DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
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Questo è il settimo dei dieci capitoli che compongono questo romanzo.
Cap. 7 La vita difficile
La ritrovata confidenza con i Cavalieri non si trasformò in una maggiore frequentazione. A scuola ripresero a trascorrere insieme l'intervallo e i momenti liberi, ma nulla cambiò fuori dell'orario scolastico. Continuarono a starsene per conto proprio, a casa di uno o dell'altro, qualche volta in compagnia dei genitori, più spesso da soli.
Mauro non sentiva ancora la mancanza degli amici e Niki, non avendone mai avuti, non provava alcun disagio. Questo accadeva perché loro due stavano ancora troppo bene da soli per cercare la compagnia degli altri, dovevano ancora esaurire lo slancio che li aveva portati ad incontrarsi e ad amarsi in quel modo così completo. Mauro, qualche volta, aveva pensato che se avessero trascorso qualche serata con gli altri ragazzi, forse si sarebbero divertiti, ma era stata soltanto una vaga intenzione, subito ignorata, perché il trovarsi da solo con il suo innamorato era ancora troppo seducente per permettergli di pensare agli amici di una volta. Quell'idea veniva, in genere, scordata mentre formulava a se stesso la promessa che presto ne avrebbe parlato al compagno. Anche Niki, qualche volta era sfiorato dallo stesso dubbio e, pur se cominciava ad avere questa coscienza, l'eventualità di dover incontrare gli amici, parlare, discutere con loro, probabilmente divertirsi, ma dover dividere l'attenzione che Mauro rivolgeva soltanto a lui, lo spaventava ancora troppo.
La loro vita, perciò, non comprendeva altro che la scuola e le famiglie. Ogni sabato partecipavano ad una partita di calcio ed il mercoledì ad un allenamento.
Niki aveva scoperto il calcio conoscendo Mauro. Per lui era stata come una folgorazione, un'altra rivelazione, naturalmente molto meno importante. Era subito riuscito a giocare molto bene e questa consapevolezza, assieme l'amore incondizionato che Mauro aveva per quello sport, l'avevano fatto subito appassionare.
Le azioni che si potevano costruire sul campo, ricevere il pallone da un compagno e rilanciarglielo più avanti nel posto che aveva previsto, oppure cogliere un punto preciso del campo o della porta con un tiro, erano, gli pareva, non meno affascinanti della perfezione formale di una sonata per pianoforte o di una colonna corinzia. Le geometrie del campo di calcio soddisfacevano il suo senso estetico assieme a tutti i riti che s'accompagnavano alla celebrazione di quella cerimonia sacrificale che gli pareva fosse una partita di calcio. Si ritrovò ad attendere con impazienza il momento della partita per incontrare i compagni, studiare le caratteristiche degli avversari e preparare una tattica, cercare insieme di raggiungere la giusta concentrazione. L'amicizia e la solidarietà che passavano fra loro, prima della partita e durante le azioni di gioco riuscivano ad emozionarlo, a smuovere un po' la sua freddezza. E poi l'ebbrezza del gol, la gioia della vittoria o la tristezza della sconfitta lo coinvolgevano piacevolmente, anche perché Mauro era sempre accanto a lui.
Fu subito attratto da tutto questo. Mauro gliene aveva dapprima parlato, gli aveva descritto, come solo lui sapeva fare, tutta la complessa liturgia che precede e segue una partita di calcio. Poi aveva insistito perché l'accompagnasse ad un allenamento e, per gioco, l'aveva convinto a provare.
Niki si era avvicinato timidamente, per la prima volta nella sua vita, ad un pallone da calcio, qualche giorno dopo aver conosciuto Mauro. Con Stephan aveva giocato qualche volta a baseball, oppure a basket, ma il 'soccer', come lui lo chiamava, all'inglese, non era mai stato popolare a Boston.
Quel giorno, al campo di calcio, il primo tiro fu sorprendente, perché il pallone parve attaccarsi al suo piede sinistro. Con le mani era sempre stato ambidestro e, se per scrivere utilizzava di preferenza la mano destra, con l'altra compieva quasi tutto il resto dei gesti e così gli venne naturale controllare il pallone anche col sinistro.
Niki dette un calcio, apparentemente casuale, e lo spedì in rete, mentre il portiere stava ancora disponendosi a difendere la porta. Mauro gli spiegò ridendo che doveva attendere che quello fosse pronto a parare. Riavuto il pallone, Niki tirò ancora e lo rimandò in rete, in un posto dove il portiere non sarebbe mai potuto arrivare. Un altro ragazzo che era con loro gli lanciò un altro pallone e Niki non si fece cogliere di sorpresa. Lo fermò con il petto, come aveva appena visto fare a Mauro e calciò, facendo fare al portiere un altro volo a vuoto: un altro gol. Continuò a tirare e a segnare il più delle volte, facendo saltare il portiere da una parte all'altra, quasi senza riuscire a prendere un pallone. Dopo un poco s'avvicinò l'allenatore che si mostrò subito interessato al talento calcistico di questo 'oriundo'.
Seguirono le presentazioni e a Niki fu proposto, senza tanti preamboli, d'entrare in squadra: un ragazzo che a quell'età riusciva a controllare il pallone con tanta facilità e che sapeva poi spedirlo sempre esattamente dove voleva che andasse, era sempre bene accetto in una squadra di giovani esuberanti ed affannati.
Fu così che si appassionò al calcio e il suo entusiasmo si moltiplicò quando entrò, per la prima volta negli spogliatoi, perché, anche se si vergognava ad ammetterlo, fu subito chiaro che l'esperienza veramente memorabile e sconvolgente era quella che si viveva alla fine di ogni partita.
Mauro lo capì il primo giorno, quando colse uno sguardo davvero inverecondo negli occhi del compagno, un'espressione che, per fortuna, solo lui che lo conosceva avrebbe saputo bene interpretare. La cosa in quel momento lo ingelosì non poco, poi rammentò che lui stesso non s'era mai lasciato scappare occasione di godere spettacoli simili e cominciò a ridacchiare.
Niki, per quella volta, non gli badò, né si accorse che Mauro compreso tutto il suo turbamento.
Quando furono a casa, da soli, visto che erano abbastanza in confidenza per poterlo fare, Mauro non perse l'occasione per prenderlo in giro per quella debolezza:
"Adesso l'ho capito perché tu giochi: lo fai per gli spogliatoi. Per te la partita è solo un pretesto per riscaldarti. Hai accettato di giocare nella squadra, solo per entrare là dentro dopo la partita e goderti lo spettacolo."
"E che spettacolo!" Niki per un momento ammise, ma poi negò, offeso, o quasi "Non è vero. La verità è che tu sei invidioso, perché io sono bravo, molto più bravo di te. Invidioso! Curioso! Invidioso! Pauroso!"
Mauro allora gli saltò addosso e cominciò a fargli il solletico. Improvvisamente si fermò e con la sua voce più calma gli fece questo ragionamento:
"Ammetto! Tu sei molto più bravo di me, ma tutti quelli che guardi dove li mettiamo? È il tuo catalogo: stai collezionando nella tua mente le figurine degli uccelli e dei sederi dei nostri compagni di squadra: lunghi, corti, sottili, spessi, schiacciati, sporgenti, pelosi, glabri. Per non dire delle volte in cui nel nostro spogliatoio ci saranno anche gli avversari..."
E Niki non poté fare a meno di sgranare gli occhi dalla sorpresa.
"Ed io ti sorveglio: a me non sfugge nulla!" disse Mauro, allora, sempre facendogli il solletico.
Niki, allora, riuscì solo a sillabare qualche parola, fra le lacrime per il troppo ridere:
"Ce l'hai anche tu il catalogo. Lo so! Anche tu! Perché una volta me ne hai parlato. Sei solo curioso di sapere chi guardo e che ne penso!"
Riprese a solleticarlo, finché, poiché erano nel posto giusto, cioè a casa di Niki, e al momento giusto, di sabato sera, non l'abbracciò stretto e come, Niki gli aveva detto una volta, usò il suo corpo e fecero l'amore.
La storia di quelle occhiate furtive, di quelle prospettive eccitanti, rubate in quell'atmosfera nebbiosa, li affascinarono ancora per molto. Mauro era certamente più avvezzo al cameratismo che poteva crearsi fra i compagni di squadra e conosceva bene ciò che accadeva negli spogliatoi per averne frequentati molti da parecchio prima di Niki. Aera vero, anche lui si godeva tutte quelle visioni, rimanendone sempre piacevolmente impressionato, Niki invece ne usciva ogni volta molto eccitato.
Li aveva subito definiti 'happening visivo-sessuali'. Quei luoghi, per lui, erano stati davvero una gran sorpresa: altro che la partita! Se si doveva rincorrere la palla per un'ora, un'ora e mezza, subito dopo c'era questo ritorno alle antiche terme: lui fantasticava che gli spogliatoi di una squadra di calcio fossero la versione moderna delle terme romane o meglio dei gymnasium ateniesi. In quest'ultimo caso senza ovviamente filosofi e tutori, ma con atleti che, con orgoglio, mostravano all'ammirazione degli altri i propri corpi denudati, i muscoli ancora tesi, pulsanti per la fatica.
Dopo la partita, in inverno, perché Niki conosceva solo spogliatoi invernali, vi si catapultava una quindicina di ragazzi madidi di sudore ed esaltati dal gioco, talvolta eccitati dalla lotta, da qualche zuffa che si era svolta sul campo durante la partita. Cominciavano a denudarsi tutti insieme, gridando e rievocando le azioni più importanti. Se poi si era vinto, l'eccitazione era maggiore. L'atmosfera diventava greve, riempiendosi immediatamente di odori, solo all'apparenza sgradevoli, ma che colti in quel momento erano per lui particolarmente eccitanti. Tutte quelle traspirazioni si fondevano in un miscuglio sconvolgente con l'odore del cuoio e del grasso delle scarpe, e poi dell'olio canforato che qualcuno utilizzava per lenire i dolori muscolari. Dopo il primo momento d'abbandono sulle panche di legno, ciascuno si liberava delle poche vesti che indossava e il primo corpo si staccava dai banchi per muoversi nudo verso le docce: cominciavano le abluzioni e ad uno ad uno tutti si alzavano per lavarsi e togliersi di dosso il sudore e la terra, come per purificarsi.
Nella camera accanto c'erano le docce, il cui numero era sempre inferiore rispetto a quello di chi doveva servirsene. Là si svolgeva la parte più emozionante del rito. Quasi sempre sotto ogni spruzzo c'erano due corpi nudi, già bagnati di sudore, ed ora viscidi di sapone e d'acqua, gli occhi spesso accecati dal vapore, dalla schiuma. Nell'intimità della vicinanza quei corpi si sfioravano e quasi si toccavano. Ma le mani correvano soltanto sulle proprie membra bagnate. Vi si insinuavano in un modo che era, per chi come Niki aveva imparato a guardarle, al tempo stesso, innocente ed osceno. Ogni volta che arrivava sulla soglia del locale delle docce, la testa cominciava a girargli e doveva ricorrere a tutto il suo self-control per non eccitarsi irrimediabilmente. La prima volta dietro di lui, per fortuna di entrambi, c'era Mauro che ben conosceva la potenza di quell'impatto. L'aveva prontamente pizzicato ad un braccio per riportarlo alla realtà.
Anche asciugarsi e vestirsi erano un rito. E scoprirlo non fu meno eccitante per Niki.
A quasi tutti i compagni piaceva mostrarsi. Erano inconsciamente degli esibizionisti e la promiscuità di quell'ambiente, l'abbandono della fatica donavano ai loro movimenti una licenziosità che mai avrebbero avuto. Sia che fossero dotati fisicamente, sia che fossero insignificanti, oppure anche brutti: tutti, immaginandosi avvenenti, pensavano d'avere qualcosa da esibire. Indulgevano nel passarsi gli asciugamani sui corpi ancora accaldati dall'abluzione. Oppure si muovevano nudi da una parte all'altra della camera, senza un apparente motivo. Alcuni si frizionavano i muscoli con misture dagli odori pungenti che Niki immaginava fossero gli oli usati dagli antichi. Tutti si pettinavano a lungo e con voluttà. Si infilavano le calze tirandole alla perfezione, sfilandosele e ricominciando. Naturalmente, al centro dell'attenzione per la maggior parte dei ragazzi c'era il proprio pene, ancora rilassato dopo la doccia calda. La sua più completa asciugatura, il controllo del suo perfetto stato, prendevano parecchio tempo e la sua sistemazione negli slip o nei boxer era l'operazione più complessa per il proprietario e la più affascinante per Niki che vi assisteva rapito.
L'assoluta innocenza che c'era nei gesti dei compagni fu un aspetto che Niki scoprì dopo che i suoi occhi si furono saziati di quelle visioni eccitanti. Aveva notato che alcuni compagni, dopo la partita ed a causa della stanchezza, si lasciavano cadere sulle panche sfilandosi lentamente le magliette, i pantaloncini e quant'altro indossavano, scoprendosi come in uno spogliarello ingenuo e seducente, poi giacevano nudi ed abbandonati per qualche secondo, finché non si scuotevano dal torpore che li assaliva: era in quei momenti che Niki li trovava tanto eccitanti da non avere quasi il coraggio di confessarlo a Mauro.
Insieme, comunque, si godevano lo spettacolo e tutto quel ben di dio inconsapevolmente offerto alle loro fantasie, stando però molto attenti a non farsi mai cogliere con lo sguardo troppo fisso su qualche bel pezzo di carne e le cose erano andate sempre bene.
