglia o di leggere il suo romanzo. Li aveva colti spesso così, a guardarsi come due ragazzini innamorati. Quel pensiero l'intenerì e lo confortò, il papà e la mamma si amavano tanto. Ed era così da quando avevano quindici anni, proprio com'erano lui e Niki. Nel suo cervello qualcosa gli suggerì che i suoi genitori non avevano avuto contro la società, non avevano dovuto subire l'ostilità dei loro amici, né avevano tentato di sovvertire tutti gli schemi precostituiti, di rivoluzionare i ruoli e distruggere la famiglia. Si rese conto d'essere diventato troppo drammatico e di stare ripetendo quello che, qualche mese prima, suo padre gli aveva riferito a proposito della posizione della chiesa sull'omosessualità. L'avevano commentata insieme.
"Sono perplesso quando sento assumere posizioni così estreme da una chiesa che si professa universale. Anche se" aveva detto suo padre "la storia dovrebbe metterci in guardia. Tu, comunque, cerca almeno di star lontano dai preti" e avevano riso insieme, perché Mauro stava vivendo il suo periodo di pia devozione religiosa, ma era già molto attento a tutto quello che riguardava quel particolare aspetto della sua personalità.
Con un moto d'affetto verso suo padre, pensò a come gli insegnamenti di quell'uomo rasentassero spesso lo scetticismo.
I suoi genitori, però, si amavano ancora, dopo tanti anni, esattamente come il primo giorno. E se era così per la mamma e il papà, poteva accadere anche a loro due. Decise che poteva accadere anche a lui e a Niki, a loro due. Essere in due. Com'era bello poterlo pensare, dire.
Si sentì intenerire al pensiero di Niki e con quel pensiero, quasi senza accorgersene, riuscì ad addormentarsi, ma dopo qualche minuto, improvvisamente, tornò sveglio. Aveva sentito un rumore, forse Niki s'era mosso. Aprì gli occhi e se lo trovò in piedi davanti al letto.
Si guardarono.
"Mauro!"
"Non riesci a dormire?"
"Potrei stare con te, per un poco, nel tuo letto? Mi fai entrare?" bisbigliò.
Mauro si spostò per fargli spazio e lo accolse sotto le coperte. L'attirò a sé.
"Amore mio" si sentì mormorare, poi lo strinse come se volesse cullarlo.
Niki chiuse gli occhi e lentamente rispose alle sue carezze, stringendosi a lui. I loro corpi aderirono, adattandosi uno alla posizione dell'altro, entrambi voltati su un fianco. Niki lasciò che Mauro lo cullasse dolcemente e si abbandonò in quell'abbraccio, riuscendo finalmente a liberare la mente da tutti i pensieri orribili che in quelle ore l'avevano attraversata. Non era riuscito a pensare ad altro, vedeva davanti a sé, lontano e al tempo stesso incombente, un evento, l'operazione chirurgica della mamma, che avrebbe potuto sconvolgere la sua vita. In fondo a quell'attesa, c'era la speranza di una vita migliore. Erano quindici giorni, soltanto due settimane di ansia, ma per un ragazzo della sua età, quel tempo era troppo lungo perché potesse sopportarlo da solo.
Nel buio le loro bocche si sfiorarono. Si baciarono piano nel tepore del letto, Niki l'accarezzò sulla spalla, avvicinandosi di più. Aveva avuto l'impulso di toccarlo, il suo corpo gli comunicava il proprio desiderio e sentiva che Mauro stava provando le stesse sensazioni, ma provava stranamente vergogna per quell'eccitazione. E anche Mauro era imbarazzato, perché se ne stava immobile. Poi fu lui a farsi coraggio. Riprese ad accarezzarlo, con le mani scese fino alla cintola e gli abbassò i pantaloni del pigiama. Fece lo stesso con i suoi. I sessi si sfiorarono, infilò il suo fra le gambe di Mauro e si mosse per ricevere quello del compagno fra le sue. Cominciò a muoversi, stringendo il pene di Mauro, mostrandogli come fare, Mauro allora coordinò i suoi movimenti e subito il sudore e l'umidità di quei posti segreti aumentarono l'eccitazione, fino a che raggiunsero il piacere. Poi, abbracciati e bagnati, si baciarono e, senza dirsi altre parole, riuscirono finalmente ad addormentarsi.
Niki ebbe un sonno agitato e si svegliò durante la notte. Quasi subito si erano sciolti dall'abbraccio ed ora Mauro era profondamente addormentato, disteso accanto a lui, nello stesso letto. Avevano assunto istintivamente delle posizioni complementari, Mauro gli appoggiava il capo sulla spalla e con una mano gli stringeva ancora il fianco. Niki lo accarezzò. Sentiva su di sé l'umidità del seme lasciatogli dal compagno e provava ancora la sensazione del suo pene fra le gambe. Pensò a Stephan che adesso aveva la ragazza, chissà se Stephan si serviva dell'esperienza che avevano accumulato insieme durante l'estate, come stava facendo lui con Mauro.
Mauro si mosse nel sonno, quasi reclamasse su di sé l'attenzione e tutti i pensieri.
Aveva ragione, era il suo fidanzato, loro due si amavano davvero.
Quando si era scoperto gay, non aveva dovuto combattere contro le difficoltà e i timori che aveva incontrato Mauro. Aveva capito di esserlo e questo era stato tutto. Per Mauro era diverso e molto più complicato, perché viveva in un mondo popolato da tante persone, amici, parenti, cui avrebbe presto dovuto dare conto in qualche modo di quella situazione insolita. Lui, invece, dopo averlo accettato per sé, aveva dovuto spiegarlo soltanto ai suoi genitori. E il nonno, quando la mamma gliene aveva parlato, perché lui non aveva trovato il coraggio di rivelarglielo, l'aveva abbracciato stretto. Parlarne a Stephan era stato molto più facile. Il cugino l'amava in un modo così profondo che l'aveva aiutato fino a donargli tutto se stesso. Lui aveva soltanto quelle quattro persone. Mauro, dopo aver tanto lottato con se stesso, doveva vedersela con la sua famiglia e con tutti quelli che affollavano il suo mondo. Ma gli sarebbe stato vicino, l'avrebbe aiutato e protetto, proprio come Mauro stava aveva fatto in quei giorni con lui.
Nel letto, in due, faceva un po' caldo e Mauro, nel sonno, spostò le coperte fino a scoprirsi.
Non poté fare a meno di guardarlo. La luce fioca, proveniente dalla finestra, permetteva di distinguere il corpo quasi nudo di Mauro, il suo ventre, il sesso ormai morbido, adagiato su una gamba, l'aureola scura che lo contornava. Provò un'emozione intensa, l'amava, l'aveva subito amato in modo assoluto, ma in quel momento si accorse di provare amore esclusivamente per quel corpo e non per la persona cui apparteneva. Si chiese se potesse accadere davvero di adorare una forma e di desiderarla, perché il suo compagno dormiva profondamente e non era niente più che un corpo. Si spostò, piegandosi, fino a sfiorare con le labbra il pene di Mauro. Si inebriò dell'odore che emanava da quel grembo. Poi sentì in bocca la carne, dapprima molle, indurirsi lentamente e percepì il sangue affluire ad ogni battito del cuore di Mauro. Ne saggiò la consistenza stringendolo leggermente tra i denti. Insinuò la lingua sotto la pelle che ricopriva il glande e lo strinse contro il palato. Mauro rispose a quelle sollecitazioni, si mosse e nel sonno mormorò qualcosa.
Niki si raddrizzò immediatamente, per paura che qualcuno potesse sentirli o entrare nella stanza. Si risistemò nel letto, coprendo se stesso e il compagno, ma era ancora turbato dall'emozione che aveva appena provato, sentiva il cuore battergli nel petto con violenza. Lentamente si calmò, rannicchiandosi contro Mauro, addormentandosi fra le sue braccia.
Quella fu la prima volta in cui dormirono abbracciati nello stesso letto, vivendo anche nel sonno l'intesa che da svegli già li rendeva una persona sola.
Entrando nella camera, quella mattina, la mamma li trovò ancora uno fra le braccia dell'altro. Si fermò a guardarli e si chiese, per l'ultima volta, se ci fosse qualcosa di sbagliato in quell'abbraccio. Si disse che non vi era nulla, assolutamente nulla, per cui dovesse intervenire: avrebbe atteso che Mauro gliene parlasse. Sapeva che lui aspettava soltanto l'occasione per farlo e allora si sarebbe solo accertata che suo figlio fosse pienamente convinto della sua scelta, che non fosse stato circuito dalla maggiore maturità di Niki. Mentre formulava quest'ultima idea, gli occhi le caddero sulla faccia di Niki, triste anche mentre dormiva, e si rimproverò per il pensiero che aveva fatto.
Uscì dalla stanza senza svegliarli e li chiamò da fuori.
Nei giorni seguenti Niki divenne sempre più malinconico e Mauro, che lo guardava in ogni momento, notò che qualche volta aveva gli occhi lucidi di pianto. Provò in ogni modo a distrarlo, anche a consolarlo, spesso, però, i suoi tentativi peggioravano la situazione, innervosendolo ancor di più. Passarono così due settimane difficili per Niki e furono giorni molto impegnativi anche per Mauro che sentì gravare su di sé l'angoscia e il nervosismo del compagno.
Ogni sera, Niki attendeva la telefonata di suo padre dall'America. La chiamata arrivava sempre attorno alle dieci, ma l'attesa davanti al telefono cominciava almeno un'ora prima. A parlare era sempre il papà, qualche volta aveva chiamato il nonno, una sera chiamò Stephan e fu allora che Niki pianse.
Mauro rimase impietrito. Non s'aspettava che Niki potesse tradirlo così. Aveva pianto con Stephan, aveva aspettato di parlare con il cugino per potersi sfogare, mentre, proprio quel giorno, a lui non aveva rivolto che poche parole, rispondendogli quasi sempre a monosillabi. Con Stephan, invece, aveva bisbigliato per più di un quarto d'ora.
Lui l'aveva capito subito. Era con quello che parlava, perché Niki aveva abbassato la voce e s'era un po' voltato, quasi ad evitare che ascoltasse il loro parlottare in inglese. E anche se avesse sentito qualcosa, non ci avrebbe capito comunque nulla.
Provò un senso di nausea e, mormorata la 'buonanotte' ai genitori, se ne andò nel tunnel, chiudendosi la porta alle spalle.
Anche Niki, appena posato il telefono, quasi scappò a rifugiarsi nella camera. Quando entrò, vide che Mauro era già nel letto, nascosto sotto le coperte, voltato contro il muro.
Niki era terribilmente triste, pensò che Mauro dormisse, che, ormai stanco, non l'avesse aspettato, come faceva sempre, per dargli l'ultimo bacio prima di addormentarsi. E questo lo intristì ancora di più.
Si spogliò lentamente anche lui.
Mauro invece, fissava il muro e fremeva di rabbia. Non ce la fece più a stare fermo, saltò fuori dal letto e si piantò davanti a Niki. Se avesse avuto il controllo di sé, avrebbe compreso, da come Niki lo guardava, che il compagno era spaventato, sconvolto dalla telefonata.