Tornando a casa, spesso commentavano l'allenamento o la partita, ma il più delle volte si scambiavano opinioni sulle visioni avute nello spogliatoio. In questi casi era sempre Niki il più disinibito nei commenti, nelle valutazioni, in quelli che chiamava i suoi 'soppesamenti', mentre Mauro, sempre un po' ingelosito dalla disinvoltura che Niki mostrava, finiva per scherzare anche su questo sentimento.
Ne avevano parlato un giorno, mentre tornavano in motorino dalla partita. Erano abbracciati e, mentre Niki guidava, Mauro gli mormorò in un orecchio:
"Vuoi dirmi perché guardi gli altri quando sono nudi?"
"A te dispiace che io lo faccia?" chiese Niki.
"No, non mi dispiace. Cioè... si, sono geloso, ma solo un poco. Me lo stavo chiedendo..."
Niki rallentò fino a fermarsi, si voltò verso il compagno: "Quelli che io guardo sono soltanto dei corpi e non persone. È solo pelle nuda che copre muscoli tesi e vibranti, sorretti da ossa forti!"
"Corpi, pelle e muscoli ed ossa: io, invece, che sarei?"
"Il migliore assemblaggio che io abbia mai visto di tutti quegli elementi" gli rispose Niki ridendo, poi aggiunse "Ma sei anche la dimostrazione vivente di quanto il contenuto possa essere più importante del contenente!"
Mauro si sentì soddisfatto ed infinitamente orgoglioso di quella risposta, l'abbracciò e gli sfiorò la nuca con le labbra.
Un sabato pomeriggio, dopo una partita che avevano vinto, Niki era, come al solito, impegnato a godersi la 'sfilata', mentre Mauro si slacciava lentamente le scarpe in un angolo dello spogliatoio. Quel giorno il gioco non era stato avvincente, né tanto brutto, ad ogni modo, non aveva suscitato molte emozioni, perciò, la mente di Mauro riuscì presto ad allontanarsi dal presente e da quello stanzone rumoroso, per perdersi dietro ad una fantasia. Quella mattina a scuola avevano letto un sonetto di Foscolo in cui il poeta, piangendo la perdita del fratello, morto suicida, ricordava una tomba lontana, evocando una madre addolorata. Ce n'era abbastanza perché a Niki tornasse qualche brutto pensiero e Mauro s'era subito preoccupato. Così, da sotto il banco, gli aveva stretto la mano per distrarlo e mostrargli d'aver capito, perché lo sentisse vicino. Il ricordo di quei versi, proprio la loro tristezza, avevano sviato i suoi pensieri, sottraendolo a tutti i rumori e i movimenti che lo circondavano, facendogli proprio rivivere quei momenti, finché, nel suo sogno ad occhi aperti, gli era parso di ascoltare il mare dell'isola greca, poi di vederne la spiaggia e su questa il cimitero che vi si affacciava fino a lambirla.
Nello spogliatoio, lontanissimo con la mente, ma presente con il corpo, aveva posato lo sguardo, senza neppure vederlo, su uno dei compagni di squadra. Il ragazzo si stava svestendo. Lo sguardo di Mauro era rimasto fisso e concentrato, abbastanza per sembrare sfrontato a chi non sapesse nulla dei suoi pensieri. Pareva proprio che con gli occhi seguisse tutti i movimenti di quel corpo che si andava lentamente denudando. Il ragazzo credendosi osservato e, per di più con tanta sfacciataggine, gli si rivolse con rabbia:
"Che cazzo guardi tu?"
Mauro si riscosse, scoprendosi molto lontano dal luogo dove credeva di essere, balbettò qualche parola ed apparve tanto imbarazzato da sembrare colpevole anche agli altri compagni che erano attorno a lui. Quello la cui virtù pareva lesa era da molto tempo un suo antagonista perché Mauro gli era stato preferito come capitano della squadra. Fu anche per questo che non si fece sfuggire l'occasione per offenderlo e, soprattutto, di sminuirlo agli occhi degli altri:
"Allora è vero che sei ricchione" gli disse nel dialetto del paese "tu e quell'altro" poi si voltò verso Niki la cui attenzione era già stata catturata dall'alterco "e tu che guardi? Guarda questo, invece! Guarda com'è grosso! Me lo vuoi succhiare? Ti piace?" e dicendolo, con tutta la volgarità di cui sono capaci gli adolescenti quando infrangono le regole, si prese fra le mani il pacco che sporgeva dagli slip e lo agitò verso Niki.
Gli altri ragazzi risero o sorrisero a queste espressioni che erano molto comuni nel loro linguaggio, ma, in quel momento, più o meno a tutti tornò in mente delle volte in cui avevano avuto dubbi sugli atteggiamenti di Mauro e di Niki, sugli sguardi che quei due si scambiavano, sul modo con cui si parlavano: quasi si fosse squarciato un velo, improvvisamente, la loro diversità e quindi la loro colpevolezza apparvero evidenti a tutti.
Mauro era ancora un po' frastornato, quasi in sogno pensò che quel sesso offerto con tanta platealità fosse davvero invitante, poi si alzò, tenendo gli occhi fissi su quello che aveva così pesantemente offeso Niki. Indossava ancora la divisa della squadra ed era a piedi scalzi. Si sfilò la maglietta, lasciandola scivolare per terra e si avvicinò lentamente al ragazzo. Davanti ad un'espressione tanto risoluta, quello ebbe subito paura, indietreggiò fino a ricadere seduto e cominciò a spostarsi lungo la panca, cercando di allontanarsi per quanto gli era possibile, ma fu bloccato dall'angolo del muro contro cui terminava il sedile.
Mauro gli fu subito addosso, anche se si era spostato con movimenti lenti che avevano, a quanto pareva, ancor più spaventato l'altro. Il ragazzo s'aspettava di essere colpito ed alzò le braccia per proteggersi, Mauro, invece, con una mano gli afferrò il mento e, mentre con il ginocchio lo immobilizzava, con l'altra gli schiacciò la testa contro il muro.
"Quello che faccio io, sono cazzi miei" la voce risuonò bassa, ma udibile in tutto lo spogliatoio, perché s'era fatto un silenzio assoluto. L'unico rumore che s'udiva, oltre la voce di Mauro, era il gocciolio di una delle docce che era stata chiusa male "Quello che noi due facciamo non ti deve interessare, perché sono cazzi nostri. Non ti stavo guardando e se anche guardavo dalla tua parte, certamente non ti vedevo" e dicendolo gli spinse più forte la testa contro il muro. Il ragazzo cercò per un momento di reagire, tentando d'allentare la stretta, Mauro invece lo spinse ancora più, finché quello non desistette, abbandonando ogni resistenza. Solo allora lo lasciò andare e, raccolta la maglietta, se ne tornò esausto al suo posto. Riprese lentamente a spogliarsi e poi si diresse verso le docce, senza più dire una parola. Niki lo seguì.
Nella stanza gli altri ripresero a mormorare e la riflessione di tutti fu che Mauro non aveva negato nulla, ma aveva solo fatto rispettare le scelte proprie e di Niki. La conclusione, che uno con l'altro si bisbigliarono, fu che ciò che s'erano detti non era una malignità. Forse non erano solo insinuazioni e quello che si pensava in giro poteva essere vero. Anzi, quei due erano certamente 'finocchi'.
Tutti, infatti, si ricordarono di averlo già pensato e di averlo sentito dire ancora più spesso.
L'immediata conseguenza di questa nuova consapevolezza maturata nella squadra fu che nessuno li seguì sotto le docce. Qualcuno, spinto da onestà, l'avrebbe anche fatto, ma non ebbe il coraggio di smentire tutti gli altri e soprattutto di apparire ambiguo in quella situazione, tanto forte era l'imbarazzo che si era creato. Perché, se quei due erano veramente quello che si diceva, c'era molto pericolo a fare la doccia con loro e questo lo sapevano tutti.
Quando i due tornarono nello spogliatoio, tutti i mormorii cessarono improvvisamente. A Niki parve anche che alcuni di quelli che si erano già svestiti tentassero di coprirsi in fretta e furia. Mauro, invece, pur avendo gli occhi aperti, non vedeva nessuno.
Si rivestirono velocemente in un silenzio innaturale e, mormorando un saluto, se ne andarono. Non si parlarono neppure quando furono sul motorino, sulla via del ritorno. Erano diretti da Niki e avrebbero passato la notte insieme: ci sarebbe stato abbastanza tempo per affrontare il problema nuovo e grave che avevano davanti.
Trascorsero la serata giocando col computer, senza ancora riuscire a parlarsi e senza neppure ascoltare musica. Molte volte Mauro avrebbe avuto voglia di dire qualcosa, ma tutte le parole che gli salivano alla bocca, parevano troppo futili per il pensiero che gli riempiva la testa e che, lo sapeva, stava tormentando anche Niki.
Arleen aveva capito subito che qualcosa non andava, che qualcosa era accaduto, ma non fece domande aspettando che suo figlio glielo confidasse, come aveva sempre fatto. Lei e suo marito non avevano impegni per quel sabato sera e i ragazzi cenarono con loro, partecipando educatamente alla conversazione, poi se ne andarono a letto piuttosto mestamente. Li seguì in camera. Era la prima volta che lo faceva, ma era anche la prima volta che non si erano scambiati neanche un sorriso, una parola, anche se non pareva che avessero litigato. Arleen non concepiva neppure l'idea di una lite fra quei due.
"A voi è capitato qualcosa. Pensate di potermelo raccontare?"
Il rapporto di sincerità, quasi di complicità che aveva sempre avuto con Niki, le faceva sperare che anche questa volta suo figlio si aprisse, rivelandole quello che lo crucciava, ma Niki guardò Mauro che abbassò gli occhi.
"Mamma, potremmo parlartene domani mattina? Per favore."
"Come volete, ragazzi. Buonanotte!" e fece per andarsene.
"Mamma, è una sciocchezza!" Niki cambiò repentinamente idea e decise di dirle almeno una mezza verità che forse le avrebbe evitato una notte di cattivi pensieri "Dopo la partita Mauro ha litigato con un compagno di squadra. È stato anche per colpa mia e si sono quasi presi a botte. È per questo che siamo così nervosi. Poi, comunque, hanno fatto pace" e questa, purtroppo, era una bugia.
"Va bene ragazzi. Dormite tranquilli, buonanotte!"
Andò a baciarli entrambi ed uscì chiudendo, come il solito, la porta dietro di sé.
"Niki" Mauro lo chiamò con un filo di voce, era seduto sul letto con le mani abbandonate sulle gambe. Era la prima volta che gli parlava da quando era accaduto quell'incidente "Dobbiamo abituarci a queste scene. Forse ne subiremo delle altre e forse saranno peggiori. Non possiamo sperare che tutti ci trattino come hanno fatto Giacomino e gli altri. E poi quello là con me ce l'ha sempre avuta. Non lo guardavo neanche. Hai visto quanto è brutto?" ed accennò ad un sorriso poco convinto.
"Non ce l'hai con me?" Niki gli si avvicinò esitante.
A Mauro ricordò il gattino spaventato che una volta, quando era piccolo, alla villotta, pareva avere voglia d'avvicinarsi a lui, ma esitava, perché era troppo impaurito per farlo. Mauro, incuriosito e spaventato quanto il micio, si era accoccolato per osservarlo meglio e il gattino lentamente gli si era avvicinato. Prima era andato a strusciarsi sulla sua gamba nuda e poi, presa confidenza, erano diventati inseparabili. Il micio aveva eletto lui, cucciolo d'uomo, ad amico per un'estate di cuccioli.
Rivide se stesso, spaventato ed esitante, accarezzare quel batuffolo di peli morbidi con la faccina furba e gli occhi ancora azzurri. Tese la mano a Niki che gli stava chiedendo qualcosa.
Niki andò a sedersi sulle sue ginocchia, appoggiandogli la testa sulle spalle e Mauro sentì il cuore scoppiargli d'amore e di tenerezza.
"Ce l'hai con me perché ti ho tirato in questo guaio? Non sei arrabbiato, vero?" gli stava mormorando Niki in un orecchio.
"E tu, di quale guaio stai parlando?"
"Di tutto, di noi due, di quello che sono io, del nostro rapporto, di quello che sembra agli altri: i nostri genitori, le nostre famiglie, forse anche i tuoi amici, non sono tutto il mondo. Mauro, mi sembra che tutti ci guardino male. Ma che abbiamo fatto noi? Non è colpa nostra se siamo così!"
Niki non piangeva: era solo immalinconito. Mauro avrebbe preferito che piangesse, perché in quel caso sarebbe stato più semplice cercare di consolarlo, ma Niki era abbattuto, scoraggiato e lui non sapeva come fare a farlo tornare a sorridere.
"Non è stato un guaio incontrarti e dovresti saperlo. E poi a me non importa di nulla, se non di te. Che le nostre famiglie ci abbiano compresi è più di quanto potessimo sperare. Anche Giacomo e gli altri sono con noi. E se qualcuno continuerà a sfotterci, gli risponderemo e reagiremo come abbiamo fatto stasera. Che ci importa? Niki guardami. Ti prego."
Ma quella sera Niki era davvero un cucciolo spaventato. Era tanto scoraggiato da non riuscire neppure a piangere e Mauro non voleva che accadesse.
"Niki, devi guardarmi. Ora! Voglio che tu mi guardi!"
Lentamente Niki sollevò la testa. Aveva gli occhi lucidi. Fissò lo sguardo negli occhi nerissimi di Mauro. Non li aveva mai visti così concentrati. In quegli occhi aveva letto amore e gioia all'inizio del loro rapporto e attesa del piacere che poteva donargli. E poi il dolore per Stephan e la tristezza immensa, durante quei giorni in Florida, quando l'aveva allontanato da sé e dal suo dolore. Non aveva mai visto quell'impeto, quella furia, che era voglia d'affermare la propria libertà.