"Con Stephan hai pianto e con me non parli più! Che ti ho fatto io? Gli vuoi ancora bene, non è vero?" e mormorando quelle parole avrebbe voluto piangere, perché Niki lo vedesse soffrire, ma già facendo quei pensieri e dicendo quelle parole, comprendeva quanto fosse puerile il suo comportamento.
Non era riuscito a tacere, era turbato da tutta la tensione che stavano vivendo ed ora scaricava su Niki l'ansia ed il nervosismo accumulati in quei giorni così difficili.
Niki, così gli era parso mentre si lasciava sopraffare dalla gelosia, si sottraeva a lui per nostalgia di Stephan. Era un'idea assurda e lo comprese nel momento stesso in cui gli gridava la sua rabbia. E lo fissò con tale intensità che il suo cipiglio spaventò Niki. Poi cominciò a tremare, tanta era l'angoscia che aveva dentro. Aveva perduto il suo equilibrio e stava vivendo una delle sue rare crisi.
Niki lo conosceva da poco tempo, ma l'aveva compreso così a fondo e lo amava tanto che, pur essendo anche lui spossato dall'ansia, turbato da quella reazione, invece di offendersi, l'abbracciò stretto, gli prese il capo e se lo poggiò sulla spalla.
"Io voglio bene solo a te! Amo solo te. Con Stephan ho pianto, perché mi ha confidato una cosa. Era lui che aveva voglia di parlarmi, che voleva sfogarsi, non io. Mi ha raccontato che i suoi genitori se ne sono andati. Suo padre sta con un'altra e la madre non si sa più dove sia. Pensa, Mauro, sono quasi sei mesi che non dà più notizie di sé. Lui ha finalmente trovato il coraggio di dirmelo, perché si vergognava tanto per loro e ha cominciato a piangere, mi sembrava disperato. Ha detto che non ne poteva più, che voleva morire!
"Ha detto a mio padre che avrebbe telefonato in Italia per darmi notizie di mamma, e lei sta bene. Ma ha fatto così soltanto perché voleva confidarsi. Lui non ha nessuno. Proprio nessuno! E forse voleva dirmi qualcosa ed io, invece d'aiutarlo e consolarlo, mi sono messo a piangere. E adesso ho fatto arrabbiare anche te. Perdonami se ti ho fatto soffrire, se ti ho trascurato, io non volevo. Non immaginavo neppure che tu potessi essere geloso di me e di lui, ma Stephan non ha uno come te. È proprio solo."
Mauro aveva cercato più volte di interromperlo. Si mosse, fece per dire qualcosa, ma Niki lo accarezzò per farlo tacere.
Stettero ancora così, al centro della stanza, finché Mauro non si sciolse dall'abbraccio. Si vergognava terribilmente, anche se provava un gran sollievo, perché Niki l'aveva rassicurato. Era accaduto soltanto perché erano nervosi, ora lo sapeva. Niki non si era comportato così per indifferenza o disamore. Povero Niki, povero Stephan! Ma adesso era tutto a posto, tutto come prima. Gli si riavvicinò e senza parlare lo baciò ancora, Niki lo strinse:
"Lo vedi? Abbiamo quasi bisticciato. È la nostra prima lite. Mi perdoni se ti ho trascurato?"
"Si!"
"Mi vuoi ancora bene?"
"Si... Niki, mi dispiace per Stephan."
Anche quella notte dormirono nello stesso letto, ma si abbracciarono più stretti, perché volevano proteggersi.
L'operazione era stata programmata per la metà di dicembre e quel giorno finalmente arrivò, con sollievo e terrore di tutti.
I medici avevano sconsigliato ad Arleen di emozionarsi, di ricevere telefonate, almeno nei giorni precedenti l'operazione. Lei, però, voleva parlare con suo figlio e il pomeriggio precedente l'operazione, quando in Italia erano quasi le dieci di sera, chiamò. Rispose proprio Niki che a quell'ora attendeva la telefonata di suo padre. La voce dall'altro capo del filo bloccò il ragazzo che trovò subito un sangue freddo che non sapeva d'avere. Parlò con sua madre con voce calma, anche se aveva gli occhi pieni di lacrime.
"Vorrei che tu fossi qua ad abbracciarmi... certo... fai presto a guarire."
Mauro comprese quello che stava accadendo e si avvicinò, lo prese per le spalle.
"No, che non ti ho dimenticato..." Mauro comprendeva solo qualche parola di quello che Niki diceva alla mamma "devi solo star calma... L'operazione è fissata per domani?... Si, papà me l'ha detto... Ti voglio bene anch'io... Si, tra una settimana esatta. Mauro..." e, nel pronunciarne il nome, Niki gli si strinse di più "sta preparando i bagagli... Per prima cosa da te. Dall'aeroporto all'ospedale, certo... Lo so che è là vicino... Mamma adesso è meglio che riattacchi, perché deve chiamare papà... Si, noi ti vogliamo bene... La saluterò per te... Mauro? È qua. Te lo passo."
"Sono Mauro..." era un po' confuso da quella situazione particolare.
"Niki sta bene?" riuscì a dire Arleen.
Mauro sentì che era commossa e questo lo turbò moltissimo, ma le rispose con la sua voce normale: "Molto bene, signora. Sono stato... attento!"
In quella difficile rappresentazione di sentimenti, fu costretto a reggere una finzione più grande di lui, ma la resse bene. Si ritrovò ad essere il tramite fra Niki che non voleva far sapere a sua madre quanto fosse sconvolto dalla telefonata e Arleen che con suo figlio aveva finto un po' di tranquillità, ma con lui s'era lasciata prendere dalla commozione. Uscì egregiamente dalla situazione, lasciando a ciascuno l'impressione che l'altro voleva dare.
"Mamma.... a fra poco" riuscì a dire Niki, riprendendo il ricevitore, poi rimase a guardare bloccato, con gli occhi fissi nel vuoto.
Mauro glielo tolse dalle mani e lo ripose. Non riuscì a trovare nulla che potesse dire in quel momento, allora gli mise un braccio sulle spalle, quasi per dargli una pacca affettuosa, ma avrebbe voluto attirarlo a sé, baciarlo, confortarlo. Non poteva fare niente del genere, perché c'erano i suoi genitori. Gli venne da piangere. Niki era tanto triste e lui non poteva neppure stringerlo e consolarlo come avrebbe voluto.
Se ne andarono nel tunnel ad aspettare l'altra telefonata. Per quella sera non avevano ancora finito, doveva chiamare anche il papà. E infatti l'apparecchio squillò qualche minuto dopo. Niki resse anche quella prova, poi, una volta riattaccato, si appoggiò al muro. Era stordito, disorientato.
"Oggi è giorno di bagno per me. Ti va di lavarti? Vieni anche tu?"
Forse aveva trovato il modo per distoglierlo dai suoi pensieri. Qualunque cosa sarebbe andata bene e questa gli sembrava una buona idea. Senza aspettare risposta, lo prese per un braccio e se lo tirò dietro. Era la prima volta che facevano la doccia insieme. Sebbene qualche volta l'avessero pensato, non si erano mai infilati insieme nel bagno, per imbarazzo verso i genitori. Quella sera, però, era diverso.
Chiuse la porta e cominciò a spogliarlo. Niki lo lasciò fare, assecondando i movimenti. Era molto lontano con la mente e i suoi occhi parevano persi dietro una pena che Mauro non poteva condividere.
L'impossibilità di prendere parte, in qualche modo, a quel dolore così particolare, il senso d'impotenza che tutto questo generava in lui, lo rattristò. Se proprio non poteva condividere quell'angoscia, era ben deciso ad alleviarla.
Quando ebbe finito di spogliarlo, si fermò a guardarlo. Non gli era mai parso tanto indifeso, come in quel momento. Sentì il cuore scoppiargli: l'amava. Amava lui e nessun altro e per nessuno sarebbe stato così. Mai!
Si spogliò velocemente, lo spinse nella cabina, entrò anche lui, girò i rubinetti precipitosamente, tentando di miscelare l'acqua.
"Va bene così? È gelata?"
Il getto d'acqua cadde freddo per qualche secondo, facendoli rabbrividire, poi diventò troppo calda. Finalmente riuscì a regolare la temperatura, rendendola tiepida. Allora prese ad insaponarlo, l'accarezzò, fece correre le mani lungo il corpo che ormai toccava come fosse il proprio, le passò sui capelli setosi che bagnandosi si erano attaccati alla fronte, sul volto che amava, sul collo e le spalle e fino al ventre. Poi, più giù, le mani accarezzarono le cosce, risalendo fino alle ascelle. Ridiscesero alla rotondità simmetrica delle natiche e non poterono fermarsi, andarono a cercare la sensazione della loro prima volta.
Avevano reagito insieme a quelle carezze, eccitandosi.
Niki finalmente si scosse e gli prese il sapone dalle mani. L'emozione di essere accanto all'innamorato di sentirsi accarezzare era stata più forte delle ansie che quella sera gli avevano confuso la mente. Chiuse gli occhi, li riaprì e concentrò tutti i pensieri sul suo compagno, che era nudo accanto a lui. Percorse su quell'altro corpo lo stesso cammino che le mani di Mauro avevano seguito sul suo.
Poi si fermò, perché si guardassero. Si abbracciarono stretti e incominciarono a muoversi sempre più velocemente, fino a godere. Niki emise un lungo sospiro. Mauro lo strinse a sé, abbracciandolo, baciandolo, coprendolo, proteggendolo dall'acqua che cadeva e da tutto ciò che li circondava, dal mondo e dalla vita che li stava provando. Attese, ascoltò il suo cuore, l'udì calmarsi. Niki sospirò. Tenevano gli occhi chiusi, se ne stettero con il capo appoggiato sulla spalla dell'altro.
Lo tirò fuori dalla doccia, l'avvolse con l'accappatoio, stringendolo e accarezzandolo.
Niki attese che l'asciugasse completamente e poi si lasciò accarezzare, baciare.
Quando riaprì gli occhi, gli rivolse un sorriso triste, per rassicurarlo. Anche questa volta era passata.
Quando uscirono dal bagno, c'era la mamma ad attenderli. Non le era sfuggito il dramma che si stava svolgendo quella sera.
"Mauro, accompagna Niki a letto. Credo abbia bisogno di dormire e assicurati che si addormenti" poi si avvicinò a Niki, lo accarezzò e lo baciò sulla fronte. Niki, mettendo da parte per una volta la sua riservatezza, le si avvicinò ancora. Quell'altra mamma comprese e lo abbracciò.
"Buonanotte, signora. Cercherò di dormire, ne ho proprio bisogno."
Se ne andò in camera e, indossato il pigiama, si infilò nel letto di Mauro chiudendo gli occhi. Mauro cominciò a baciarlo ed accarezzarlo sulle guance, sulla fronte, sugli occhi. Continuò finché non si rese conto che si era assopito.
Indossò il pigiama e raggiunse sua madre sul divano nella biblioteca, mentre il papà, seduto alla scrivania, era assorto in qualche lettura e pareva non essersi neppure reso conto del suo arrivo.