"Niki, io non mi vergognerò mai di te e non rinnegherò mai il nostro amore e tutta la felicità che mi dai" gli disse, con la voce che era dolce e risoluta al tempo stesso. Vedere Niki tanto avvilito lo aveva esasperato ed ora gli parlava fissandolo, ipnotizzandolo. Cercava di trascinarlo fuori dalla depressione in cui pareva essere precipitato "In ogni momento della mia vita, Niki, sempre, io sarò orgoglioso di te, del nostro amore e di quello che siamo" gli stringeva le braccia, lo scuoteva dolcemente. La sua bocca era a pochi centimetri da quella di Niki che aveva una totale percezione delle parole che lui pronunciava "Quello che noi facciamo importa solo a noi, amore mio. A nessuno, fossero anche i nostri genitori, dovremo mai dare conto di noi stessi, perché noi siamo liberi. Niki, dillo anche tu che siamo liberi. Dimmelo. Ti prego."
E Niki si sentì felice. Sì, erano liberi, lo avrebbe gridato tutte le volte che Mauro glielo avesse chiesto. Avrebbero girato il mondo insieme e l'avrebbero conquistato se l'avessero voluto. Si sentì forte, invincibile, assieme a Mauro: lui e il suo amante. Sarebbero stati liberi.
La felicità lo sopraffece. Cercò la protezione e la sicurezza della spalla di Mauro, non per piangere, ma per chiudere gli occhi, per cercare ancora l'abbraccio di quelle mani.
Gli sarebbe stato impossibile sopravvivere senza di lui. Lo realizzò in quel momento. Lo capì mentre lasciava che tutta la tristezza scivolasse via, mentre Mauro l'abbracciava.
Sarebbe morto: non lo aveva mai pensato, non gli era mai venuta un'idea del genere.
"Penso che senza di te morirei" glielo disse senza spiegarsi, senza dargliene la ragione, anche spaventandolo. Piegò la testa sulla sua spalla e strinse gli occhi.
Fu la volta di Mauro ad essere spaventato, a chiedersi che ne sarebbe stato di loro due in quel mondo costruito per gli 'straights', come gli americani chiamano gli eterosessuali. Il mondo era fatto per i destrimani e i mancini dovevano sempre nascondersi o adattarsi. La tastiera del computer ha sempre i numeri sulla destra.
Mauro gli baciava i capelli, cullava il suo Niki, quell'amante, fratello, e si domandava quanto avrebbe ancora sofferto e fino a quando la sua sensibilità gli avrebbe consentito di sopravvivere.
Finché non s'erano trovati, Niki era stato sufficientemente attrezzato a difendersi dalla vita, ma una volta incontrato Mauro pareva che avesse lasciato cadere tutte le proprie difese e la tragedia di Stephan lo aveva reso ancora più vulnerabile. Ma non potevano arrendersi e Niki doveva reagire. Mauro pensò che avrebbe avuto abbastanza energie per tutti e due.
Come aveva chiamato quel gatto? Forse Ciccio, perché era una parola facile da dire e lui aveva poco più di due anni. Quel micio l'aveva fatto sentire grande, importante. Anche con Niki sarebbe stato così?
Lo accarezzò ancora, quel gattino che aveva ritrovato. Niki rialzò il capo: aveva lo sguardo trasognato.
"Dove sei stato?" domandò Mauro.
"In un luogo dove c'eravamo io e te, soli" lo baciò ancora.
Se ne andarono a letto e quella notte non fecero l'amore, perché era come se l'avessero già fatto, per ciò che si erano detti e per gli sguardi che si erano scambiati.
I loro propositi e la loro tempra furono messi alla prova qualche giorno dopo da due episodi molto diversi, che mostrarono quanto la loro situazione potesse facilmente diventare difficile e quanto poco fosse sopportato il loro rapporto negli ambienti che, oltre alla famiglia, frequentavano in quel periodo.
L'occasione per un'intolleranza da parte di alcuni compagni di classe fu data dalla traduzione di un brano in cui si parlava dell'amore di Achille per Patroclo. Quando l'insegnante di greco aveva scelto quella pagina, aveva badato solo alle difficoltà grammaticali che vi erano nascoste e non aveva immaginato che il contenuto potesse essere imbarazzante per qualcuno dei suoi studenti.
Quel giorno ne interrogò due, purtroppo non dei migliori, che avevano compreso tanto poco quel testo da non poterne certamente restare scandalizzati. Il professore li fece sedere, quasi infastidito, e, muovendosi fra i banchi, prese a tradurre l'inizio del brano, declamandolo con il suo tono più aulico: "Perché, pur avendo saputo dalla madre che sarebbe morto se avesse ucciso Ettore, ma che se l'avesse risparmiato sarebbe tornato in patria e avrebbe terminato la vita in vecchiaia, audacemente preferì, portando soccorso a Patroclo suo amore..."
A questo punto si udì un risolino partire dagli ultimi banchi, da un paio di ragazzi seduti in fondo. Erano due che non erano mai stati nel gruppo degli amici di Mauro. Furono immediatamente fulminati dallo sguardo del professore il quale riprese a tradurre senza cambiare tono di voce: "...audacemente preferì, portando soccorso a Patroclo suo amore e vendicandolo, di morire per lui, non che di seguirlo di poco nella morte. Ed ecco perché gli dei, presi da estrema ammirazione, lo hanno onorato sopra ogni altro, perché, in così alto conto aveva tenuto il suo innamorato..." (Platone, Simposio, - VII 179e-180a)
A quel punto ci fu un'altra risata e, nel silenzio assoluto, generato in parte dal sacro terrore che il professore incuteva, in parte dalla difficoltà della traduzione, si udì chiaramente uno dei ragazzi che prima avevano riso, sussurrare in dialetto all'altro:
"Quei due erano finocchi!"
"Si, se la facevano come Mauro e Niki!" gli fece eco il compagno.
E all'affermazione fece seguire un'altra risata che risuonò empia nell'aula ormai avvolta in un silenzio che la loro intemperanza aveva reso ancor più sepolcrale.
Mauro alzò la testa di scatto e si voltò a fulminare con lo sguardo quei due incauti. Stava seguendo la lezione di greco con l'interesse e la passione che riponeva in tutto ciò che di nuovo imparava a scuola. L'Iliade, l'Odissea e la mitologia in genere rappresentavano per lui una delle vie attraverso cui lasciare correre più felicemente la propria fantasia. La storia di Achille e di Patroclo, poi, da qualche tempo e per ovvi motivi, lo appassionava in modo particolare. Da principio non aveva badato più di tanto ai risolini che erano venuti dal fondo dell'aula, anche perché quei due emettevano gli stessi suoni per la geometria, per la grammatica latina e qualunque altro argomento, ma le ultime parole le aveva udite distintamente, come tutti gli altri e come Niki che ora lo fissava spaventato.
Niki non era nuovo a situazioni di questo genere, ne aveva sopportate spesso di simili e una volta, in terza media, aveva anche pianto. A Mauro non l'aveva mai raccontato.
Quel giorno anche lui si era lasciato portare lontano dalla fantasia, fuggendo in uno dei suoi sogni ad occhi aperti, e non si era accorto che l'insegnante di lettere gli si era rivolta per interrogarlo. Non ottenendo risposta, la professoressa l'aveva richiamato alla realtà: "Niki? Stai pensando alla tua fidanzata?" gli aveva chiesto scherzando, ma da dietro uno dei compagni era intervenuto correggendola: "No, la signorina sta pensando al fidanzato!" E avevano riso tutti. Niki era scoppiato a piangere. L'aveva fatto perché non ne poteva più di sopportare le angherie di alcuni e l'indifferenza di tutti gli altri. L'insegnante aveva rimproverato aspramente quello stupido, ma a Niki era rimasta la ferita dell'offesa ricevuta ed anche il marchio, l'onta, della reazione infantile che aveva avuto davanti a tutti.
Ora si era sentito, per un momento, riportare indietro di due anni, credendo di ritrovarsi in quell'orribile compagnia. Aveva sentito gli occhi riempirsi di lacrime e, per un momento, aveva creduto di essere ancora in quell'ambiente ostile, ma questa volta nessuno dei suoi nuovi compagni aveva riso e soprattutto, accanto a lui ora c'era Mauro che l'aveva fissato e con lo sguardo gli aveva imposto di avere coraggio.
Il professore, una delle istituzioni del liceo classico, era un insegnante esperto. Era stato compagno di scuola del padre di Mauro ed era suo amico. Proveniva anche lui da una specie di dinastia d'insegnanti, grecisti e latinisti. I fratelli di Mauro erano stati suoi alunni e conosceva il ragazzo fin da piccolo. Certamente non approvava il suo rapporto con Niki, ma lo rispettava per gli stessi motivi che avevano spinto i genitori di Mauro ad accettarlo. Ciò che gli premette in quel momento fu di proteggere i due ragazzi, non tanto dalle maldicenze, alle quali, pensò, dovevano abituarsi. Capì che doveva difenderli dalla stupidità, perché quelli che li avevano offesi, l'avevano fatto, ne era certo, per leggerezza e non col fine di mortificare e fare del male.
Il suo sguardo incrociò quello di Mauro. Il professore pensò che quegli occhi gli chiedessero giustizia, con l'orgoglio di chi sa di non doversi mai sentire discriminato. Il padre di Mauro, parlandogli del rapporto di suo figlio con Niki, gli aveva spiegato che i due ragazzi si completavano così bene che avrebbero affrontato la vita abbastanza corazzati contro la cattiveria, le maldicenze e l'invidia. Gli aveva anche confidato che il suo più grande timore era che potessero soffrire a causa della volgarità di chi avrebbero incontrato. Era dalla stoltezza che dovevano guardarsi: pensò che Mauro e Niki potevano essere validi interpreti del suo pensiero. Dovevano difendersi da soli e certamente sapevano farlo.
"Mauro, sei in grado di continuare da solo la traduzione? Niki, aiutalo. Continuate a tradurre insieme!"
Mauro si alzò con il libro tra le mani. Era una copia del 'Simposio' di Platone. Su quel libro suo padre aveva annotato i suggerimenti del padre del professore: alzandosi pensò che dovesse rendere onore anche a quella memoria.
Si erano preparati e avevano studiato parecchio a casa nei giorni precedenti. Ci avevano messo molto tempo, ma erano miracolosamente venuti a capo di tutti i contorcimenti di quel greco antico. Platone li aveva messi a dura prova, ma ce l'avevano fatta, anche perché erano affascinati dall'argomento. Mauro si sentiva preparato così come lo era Niki. Ed era anche furioso con quei due stupidi e poi voleva mostrare a tutti i compagni quanto fosse orgoglioso di Niki e di se stesso. Niki lo stava guardando, come tutti gli altri.
Rispose convinto: "Certo, professore!" e, mettendogli una mano sulla spalla, fece alzare anche Niki perché continuasse con lui. Ripresero a tradurre insieme, spesso leggendo all'unisono, pronunciando, con orgoglio e passione, le stesse parole d'amore fra uomini, di un'amicizia che era come la loro.
Il professore fu soddisfatto della loro traduzione ed anche contento per come avevano reagito. Li fece sedere e fulminò un'altra volta con lo sguardo i due imprudenti in fondo all'aula.
Mauro era certamente più sereno e Niki, cui non importava più molto di quello che la gente pensava di loro, si crogiolava nell'abbraccio protettivo del compagno.
All'uscita dalla scuola Giacomo si infilò fra loro e li prese a braccetto:
"Quei due stronzi! Volevo riempirgli la faccia di pugni."
A Mauro venne un poco da ridere. Come poteva far capire a Giacomo che la risata e le parole di quei due non l'avevano per nulla offeso, semplicemente perché avevano detto la verità?
Ci avrebbe provato: "Giacomino, non si sbagliavano poi tanto. Niki ed io siamo davvero come Patroclo ed Achille. Beh... non siamo semidei, né eroi greci, né saremo belli come dovevano essere quei due, ma per tutto il resto..." e sperò che l'amico capisse "Ma pensa se il professore gli avesse chiesto di continuare a tradurre. Quelli rischiavano di portarsi greco a settembre."
"Insieme con latino, italiano, matematica, inglese e ... boh!" lo interruppe Giacomo, sganasciandosi in una risata delle sue "Non credo che ci proveranno un'altra volta."
"Per loro fortuna" disse Niki "il professore ha scelto noi due. Altrimenti..." e se ne andarono ridendo e scherzando sul fatto che quei due poveretti avevano rischiato davvero di giocarsi l'anno scolastico.
Dopo qualche passo, però, Mauro si bloccò e si mise davanti al 'rosso': "Giacomino! Dimmi la verità: tu, a casa, eri riuscito a tradurre tutto?"
Il Cavaliere, colto in fallo e sull'orlo del disonore, fece la faccia spaventata. Voleva scappare per non dover rispondere, ma Mauro lo trattenne per un braccio, perciò si decise a confessare: "Lo giuro! Voi due eravate gli unici in grado di farlo."
"Già" disse Mauro e il tono della sua voce si fece improvvisamente triste "per due motivi: profonda conoscenza della grammatica greca e soprattutto esperienza diretta dell'argomento" e non rise più.
"Scemo! Sono sempre il vostro migliore amico, o no?"
"Per fortuna non sei l'unico, altrimenti!" concluse Mauro, ma tutta la chiacchierata l'aveva ancora più intristito.
Riuscì a non pensarci più fino a quella sera, quando, in occasione dell'allenamento settimanale, si verificò il secondo episodio che fu molto più grave.