Era arrivato il momento di confidare ai suoi genitori tutto di sé e di Niki, di rivelare il suo segreto. Non aveva mai temuto questo momento, anche se molte volte aveva rimandato la sua decisione. E se ora finalmente stava per farlo, era perché non aveva potuto consolare Niki come avrebbe voluto. Aveva avuto vergogna ad abbracciarlo e baciarlo davanti alla mamma, mentre avrebbe dovuto farlo, perché Niki era davvero disperato.
Sua madre lo aspettava, sapeva già, aveva capito, che lui voleva parlargli. Aveva sentito piangere Niki troppe volte negli ultimi giorni ed era preoccupata per il ragazzo, ma aveva anche intuito della crisi di Mauro qualche sera prima, ed anche per questo era decisa a farsi raccontare da lui tutta la storia, ma proprio tutta.
"Niki dorme?"
Fu così insolitamente parca di parole che Mauro fu un po' disorientato. Allora le buttò le braccia al collo e le appoggiò la testa sul petto, come aveva sempre fatto da piccolo e come non faceva da qualche anno ormai. Ed ora erano là, in quell'abbraccio affettuoso, anche se era diventato parecchio più alto di lei.
Parlò a voce bassa, non perché suo padre non dovesse ascoltarlo, ma perché quello che doveva dire era ancora così difficile per lui che quasi gliene mancava la forza. Ne parlava alla mamma, ma sarebbe stato come confidarsi col papà, perché anche i suoi genitori, come lui e Niki, erano una persona sola.
"Mamma, io voglio bene a Niki. Gli voglio molto bene. Lui per me è diventato importante. Rappresenta tutta la mia vita e così sono io per lui."
Lo disse tutto d'un fiato e, mentre parlava, le accarezzava la faccia com'era abituato a fare quand'era ancora piccolo. Come aveva fatto tutte quelle volte in cui aveva sentito di volerle tanto bene, tanto da avere voglia di piangere. Ormai era diventato grande, ma il suo rapporto con la mamma non era cambiato ed ora gli consentiva di metterla a parte di questa storia che per lui era così affascinante e complicata.
"Mauro, stai dicendo cose bellissime, ma ne sei sicuro? Le pensi veramente?"
"Si, mamma!" si raddrizzò a guardarla, sorpreso da quella specie di mancanza di fiducia "Io non sono un bambino, sono un uomo e il mio è un amore vero. Io soffro quando Niki soffre e vorrei piangere quando lui piange. L'operazione di sua madre mi addolora come al suo posto ci fossi tu. Niki ne ha parlato ai suoi genitori e sua madre gli ha detto che quello che ci è accaduto è una cosa bellissima e che sarà sempre orgogliosa del nostro amore, di Niki e di me, gli ha risposto proprio così! E anche papà ci ha visti tenerci per mano e non ha detto nulla."
Suo figlio era forse ancora un bambino, forse era anche un po' ingenuo e le faceva tanta tenerezza, ma era certamente già grande e maturo, questo era indubbio. E amava Niki, che era un ragazzo come lui.
"La mamma di Niki aveva ragione e tuo padre, come al solito, ha fatto bene, ma tu devi promettermi di essere prudente. Promettimi che mi racconterai ancora di voi due e che, se dovesse accadere qualcosa, me ne parlerai, come hai fatto adesso. Promesso?"
Mauro le fece di si con la testa e le mormorò: "Mamma, era tanto tempo che pensavo queste cose, ma non sono mai riuscito a parlarvene. Poi Niki mi ha aiutato a capire... e ho scoperto che gli volevo tanto bene! Stasera volevo abbracciarlo, perché era triste dopo la telefonata, ma non potevo farlo. Avevo vergogna di voi, perciò ho deciso che dovevo dirvi tutto, che non dovevo più aspettare. Non sei dispiaciuta, mamma?"
Pure con tutti i libri che aveva letto, si sentì disperatamente inadeguata a dare risposte a suo figlio in quella situazione. Dispiaciuta lo era. Ma come dirglielo? Lo baciò, l'accarezzò, se lo strinse fra le braccia.
"Anch'io sono orgogliosa di voi. Anch'io. Che pensavi?" riuscì a dire, prima di sentirsi commossa, preoccupata, angustiata da quella conferma alle sue inquietudini.
Anche Mauro era senza parole, ma felice e sollevato per aver finalmente parlato e perché la mamma l'aveva confortato.
"Buonanotte, mamma" disse alzandosi.
Poi andò a baciare suo padre e se ne tornò nella sua camera, ormai certo d'avere la benedizione dei suoi genitori.
La mamma invece sollevò la testa e guardò suo marito che ora la stava fissando.
Si sentiva stordita, anche se era cosciente del cambiamento occorso in Mauro, non si aspettava, comunque, un ragionamento così sincero e convinto, già adulto, dal ragazzo, soprattutto in considerazione della sostanziale immaturità degli altri figli che, a venti e diciotto anni, cercavano ancora di capirsi e di farsi capire.
Ma Mauro era diverso dagli altri due. Mauro era Mauro. Lei e suo marito lo sapevano molto bene. L'eccezionalità di quel figlio l'avevano compresa da molti anni e l'avevano coltivata con amore e dedizione. Era prevedibile, si disse, che lui li sorprendesse anche negli affetti. Naturalmente, era possibile che il ragionamento fatto fosse un ripetere concetti assorbiti da Niki, che era più equilibrato, forse più maturo, più cosciente di sé, ma la natura dell'argomento e la conoscenza che la madre aveva del carattere di suo figlio, testardo e duro con se stesso, le lasciavano poche illusioni sulla convinzione con cui erano state dette quelle frasi e sulle possibilità che potesse ripensarci e orientare la sua preferenza su una donna.
Certo, in futuro, nulla impediva che un ragazzo di quindici anni potesse cambiare i suoi gusti in fatto di sesso, pensò per un momento, cercando di consolarsi. Ma non Mauro, non suo figlio, si ripeté, e ricordò un fatto un po' buffo. Fin da quando era molto piccolo non si riusciva a fargli fare nulla che lui non approvasse e infatti nessuno era mai stato in grado di fargli assaggiare l'ananas da quando, ne aveva fatto indigestione. Le scelte di carattere sessuale erano ovviamente qualcosa di molto più importante che l'avversione per un frutto, ma non aveva alcun dubbio sulla tenacia di quel figlio nel perseguire le proprie idee. Poi gli venne in mente anche un'altra fissazione di Mauro, il quale non aveva più rivolto la parola alla cuginetta che una volta, una sola volta, gli aveva tirato giù il costumino al mare, quando lui aveva cinque anni.
Non avrebbe cambiato né idea, né gusti, poteva giurarci, non suo figlio. Perciò incontrando lo sguardo di suo marito che aveva interrotto la lettura del suo libro, si apprestò a raccontargli tutta la storia.
"Carlo, nostro figlio ama Niki, me lo ha appena detto. Mi ha confidato che è innamorato."
"Te ne ha parlato finalmente, l' avevo immaginato. Li ho osservati molto in questi giorni, effettivamente è un po' che si guardano come due fidanzatini. Pensa che una volta, credo sia stato la scorsa settimana, li ho visti tenersi per mano. Loro non mi pare che l'abbiano notato."
"E invece ti hanno visto benissimo."
Quando tornò nel tunnel, s'accertò che Niki dormisse ancora. Fortunatamente era riuscito a scivolare in un sonno che pareva tranquillo. Lui, invece, non aveva voglia di dormire, anzi, aveva proprio bisogno di pensare.
Fin da quando era piccolo, in certe situazioni, in certi momenti, si fermava e pensava, analizzando con calma ciò che gli era attorno. Non ricordava quando fosse stata la prima volta in cui s'era seduto da qualche parte e si era tanto estraniato dalla realtà da spaventare i suoi genitori. E, molte altre volte da allora, la mamma o il papà l'avevano sorpreso con gli occhi spalancati e completamente assente, caduto in una specie di trance, perché era lontano con la mente e pensava a qualcosa di avvincente o, semplicemente, di interessante. In ogni caso, quei pensieri erano molto concreti, più di quanto immaginassero i suoi fratelli, che spesso lo prendevano in giro, oppure la mamma e il papà che non approvavano per niente quelle fantasie.
Gli piaceva molto 'pensare', andarsene lontano con la mente. E quando sceglieva di farlo, se qualcuno lo richiamava alla realtà, lui si mostrava sempre dispiaciuto e contrariato, anche se sapeva che il suo 'pensare' qualche volta poteva spaventare i genitori. Gli piaceva quasi più che giocare con Sergio, con Michele e con gli amici che s'era fatto andando a scuola. Se però doveva scegliere fra giocare e pensare, decideva sempre di andare a divertirsi con gli amici.
Queste specie di meditazioni, oppure di estasi, come le aveva chiamate suo padre, naturalmente spiegandogli il significato della parola, avevano molto preoccupato la mamma che le aveva comprese e accettate solo dopo che lui gliene aveva dato una interpretazione molto precisa. E l'aveva fatto con una lucidità straordinaria per la sua età. Alla mamma, comunque, non era mai piaciuto che un bimbetto di quattro o cinque anni 'pensasse', perciò, ogni qualvolta lo coglieva incantato a guardare un punto lontano in cielo o in terra, lo richiamava alla realtà, anzi, come diceva lei, 'lo svegliava' ordinandogli 'di ripiegare i suoi pensieri e metterli in tasca'. Lui allora, ubbidiente, li riponeva e attendeva di poterli riprendere. Aveva scoperto che pensare ad occhi chiusi, di sera, prima d'addormentarsi, era più bello e più proficuo, perché nessuno avrebbe potuto interromperlo e disturbarlo, perciò, quando la mamma o il papà lo mettevano a letto e prima che gli dessero il bacio della buonanotte, lui candidamente chiedeva: "Ora posso pensare?". E la mamma, commossa dalla sua ingenuità, lo baciava e l'incoraggiava mormorandogli: "Ora puoi pensare, Pisellino. Buonanotte!"
Lui allora prendeva dalla tasca tutti i pensieri che aveva riposto durante la giornata e pensava. Pensava e sognava.
Crescendo non aveva perso l'abitudine di fermarsi a riflettere, anche se ora non chiedeva più ai genitori il permesso di farlo. Quella consuetudine gli consentiva un approccio sempre più meditato alla realtà della sua vita. I momenti in cui si dedicava a questa speciale pratica erano, per abitudine, quelli che precedevano il sonno.
E da quando nei suoi sogni c'era Niki, anzi, da quando il suo compagno gli era proprio accanto, spesso abbracciato a lui, Mauro non aveva quasi più 'pensato' prima di addormentarsi. Ora, però, voleva pensare e credeva di averne un ottimo motivo. Ed era che da un mese e mezzo sulla sua vita si era abbattuto un uragano sotto forma di un ragazzino biondo e affettuoso che aveva cambiato la sua vita, trasformandola in un sogno e in un gioco appassionanti. Ma, oltre che a Niki, voleva pensare a sua madre che aveva appena accolto con molta filosofia la notizia del suo innamoramento per un ragazzo e quindi della sua omosessualità.
Omosessualità! Chi ci pensava a quella parola fino a poco tempo prima? Anche se ricordò a se stesso che già da almeno un anno comprendeva abbastanza quello che sentiva di essere, pur non avendo mai avuto il coraggio di dare neppure un nome a quella speciale inclinazione.