Fin dalle prime volte in cui Niki aveva giocato in quella squadra, alcuni dei compagni l'avevano preso in giro, in modo più o meno bonario, perché non reagiva mai ai falli che subiva. Incassava calci e sgambetti, considerandoli niente più che un aspetto sgradevole del gioco. E non erano certamente la paura o la timidezza a bloccarlo, ma il suo stesso modo di pensare: era nella sua natura il non lasciarsi mai coinvolgere dal gioco che stava facendo, di qualunque natura esso fosse. Gli era capitato di trovarsi in vantaggio nei confronti di un avversario proprio perché la freddezza che riusciva a mantenere gli consentiva di valutare meglio le debolezze di chi aveva contro. E questo per lui valeva tanto per il calcio quanto per qualunque altro gioco, proprio perché il suo coinvolgimento non era mai totale. Tentò perfino di spiegarlo a qualcuno dei compagni, ma capì subito che sarebbe stato uno sforzo inutile, quasi come tentare di spiegare la teoria della relatività a degli asini. Si arrese subito, convincendosi che tutti gli italiani, tranne forse il suo Mauro, non avrebbero mai compreso fino in fondo il suo particolare spirito sportivo e non se ne curò più di tanto.
La migliore qualità che possedeva nel calcio, risiedeva, perciò, nel distacco che metteva nelle azioni di gioco e questo pregio fu presto scambiato dai compagni per incapacità e timore nel reagire alle provocazioni, per paura dell'avversario e infine, dopo l'incidente del sabato precedente, apertamente per qualcosa di molto più ambiguo.
Accanto a questo aspetto del comportamento di Niki, c'era poi tutto quello che gli altri vedevano del rapporto esclusivo che l'univa a Mauro e che si era improvvisamente rivelato equivoco nell'ambiente ristretto della squadra. Se c'era stata qualche intolleranza nei loro confronti era stata fino ad allora contenuta solo dalla considerazione e dall'amicizia che quasi tutti avevano nei confronti di Mauro. Ma i sentimenti di rispetto e cameratismo erano stati travolti quando proprio Mauro aveva reagito in quello strano modo ad una provocazione così aperta a cui neppure Niki s'era ribellato, standosene zitto e senza difendersi.
Quel giorno avevano discusso se partecipare all'allenamento, ma Mauro non aveva voluto saperne: lui avrebbe giocato a calcio anche con il suo peggiore nemico, aveva detto, figurarsi con i suoi compagni di squadra. E non aveva creduto a Niki che tentava di dissuaderlo:
"Sanno di noi, Mauro. Qualcuno di loro l'ha capito e l'ha detto a tutti gli altri! Adesso lo sanno tutti!"
Quando arrivarono al campo, a Niki parve che qualcuno dei compagni di squadra fosse sorpreso di vederli. Qualche altro li trattò con freddezza e proprio tutti si spogliarono con una circospezione che non sfuggì neppure a Mauro.
Dopo qualche giro di campo per riscaldarsi e gli esercizi che, come al solito facevano per sciogliere i muscoli, giocarono una partitella d'allenamento che serviva per provare gli schemi di gioco. Fin dall'inizio Niki fu atterrato e subì falli, quasi sempre da parte dello stesso ragazzo che li aveva insultati dopo l'ultima partita e che quella sera aveva apertamente fatto in modo di giocare nella squadra avversaria. Mauro fremette di rabbia, ma riuscì a contenersi finché non vide Niki rotolare a terra per uno sgambetto proprio cattivo. Quello che l'aveva atterrato, non contento del fallo che aveva appena commesso, nel rialzarsi, schiacciò la mano a Niki.
Per Mauro fu davvero troppo: pur trovandosi dall'altra parte del campo, si lanciò in una corsa disperata verso quello che, ai suoi occhi, era soprattutto un vile e sleale aggressore, oltre ad essere quello che aveva fatto male con intenzione a Niki. Lo raggiunse ancora prima che il ragazzo si rendesse conto d'essere inseguito e lo gettò a terra, buttandosi addosso. I due rotolarono avvinghiati, poi la forza e la furia di Mauro ebbero la meglio e a quello non restò che coprirsi il volto con le braccia per proteggersi dai pugni che Mauro gli stava tirando, colpendolo dove capitava. I compagni di squadra li guardavano spaventati. Fu l'allenatore per primo a tentare di dividerli, ma Mauro non mollava la presa. Era furioso ed era anche troppo forte per essere fermato da una sola persona.
Niki era ancora a terra, un po' stordito dalla caduta e dal dolore, ma, appena si rese conto che Mauro stava pestando il ragazzo che l'aveva colpito, si mise a gridare:
"It doesn't hurt! It doesn't hurt. Mauro! Mauro!"
A quelle parole Mauro si bloccò. Aveva l'affanno, ma si alzò immediatamente, lasciando per terra l'altro ragazzo, e corse da Niki. L'abbracciò, vide che aveva una caviglia dolorante e sulla mano c'erano ancora i segni dei tacchetti che l'avevano schiacciata. Un'unghia sanguinava e il mignolo pareva storto e fratturato.
"How do you feel? Let me see your hand. That bastard: he hurt you!" Mauro non sapeva come toccare, accarezzare Niki, sfiorargli la fronte, avvicinare le labbra alla mano ferita.
"No, he didn't" Niki parlava stringendo i denti.
A Mauro parve che la mano si stesse gonfiando e questo lo spaventò: "Let's go to the hospital. Come on, let's leave this place. We'll never come back here again. Come on, let's leave! You were right! Come on!" Mauro aiutò Niki ad alzarsi.
"No! Wait! It doesn't hurt. I can walk."
Niki zoppicava un poco, ma la caviglia pareva a posto. Il mignolo e l'anulare della mano sinistra invece si stavano davvero gonfiando.
Si avvicinò allora l'allenatore: "Fammi vedere la mano, Niki."
E gliela prese con delicatezza. Niki s'irrigidì, ma le dita lentamente ripresero a muoversi, massaggiate dall'allenatore.
"Non si sono rotte, ma ti faranno un po' male. Voi due andate a cambiarvi adesso. Con gli altri continueremo la partita ancora per un poco. Mauro, accompagna Niki negli spogliatoi e poi torna qui, per favore. Devo parlarti."
Mauro accompagnò Niki. Lo fece sedere sulla panca degli spogliatoi, gli sorrise e lo baciò sulla bocca. Poi baciò la mano dolorante e gli occhi che erano umidi. Lo lasciò per tornare dall'allenatore, cercando di nascondere l'erezione che la tenera e disarmante vicinanza di Niki gli aveva provocato.
Era rasserenato dallo sguardo che Niki gli aveva rivolto e con cui certamente lo aveva seguito mentre tornava verso il campo. Sapeva che in tutto quel trambusto, continuavano ad esistere soltanto loro due, uno per l'altro. Ne era assolutamente certo. Staccandosi da lui, aveva preso una decisione e, per quanto ogni parte di sé piangesse, sentiva di doverlo fare per amore di Niki e per rispetto verso se stesso, per quello che aveva detto a Niki qualche giorno prima.
L'allenatore lo aspettava ai bordi del campo per dirgli chissà quali fesserie sul suo ruolo di capitano e sullo spirito di squadra, oppure, pensò, sul fatto che due omosessuali non potessero giocare in una squadra di persone normali.
Il ragazzo che lui aveva aggredito era seduto in panchina. Sembrava che un occhio gli si stesse gonfiando e pareva pure dolorante ad un braccio. Si spaventò a veder ricomparire Mauro così presto, tanto che istintivamente tentò di nascondersi dietro il compagno che gli era seduto accanto.
Arrivato davanti all'allenatore, Mauro lo affrontò con fierezza. Il momento era drammatico per lui e si sentiva morire dal dolore: stava per compiere un'azione terribile, che mai avrebbe concepito di poter fare. Prima che quello intonasse il suo inno all'amicizia, oppure un discorso sulla tolleranza, Mauro gli parlò con una voce ferma e con un autocontrollo che non sapeva di avere e che lo sorprese quasi più della decisione che aveva preso:
"Sono venuto a dirle che smetto di giocare al calcio. Credo che non giocherò mai più a pallone nella mia vita e spero che vorrà perdonarmi per quello che è accaduto oggi."
Appena l'ebbe detto, si allontanò dall'uomo, prima che quello potesse replicare. Si diresse verso gli spogliatoi, ma cambiò improvvisamente direzione e andò verso il ragazzo con cui si era azzuffato.
Quello, vedendolo avvicinarsi, s'irrigidì, ma Mauro gli si rivolse con un tono assolutamente calmo: "Mi dispiace! Scusami! Non avevo mai aggredito nessuno prima e questa sarà anche l'ultima volta" e fece per andarsene, poi ci ripensò. Qualcosa della sua natura ostinata gli aveva fatto cambiare idea. Con un tono molto diverso aggiunse qualcosa che spaventò ancora di più il suo muto interlocutore:
"Lo capisci che avrei potuto ucciderti?"
Detto questo e senza aspettare risposta, se ne tornò negli spogliatoi lasciando tutti ammutoliti: dall'allenatore, ai compagni di squadra che avevano assistito alla scena, alla sua vittima, che, senza molta premeditazione, aveva scatenato tutto quel putiferio.
Niki s'era già rivestito quando Mauro tornò con la faccia tranquilla di chi ha appena sistemato una faccenda che lo preoccupava. Si vestì in fretta anche lui e se n'andarono senza dirsi una parola e senza salutare nessuno.
Niki non capì subito che Mauro, alla guida del motorino, abbandonava per sempre e per amor suo, una parte importante della sua vita. Tirare calci ad un pallone era stato il suo più grande divertimento fin da quando aveva capito le prime regole di quel gioco che i suoi fratelli facevano così spesso.
Niki lo stringeva da dietro, ma Mauro per quella volta non lo sentiva. Le lacrime gli stavano rigando le guance sotto il casco: aveva lasciato per sempre il gioco del calcio. Non avrebbe più rincorso il pallone, mai più tirato in porta, non avrebbe più alzato le braccia per un gol. L'aveva fatto per Niki e allora il suo pianto, silenzioso, perché Niki non doveva accorgersene, cambiò soggetto, motivazione. Pianse per il suo amico, ferito e sofferente a causa sua. Si sentì colpevole perché era stato lui a far avvicinare Niki al calcio, a convincerlo a giocare, a voler andare anche quel giorno all'allenamento. Anche se ormai tutti sapevano di loro. Si spostò un poco per accarezzare la mano ferita che Niki teneva posata sulla gamba: quella volta sul motorino non erano abbracciati come al solito. Sentì un 'ahi' giungergli da sotto all'altro casco e questo lo convinse ancora di più che era stato giusto lasciare il calcio, che aveva fatto bene.
Invece di dirigersi verso casa di Niki, se ne andò oltre la periferia e si fermò poco dopo quel passaggio a livello che la sera di Halloween, durante la loro prima passeggiata, li aveva visti rincorrersi con le biciclette nei loro primi giochi d'amore. Scese dal motorino, dopo averlo sollevato sul cavalletto, in modo che Niki potesse rimanervi seduto. Si levò il casco e si volse verso Niki. Aveva gli occhi rossi, ma nella penombra Niki non poté accorgersene, perché lui cominciò a parlargli con la sua solita voce:
"Non giocherò mai più a calcio. L'ho detto all'allenatore e ho anche chiesto scusa a quel bastardo che ti ha fatto male."
Terminò con il fiato corto, perché gli venne un'altra volta da piangere e questo, dopo il suo silenzio, spaventò Niki: "Non giocherai più? E perché?"
Era incredulo: il calcio per Mauro era un principio indiscutibile, un assioma, l'unico argomento che non avesse mai accettato di discutere con lui. E adesso lo abbandonava.
"È stata la prima volta che ho fatto del male volontariamente a qualcuno: te ne rendi conto?" gli gridò "Ma non potevo restare fermo, non potevo lasciare che quello facesse male a te. L'ha fatto apposta a schiacciarti la mano quando si è rialzato."
"Lo so. Ma io gliela avrei fatta pagare. Sono figlio di un italiano e di una irlandese. Gliel'avrei fatta pagare" gridò Niki convinto.
"Niki, ho avuto paura" Mauro era sconvolto e non si controllò più "Quando ti ho sentito gridare e mi sono rialzato, l'ho guardato per un momento. Credevo che non si muovesse più. Pensavo d'averlo ucciso. Ho avuto paura!"
E ricominciò finalmente a piangere e a singhiozzare. Il dolore che sentiva dentro, la tensione dei momenti che aveva vissuto, la tristezza, la paura che aveva per il loro futuro: gli apparve tutto troppo grande, smisurato, perché riuscisse a sopportarlo da solo.
Niki scese dal motorino e lo abbracciò. Era la prima volta che toccava a lui consolarlo: non l'aveva mai visto così.
Riusciva a camminare abbastanza bene; gli mise le braccia al collo e, stando molto attento alla sua mano, l'abbracciò stretto, perché ne avevano bisogno tutti e due. Mauro era scosso dai singhiozzi e Niki lo strinse ancora più forte:
"Calmati: ora è tutto finito e la mano quasi non mi fa più male. Guarda" e gliela posò delicatamente tra i capelli, l'accarezzò come Mauro aveva fatto tante volte con lui. Spinse la sua guancia contro quella di Mauro e sentì le lacrime del compagno scendere anche sulla sua faccia "Non piangere più adesso. È finita. È passato tutto."
Mauro scaricò tutta la tensione in quelle lacrime, fra le braccia di Niki e si calmò, ma il pianto, che era così raro in lui, lo lasciava sempre sconfinatamente triste. E nel corso di quell'orribile, interminabile giornata aveva accumulato tanta amarezza.
Risalirono sul motorino e se ne tornarono in città dove li attendeva un compito non facile: quello di spiegare alla mamma di Niki perché suo figlio avesse una mano gonfia e zoppicasse anche un po'. Sarebbero certamente sorti problemi che Mauro volle condividere col suo compagno d'avventure, sebbene Niki si fosse offerto di affrontare la mamma da solo.