Si avvicinò a Niki fino a sfiorargli la fronte con le labbra. Gli parve troppo calda: forse aveva un po' di febbre. Niki dormiva, ma era un sonno agitato.
Pensò che, in un momento come quello, forse avrebbe dovuto pregare.
Fino a qualche settimana prima avrebbe trovato abbastanza naturale farlo. La mamma di Niki stava per essere sottoposta ad un difficile intervento chirurgico e lui amava Niki, quindi amava anche la sua mamma. Prima che accadesse tutto quello che gli stava capitando avrebbe certamente pregato, ma ora poteva farlo? Da quando aveva scoperto d'essere gay, non sapeva se poteva ancora rivolgersi al dio dei cristiani o a qualche altra divinità.
Una volta con suo padre avevano parlato del fatto che la chiesa cattolica non ammetteva i gay tra i suoi fedeli, ma lui pensò che dovesse ugualmente pregare Dio, perché la mamma di Niki potesse guarire.
Si inginocchiò davanti al letto e pregò.
Con la faccia fra le mani, bisbigliò più volte: "Ti prego, Dio, fai che guarisca. Ti prego, Dio, non farla morire."
Ma mentre ripeteva queste parole, si rendeva conto di quanto poco valore potessero avere quelle giaculatorie. Da qualche tempo, omosessualità o meno, aveva smesso di credere nell'esistenza di Dio.
In quel momento, però, inginocchiato davanti al letto in cui giaceva addormentato Niki, capì d'averlo ritrovato.
Aveva trovato un altro dio in cui credere ed era là, davanti a lui, con gli occhi chiusi. Non aveva mai pensato a Niki come ad una divinità, ma Niki era dio, così come un bambino può credere che la sua mamma sia una dea scesa in terra solo per lui. Niki era divenuto dio. Una volta un prete gli aveva detto che Dio è la ragione stessa della vita e, questo era vero, perché lui ormai viveva soltanto per Niki.
Se ne stava sempre inginocchiato, davanti al letto e, in quella posa di penitenza, continuò con i suoi pensieri fin quasi ad assopirsi, ma la posizione scomoda lo riportò alla realtà. Si rialzò e andò a baciare Niki sulla fronte.
"Tu sei un dio in terra" mormorò a quegli occhi chiusi, sfiorando la fronte con le labbra "Il mio Dio! Lo sai?" e gli sorrise, come se Niki potesse ascoltarlo o vederlo.
Per non disturbarlo entrò nell'altro letto e si addormentò immediatamente, nonostante l'ansia che provava per Arleen, perché si sentiva pervaso da un senso di serenità. Era certo che alla mamma di Niki non sarebbe accaduto nulla, non poteva accaderle altro che di guarire e gioire della felicità che Niki assieme a lui sarebbe riuscito a regalarle. Ed ora sapeva che anche i suoi genitori sarebbero stati degli alleati formidabili nel loro futuro.
Senza ancora saperlo, con i suoi pensieri, aveva collocato il suo amore per Niki in una sfera ancora più alta della sua mente. Quella passione assoluta era andata ben oltre la ragione, in un'area ormai impenetrabile alle vicende della vita.
La giornata successiva fu nervosa. Niki, incerto fino all'ultimo, decise d'andare a scuola, ma in classe fu lontano, distratto. Per quel giorno parlò pochissimo e lo fece soltanto con Mauro.
Nel pomeriggio, durante le ore in cui sapeva che la mamma era sotto i ferri del chirurgo, si mosse come un animale in gabbia. A Mauro fece venire in mente i furetti, visti allo zoo qualche tempo prima. Si muoveva dalla scrivania, dove insieme tentavano di studiare, alla finestra. Di là guardava fuori, agli alberi le cui cime si scorgevano oltre il balcone, poi andava a prendere un libro dagli scaffali e lo riponeva capovolto, proprio lui che qualche sera prima aveva risistemato tutta una mensola, collocando i libri in ordine alfabetico.
Più tardi, fortunatamente, andò a trovarlo l'insegnante d'inglese che veniva a consolare il suo allievo prediletto e molto agitato. I due parlarono per parecchio tempo e il potersi esprimere in inglese fu un calmante prodigioso per Niki che finalmente si sedette, fece merenda, perché a pranzo non aveva mangiato quasi nulla, e dopo riuscì anche ad assopirsi.
La tensione risalì durante la serata, quando iniziò l'attesa della telefonata. Mauro pregava tutti gli dei del suo olimpo perché non arrivassero altre telefonate se non quella che tutti attendevano con tanta ansia, invece il telefono squillò diverse volte per motivi che, quella sera, tutti giudicarono inopportuni. Alle undici, quando Niki era ormai certo di trascorrere una notte in bianco e Mauro, che non l'aveva lasciato neppure per un momento durante la giornata, s'era addormentato sul divano, squillò il telefono. Da come suonò tutti dissero d'avere capito che quella era la telefonata tanto attesa. Le notizie erano confortanti, l'intervento era riuscito ed ora c'era solo da attenersi ad una attenta convalescenza. Il pericolo pareva passato.
Niki, dopo aver ricevuto quelle notizie rassicuranti, passò il telefono al papà di Mauro, poi s'appoggiò al muro e chiuse gli occhi. L'ansia di quelle giornate pareva averlo svuotato. Si sentì improvvisamente debole e se Mauro non l'avesse sorretto, sarebbe caduto per terra, per come si sentiva stanco.
Mauro, invece, era entusiasta ed aveva forza per tutti e due. Gli stampò due baci schioccanti sulle guance, e questo servì, se non a dargli vigore, almeno a farlo arrossire un po'.
Ma non era tutto. Mauro si guardò intorno e si decise. Prima o poi doveva accadere, non era possibile che dovesse farlo sempre di nascosto. Lo baciò sulle labbra, con tenerezza, sotto lo sguardo incuriosito di suo padre che era ancora al telefono a parlare con l'altro papà.
Se ne andarono a letto dopo un poco, non appena riuscirono a calmare l'euforia che era seguita alla telefonata e quando furono nella loro camera, chiusa la porta, s'abbracciarono stretti e si baciarono ancora. Erano elettrizzati, ma esausti. Niki cascava dal sonno e a Mauro si chiudevano gli occhi. Al buio si svestirono e indossarono i pigiami. Niki si diresse verso il letto di Mauro e ci entrarono insieme, quasi senza sciogliersi dall'abbraccio.
"Niki, ieri sera ho parlato a mamma di noi due, le ho detto che stiamo insieme, che ci vogliamo bene" gli mormorò, mentre con le labbra gli sfiorava la guancia e Niki l'accarezzava tra i capelli.
"Io le voglio bene come se fosse mia madre. Ed anche tuo padre è eccezionale."
"Sai, Niki, mi ha detto che è orgogliosa di noi" e la sua voce quasi si perse nel sonno.
Niki si voltò verso di lui e lo strinse, poi gli fece correre le mani lungo le spalle e poi più giù. Mauro trattenne il fiato, improvvisamente sveglio:
"Se non avessi il sonno che ho, t'insegnerei un gioco" disse Niki, ma anche la sua voce era sognante e già lontana.
"Buonanotte, amore. Me l'insegnerai domani o un altro giorno, perché io resterò sempre con te!"
Mauro spinse la mano di Niki, perché lo stringesse di più e poi si rannicchiò nell'abbraccio dell'amico. Un momento dopo dormivano.
Niki si svegliò presto. Dopo tanti giorni d'ansia, era ancora inquieto. Durante quelle settimane il pensiero della mamma, la nostalgia che provava per lei e per il papà, gli avevano impedito di riflettere sui fatti eccezionali che gli stavano accadendo. Lui non aveva la fantasia di Mauro e, quando pensava, le sue meditazioni non si trasformavano mai in estasi. Anche a lui però, piaceva fermarsi qualche volta a fare considerazioni su ciò che gli accadeva attorno.
Si mosse un po', senza disturbare il compagno che dormiva ancora, tranquillo, nello stesso letto. Anzi, era lui che si trovava nel letto di Mauro. Il suo innamorato era girato su un fianco, voltato verso di lui, con la testa appoggiata in parte sulla sua spalla. Si chiese come potessero essersi adattati a dormire in un solo letto, loro due, ragazzi già grandi. Eppure da molte notti succedeva così, uno si infilava nel proprio letto e l'altro lo seguiva. Per lui era un'abitudine presa con Stephan, loro dormivano sempre insieme quando erano piccoli. E poi, quando si erano ritrovati quell'estate, già cresciuti, avevano tentato di farlo ancora, ma non era stato com'era una volta, quando, prima di addormentarsi, si raccontavano tutti i loro segreti e le storie fantastiche. Quell'anno, quell'estate, qualche volta, dopo aver fatto l'amore, avevano provato a restare nello stesso letto, ma Stephan aveva cominciato a muoversi, a sbuffare e, il più delle volte, dopo un po', se n'era andato. Con Mauro, invece, non accadeva questo, ogni movimento, fatto nel sonno o da sveglio, teneva conto della presenza dell'altro. Come ci riuscissero, lui non lo capiva proprio, anche se, pensò, a quella domanda, come a molte altre che avrebbe potuto porsi, c'era una sola risposta. Si ricordò di un verso della Divina Commedia e, pur sapendo che Dante si riferiva ad un altro tipo d'amore, trovò vero che fosse 'l'amor che move il sole e l'altre stelle' all'origine di tutti quei misteri. Quel verso gli piaceva tanto, anche se non c'entrava proprio nulla con il loro amore particolare che, come diceva Mauro, era anche un peccato mortale.
In ogni caso, si sentì particolarmente soddisfatto e finanche fiero della pertinenza di quella citazione e d'aver dato un'accezione poetica al loro amore. Gli venne da ridere. Lui sorrideva spesso di sé, gli piaceva molto prendersi in giro, Mauro, invece, qualche volta si prendeva troppo sul serio.
Lo guardò.
Presto sarebbe stato il suo compleanno, proprio il giorno precedente alla loro partenza. L'avrebbero festeggiato degnamente anche perché lui aveva in mente un regalo eccezionale che, ne era convinto, a Mauro sarebbe piaciuto molto. Dopo quella festa speciale, ci sarebbe stato il volo per l'America, verso la mamma e il papà, ma anche per rivedere il nonno e poi per capire quello che era veramente accaduto a Stephan.
Mauro non doveva temere nulla. Il sentimento nei confronti di Stephan era tornato ad essere soltanto amore fraterno, anche se forse Stephan avrebbe avuto bisogno di molto aiuto. Ne era certo, anzi, temeva molto quell'intima e spiacevole sensazione che provava ogni volta che pensava al cugino, e ricordava la richiesta di aiuto che aveva ricevuto quella sera.
Povero Stephan, che certamente non aveva una persona come Mauro ad aiutarlo.
Gli accarezzò una spalla. Pensò alla sua vita, a com'erano lontani i giorni in cui si sentiva galleggiare in quel vuoto che lo spaventava. Mauro l'aveva riempito con il suo affetto, con tutte le premure che aveva per lui. Ed insieme aveva ridato valore a tutta la sua esistenza. Da quando c'era Mauro, aveva compreso meglio tutte le persone che lo amavano ed aveva collocato tutti quegli affetti ciascuno al suo posto, in una scala di valori. Per primo veniva lui, il suo innamorato, la persona per cui desiderava vivere, quella cui pensava in ogni momento e che sperava d'avere al suo fianco in ogni istante del proprio futuro. E poi Stephan, ora erano legati soltanto da un vincolo di fratellanza, perché la parentesi fisica del loro rapporto s'era chiusa per sempre. Ricordò i loro amplessi, le volte in cui avevano fatto l'amore, ma quello era il passato, il suo presente gli appoggiava la testa sulla spalla e gliela schiacciava procurandogli un intorpidimento e un dolore che decise, come prova con se stesso, di sopportare.
Mauro gli posò il braccio sul petto, forse sognava. Non erano le sei e fuori era ancora buio. Forse, sperò, Mauro sognava di lui, si chiese quale esattamente fosse l'immagine che l'amico aveva di lui, si ripromise di chiederglielo appena svegli.
Pensò a quanto fosse incredibile che l'avesse notato, chissà perché, proprio lui, il biondino insignificante e troppo alto che tante volte aveva creduto di essere. Mauro invece era bello, alto quasi quanto lui, ma più vigoroso, più atletico, e poi era intelligentissimo, un genio. Era leale, dolce e qualche volta scontroso, ma solo poche volte. E poi era tanto innamorato. Si sentì orgoglioso di poter affrontare il mondo accanto ad una persona come lui.
C'erano anche i suoi genitori in Italia e il nonno in America. Li amava e naturalmente quello era un amore diverso, filiale. Sapeva che loro gli avrebbero dato tutto l'aiuto di cui avesse avuto bisogno. Infine c'erano i genitori di Mauro, aveva imparato a volergli bene, perché avevano compreso la natura del loro rapporto e se prima non l'avevano osteggiato, poi l'avevano addirittura favorito. Ne era certo, avrebbero combattuto uniti perché il mondo li accettasse per ciò che erano e non se ne sarebbero lasciati intimidire.
Con quest'idea bellicosa e con il sorriso sulle labbra, pensando alle suffragette, ai loro cappelli buffi, sognando una città d'inizio secolo che forse era Londra, si riaddormentò.
Alle sette e mezza, quella mamma che Niki considerava ormai un poco anche sua, li svegliò, trovandoli abbracciati in un groviglio di braccia e di gambe, con l'annuncio che mancavano esattamente sette giorni alla partenza fissata per il sabato successivo, in aereo, proprio a quell'ora.
"Svegliatevi poltroni" gridò dalla porta "è proprio tardi. Vi toccherà farla di corsa e senza colazione!"
Mentiva, perché era ancora abbastanza presto. Ma i due, non avendo un orologio a portata di mano, le credettero. Saltarono fuori del letto, scappando nell'unico bagno di casa, miracolosamente libero a quell'ora.
"A quando è rimandato quel gioco di cui biascicavi stanotte?"
Mauro s'era messo dietro Niki che stava ancora lavandosi i denti davanti al lavandino. Guardava fisso il suo riflesso nello specchio e i loro sguardi s'incontrarono.
"Entro oggi voglio giocarlo!" lo minacciò.
Facendo gli occhi spiritati, afferrò Niki per i fianchi, affondandovi le mani e facendogli un solletico terrificante. L'effetto di quella manipolazione fu moltiplicato dal fatto che Niki aveva la bocca piena di dentifricio. Naturalmente finirono per terra cercando d'afferrarsi e di immobilizzarsi, sconvolti da una risata incontenibile. Fecero anche un po' di rumore. Dalla cucina allora giunse la voce della mamma. E quello, come Mauro ben sapeva, era un avvertimento che non era prudente ignorare.
Quel giorno il tempo della scuola volò via senza lasciar traccia né nella loro cultura, né sulle pagelle. Era sabato e uscirono un'ora prima del previsto. S'incamminarono nel sole di mezzogiorno, con i compagni, verso i giardini pubblici.
Niki era tornato al mondo dopo essersene allontanato ed assieme a lui era ricomparso anche Mauro. L'incubo, sempre presente nella sua vita, pareva essersi finalmente dissolto e poteva riprendere a vivere.
Potevano finalmente pensare al loro viaggio in America, argomento, per scaramanzia, mai affrontato durante quei giorni.
Erano un gruppo molto nutrito, quasi mezza classe, e con loro c'erano anche alcune ragazze. Una di queste, proprio quella Roberta che aveva attentato alla virtù di Mauro l'anno prima, prese Niki a braccetto e gli disse:
"In America chissà quante conquiste farete voi due, carini come siete!"
A Niki sembrò che, da dietro, le altre ragazze bisbigliassero, anzi, quasi ridessero. Non comprese il motivo di quella ilarità, poi gli parve di capire che Roberta gli avesse appena detto una cattiveria. Se ne convinse subito e si sentì ferito, quella era una malignità, detta per ferire lui e soprattutto Mauro.
Questo lo fece infuriare.
Mauro era lontano e non aveva notato nulla. Lo sentiva, dietro di sé, discutere animatamente con gli altri ragazzi, ai quali s'era finalmente concesso dopo molti giorni di completo isolamento.
Niki era impreparato ai rapporti con le persone che non amava. Non sapeva trattare con gli altri in genere e con le donne, le ragazze, in particolare, perciò rispose con asprezza ad una battuta che certamente era stata detta con noncuranza e senza alcuna voglia di ferire.
Sibilò la sua risposta a bassa voce e con uno sguardo così duro che gelò la ragazza:
"Puoi star certa che le conquiste che faremmo, se solo ne avessimo voglia, vi farebbero impallidire e vergognare del vostro aspetto."
Lasciò la poverina incredula, in mezzo alle compagne, e raggiunse gli altri. Era furente e Mauro lo capì guardandolo, anche se non riuscì a spiegarsi cosa avesse potuto farlo tanto arrabbiare. Glielo chiese con gli occhi, ma gli fece cenno che non era nulla, che ne avrebbero parlato più tardi.
Le ragazze, intanto, bisbigliavano tutte insieme e lui le cancellò con un clic dai propri pensieri, se mai c'erano state.
Quando, sulla via di casa, furono finalmente soli, Mauro lo prese sottobraccio.
"Insomma, vuoi dirmi che cos'è accaduto e perché hai tentato di fulminare Roberta con lo sguardo ogni volta che quella poverina entrava nel tuo campo visivo?"
"Le donne sono tutte stupide e le nostre compagne, in particolare, sono fra i peggiori esemplari di quella specie!"
Mauro sogghignò.
"Questo lo sapevo già, ma si può sapere che cosa ti hanno detto? Ti ho sempre raccomandato di stare attento, quelle hanno la lingua biforcuta!"
"Anch'io..." e gli raccontò tutto.
Mauro, pur ridendo per tutta la storia e per la rispostaccia che era sfuggita a Niki, vide parte dei suoi timori confermati. Si rese conto che il problema che aveva intuito si presentava prima di quanto avesse temuto e tentò si spiegarlo al compagno:
"Niki, la nostra non è un'amicizia normale. Si vede e salta agli occhi di chi ci guarda."
"Ma perché dirmi così? È stata una cattiveria! Che gusto c'era?"
Era qualcosa che Niki non riusciva a spiegarsi e che Mauro, più avvezzo ai rapporti con persone diverse dai propri parenti, comprendeva più di lui.
"È stato solo per il gusto di dire qualcosa d'originale. Forse ti ha offeso, ma sono certo che non l'ha fatto con intenzione. Dopo tutto noi due stiamo per andare in America e tutti loro, per Natale, resteranno qua. Oppure l'ha fatto perché ce l'ha ancora un poco con me" e si bloccò, guardandolo fisso, poi gli chiese: "Ti ho mai detto che con quella m'ero quasi fidanzato l'anno scorso? Poi le ho raccontato una balla: che avevo avuto una delusione... e fortunatamente è tutto finito."
E si mise a ridere per il ricordo di quella storia e per l'idea che gli era venuta quella sera fredda e buia, in campagna. Un'avventura che era ormai tanto lontana che quasi stentava a ricordarla. Riuscì così a strappare un sorriso anche a Niki che, dimenticata la presunta offesa che aveva subito, ora lo guardava con occhi che a Mauro parvero famelici più che semplicemente incuriositi.
Aveva accennato alla sua relazione, ma non gliene aveva mai raccontato i particolari. Quell'avventura era finita assieme a molti altri ricordi nella sua 'vita di prima', come aveva preso a chiamare, con gran diletto di Niki, i primi quindici anni della sua esistenza. Ora era finalmente giunto il momento di raccontargli tutto e sapeva che, finché non l'avesse fatto, Niki l'avrebbe messo in croce.
Infatti quello cominciò a incalzarlo.
"Com'è stata questa delusione? Dai... racconta tutto! Questo non me l'avevi mai detto. Forse non ne hai avuto il coraggio. È stato perché..." e si bloccò. Finse di pensare, di concentrarsi su qualcosa e poi sbottò "Quindi, la prima volta che facemmo l'amore, non eri vergine!"
Niki rideva e lo tormentava, tirandogli pizzicotti al braccio e sul fianco, facendogli il solletico.
Per il gran ridere Mauro non controllò più la propria voce e quasi gridò, nella strada gremita di passanti: "Certo che ero vergine!"
Ebbe l'impressione che si creasse un silenzio magico e che, per un momento, anche le macchine che passavano, avessero accolto con rispetto la sua affermazione, facendo tacere i tubi di scappamento. Arrossì violentemente. Niki, invece, appoggiato ad un muro, si teneva la pancia dal troppo ridere:
"Alla fine avrò un infarto e mi opererò anch'io al cuore se continuerò a ridere così" riuscì a dire dopo qualche minuto, ma Mauro lo afferrò per trascinarlo via il più velocemente possibile, guardandosi intorno per controllare quanti, fra quelli che avevano sentito la sua dichiarazione di status sessuale, lo conoscessero abbastanza da apprezzarla.
"Non c'è proprio niente da ridere" Mauro cercava di darsi un contegno, senza riuscirci troppo "poteva capitare anche a te!" poi, cedendo alle insistenze di Niki e per accontentarlo, gli raccontò tutta la storia del suo presunto flirt con Roberta.
Per il momento quella piccola avventura non ebbe seguito. In quei giorni c'era ben altro nelle loro vite che badare a quelle oche, pettegole e invidiose, come le chiamava Niki.
Andare in America a quindici anni è un evento importante. E lo è ancora di più andare a rivedere la propria madre per la cui vita si era temuto. Furono giustamente questi e solo questi i pensieri che tornarono ad occupare le loro menti durante quella giornata ed anche nella settimana successiva.
Quel pomeriggio erano d'accordo che, appena finito di studiare, se la sarebbero filata per stare un po' da soli, ma la villotta divenne irraggiungibile, perché cominciò a piovere. Tutti e due volevano riprendere il gioco e per farlo avevano bisogno di molta intimità. La casa era, al solito, movimentata come un porto di mare. Michele studiava con due compagni nel tunnel, la mamma e il papà tenevano lezioni private in due angoli della biblioteca. Loro due avevano appena finito di studiare sul tavolo della cucina.