"Vengo su con te" stavano parcheggiando il motorino nel garage "tua madre ti farà molte domande ed è meglio che ci sia anch'io. Non vedendomi, potrebbe preoccuparsi."
Niki, felice d'averlo ancora con sé, lo precedette, evitando di zoppicare e cercando di mantenere la camminata diritta che avrebbe dovuto simulare una volta tornato a casa. Ma all'occhio esperto di Mauro la sceneggiata non servì:
"Ti fa ancora male la caviglia, non è vero? Dovrai metterci del ghiaccio e se domani sarà ancora gonfia ti toccherà andare dal medico" all'inizio di quel discorso Mauro era ancora realmente rammaricato d'essere all'origine di tutto questo e continuò con tono serio, anche se, parlando, gli venne un'altra idea "Anzi, a pensarci bene, dovrai consultare un ortopedico che forse ti ingesserà il piede... no, tutta la gamba. E camminerai con le stampelle per tre mesi. A me toccherà portarti in giro con la carrozzella e, la mattina della domenica, ti spingerò fino ai giardinetti a prendere un poco di sole. Se poi, durante la settimana, sarai stato bravo, ti comprerò il gelato. Naturalmente l'attività sessuale, per forza di cose, sarà molto ridotta. Anche la mano ti verrà ingessata e legata strettamente al torace..."
Niki non aveva capito subito che Mauro scherzava, ma quando si rese conto che era tutto un gioco per dimenticare i propri crucci e un tentativo per strappare lui dal pensiero delle reazioni della mamma, si voltò improvvisamente e, con la mano sana, gli assestò un bel pugno sulla spalla:
"Vaffanculo e vai a farti ingessare quello tu che sai, visto che non potrai usarlo con me!" gli disse ridendo.
Era la prima parolaccia di Niki, la prima in assoluto. Non ne aveva mai dette, di nessun genere, perché non appartenevano al suo vocabolario. Infatti, appena ebbe pronunciato quelle parole, sgranò gli occhi e si tappò la bocca, ma era troppo tardi. Anche Mauro si bloccò e lo guardò meravigliato.
Era più che altro esilarato: "Hai detto 'vaffanculo'? Sogno o son desto?" e rideva, non poteva trattenersi, perché Niki lo aveva sempre rimproverato per le parolacce, le considerava un aspetto deteriore dell'animo latino. Mauro aveva tentato di spiegargli che, in Italia, il turpiloquio era spesso fine a se stesso, che era solo un modo colorito di esprimersi o di scaricare la tensione, ma Niki non ne aveva mai voluto sapere: lui quelle espressioni così pesanti non le avrebbe mai utilizzate. Ed ora aveva detto 'vaffanculo', in italiano, per giunta.
"Welcome in Italy, 'mister America'!" e gli fece un compitissimo inchino, sempre ridendo. Anche Niki era divertito da quella sceneggiata.
"Vuoi sentirmelo dire un'altra volta, prima che tu debba aspettare per altri quindici anni?"
"Dillo ancora! Fallo per me!!"
"Mauro, 'vaffanculo'!" e si riportò la mano alla bocca ancora incredulo per quello che era riuscito a dire e ridire.
Nonostante quelle risate, però, quando entrarono in casa, avevano proprio l'aria di chi vuol nascondere qualcosa e gli occhi attenti di Arleen si fissarono subito sulla mano che Niki tentava di proteggere:
"Che hai a quella mano?"
"Mamma, non è niente! Giocavamo e sono caduto, ma non c'è niente di rotto. È solo una contusione."
Ma le parole non valevano per la mamma che gli si avvicinò subito e per sincerarsi delle condizioni.
"Sicuro che non ci siano fratture?"
"No, signora. Gli farebbe molto più male, invece può muoverla senza molti problemi" e Mauro si augurò ardentemente che le sue parole fossero vere.
"Si, mamma, posso muoverla" Niki, invece, sperò di non svenire per il dolore, mentre articolava le dita come se stesse suonando uno strumento. Anzi aggiunse ridendo: "Vuoi che provi ad arpeggiare?"
"Non ce n'è bisogno, ma domani vai dal medico" e non scherzava proprio. Poi, con lo stesso tono si rivolse a Mauro: "Basta con il calcio, mi preoccupa troppo. Voi due mi preoccupate. Adesso voglio sapere tutto!" e si piantò a braccia conserte davanti ai ragazzi "Da qualche giorno avete una faccia..."
Era quasi una settimana che li osservava con più attenzione del solito: suo figlio e Mauro non erano più spensierati e allegri. Aveva capito che c'era qualcosa che li preoccupava e temeva anche di sapere cosa fosse.
Niki le raccontò tutto, là, davanti a Mauro che si sentì terribilmente imbarazzato, anche se ammirò ancora il rapporto che c'era fra Arleen e suo figlio. Quell'affetto incondizionato che consent ì a Niki di parlare liberamente a sua madre del modo in cui i compagni di squadra li avevano rifiutati, quando avevano scoperto la loro omosessualità. Mauro non avrebbe mai raccontato a sua madre che gli piaceva guardare gli altri ragazzi nudi, Niki lo fece quasi sorridendo. Non aveva da lamentarsi dei suoi genitori, ma gli parve che Arleen fosse più spontanea dei suoi nell'accettare l'omosessualità del figlio.
Lei l'ascoltò in silenzio. Aveva uno sguardo dolce che andava dall'uno all'altro, mentre suo figlio le raccontava di come Mauro lo avesse difeso e ridendo le spiegava che se non l'avesse fatto l'amico si sarebbe vendicato da solo per l'affronto subito. Poi le confidò la decisione di Mauro d'abbandonare il calcio e Arleen tirò un sospiro di sollievo, anche se sentiva su di sé tutto il peso del futuro difficile che attendeva quei ragazzi. Accarezzò Mauro, che le si avvicinò, come per cercare il suo abbraccio.
Non avrebbe voluto farlo, ma era così triste per sé, per Niki, perché non avrebbe più giocato a pallone, perché qualcuno li aveva giudicati ed esclusi per un aspetto privato della loro vita e non per le loro azioni ed infine perché sapeva che quella sarebbe stata solo la prima di tante volte e ormai capiva che tutto il loro futuro sarebbe stato costellato da episodi come quello. Poteva rivelare tutto questo a Niki? Sentiva un'infelicità così grande nel suo cuore che superò la timidezza e cercò il conforto di Arleen, di quella donna cui doveva Niki. Anche Arleen fu sorpresa da quella reazione, e gli pose un braccio sulle spalle.
"Ti andrebbe di restare con noi stasera?"
Probabilmente Niki le aveva trasmesso un messaggio telepatico, perché, nel momento in cui lei rivolgeva l'invito a Mauro, Niki stava pensando a come fare a non lasciare Mauro in un momento come quello. Ed anche Mauro si sentiva ancora più triste all'idea di tornare a casa, lasciare il compagno e rimanere da solo con i suoi pensieri.
"Si, grazie, signora. Mi farebbe piacere. Grazie!"
"Telefonerò subito a tua madre per dirglielo."
Niki aveva fatto partire il giradischi con la terza sinfonia di Mahler, perché era triste anche lui, anche se Mauro lo aveva fatto ridere di cuore poco prima e la sua prima parolaccia lo meravigliava tanto che continuava a ripetersela e a sillabarla in italiano e in inglese. Mauro, invece, era proprio depresso. Si raggomitolò sul letto di Niki con le gambe fra le braccia e si mise a guardare l'amico che era davanti al computer, impegnato in un videogioco.
"Stai vincendo?"
"Se ci sei tu con me, io posso solo vincere!"
Mauro si mosse verso di lui, cercando, senza molto riuscirci, di farsi forza. Lo cinse con le braccia da dietro e si mise a guardare lo schermo del computer che un poco rifletteva l'immagine di loro due abbracciati.
"Non potrei continuare a giocare con persone come quelle. Loro ci hanno rifiutato, perché siamo gay. Avevi ragione tu! Ci hanno espulsi come se fossimo stati corpi estranei! Hanno fatto in modo che ce ne andassimo. Cosa ci sarà di sbagliato in noi, Niki?"
"Niente! Tu trovi qualcosa di sbagliato in me? Gente come noi è sempre esistita. Erano tutti dei fenomeni? Noi non siamo dei mostri!"
Si voltò a baciarlo su una guancia e questo costò la perdita di un omino sullo schermo. Ma Mauro non l'ascoltava, pensava ancora ai suoi compagni di squadra:
"Nessuno ci è venuto dietro o ha cercato di fermarci. Ci hanno lasciato andare, perché erano contenti di liberarsi di noi!"
Niki avrebbe voluto dire qualcosa per consolarlo, ma non riuscì a trovare una frase, una parola che potesse, in qualche modo, confortare il suo compagno. E forse non c'era nulla che potesse dire. Doveva solo aspettare che Mauro si scuotesse e tornasse ad essere il ragazzo spensierato che lui conosceva così bene, ma vedendo quell'espressione triste e sfiduciata, pensò che forse non sarebbero mai più riusciti ad essere allegri e sereni, come lo erano stati fino a qualche giorno prima. L'idea di una inesorabile malinconia che poteva perseguitarli lo fece pensare subito a Stephan che era morto soprattutto a causa della tristezza e della solitudine in cui era caduto. Mentre abbracciava e cullava Mauro, decise che doveva reagire, perché questa volta sarebbe toccato a lui di aiutare Mauro.
Per questo gli infilò il naso sotto l'ascella:
"Ti va di fare la doccia? È che non ti sei lavato dopo la partita e... puzzi un poco" mentre parlava così, faceva finta di soffocare. Sperava, con questa sua uscita, di distrarlo dai pensieri che lo tormentavano.
"E tu ti sei lavato?" anche Mauro non chiedeva che di pensare ad altro "Puzzi anche tu. Anzi, tu sei molto peggio, perché puzzi come la carcassa di un elefante ventuno mesi dopo la morte."
"E perché 'ventuno mesi'?"
"Boh! T'interessa saperlo?"
"No!"
"Dai, andiamo!"
S'infilarono di corsa nel bagno e furono presto, uno di fronte all'altro, nudi ed eccitati.
Mauro prese la mano sofferente di Niki e la baciò, la lambì, l'accarezzò. La sentì palpitare, mentre la sfiorava con le labbra. Succhiò ogni dito fino a riempirla di saliva e poi se la passò sulla faccia. Facendola scendere verso il sesso, si fece sfiorare da quelle dita calde, che sentiva pulsanti di dolore. I loro sguardi si incrociarono e Niki strinse gli occhi in un'espressione di dolore.
"Mi fa male" disse in un soffio.
Mauro baciò ancora la mano ferita, poi si abbassò, fino a sfiorare con le labbra il sesso di Niki. Cominciò a muoversi lungo l'asta, l'accolse in bocca, insinuò la lingua sotto la pelle, sul glande e sentì che Niki tratteneva il fiato.
Avevano ormai acquisito una tale coscienza del corpo del compagno che, quando facevano l'amore, riuscivano a vibrare insieme, conoscendo le reazioni dell'altro ad ogni movimento e sollecitazione.
Niki assecondava tutti quei movimenti. Mauro alzò lo sguardo e lui gli fece lentamente di si con la testa, sospirò. Ripresero a muoversi. Mauro l'accarezzò sulle gambe, insinuò le dita fra le natiche, muovendosi così finché non raccolse in bocca il seme che Niki non aveva saputo più trattenere.
Prima sentì le sue mani spingergli la testa contro il ventre, poi accompagnò i movimenti con cui Niki si calmava. Allora si appoggiò contro di lui, abbracciandolo ai fianchi. Si strinse a lui e s'alzò, strisciando sul suo corpo, pelle contro pelle. Niki gli cercò la bocca, la baciò e poi scese per la stessa strada per cui l'altro era appena salito, facendo quello che Mauro aveva appena fatto a lui, fino a dargli lo stesso piacere che gli aveva appena regalato.
Dopo si baciarono, scambiandosi il sapore che avevano raccolto dall'altro.
A scuola sapevano già della loro avventura: la voce si era sparsa, come la mamma di Mauro aveva previsto e temuto, quando Arleen glielo aveva raccontato per telefono la sera precedente. Ciò che era avvenuto durante la lezione di greco, proprio il giorno prima, era ancora troppo recente ed anche per questo nessuno parlò, almeno fra i compagni di classe.
Anche Giacomo e gli altri erano preoccupati. Conoscendo i fatti, ne avevano capito la pericolosità per i loro amici. Da quando Mauro li aveva messi a parte del 'segreto', loro non pensavano che al modo di farlo rientrare nel loro gruppo, per fare che lui, assieme a Niki, tornasse ad essere il compagno che tutti conoscevano. Lo slancio che li animava era certamente sincero, ed era dettato soprattutto dall'amicizia e dall'affetto che avevano nei confronti di Mauro. Quello che non capivano, e che non potevano sapere, era che forse quei sentimenti non sarebbero stati sufficienti a far sentire i due ragazzi a proprio agio nel loro gruppo, né immaginavano quanto grande sarebbe stato l'imbarazzo che loro stessi avrebbero provato verso Mauro e Niki ogni volta che si fossero ritrovati insieme.
Quella stessa mattina furono i ragazzi più grandi, quelli che frequentavano l'ultimo anno, tutti compagni di classe di Michele, ad avere un atteggiamento ostile nei confronti di Mauro, cui capitò di subire quell'offesa. Gli accadde di entrare nel gabinetto della scuola poco prima dell'intervallo e di trovarne alcuni che confabulavano. Alla sua apparizione quelli tacquero immediatamente ed uno del gruppo mormorò qualcosa, suscitando l'ilarità degli altri. Mauro non gli fece caso ed andò a mettersi davanti ad uno degli orinatoi.