Chiusi i libri e sbirciato fuori dalla finestra per convincersi che quella che cadeva era proprio pioggia, restarono a guardarsi negli occhi un po' sconsolati, finché a Mauro non venne un'idea.
"E se andassimo a casa tua? Hai le chiavi, no?"
Non ci avevano pensato. Poco lontano c'era un appartamento tutto a loro disposizione e stranamente nessuno dei due aveva ancora considerato quella possibilità. Niki chiuse gli occhi e parlò, ispirato.
"Un genio. Tu sei il mio genio!" poi, mormorando e coprendosi la bocca con la mano, disse con aria da cospiratore "E con che scusa pensi che potremmo andarcene?"
"Non saprei, mio Aladino. E se uscissimo dalla finestra? Non dovremmo dare spiegazioni a nessuno e là fuori troveremmo il mio tappeto volante pronto a portarci ovunque tu comandi."
"Non sei più il mio genio! Non vedi che piove? Ci bagneremmo!"
"Mai stato sul tappeto volante con l'ombrello?" rispose Mauro serissimo.
Niki non ce la fece più e scoppiò a ridere.
"Noi non abbiamo il tappeto volante, perché tu sei un genio da quattro soldi. Se uscissimo dalla finestra, ci toccherebbe saltare, ma, poiché siamo al quinto piano, non ce la faremmo."
Mauro con l'indice gli toccò la punta del naso.
"Tu sei un Aladino che non sa neanche esprimere i desideri!"
"E tu non riusciresti a saltare, perché sei ingrassato, appesantito e invecchiato!" poi Niki lo guardò fisso, come ipnotizzato "Genio, il mio desiderio è che tu esprima un desiderio!"
"Corriamo a casa tua!"
"Allora sei davvero curioso?"
"Si!" era davvero terribilmente curioso di scoprire quali altri giochi avrebbero potuto fare insieme. Sentiva salire dentro di sé un'eccitazione e un'aspettativa così forti che quasi temeva di provare una delusione "Naturalmente ho paura del buio e..." si bloccò.
"E...?"
Mauro arrossì, perché stava per dire una cosa che un po' lo imbarazzava, ma dopo tanti giorni, tante promesse e tutti i sogni che aveva fatto, tutte le volte che pur desiderando abbracciare Niki, si era fermato davanti alla sua espressione triste, ora che tutto o quasi tutto era passato, decise di dirla lo stesso: "Ho paura del buio, sono curioso e..." si mise a ridere notando la curiosità di Niki per la sua rivelazione "e da qualche giorno, mi fa un po' male qui!" ed indicò un posto dove, all'occhio ormai esperto di Niki, qualcosa di molto interessante aumentava visibilmente di volume.
"E allora, mio dolcissimo genio, corriamo a curare quel dolore!"
Anche lui era ansioso di riabbracciare Mauro. Erano vissuti uno accanto all'altro, sfiorandosi continuamente, per tanti giorni, ma ora desiderava stringerlo fra le braccia e fare l'amore in qualunque modo la loro fantasia li avrebbe spinti a farlo.
Uscirono subito, mormorando alla mamma una scusa incomprensibile anche a loro stessi.
Niki non aveva mai tradito le sue speranze e Mauro era convinto d'avere ancora molto da imparare da lui, e glielo chiese non appena fuori di casa.
"Tu conosci ancora molti 'giochi'?" e sottolineò la parola "Me li insegnerai tutti, non è vero?"
Parlando, l'accarezzò come si fa con i gatti e Niki, per trarsi d'impaccio, perché anche lui provava un po' d'imbarazzo a rispondergli, pensò che fosse meglio fargli le fusa.
Gli erano state lasciate le chiavi di casa nel caso avesse avuto bisogno di qualcosa che era rimasto là, ma l'appartamento era stato messo in disuso, perché la mamma prevedeva di trascorrere qualche mese in America. Dalla partenza dei genitori, Niki non vi era più tornato ed entrando sentì addosso tutta la malinconia per la loro lontananza. Si voltò verso l'amico.
"Mauro, mamma e papà sono così lontani!" e lo abbracciò mettendogli la faccia nell'incavo del collo.
"Passerà. Ieri era peggio, no?" mentre gli accarezzava i capelli e lo stringeva forte.
Niki si riscosse.
"Si gioca allora? Sei pronto?"
"Certo!" disse Mauro rabbrividendo "Ma non trovi che qua dentro faccia un po' freddo?"
La casa era fredda e si dettero da fare per mettere in funzione il riscaldamento, poi se ne andarono nella stanza di Niki e si accoccolarono su uno dei letti, abbracciati per darsi calore. Ascoltarono un po' di musica, aspettando che l'ambiente si riscaldasse.
"È una sonata di Beethoven, si chiama Hammerklavier" spiegò Niki "É... è imponente, mi fa rabbrividire ogni volta che l'ascolto" poi guardò Mauro il quale era tutto preso dalla musica.
Voleva lasciarsene affascinare, perché ogni sensazione che Niki provava doveva essere anche sua e se quelle armonie l'entusiasmavano, si attendeva, era certo, che potessero commuovere anche lui.
"Si, è grandiosa. Tutto è grandioso adesso..." mormorò.
L'emozione della musica e il tepore che ormai si era creato nella stanza, li portarono a toccarsi.
"Non ti fa in po' caldo, adesso?" bisbigliò Niki sorridendo.
"Si!" e lui arrossì, perché capì che il loro gioco cominciava.
Si stese sul letto con le mani dietro la testa e attese che Niki gli insegnasse ancora qualcosa.
Sentiva il cuore battergli in petto, era turbato.
Insieme stavano per fare un altro passo, avvicinandosi ad un punto in cui loro due, intuiva, si sarebbero come sovrapposti e questa consapevolezza lo commuoveva.
Aveva immaginato e fantasticato, quasi sapeva, di un modo, di un momento, di una situazione, in cui i corpi di due amanti come loro dovevano fondersi in uno solo. Aveva capito tutto questo, perché aveva intuito che qualcosa di simile era già accaduto tra Niki e Stephan. Ma se aveva immaginato, per quali vie lui e Niki si sarebbero uniti, non credeva che quel momento fosse ancora giunto, che quell'avvenimento sarebbe potuto svolgersi proprio quel giorno. Forse dovevano crescere ancora insieme ed era proprio lui a non essere preparato, ad essere ancora intimidito da quello che non conosceva.
E Niki non voleva forzarlo, né era nelle sue intenzioni arrivare troppo in fretta al fondo delle sue conoscenze. Voleva ancora giocare. Questo gli avrebbe proposto, di giocare con i loro corpi. E se Mauro aveva ancora dei blocchi, lui sperava di saperli rimuovere.
Si chinò a baciarlo sulla bocca, l'accarezzò tra i capelli, gli sfiorò le guance, Mauro pareva non ricambiarlo con la stessa passione e restava quasi fermo, con le labbra socchiuse. Allora gli cercò la lingua nella bocca. Lentamente Mauro corrispose al suo bacio, finché non lo costrinse, con ardore, a ricevere la sua lingua che esplorò ogni angolo della bocca, lasciandolo senza fiato.
Poi si risollevò, senza smettere di fissarlo negli occhi.
"Impari presto" disse Niki baciandolo sulla punta del naso "ma questo era soltanto il ripasso di una lezione precedente. Vedo, però, che non hai dimenticato proprio nulla."
Mauro l'ascoltava, sempre più sereno e sorridente.
Niki si sfilò la maglia e la camicia, poi fece altrettanto con il compagno che se ne stava allungato sul letto, a seguire incantato ogni suo gesto. Gli si stese sopra e ripresero a baciarsi, mentre i loro corpi si toccavano e i brividi di piacere passavano dall'uno all'altro.
Quel giorno voleva ripagarsi di tutte le tristezze sofferte in quelle settimane, e voleva rendere a Mauro un po' della serenità che gli aveva fatto perdere. La loro eccitazione arrivò subito vicina al punto in cui sarebbe stato difficile fermarsi, e lui non voleva rischiare di rovinare tutto con la precipitazione.
"Aspetta. Non ora, non così presto" e vide che gli occhi di Mauro c'erano assieme smarrimento e piacere "Aspetta!" gli ripeté accarezzandogli la fronte.
Poi sfilò ad entrambi la maglietta e tornò a stendersi su di lui, lasciando che i loro toraci si sfiorassero. Strofinò un capezzolo su quello di Mauro. Gli venne un'idea, avvicinò la bocca, prima lo succhiò, poi provò delicatamente a morderlo e sentì Mauro sospirare. La lezione stava superando le conoscenze del maestro ed era pura improvvisazione.
Si tirò su, fino a guardare Mauro negli occhi, l'accarezzò sulla fronte e si stese sulla schiena. L'attirò su di sé. In quel momento distinse le note del pianoforte e, mentre Mauro l'accarezzava, lo baciava, sovrappose quelle sensazioni così forti, così speciali, delicate, alla musica solenne che stavano ascoltando.
Mauro si sollevò a sedere, per riprendere un po' fiato. Gli tolse le scarpe e gli sfilò i pantaloni. Si spogliò anche lui, poi si fermò a contemplare il corpo disteso, finché Niki non l'attirò su di sé.
"Vieni."
Erano uno sull'altro. Si rotolarono sul letto e si strusciarono lentamente. Il desiderio tornò ad essere più impellente di prima e questa volta fu Mauro a fermarsi, a cercare di controllarsi. Anche Niki si rilassò e gli appoggiò la testa nell'incavo del collo. Restarono immobili per qualche istante e attesero che il respiro tornasse normale.
Niki lo fece spostare e gli sfilò l'ultimo indumento. Si fermò a guardarlo e l'immaginò indifeso di fronte alle idee, alle brame che si affollavano nella sua mente, ma non era così, perché Mauro desiderava intensamente che lui lo usasse.
Pensò proprio questo di sé e del proprio corpo in quel momento, subito vergognandosene. Non gli avrebbe mai rivelato quel particolare pensiero, ne avrebbe avuto troppo pudore, ma voleva davvero con tutto se stesso che Niki facesse del suo corpo quello che voleva, qualunque cosa. Gli tese la mano per invitarlo. Divaricò leggermente le gambe, illanguidendosi. Non sapendo, non potendo prevedere quale parte del corpo Niki avrebbe sollecitato, gli si offrì e attese.
E quello era un dono incondizionato, dare tutto se stesso all'amante.
Niki quasi l'indovinò dallo sguardo sereno che Mauro gli rivolse e, come era già accaduto a Stephan quando aveva condotto il gioco, si mosse su un terreno pericoloso. L'aveva davanti a sé, indifeso, e poteva fargli male. Era confortato dalla serenità di Mauro, si avvicinò al suo pene, ebbe un ultimo dubbio, poi delicatamente lo baciò e attese la reazione. Udì un sospiro che lo rassicurò.
Non sapeva quasi nulla, né lo sapeva Mauro, di eros e tanatos, di amore e morte, del desiderio estremo di cibarsi del proprio partner. Di queste complicazioni, della psicanalisi, non sapevano nulla. Perciò Niki stava semplicemente assaggiando e godendosi gli umori più segreti di Mauro. Lo baciò e lasciò che la lingua facesse attrito contro la superficie elastica e sensibile del glande, raccogliendo il sapore salmastro del sudore sulla pelle tesa.
Mauro aveva ripreso a muoversi, assecondando i movimenti che sentiva su di sé. Il piacere si avvicinava ancora, ma Niki si fermò. Gli posò la mano sul fianco, per fargli cenno di voltarsi. Mauro eseguì il movimento, adagiandosi sulle lenzuola, attendendosi altre carezze ed altri baci. Niki si trovò davanti un altro spettacolo affascinante. Più di Stephan, pensò.
La nuca, coperta dai capelli neri, le spalle piene di forza, i muscoli disegnati, i fianchi stretti, i glutei rotondi, le gambe vigorose, appena velate da una peluria più folta e quel solco, quella cortina da aprire per cercare il piacere. Quello era Mauro che gli offriva tutto di sé e a Niki parve d'impazzire dalla gioia.
Si distese su di lui, facendo combaciare il proprio corpo con l'altro, per sentirne ogni parte, con tutto se stesso. La musica era finita, ma nella sua mente la sentiva risuonare. Le scale che aveva udito parevano seguire il movimento delle mani lungo i fianchi di Mauro. Riascoltava l'armonia che era come il momento che stavano vivendo, di estrema dolcezza per l'offerta che Mauro gli faceva, e al tempo stesso difficile e ardua, per il patimento che poteva infliggere, se non fosse stato attento, se non fosse stato prudente.
Fu certo di dover attendere.
Sarebbe venuto anche quel momento, ma non per quel giorno, non ancora.
Lo baciò sul collo e sulle orecchie, poi, lasciandosi scivolare, scese lungo la spina dorsale baciando ogni vertebra. Mauro reagiva a quel solletico leggero. Giunto all'inizio del solco Niki si sollevò, gli fece allargare le gambe e si inginocchiò in mezzo, posò le mani sulle natiche e spinse per cercare aderenza sulla pelle sudata. Sentì Mauro trattenere il fiato. Aprì lo scrigno e osservò la gemma che cercava. Si abbassò fino a sfiorarla con le labbra e poi con la lingua che passò su quel fiore. Gli diede sensazioni che Mauro non aveva mai provato. Poi lo penetrò leggermente, spingendo la lingua e ricordò, non poté fare a meno di ricordare, il momento in cui aveva regalato a Stephan quelle stesse sensazioni.
Mauro era teso in quella percezione di piacere e se ne inebriava. Ogni sua fibra vibrava, aspettando i movimenti di Niki su di lui. Se avesse sentito quelle mani posarsi sulla gola e si fosse sentito stringere, non avrebbe reagito. Lo pensò, proprio mentre Niki lo sfiorava ed ebbe un brivido.
Fu questo e non altro a farlo muovere, dando a Niki l'impressione che non volesse quell'intrusione.
Niki si raddrizzò subito, ma lo sguardo sereno che si scambiarono rassicurò entrambi.
Per quel giorno, però, la lezione era giunta al termine. Niki decise di chiuderla così, non desiderando spingersi oltre. Si distese accanto all'allievo e attese che questo mostrasse d'avere compreso, rifacendo tutto quello che aveva appena visto.
E Mauro fu all'altezza del maestro, non chiedendo altro che di mostrare quanto fosse attento e scrupoloso. L'accarezzò, lo sfiorò con le labbra, esaltandosi degli stessi odori e dei sapori che avevano inebriato Niki. Regalò all'amante le stesse sensazioni, prima sollecitandolo fino a farlo mormorare di piacere, poi penetrandolo con la lingua, facendogli scordare Stephan. E, anche se non avrebbe mai saputo d'averlo fatto, per merito di una nuovissima perizia e della dolcezza di quelle carezze, durante quel pomeriggio, Stephan uscì definitivamente dall'immaginario erotico di Niki.
Erano esausti, ma avevano conservato per ultimo il desiderio di un piacere che non potevano trattenere più a lungo. Si stesero uno accanto all'altro, voltati su un fianco, e, posto il pene fra le gambe dell'altro, raggiunsero velocemente l'orgasmo, bagnandosi e continuando a muoversi lentamente fino a fermarsi affannati ed esausti.
"Niki, ti voglio bene da morire" disse in un soffio e Niki appoggiò le labbra alle sue labbra, perché quelle parole entrassero in lui.
Avevano quindici anni ed erano innamorati, possedevano giovinezza e amore, erano creature divine. Quando fossero invecchiati, questo non li avrebbe offesi, perché, amandosi da giovani ed avendo negli occhi ciascuno la prima immagine dell'altro, avrebbero vissuto la degenerazione della vecchiaia come un incidente verso la morte. Davanti a loro la vita si era inchinata facendoli incontrare e la morte si era umiliata nascondendosi. Li avrebbe attesi insieme.
"Tu sei amico, compagno, amante, il mio innamorato, l'amore e tutta la mia vita. Che ne dici?"
"Anche complice" fece Niki sorridendo e dondolandosi lentamente sul letto, crogiolandosi nell'aria ormai calda della stanza "ma è essere tuo amante che mi piace di più."
"Fidanzato no? In fondo è come se lo fossimo, anche se non abbiamo rispettato le convenienze. Prima del matrimonio vedi che cosa abbiamo combinato."
"E che altro faremo!" e così dicendo, gli saltò sopra, bloccandogli le braccia.
Nella foga di quella stretta si scopersero eccitati un'altra volta, avevano molti giorni di desideri arretrati e ripresero a muoversi uno contro l'altro, sbuffando ed anche ridendo.
"Non è serio che uno che si proclama vergine, urlandolo a tutti per strada, ricominci a fare tanto presto quello che stai facendo tu."
"Non sono più vergine e tu dovresti saperlo" riuscì a dire Mauro continuando a muoversi.
Tacquero perché il parlare distraeva e l'attività che stavano svolgendo richiedeva massima concentrazione e molto impegno. Mettendoci più tempo, questa volta il piacere che esplose dai loro ventri giunse da lontano e lo sentirono arrivare nell'altro prima che in sé. Il primo fu Niki mormorando e poi quasi gridando, seguito subito da Mauro. Ricaddero sul letto, un po' affannati, sudati e questa volta veramente stanchi. Niki aveva il capo ripiegato sul petto di Mauro e mosse il bacino lentamente contro il suo fianco, come a richiamare la sensazione di piacere che poco prima l'aveva così piacevolmente sconvolto.
Spesero la settimana seguente nei preparativi del viaggio. Le giornate corsero via scandite dalle telefonate che arrivavano dall'America. Il papà chiamò, dando notizie sempre più rassicuranti, finché, a cinque giorni dall'intervento, quando poté finalmente dirsi fuori pericolo, chiamò anche Arleen e Niki si sentì definitivamente rincuorato. Nel riascoltare la voce di sua madre, ancora flebile, ma allegra e serena, provò un senso di sollievo pari a quello provato quando Mauro gli aveva rivelato il proprio amore. In quel momento s'immaginò al centro di una di quelle scene d'opera che tanto piacevano a Mauro, e che lui conosceva, più che per averle ascoltate o avervi assistito, per quante volte il suo compagno gliele aveva descritte. In quella scena, il buio che c'era sempre stato nella sua vita, pareva essersi finalmente squarciato e lui con tutti i suoi cari cantava felice in un finale entusiasmante.
Anche Mauro era contento e beato della felicità di Niki, ma era un po' inquieto. Non aveva mai viaggiato, né si era mai allontanato dalla sua casa per più di qualche giorno. Ora lo attendeva un viaggio di migliaia di chilometri. La prospettiva di lasciare genitori e fratelli per più di due settimane, era insieme avvincente, perché con lui ci sarebbe stato Niki, e preoccupante, perché rappresentava un vero salto nell'ignoto. Quand'era solo e ci pensava, l'idea della nostalgia che avrebbe provato ad andarsene per tanto tempo e tanto lontano lo assaliva, poi il pensiero di Niki e la certezza di averlo accanto anche quando tutti i suoi cari sarebbero stati molto lontani, lo acquietava.
Fu lui il più impegnato nei preparativi, ma, ottenuto il passaporto e sistemati i bagagli, poté finalmente dirsi pronto a partire.
Trascorsero quella settimana, soprattutto, guardandosi negli occhi e continuando ad ignorare il mondo che li circondava. La sera, quando si ritiravano nel tunnel, entravano in uno dei due letti e, dopo qualche gioco, qualche piccola schermaglia amorosa, piombavano nel sonno profondo della stanchezza. In quei giorni, per avendone l'occasione non fecero più l'amore, perché Niki misteriosamente cercava di defilarsi, anche se spesso insieme parlavano di un'ipotetica lezione finale.
"Quando m'insegnerai tutto il resto delle cose che devo sapere?" mormorava quasi ogni sera Mauro, un momento prima d'addormentarsi e Niki, che aveva deciso d'attendere il compleanno del compagno per fargli un regalo molto speciale, in genere l'abbracciava e lo baciava senza rispondergli, oppure cercava di distrarlo.
"Sai già troppe cose. Sei abbastanza bravo così ed io non ho quasi più niente da insegnarti."
E Mauro che in quei giorni era sufficientemente appagato dagli avvenimenti e dalle tante scoperte fatte, non replicava. Con il pensiero all'imminente partenza, si lasciava trasportare dalla fantasia, facendosi anche e dolcemente sopraffare dalla stanchezza.
Giunse così il ventuno di dicembre, vigilia della partenza e quindicesimo compleanno di Mauro. Quello sarebbe stato anche il loro ultimo giorno di scuola per quell'anno.
La mamma e il papà gli regalarono una giacca a vento a piumino, perché, dissero, a Boston avrebbe fatto molto freddo e Niki fu d'accordo. Michele procurò, con la stessa giustificazione e dilapidando qualche risparmio, una bella sciarpa. Sergio si fece sentire per fare gli auguri ed annunciare il suo imminente arrivo. Anche Niki tirò fuori un regalo per Mauro. Era un libro, un'edizione in francese dei versi di Kafavis, trovata chissà come.
Ma le sorprese non erano finite e, come Mauro quasi s'aspettava, Niki propose una passeggiata a casa sua nel pomeriggio. Se ne andarono con la scusa di dover prendere un maglione che Arleen voleva le fosse portato in America, ma la scusa era ad uso dei genitori di Mauro, in quanto, all'amico, Niki si rivolse in ben altri termini:
"Qui non abbiamo più niente da fare. Che ne diresti di un poco di musica classica?
E lo disse con una faccia seria che disorientò Mauro il quale non capì subito il tipo di musica che avrebbero ascoltato o suonato.
"Oggi? Adesso?"
"Sei il solito ingenuo... vuoi venire a casa mia?"
"Accidenti! Ci vorrebbe proprio, signor Maestro. Ho qualche dubbio che vorrei chiarire" gli rispose Mauro, ridendo.
Raggiunsero la casa in due minuti e accesero il riscaldamento, perché faceva più freddo dell'altra volta. Si misero ad ascoltare davvero un poco di musica in attesa che l'aria si riscaldasse.
Dopo un poco Niki tirò da sotto al letto un pacchetto e lo porse a Mauro.
"Ancora regali, Niki" pareva rammaricarsi.
"Dai, aprilo! Fai presto!"