"Ehi! Hai sbagliato cesso. Qui si piscia in piedi!" gli gridò dietro lo stesso ragazzo che aveva parlato prima.
Mauro ebbe un tuffo al cuore, ma riuscì a controllarsi e, senza voltarsi, gli rispose con voce calma: "E tu, come al solito, ti sei dimenticato con quale parte del corpo si piscia!"
La risposta gli era salita alle labbra senza che lui sapesse spiegarne la provenienza. Veniva forse da un recesso della sua mente con ancora tanta rabbia per tutto quello che era accaduto durante il giorno precedente, un angolo in cui c'era la sua ribellione verso chi voleva spingerlo con Niki in un angolo e bollarli per una diversità che riguardava solo loro due. Ma si sentì davvero soddisfatto per avere risposto così bene a quello sciocco. E se ne sarebbe sentito tanto orgoglioso da correre a raccontarlo a Niki ed agli altri amici, se contemporaneamente non avesse provato un enorme disprezzo per quell'omuncolo e per i suoi compagni.
Finì d'orinare con calma e si voltò. Riabbottonandosi i jeans, guardò verso il gruppo dei ragazzi.
La sua battuta aveva avuto effetto e Mauro raccolse qualche occhiata di sportiva ammirazione per come aveva saputo mettere a posto quel prepotente. Qualcun altro, invece, abbassò lo sguardo. Si avvicinò al ragazzo che l'aveva insultato e che era parecchio più basso di lui, ma gli passò solo davanti, poi uscì tornandosene in classe e cancellando quell'episodio dalla sua vita. Prima di farlo, poté solo sperare che per loro ci fosse un po' di tregua, di non dovere subire troppo presto altre umiliazioni come quella e si augurò che non capitasse mai a Niki di patirne.
Durante l'intervallo Giacomo, Enrico, Alex ed Eugenio li circondarono, quasi per difenderli dalla curiosità degli altri, e si fecero raccontare tutta la storia.
"Hai fatto bene! Dovevi dargliene di più, molte di più" Giacomo era furente e non riusciva a nascondere la voglia che aveva di menare le mani contro gli ex compagni di squadra di Mauro e Niki "Dovremmo cercare quello stronzo e dargli una lezione!"
"Non dire stronzate!" lo rimproverò Alex che veniva considerato un esperto di arti marziali, anche perché aveva il fisico del lottatore. Ed aveva abbastanza buon senso per capire che quella dello scontro fisico non era una strada da seguire. "E poi quello lì, ci starà certamente lontano. Se i pugni che gli hai dato sono come quelli che per scherzo ci scambiamo fra noi, non credo che rischierà d'incrociarti per strada. Sempre se dovesse vederti in tempo!"
Risero tutti e i progetti di vendetta di Giacomo furono accantonati, ma Mauro era ancora sconvolto per quello che era capitato e cercava di spiegarsi con gli amici: "Giacomo io non avevo mai fatto a botte con nessuno: fra noi non è mai capitato. Non voglio che una cosa del genere possa accadermi ancora" poi aggiunse a voce più bassa "perciò non giocherò mai più a pallone!"
Tutti lo guardarono senza comprendere: era impensabile che Mauro avesse deciso una cosa simile.
"Non può essere. E perché?" gli chiesero insieme.
"Fare a botte è stato così brutto. Ieri sera ho avuto davvero paura! E poi non ce la farei a giocare ancora con quelli. Ci hanno cacciati perché hanno capito di noi. Ho promesso di non giocare più e non me ne pento."
"E non verrete più con noi? Neppure qualche volta?" gli chiese Enrico.
Giacomo gli mise un braccio sulle spalle: "E chi credi che possa saltare per recuperare il pallone se finisce in qualche barca? E se poi dovesse finire in mare? Chi riuscirebbe a capire da che parte va la corrente per andare a recuperarlo? Non possiamo giocare senza di te" lo diceva e sorrideva.
"No, assolutamente!" anche Eugenio cercò di convincerlo "Mauro, a noi non importa quello che vi piace fare. Davvero!"
Ancora una volta quei ragazzi gli stavano dimostrando che la loro amicizia era davvero incondizionata, pensò Mauro, e questo lo rasserenò molto e un po' lo commosse. Trasse una gran tranquillità d'animo dalla solidarietà che i Cavalieri stavano dimostrando a lui e a Niki. I loro amici erano persone normali: Mauro se lo ripeteva in ogni momento, ma quell'offerta d'aiuto, quel conforto così sincero ed immediato erano davvero straordinari e servirono ad allontanare dai suoi pensieri il ricordo così doloroso della sua decisione di non giocare più, l'incidente di poco prima con i compagni di classe di Michele e, almeno in parte il rimorso per la sofferenza che aveva procurato a Niki.
E per Niki i segni di quell'amicizia erano ancora, in qualche modo, indecifrabili, perché, spiegò a se stesso, fino allora non aveva mai avuto amici, ma soltanto un cugino che era come un fratello, che per un po' si era trasformato in amante. Poi aveva incontrato una persona che era diventata il suo compagno. Questi invece erano semplicemente degli amici, i suoi primi amici. Doveva quindi imparare da loro le regole della solidarietà, in modo da comprenderne il calore e l'affetto, senza per questo fraintenderli, trovandosi poi, come gli era accaduto qualche volta a credere di amarli. Niki, finalmente appagato dalla presenza di Mauro nella sua vita, aveva scoperto di poter guardare a dei ragazzi, a degli uomini senza desiderarne i corpi. Riusciva insomma ad essere amico di qualcuno, senza fantasticare sulle forme nascoste sotto i suoi vestiti: nella sua mente si stava finalmente creando una nuova categoria di rapporti umani.
Ma c'era troppo entusiasmo nelle parole dei Cavalieri, nei pensieri di Mauro e finanche nelle riflessioni di Niki. Nessuno di loro poteva saperlo o immaginarlo, ma quei due erano ormai su una zattera che si allontanava irrimediabilmente dalla grande nave, sulla quale i Cavalieri avrebbero continuato a vivere. La corrente li avrebbe presto portati troppo lontano dai loro amici, perché potessero parlarsi ancora.
Nessuno lo sapeva, né l'immaginava. Solo Niki, forse, ma spiegava quella premonizione per la scarsa fiducia che nutriva per l'amicizia.
Appena usciti da scuola corsero a casa di Mauro. La mamma non era ancora rientrata da scuola e c'era solo il papà ad accoglierli. Li abbracciò, ma non fece domande, poi parve accorgersi della fasciatura di Niki.
"E la tua mano come va?"
"Non ci sono fratture, ma solo un'infrazione ad una falange. Dovrò portarla fasciata per due settimane."
"Così avrà una buona scusa per non lavarsi le mani per quindici giorni" commentò Mauro, ridendo.
Il papà tornò a sedersi alla scrivania che era stata di suo padre e di suo nonno, e tentò, con lo stesso movimento che Niki aveva visto fare a Mauro mille volte, di ravviarsi i capelli bianchi e lunghi, un po' ribelli, che gli coronavano il capo. Suo figlio aveva gli stessi capelli e Niki provò ad immaginare Mauro con la chioma candida, seduto quella stessa scrivania, giunta ormai alla quarta o alla quinta generazione di proprietari. Pensò a Mauro tra cinquanta o cento anni e vide anche se stesso accanto a lui.
Il professore guardò i due ragazzi e cominciò a parlare. Com'era sua abitudine, e Niki capì da chi Mauro l'avesse presa. Cominciò a raccontare una storia che forse non era del tutto vera, ma che a Niki parve subito molto bella. Riconobbe in quell'uomo la dote che tanto ammirava in Mauro, la capacità e il piacere di raccontare e di affabulare.
"Quando ero militare, una mattina, fui comandato di piantone. Mi toccava scopare e lavare per terra la camerata, oltre a sorvegliarla per tutta la giornata. Era una bella noia, ma anche un modo per starmene per conto mio, nascosto da qualche parte, a leggere e a studiare. Credevo di essere proprio solo, invece, in una delle brande dell'ultima camerata vidi che c'era ancora un ragazzo, un soldato che aveva detto d'essere ammalato e quindi aveva avuto il permesso di non alzarsi. Sentii che piangeva e mi avvicinai al suo letto. Forse non avrei dovuto impicciarmi, ma gli chiesi perché lo stesse facendo.
"Non vi ho detto che quello era un tipo un po' singolare: aveva modi un po' effeminati e la maggior parte dei soldati lo chiamava nei modi che potete immaginare ed anche di molto peggiori. Era che lui si muoveva in un modo un po' particolare, in certi momenti sembrava proprio una donna e, naturalmente, era diventato lo zimbello di quasi tutti. Quel poveretto era costretto a subire continuamente scherzi ed insulti anche pesanti."
Si accorso che i ragazzi lo guardavano spaventati e lui si affrettò ad aggiungere: "Ragazzi, trent'anni fa era diverso... adesso sono cambiate molte cose!"
Poi riprese a raccontare: "Lui mi guardò e disse: 'Me la sono fatta addosso: sono tutto bagnato. Mi sono pisciato nel letto' e finì quasi gridando verso di me, che me ne stavo imbambolato a fissarlo. Cercai di aiutarlo e gli dissi: 'Forza: alzati, asciugati. Se vuoi, ti aiuto a cambiare il letto e il materasso. Tu vai a lavarti'. Ma lui non si mosse. Se ne stava tutto raccolto sotto la coperta. 'Ti aiuto io' e gli tesi la mano per aiutarlo ad alzarsi. Ero fra i pochi che non l'avevano mai preso in giro, perciò si fidò di me, ma forse aspettava solo che qualcuno gli mostrasse un poco d'amicizia.
"L'accompagnai nei bagni e, prima che potessi andarmene, lui cominciò a spogliarsi e a guardarmi in un modo che a me parve strano. Eravamo completamente soli in quella zona dei bagni, in fondo ad una serie di camerate. Nessuno sarebbe mai venuto da quella parte per almeno un paio d'ore: lo sapevamo bene. Lui era un ragazzo di diciannove anni ed era bello. Lo notai improvvisamente, mentre mi fissava. Mi guardava in un modo che in quel momento non sapevo spiegarmi, anche se sarebbe più giusto dire che non volli capirlo, perché io avevo già ventitre anni ed ero abbastanza grande per immaginare che mi stava offrendo qualcosa, mi stava invitando.
"Io ebbi paura e feci finta di non accorgermi del suo sguardo e di non comprendere la proposta che mi stava facendo. Ero terribilmente imbarazzato e cercai soltanto di essere gentile con lui. Gli sorrisi e scappai via. Ma, se non lo toccai come avrebbe voluto, come, con gli occhi, continuava a chiedermi di fare, fu perché non avrei saputo spiegarlo a tua madre, perché me ne sarei molto vergognato.
"Nei giorni seguenti, però, pensai che forse mi sarebbe piaciuto provare a fare ciò che lui mi aveva chiesto con quello sguardo. In ogni caso, quel ragazzo non finì il servizio militare. Una settimana dopo gli fecero scrivere di suo pugno, pensate che non sapeva quasi scrivere, una dichiarazione sul suo foglio matricolare: 'Io sottoscritto, dichiaro di essere omosessuale dalla nascita'. C'era scritto proprio così, lo lessi qualche mese dopo. Lo mandarono in ospedale, lo fecero partire di nascosto, di notte, come se fosse un appestato: penso che subito dopo l'abbiano riformato.
"Ragazzi, questa è la mia esperienza gay. Come si dice adesso. E voi siete i primi cui la racconto. Quando lo saprà tua madre si farà una bella risata. Ve ne ho parlato perché volevo che sapeste, anche se certamente un'idea dovreste già averla, che nella vita degli uomini non esistono le linee rette e che si può sempre curvare, in qualunque momento. Qualche volta, da tutte le convinzioni, da tutte le idee, da tutte le fedi, si deflette" e sull'ultima parola accentuò drammaticamente la voce "Voi però ricordatevi anche che spesso chi vi disprezza desidera per se stesso quello per cui vi dispregia" aveva concluso, come sempre, scegliendo accuratamente le parole e con quel tono teatrale che Mauro adorava e che lo commuoveva sempre.
"Papà, credi che anche noi potremmo fare la fine di quel ragazzo, cioè che potremmo subire quegli scherzi cattivi? Credi che potranno prenderci in giro?"
"No. No, se vivrete tranquillamente la vostra vita. È l'ostentazione a generare il fastidio e l'invidia. Voi due vi amate. D'accordo, per voi è bellissimo. È certamente una cosa eccezionale. Però ricordatevi che quasi tutti i vostri compagni sono ancora alla ricerca dell'amore, qualche ragazza o anche qualche ragazzo potrebbe essere innamorato di uno di voi. Il vedervi così affiatati, avervi sotto gli occhi tutti i momenti, vedere che vi guardate e vi tenete per mano e vi vorreste baciare, potrebbe provocare in qualcuno invidia e risentimento. E, poiché il vostro rapporto non è normale, nel senso che non è omogeneo a quello che fa la maggioranza, cioè a quello che ci si aspetta che due ragazzi della vostra età facciano, potreste esporvi alle reazioni ed agli scherzi anche pesanti. È per questo che dovrete essere prudenti, ma stando sempre attenti a non essere ipocriti.
"Vivete la vostra vita, questo è un diritto intangibile. Penso che i mezzi intellettuali non vi mancheranno, anche se credo che la vostra esistenza sarà una continua sfida alle vostre intelligenze."
"Lei ha parlato come un filosofo."