Mauro si diede da fare: "Dei pantaloni? Ma... sei certo che mi vadano bene?"
"Conosco abbastanza bene tutto quello che deve entrarci. Non credi?"
"Questo è certo" convenne Mauro, scoppiando a ridere e, come al solito, arrossendo. Poi si fece serio "Ma per comprarli hai speso dei soldi."
"Li ho spesi per te. Che importa?"
"Non hai più comprato quei dischi. E li hai tanto desiderati. Quando riuscirai ad avere altri soldi, forse non li troverai più."
"Che c'entrano i dischi, i soldi? Comprerò quei dischi a Boston oppure a New York, se avrò degli altri soldi. E poi ci tenevo a vederti con questi pantaloni."
"Niki..." Mauro lo abbracciò stretto. Lo sorprendeva sempre: qualunque sua azione lo lasciava sorpreso e sempre più innamorato. Gli confessò qualcosa: "Non avevo mai avuto dei pantaloni così belli!" poi rivolse la sua attenzione al regalo.
"Provali, dai provali!" insisté Niki e fece il suo sorriso furbo.
Mauro lo chiamava così per distinguerlo dagli altri tipi di sorriso che faceva. Niki rideva meno di lui, centellinava le espressioni di allegria, spensieratezza, di gioia, fermandosi più spesso alla condiscendenza, forse perché era ancora troppo recente il tempo in cui aveva pochi motivi per mostrarsi felice. I suoi sorrisi, perciò, erano rari e tutti diversi, a seconda delle circostanze. E ormai erano in maggioranza dedicati a lui che sapeva interpretarli molto bene.
Questo era un sorriso furbetto, rivelava cioè che Niki aveva un progetto e che Mauro ne era coinvolto. E lui fu felice di lasciarsi trascinare.
Cominciò a sbottonarsi i vecchi jeans, quelli 'di lungo corso', aspettando il suggerimento di Niki:
"No, non così! I jeans si provano a torso nudo. E poi qua fa caldo, ormai!" lo rimproverò Niki.
Mauro, in piedi, al centro della stanza, eseguì mettendo a nudo il torace, poi, finalmente, si sfilò i pantaloni e indossò il regalo di Niki, ma, al momento d'abbottonarsi, essendo già piuttosto eccitato, disse ammiccando verso il compagno:
"Non riesco ad abbottonarli."
"Ti aiuto io!"
Quello era l'inizio del gioco.
Niki l'abbracciò, facendogli correre le mani sul corpo. Il corpo del suo amante, come aveva ormai preso a chiamarlo.
S'erano stretti in un abbraccio affettuoso con le teste appoggiate sulle spalle. Tenevano gli occhi chiusi, muovendosi lentamente. Se non fosse stato Bach a comporre la musica che ascoltavano, si sarebbe detto che stessero ballando, ma Niki stava soltanto godendo il calore del compagno, mentre Mauro, meno sensibile di Niki alle geometrie della Passacaglia, cominciò a sfilargli camicia e maglietta dai pantaloni. Poi gli mise le mani sotto, per cercare la pelle nuda, finché, sbottonando qualche bottone, non gli tolse d'un colpo tutti gli indumenti che indossava. Si strofinarono, sorridendo e poi ridendo perché avevano finito per farsi un po' di solletico.
Mauro tornò improvvisamente serio quando Niki gli s'inginocchiò davanti e liberò il sesso dagli slip.
Il pene si erse perpendicolare al corpo. Niki prima lo guardò da vicino, poi l'accolse in bocca, lentamente, fino a che non se ne sentì soffocare. Prese ad esplorarlo con la lingua e mosse la testa, stringendolo contro il palato e poi solleticandolo. Quando vide che Mauro cominciava ad accompagnare i suoi movimenti, tornò in piedi e l'abbracciò stretto. Lo liberò di tutti i vestiti.
Erano in piedi, nudi, uno di fronte all'altro e si scambiarono uno sguardo carico di attesa, poi Niki lo spinse, fino farlo inginocchiare davanti a lui.
Da quando avevano cominciato a fare l'amore, da quel giorno così lontano eppure tanto vicino, in quella stessa casa, su quel letto, ogni volta che l'avevano fatto, Niki gli aveva mostrato una strada e Mauro era stato sempre pronto a seguirla, imitandolo. Anche questa volta aveva subito accettato di inginocchiarsi davanti a Niki e aveva visto la piccola bocca del pene eretto, vicinissima ai suoi occhi. Per un momento aveva esitato e non per paura o imbarazzo, ma solo per il timore di non saper fare quello che Niki s'aspettava.
E Niki avvertì il suo disagio. L'accarezzò sulla testa. Mauro alzò lo sguardo verso di lui e si sorrisero. Allora avvicinò le labbra al sesso e lo baciò, lo leccò, lo succhiò diligentemente fino a che, per lo sforzo, le lacrime non sfuggirono ai suoi occhi. Niki lo fece rialzare e passò le labbra su quelle stille di fatica, d'amore, di dedizione. Lo strinse un'altra volta a sé.
Erano abbracciati al centro della stanza, legati in una stretta che per Mauro era d'attesa, per Niki d'indecisione e di timore. Si erano preparati con scrupolo a quel momento. Avevano fatto salire l'eccitazione durante la settimana, scambiandosi battute e allusioni sull'ultima lezione, quella in cui il maestro avrebbe mostrato al discepolo la summa del sapere. Ora era giunto il momento e a Niki tremavano le mani non meno che a Mauro, si sentiva come un chirurgo alla sua prima operazione, alla prima volta in cui doveva affondare il bisturi nelle carni del paziente.
Lasciò correre le mani sul corpo di Mauro, fino a fermarle sulle natiche.
E Mauro comprese che stava per accadere ciò che, pur non conoscendo, per istinto attendeva e desiderava. Sciogliendosi dall'abbraccio, si voltò, schiacciandosi contro di lui, andando a cercare con il solco il sesso eretto di Niki. Tremava, un po' per l'emozione, ma anche perché aveva paura.
Niki lo spinse dolcemente verso il letto. Vi si adagiarono, uno sull'altro. Percepiva l'emozione di Mauro ed era a sua volta spaventato. Da dietro gli afferrò le mani. Intrecciò le dita, schiacciandole contro il materasso. Affondò la faccia nella sua nuca, le ginocchia contro le gambe, il bacino contro i glutei, tese tutti i muscoli, poi li rilassò. Scivolò via per godere la vista di quel corpo riverso sul letto, offerto al suo piacere, dato all'amante perché lo facesse suo.
A Stephan aveva dovuto chiedere di regalargli una parte di sé, forse un orgoglio, il cui valore poteva essere inestimabile. Ora Mauro gli si offriva ed era tutto così assolutamente diverso. Quella volta c'era stato soltanto affetto, e desiderio del sacrificio, anche se lui non lo sapeva. Ora c'era amore.
Tremò per l'emozione, capì che stavano per spendere attimi irripetibili della loro vita. Si chinò ed affondò delicatamente il naso nel solco, fino a posare le labbra sulla fessura che avrebbe violato. La lambì dolcemente e, quando lo ebbe lubrificato a sufficienza, si bagnò di saliva il sesso e si stese su di lui, appoggiò la punta del pene sulla gemma che stava per cogliere e diede una leggera spinta.
Lo sentì irrigidirsi e subito rilassarsi, spinse ancora, accarezzandogli i fianchi, baciandolo sulla nuca e sul collo. Stava lentamente entrando in lui. Erano finalmente alla congiunzione dei loro corpi: quando fosse toccato anche a Mauro la loro unione sarebbe stata perfetta.
Ora era entrato ed aveva cominciato a muoversi. Sentiva la carne di Mauro avvolgerlo e stringerlo.
Il dolore acuto, insopportabile che aveva provato all'inizio, un dolore che, per amore, aveva sopportato senza un gemito, s'era trasformato per lui nella sensazione più bella che avesse mai provato. Quel dolore gli aveva riempito gli occhi di lacrime, poi aveva sentito le mani di Niki accarezzarlo, cercare il suo sesso, stringerlo e poi più nulla. Il piacere l'aveva travolto.
Niki aveva avvertito le contrazioni di Mauro prima di sentire la propria mano bagnata e Mauro, tornato in sé, aveva percepito gli spasmi di Niki dentro di lui.
Rimasero così per molto tempo, più di quanto avessero mai giaciuto dopo aver fatto l'amore, perché questa volta era davvero speciale, perché Mauro voleva conservare dentro di sé il più a lungo possibile quella sensazione, perché Niki voleva sentirsi Mauro ancora per un poco. Lentamente i sessi persero consistenza e i corpi si rilassarono. Niki uscì da lui e si spostò adagiandosi accanto. Cercò la sua bocca e lo baciò. Mauro rispose a quel bacio.
Poi Niki protesse entrambi con una coperta che conservò il calore dei corpi. Il tempo si dilatò. Mauro si rannicchiò contro di lui, le gambe piegate ad intrecciarsi con quelle dell'amante. Si richiusero in un bozzolo e stettero, con gli occhi serrati, ad ascoltare i loro cuori.
Qualche tempo dopo, forse un'ora, fu la volta di Mauro a compiere il rito. Durante quel tempo non avevano parlato, si erano solo baciati, toccati, avevano lasciato parlare i propri corpi. E quando questi annunciarono d'essere pronti per l'altra prova, ancora senza una parola, Niki si sciolse dall'abbraccio di Mauro e gli si stese accanto perché Mauro lo facesse suo per sempre.
Stavano vivendo quell'esperienza con l'estrema importanza che i bambini, o i ragazzi, quali loro erano, danno alle cerimonie. Erano, quelle che si celebravano in quella camera, su quel letto, vere nozze e l'indissolubilità del loro legame avrebbe trovato forza nella natura crudele e primigenia di quel rito d'iniziazione.
Mauro lo preparò alla penetrazione con diligenza, ma con molti tremori, terrorizzato dall'idea d'infliggere all'amante una sofferenza, quello stesso dolore che aveva provato poco prima, un patimento che sarebbe rimasto il segreto più riposto del suo amore. Quando fu pronto, volle baciarlo un'altra volta, poi gli si stese sopra e cautamente spinse sentendosi affondare nel corpo di Niki che aveva rilassato ogni sua fibra per favorirlo. Quando gli fu dentro, scoprì che l'altra metà delle sensazioni provate poco prima non era meno affascinante. Sentirsi avvolgere dal corpo dell'amante era altrettanto bello che ricevere dentro di sé il compagno della propria vita, cioè che donare e donarsi erano due aspetti dello stesso esaltante modo d'amare. Poi l'emozione lo sopraffece. Non sentì altro che le sensazioni che gli salivano dal ventre. Come già Niki con lui, ne cercò il sesso e lo prese fra le mani, poi gli esplose dentro, ansimando.
Niki aveva atteso l'orgasmo di Mauro, poi fra le sue mani aveva goduto di un piacere delizioso, non violento, ma più intenso, profondo. Aveva cercato, atteso e goduto quel piacere, come aveva fatto con Mauro, con il suo compagno. Ed era stato dolce e meraviglioso, come sarebbero stati la loro vita e il loro futuro.
Ora erano davvero stanchi, ma la loro educazione sentimentale si era finalmente compiuta.
TBC
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