"È che io amo la vita, e la mia vita siete voi, ragazzi" si alzò e andò ad accarezzare Niki.
"Allora lei è potenzialmente... Mi scusi se glielo chiedo: lei potrebbe scoprirsi gay?" Niki era un po' arrossito.
"Si, come tutti gli altri. Stai attento: non sto cercando d'occultare la mia esperienza nella massa. Quando dico 'come tutti gli altri', intendo che a tutti può essere capitato, almeno una volta, di sentirsi attratti da persone del proprio sesso. Mi riferisco naturalmente a persone che abbiano, come voi, almeno superato l'età dei giochi. A tutti potrebbe essere capitato e tutti poi hanno rimosso quel ricordo, come è accaduto per me. Ma la vostra storia mi ha fatto tornare in mente quell'episodio. E, badate, quando quella faccenda è accaduta, io ero fidanzato con mia moglie da otto anni e non avevo mai avuto dubbi su quali fossero i miei desideri."
"Allora lei pensa che anche mio padre, mia madre, sua moglie abbiano avuto nella loro vita qualche momento in cui potevano dirsi... come noi."
"Si, e la cosa potrebbe essere stata dimenticata oppure oscurata, perché legata ad un ricordo sgradevole, magari è considerata vergognosa: in ogni caso, molto probabilmente c'è stata."
"Ed anche a noi potrebbe capitare di provare attrazione per una donna?" chiese ancora Niki che per la prima volta era sfiorato da quel pensiero.
"Naturalmente!"
Ed anche se la sua faccia esprimeva tutto il suo scetticismo per quella prospettiva, si affrettò a concordare col papà di Mauro: "Quello che ci ha rivelato, ci consentirà di guardare tutti in modo molto diverso."
"Ne sono convinto, Niki."
Anche Mauro si sentì rasserenato e fortificato dal discorso e dalle conclusioni di suo padre.
La mamma, che era una donna molto pratica, appena tornò a casa, per prima cosa, si accertò che i due ragazzi non avessero subito danni fisici nello scontro del giorno prima, oltre quelli già annunciati da Arleen. Soddisfatta dall'esito dell'esame, spostò la sua attenzione ai danni psicologici che potevano esserne venuti, ma si rasserenò subito anche su quest'aspetto, perché, mentre Niki le spiegava la storia, senza la dovizia di particolari con cui l'aveva già raccontata a sua madre, lei notò che Mauro era tranquillo e per nulla intimidito dalla situazione che s'era creata. Lo conosceva abbastanza per capire che quell'episodio l'avrebbe solo reso più determinato nel perseguire i suoi obiettivi e riconobbe, nella serenità di Niki, la stessa risolutezza, tanto che le venne da chiedersi chi dei due, volendolo, potesse realmente condizionare l'altro. Continuò a guardarli e si chiese quale dei due fosse il più debole, anche se le parve più corretto cercare il più forte, visto che sia Mauro sia Niki le parevano di indole, a dir poco, coriacea.
Sapeva, aveva compreso da qualche osservazione di suo figlio, che Niki piangeva spesso, forse perché era ancora troppo vicina la morte di Stephan, forse perché era più sensibile o soltanto meno forte di carattere di quanto non fosse Mauro che non piangeva da quando era accaduto qualcosa che non riusciva più a ricordare, per quanto tempo era passato. Anzi, le pareva quasi che Mauro non avesse mai pianto. Aveva anche osservato in quale modo Niki guardasse Mauro e quanto facilmente i suoi occhi si facessero lucidi quando li posava sul compagno. Ed anche Mauro rivolgeva a Niki solo sguardi affascinati e sognanti. Aveva notato, infine, che suo figlio pendeva dalle labbra di Niki per qualunque decisione, così come Niki non s'esprimeva mai, su nessun argomento, se prima non aveva consultato Mauro con gli occhi.
Chi fosse più testardo e perseverante dei due, insomma, chi fosse il più forte, restava un bel mistero, né le pareva che per i ragazzi questo avesse molta importanza. Quindi non doveva averne per lei, si ripeté per l'ennesima volta. In fin dei conti, Mauro qualche giorno prima, le aveva parlato di come si sentisse ormai la metà di un nuovo essere, generato dalla sua unione con Niki. Gliela aveva raccontata, come sapeva fare lui, come se fosse stata una storia di fantascienza, ma lei aveva capito che suo figlio non scherzava e non stava inventando altro che una metafora con cui spiegare i propri sentimenti. E la risposta al suo dubbio poteva essere proprio quell'idea stravagante di un'unica mente e di due corpi, come in una delle storie che a gli piaceva tanto inventare, quelle che, quando erano più piccoli, raccontava ai suoi amici Cavalieri, spaventando a morte gli altri e soprattutto se stesso.
Niki, naturalmente, rimase a pranzare a casa di Mauro.
Per il giorno dopo c'era in programma il compito in classe d'italiano e svolsero molto velocemente i pochi compiti che avevano da fare.
"Non credi che questa sarebbe la giornata adatta per quella cosa che mi hai promesso di fare tanto tempo fa?"
Mauro capì subito a cosa si riferisse Niki e fu felice perché quella gli parve proprio una bell'idea.
"D'accordo! Perché oggi è una giornata speciale: è l'equinozio di primavera! È un giorno magico. Però, prima dovrò chiedere qualcosa a papà!"
E se ne andò, lasciandolo in cucina, senza dargli spiegazioni. Tornò subito dopo: "Adesso dammi il tuo portafogli, per favore."
Niki, sempre più incuriosito, glielo porse, ma si guardò bene dal fargli domande.
"Adesso possiamo andare!" concluse Mauro enigmaticamente, restituendoglielo dopo averci guardato dentro.
Era una bella giornata, piena di sole e non faceva più molto freddo. Decisero perciò di andare alla villotta con il motorino. Mauro cercava quasi di nascondere un pacchetto che teneva sotto il braccio. A Niki parve che contenesse un libro o qualcosa della forma e delle dimensioni di un libro.
S'introdussero nella villotta nel solito modo e Mauro lo guidò subito verso il giardino chiuso. L'edicola era come al solito completamente in ombra e il rivedere l'edera procurò a Mauro il consueto brivido, trasmesso, per questa volta, anche a Niki che già tremava d'una emozione molto diversa. Sapeva bene che, quanto stavano per fare, non era niente più che un gioco, ma si sentiva ugualmente commosso e turbato, come se stesse davvero recandosi davanti ad un altare per celebrare le proprie nozze.
Mauro se lo tirò dietro fino allo scalino davanti all'edicola e gli si pose davanti, in modo che entrambi dessero il fianco alla statua. Finalmente tirò fuori il libro dall'involto e svelò una parte del mistero: era 'Les amitiés particulières'. Lo posò sullo scalino. Sentiva il cuore battergli violentemente e gli tremavano le mani: era proprio emozionato. Fissò Niki e vide che anche lui aveva il fiato corto. Per il freddo preso con la corsa in motorino, le sue guance si erano arrossate e le labbra s'erano fatte tese, più sottili. Mauro allora non seppe resistere all'impulso di riempirgli la faccia di baci.
Quella dimostrazione d'affetto riuscì a calmare il tremore di entrambi, facendoli sorridere.
Una volta tornato serio, Mauro si dispose a parlare con la sua voce più solenne, quella che, secondo Niki, diventava ogni giorno più simile alla voce del padre. Erano davanti alla cappellina, commossi e intimoriti da quello che stavano per fare.
"In questo punto, dove si concentrano tutte le forze del bene e del male, noi siamo al centro delle Sette Torri. Qui, davanti alla porta del mondo misterioso, si incontrano l'amore e il peccato. E noi, che abbiamo finora vissuto la nostra passione nella colpa" a Niki venne da ridere, ma riuscì a fermarsi, perché Mauro gli pareva serissimo "Noi ora giureremo uno all'altro di amarci per sempre" e gli stampò un bacio sulla guancia, un bacio, questa volta, molto più solenne e rituale.
Lo guardò fisso e gli prese le mani con delicatezza, attento a non stringere troppo la mano ferita, poi accennò al libro: "Quello è il mio pegno d'amore ed è il mio dono di nozze: se non l'avessi letto, ora forse non sarei qua. Ma ora voglio il tuo, lo hai nel portafogli!"
Niki comprese subito, perché il sorriso di Mauro l'aiutò a capire: "È la mia chiave!"
S'affrettò a tirare fuori la piccola chiave del lucchetto. Proprio quella chiave, quella della sua bicicletta, la chiave con cui, come diceva Mauro, insieme avevano aperto le porte del paradiso. Niki la posò sul libro e tornò a farsi prendere le mani.
"Ci scambieremo questi pegni e resteremo uniti nella vita e nella morte" Niki fece un movimento brusco che non sfuggì a Mauro, perché quella parola gli evocava ancora troppa sofferenza "anche nella morte, amore mio, perché anche allora nulla ci dividerà. Quando accadrà, noi decideremo cosa fare."
"Ma io so già cosa farò!"
"Anch'io, ma non voglio dirlo!" fece ancora di no con la testa e continuò il suo giuramento: "Noi resteremo uniti nella vita e nella morte. Giuro che sarò sempre accanto a te e, dovunque tu andrai, io ti sarò vicino. Ti amerò sempre, come è stato fin dal primo giorno in cui te l'ho confessato e cercherò di non farti mai soffrire. Lo farò con tutte le mie forze e perdonami se qualche volta non ci riuscirò."
Dicendo queste ultime parole s'inginocchiò davanti a lui e gli baciò le mani. Allora anche Niki si abbassò fino a guardarlo negli occhi.
"Giuro che ti amerò, in ogni momento della mia vita e della tua, fino alla morte ed anche oltre, perché se toccherà a me di seguirti, io giuro che ti seguirò ovunque tu andrai..."
"Niki! No..." ma Niki già pronunciava le parole che Mauro non voleva ascoltare.
"...in modo che nulla, mai, possa dividerci. Nella vita e nella morte!"
Anche Niki gli baciò le mani, poi se ne stettero fermi, uno davanti all'altro, a guardarsi negli occhi, a leggere la sincerità assoluta di quella promessa.
Mauro era il più spaventato da quello che d'impulso si erano promessi. Inginocchiati sul tappeto di edera, di fronte alla Madonnina, con il capo inchinato in adorazione della divinità che era nel proprio compagno: insieme nella vita e nella morte, a prezzo delle proprie vite. Si sentiva colpevole, perché quella promessa terribile era nata da una sua idea. Era davvero pentito di averla avuta, di aver pronunciato quelle parole.
"Niki, io voglio che tu viva. Non accetto la tua promessa!"
"Io vivrò un milione di anni accanto a te e poi tanti altri ancora, ed anche per te sarà così! Ne sono certo. Ma... credi davvero che potrei restare senza di te?"
Mauro l'abbracciò stretto, ancora scosso dal giuramento.
"Noi vivremo e continueremo ad essere felici, come siamo ora" mormorò a Niki in un orecchio.
"E tu mi stringerai sempre e asciugherai le mie lacrime."
Niki era commosso e una lacrima sfuggì davvero dai suoi occhi: Mauro avvicinò le labbra a quelle stille che erano di gioia e commozione e le bevve, poi prese la chiave e la strinse fra le dita:
"La metterò nel cofanetto della 'Lucia di Lammermoor', fra i dischi del secondo atto."
Niki sapeva che Mauro si riferiva ad una vecchia incisione a settantotto giri, che era stata di suo nonno e comprese che, posta in quel luogo, la chiave sarebbe stata nel santuario più venerato dal suo compagno. Anche lui prese il libro e ne baciò la copertina: "Questo invece resterà sempre con me. Ma dovrò imparare meglio il francese, se vorrò leggerlo."
Si rialzarono e se ne andarono felici. Con quel giuramento si erano uniti in un matrimonio tanto sacro, quanto più avrebbero considerato sacra la persona alla quale ciascuno si era unito. Avevano giurato per la vita e per la morte.
Il compito in classe d'italiano era un rito che al ginnasio veniva celebrato con una certa solennità. Lo svolgimento del tema era un appuntamento periodico molto importante della vita scolastica e per i ragazzi, oltre che un esercizio di composizione, era l'occasione di razionalizzare pensieri e spesso anche sentimenti. Niki vi si lasciava raramente trascinare. Svolgeva i temi sempre con un certo distacco e scegliendo in ogni caso gli argomenti meno coinvolgenti sul piano personale. Era ormai abbastanza esperto nel mimetizzare la propria particolare sensibilità e quel piccolo esercizio di ipocrisia non gli costava molta fatica. E lo scrivere in italiano, per lui che, il più delle volte, pensava in inglese, era un'ulteriore meditazione cui poteva sottoporre le proprie idee, prima di comunicarle attraverso la composizione.
Mauro, invece, era incapace di resistere alla voglia di comunicare idee e sentimenti, soprattutto perché amava molto scrivere. E questo era certamente un tratto caratteristico della sua natura. Era quasi vitale per lui trasformare in parole ogni emozione, sia che dovesse parlarne, sia che avesse l'occasione di scriverne. Nei mesi in cui aveva dovuto dissimulare l'affetto, le emozioni, la tenerezza che sentiva crescergli dentro, aveva molto sofferto per impossibilità di comunicare a qualcuno quei turbamenti. Niki l'aveva soccorso e si era offerto di ascoltarlo in ogni momento e lui l'amava anche per questo. Si erano sottratti uno con l'altro a due diverse solitudini e questo era davvero un buon motivo per volersi bene.
Fu proprio facendo un pensiero come questo che quel giorno, quando l'insegnante di lettere, con la solennità che era dovuta al momento, dettò le tracce, Mauro scelse tra i temi proposti, quello che più gli consentiva di scrivere liberamente dei propri sentimenti. La traccia, piuttosto vaga, recitava 'Tutte le persone importanti della mia vita' e, se Niki si guardò bene dal lasciarsi coinvolgere da un tema così compromettente, lui lo svolse senza esitazioni e con la massima sincerità. Credeva di volere e finalmente di potere scrivere di Niki e del loro rapporto.
La proposta di quel tema era giunta subito dopo la brutta giornata che avevano vissuto. Quegli avvenimenti che pure l'avevano turbato, non avevano fatto altro che fortificarlo nell'opinione che ormai fosse venuto il tempo per comportarsi in modo coerente e quindi non nascondersi più. Come aveva suggerito suo padre: essere se stessi, senza ostentazione. Potevano e dovevano parlare tutte le volte in cui era necessario, perché gli altri, sapendo di loro, li accettassero oppure, almeno li sopportassero. Perciò scrisse apertamente di sé e di Niki, soprattutto di quanto lo amasse e se ne sentisse amato.
E se in quel liceo lo svolgimento del compito di italiano era un'occasione quasi solenne, quella liturgia aveva, qualche giorno dopo, una conclusione non meno rilevante: era tradizione che, il giorno in cui l'insegnante di lettere riportava i compiti corretti, un tema, scelto tra i migliori, fosse letto ad alta voce e talvolta anche commentato in classe. Nella quinta 'B' il tema prescelto era quasi sempre quello svolto da Mauro e quel sabato mattina, appena entrata, la professoressa lo chiamò alla cattedra.
"Mauro, ho letto il tuo tema e mi è piaciuto" gli disse sottovoce, in modo che gli altri non ascoltassero "Parlavi anche di Niki, non è vero?"
Mauro le sorrise.
"Vorrei che tu lo leggessi in classe, ma credo che prima tu debba pensarci bene. Decidi pure liberamente. Mi pare che l'argomento sia piuttosto delicato e se tu non vuoi, ne leggeremo un altro."
La professoressa era a conoscenza della loro storia ed anche degli episodi di qualche giorno prima e non voleva mettere ulteriormente in imbarazzo il ragazzo, ma Mauro ci pensò solo un secondo, poi assentì vigorosamente:
"Vorrei leggerlo ugualmente! Penso che molti abbiano già capito di noi e..." esitò, temendo di offendere la sensibilità dell'insegnante "anche se il giudizio degli altri è importante, noi due vogliamo soltanto essere noi stessi! Io... credo sia meglio che tutti lo sappiano e questa è davvero una buona occasione!" le rispose risoluto.
"Va bene. Leggilo pure" e l'accarezzò sulla guancia.
Dopo la distribuzione dei compiti e qualche commento, l'insegnante chiamò Mauro a leggere il suo tema. Il ragazzo si alzò, tirò il fiato e si guardò intorno: pensò che, alla fine della lettura, molte cose sarebbero cambiate. I loro rapporti con tutti gli altri compagni, forse, sarebbero stati diversi. Sapeva quanto le voci e le mezze parole fossero spesso, e in un argomento come la loro diversità e l'amore che provavano uno per l'altro, molto più accettabili della verità svelata. È sempre l'evidenza della realtà quella che fa più male. E quella non era un'idea di suo padre, ma una convinzione che aveva acquisito vivendo quei mesi d'amore segreto, furtivo, ma tanto affascinante. Guardò Niki che conosceva già il contenuto del tema perché lui gliene aveva parlato. Non aveva voluto leggerglielo, sperando di farlo in un modo molto speciale: appunto davanti a tutti. Vide la sua mano, ancora fasciata, ed ebbe una stretta al cuore, ne trasse un motivo in più per incominciare a leggere.
"Le persone importanti della mia vita sono state i miei genitori, i miei fratelli e i miei compagni di giochi e di scuola. Con loro sono cresciuto, ho fatto tutte le mie esperienze, ho pianto, ho riso. Dai miei genitori ho imparato a camminare e a parlare. Per esempio non avrei mai imparato a pronunciare correttamente le parole se non avessi ascoltato qualcuno e avessi cercato di imitarlo, oppure non sarei sopravvissuto se i miei genitori non mi avessero nutrito quando ero troppo piccolo per sapere che non mangiando sarei morto.
Io credo che la vita di un uomo sia scandita dai suoi incontri con persone indispensabili, non solo per la sua vita sociale, ma per la sua stessa sopravvivenza.
I miei fratelli mi hanno insegnato tante cose, per esempio mi hanno subito mostrato dove dovevo andare a nascondermi quando combinavo qualche marachella e loro, per me, sono stati davvero importanti e indispensabili anche per tutte le altre cose che mi hanno insegnato.
Con gli amici ho imparato a giocare ed anche a perdere: se non avessi avuto loro, ora non sarei leale ed onesto, come spero di essere. Gli amici mi hanno fatto sempre ridere e ridere per un uomo è importante, con gli amici si ride, ci si diverte e si cresce, anche se, quando si cresce, si ride sempre meno, perché ci si chiede il motivo per cui lo si sta facendo. E il saperlo fa smettere: questo però, oltre a sembrare uno scioglilingua, è anche un altro discorso.
Gli amici sono importanti, perché fanno capire che non si è soli al mondo, quando si è quasi certi di esserlo" Mauro si fermò per voltarsi verso Giacomo "Con gli amici si può dividere una gioia e spartire un dolore, altrimenti che amici sono? Io ne ho avuti molti e sono stati questi gli incontri più importanti della mia vita, perché i genitori, i fratelli si incontrano per un fatto connesso alla propria nascita: è inevitabile che per una persona i componenti della sua famiglia siano importanti, ma gli amici uno se li fa e, se si rivelano importanti, allora è davvero felice. Se trova dei veri amici, ha realizzato uno degli scopi della vita che è, credo, quello di vivere insieme agli altri, possibilmente facendo qualcosa per loro.
Ma un essere umano non vive soltanto per avere semplici amici o compagni di giochi, ad un certo punto della vita incomincia a cercare un aspetto più completo dell'amicizia. Cerca l'amore! Il mio amore io l'ho trovato fra i miei amici, dove non pensavo di poterlo trovare e in un modo e in una forma in cui non avrei mai immaginato, si potesse presentare.
Mi ero lentamente preparato a questo incontro, prendendo coscienza che, in me, tutto stava cambiando. Anche il mio corpo mi inviava segnali che spesso non sapevo interpretare, ai quali non sapevo dare risposta. Credevo di dover aspettare ancora chissà quanto prima di capire qualcosa di me e di tornare ad essere felice, ma non ho dovuto cercare, perché quell'amore si è seduto accanto a me, mi ha preso per mano e mi ha portato dove non avrei mai sognato di poter andare.
Lui mi ha trovato ed io l'ho amato subito, perché aveva lo sguardo triste."
Ci fu un mormorio sommesso in classe e Mauro si chiese se quella frase non fosse troppo esplicita per i suoi compagni, ma, si ripeté, il suo amore per Niki sarebbe comunque stato scandaloso per la maggior parte di loro e solo parlandone poteva sperare che, in qualche modo, l'accettassero. Riprese a leggere fissando il suo pensiero su Niki e nessun altro, perché, anche in quel momento, Niki era il centro di tutto.
"Quell'amore è stato per me l'incontro più importante della mia vita e non credo che in futuro potrò mai imbattermi in una persona come quella di cui sono innamorato, anche se sono conscio che la vita ha in serbo per me molte altre esperienze, di ogni genere.
Da quando ho scoperto di amare, la mia vita è cambiata, è stata un'esperienza che mi ha trasformato. Nella mia vita ormai c'è un prima e un dopo e sono netti, inconfondibili: com'ero prima, come sono ora, in ogni aspetto di me.
Perché prima ero io e solo io, ed ora sono soltanto la metà di un altro essere. All'inizio di questa esperienza potevo anche pensare a me come ad un mostro, alla metà di una nuova persona. Era come se guardandomi allo specchio io vedessi un braccio, una gamba, un occhio, un orecchio, metà di tutto, perché l'altra metà non ero io, non era mio, ma della persona che amo.
Ora io sono un 'visconte dimezzato' e questa incompletezza mi dà un'intima, infinita felicità.
Da quando amo, io vivo beato. Ricevo e do gioia.
Assieme abbiamo affrontato e superato difficoltà che sono state meno ardue. La tristezza che spesso ci è calata addosso, è stata meno pesante. Finanche la morte che ci è passata vicino, è stata meno terribile, perché avevamo avuto un salvacondotto dalla vita, perché avevamo l'amore.
È stato come se la vita ci avesse detto: 'Ehi, voi due, vi do l'amore. Siate felici!', anche se io non credo davvero di meritare tutta questa felicità.
Quando siamo lontani, capita di rado, ma capita, non pensiamo che a rivederci. Ci cerchiamo sempre. Se stiamo insieme, i nostri sguardi si incrociano continuamente, una mano cerca sempre l'altra, un braccio sfiora sempre l'altro braccio. Quando siamo vicini non desideriamo mai di trovarci in un altro posto. Perché siamo due metà, non scordiamolo.
Io sono fiero del mio amore e lo difenderò sempre, davanti a chiunque.
Ci siamo giurati fedeltà nella vita e nella morte ed io sono certo che presteremo fede a quella promessa solenne, anche oltre questa vita.
Mi chiedo, infine, cosa possa avere fatto per meritare questo amore: non ho risposte, né credo di essere speciale; penso solo che la nostra felicità sia il frutto del caso, dei grandi numeri e spero che altri possano provare quello che io provo."
Mauro terminò la lettura, ma aveva ancora qualcosa da aggiungere e, senza posare il foglio, fingendo di continuare a leggere, continuò a parlare: "Qualche giorno fa ci sono accaduti due fatti. Il primo è stato piuttosto spiacevole ed è avvenuto mentre giocavano al campo di calcio. Lì ci siamo difesi, come continueremo sempre a fare. Abbiamo soltanto affermato la nostra libertà che è un bene intangibile: noi vogliamo solo sentirci liberi di essere noi stessi e lo faremo. Sempre!
"L'altra cosa che ci è capitata è stata molto più bella: abbiamo scoperto di poter contare sull'amicizia. Temevamo di essere soli e invece non è così. Abbiamo molti amici. Per noi è stato difficile guardarci dentro e comprendere noi stessi, ciò che realmente eravamo. Per questo capisco quanto sia complicato per i nostri amici ed è per questo che io li amo ancora di più."
Niki non aveva distolto un momento gli occhi da lui e Mauro gli sorrise, risedendosi. Niki lo guardò ancora con occhi sognanti: aveva la mano stretta in quella fasciatura che ora pareva essere diventata un pegno d'amore. In classe c'era silenzio e Giacomo, seduto dietro di loro, mise una mano sulla spalla di Mauro e gliela strinse forte. Enrico si voltò per accarezzargli la mano. Vide Eugenio che gli sorrideva ed Alex che gli faceva di si con la testa: erano loro gli amici di cui parlava e si sentì felice.
La professoressa scrutava i ragazzi cercando di cogliere le reazioni a quelle parole così esplicite e così provocatorie nella loro semplicità. Rimasero tutti in silenzio e l'insegnante parlando ruppe una specie d'incantesimo:
"Ho chiesto a Mauro di leggere il suo tema, perché conteneva qualche concetto sul quale vorrei che tutti posaste la vostra attenzione..."
Parlò, senza che Mauro l'ascoltasse, perché la sua attenzione era rivolta a Niki il quale, invece, guardava dritto davanti a sé. Era apparentemente attento al discorso della professoressa, ma Mauro sapeva che certamente si era perso inseguendo qualche pensiero che doveva essere affascinante. Mauro si godeva così l'espressione del compagno.
Mentre la professoressa parlava, in modo molto prudente, di tolleranza verso chi ha idee e comportamenti diversi dalla maggioranza e di quanto relativo possa essere il concetto di normalità, i suoi ragazzi pareva che l'ascoltassero con attenzione e, sperava Mauro, con tanta convinzione.
Niki, invece, era in un mondo lontano, dove l'aveva condotto Mauro con quell'atto d'amore: aveva detto di lui cose bellissime, cose che Niki conosceva già, ma averle scritte, razionalizzate e soprattutto lette con tanta serenità davanti a tutti, rendeva quel gesto ancora più appagante.
Aveva sognato un'altra volta di se stesso e di Mauro fra cento o più anni, ancora innamorati come il primo giorno, quando era accaduto che Mauro, risedendosi dopo l'interrogazione d'inglese, gli aveva stretto la mano sotto il banco. Si sarebbero sempre cercati con lo sguardo e avrebbero continuato a sfiorarsi. In quel sogno ad occhi aperti, vide se stesso vecchio come il nonno e vide Mauro com'era adesso, seduto al banco accanto a lui. Ma nel sogno sapeva che anche Mauro era vecchio e vedeva lui com'era ora, seduto al banco del ginnasio, in un gioco di specchi e di età, per un amore che Mauro gli aveva, ancora una volta, giurato eterno. E aveva scelto di giurarlo davanti a tutti, dopo averlo fatto in quel rito segreto di qualche giorno prima.
Si riscosse dal sogno. Mauro era tornato ragazzo e gli aveva appena fatto una domanda. Voleva sapere se, per quella sera, lui aveva voglia di fare qualcosa con Giacomo e con qualche altro. Mauro aveva anche starnutito mentre glielo chiedeva. Mauro era raffreddato.
Erano già in intervallo e l'insegnante di lettere era andata via. Doveva essere passato molto tempo e forse aveva davvero dormito, perché si sentiva un po' spaesato, ma c'era Mauro accanto a lui. Mauro che era stato bravo a scrivere tutte quelle cose e lui ne era estremamente orgoglioso.
Ma perché ora Mauro era raffreddato?
TBC
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