Storia Di Niki E Mauro

By Lenny Bruce

Published on Jan 25, 2013

Gay

DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.

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Questo è l'ottavo dei dieci capitoli che compongono questo romanzo.

Cap. 8 Gli amici

Nel gruppo dei Cavalieri c'erano ragazzi e ragazze che frequentavano la stessa scuola. Insieme avevano un grande problema che consisteva nel cercare qualcosa di divertente da fare quando si incontravano, vale a dire quasi ogni sera. L'allontanamento di Mauro, durante gli ultimi mesi, era stato vissuto da tutti come una perdita, perché spesso la comitiva si era mantenuta proprio sulle idee che venivano da quello che era certamente il più fantasioso di loro.

Ma, oltre al problema importante di come occupare il proprio tempo libero, ognuno di loro aveva un assillo più urgente, un bisogno molto più imperioso: era il chiodo fisso della propria soddisfazione sessuale. Se alcuni, più fortunati o meno spontanei, parevano non soffrirne apertamente e si mostravano meno tormentati, ciascuno era, in ogni caso, alla ricerca di affetto, e magari d'amore. Al fondo di questo c'era, com'era giusto che fosse per degli adolescenti, la ricerca di sé. Quasi tutti, infatti, stentavano a raccapezzarsi: qualche anno prima l'aspetto fisico di ciascuno di loro era tanto cambiato che c'era da non riconoscersi guardandosi allo specchio, per non dire dei desideri derivanti da quei mutamenti che erano sempre più definiti ed imbarazzanti, ma anche seducenti e spesso irresistibili.

Era questo particolare aspetto a rendere Mauro e Niki realmente e definitivamente diversi da tutti i loro amici: essi avevano capito cosa esattamente cercare e soprattutto l'avevano trovato. L'essersi affrancati così presto ed in modo tanto netto dalla ricerca di un compagno, dell'innamorato, ne faceva degli alieni fra i loro coetanei.

L'allontanamento di Mauro, nei primi tempi, era stata considerato, come una passeggera infatuazione per il nuovo amico, forse bisognoso di conforto per le disavventure della madre. Era, infatti, nota a tutti la gran bontà d'animo di Mauro e tutti pensarono che fosse solo una sbandata giustificata oltre tutto dal viaggio in America, un'occasione che nessuno avrebbe rifiutato. Al ritorno, dopo le feste di Natale, quando tutti s'aspettavano che Mauro tornasse normale, cioè riprendesse a frequentare il gruppo, era apparso chiaro che qualcosa era accaduto, perché quei due avevano continuato nel loro rapporto esclusivo, senza degnare gli altri neppure di uno sguardo. Dopo alcune illazioni mormorate a mezza voce, fra i ragazzi era prevalsa una sorta di discrezione: si conoscevano tutti da troppo tempo per pensare tanto male di uno di loro, oppure la natura stessa dei pensieri che avrebbero potuto fare era considerata come un'ipotesi troppo ingiuriosa nei confronti di Mauro che era stato quindi collocato in una specie di limbo, nell'attesa che, una volta rinsavito, tornasse nell'ambito del gruppo.

Poi, l'incidente al campo di calcio aveva dato una scossa alla situazione.

Dal giorno in cui Mauro aveva rivelato il suo amore per Niki, i Cavalieri non avevano pensato che a trovare un modo per riportare lui e lo stesso Niki nell'ambito del gruppo e a farli accettare a tutti gli altri. Questo era il loro fine, ma era necessario che anche Mauro e Niki accettassero l'idea di riprendere ad uscire con gli amici, per divertirsi assieme agli altri, perché tornare insieme sarebbe stato certamente divertente per tutti. Soprattutto Giacomo aveva cercato qualunque pretesto, anche se questo avrebbe comportato che tutti fossero a conoscenza ed ammettessero la natura del rapporto che univa Niki a Mauro e che anche quei due fossero disponibili ad accettare tanta pubblicità al loro amore.

L'occasione che attendeva arrivò con la lettura del tema. Giacomino ne aveva già parlato ai Cavalieri ed a qualcuno degli amici e tutti erano stati d'accordo: Mauro, assieme a Niki, doveva tornare ad uscire con loro. E Mauro aveva volontariamente scritto in un tema tutto quello che si doveva sapere sui suoi sentimenti per Niki, così a Giacomo parve che il momento fosse finalmente arrivato:

"Verreste a fare una pizza con noi, stasera?" lo disse mentre suonava la campanella dell'intervallo e l'insegnante di lettere era ancora in classe.

La proposta disorientò Mauro che non si aspettava certo un invito, non subito dopo aver letto il suo tema. Rivolse lo sguardo a Niki, ma l'amico era, con la mente, da tutt'altra parte. Lo scosse delicatamente:

"Niki, what do you think? Shall we go? " e starnutì.

"Why not?" disse Niki e a Mauro parve che gli avesse risposto meccanicamente, non realizzando la portata dell'invito che avevano ricevuto, ma si fosse interessato di più al suo starnuto che non era il primo della giornata e non sarebbe stato l'ultimo.

Quel giorno c'era un bel sole e, per l'intervallo, se n'andarono nel cortile, tutti insieme, come non succedeva più da molto tempo. Circondarono Niki e Mauro e, come per dare un segno di benvenuto a Niki e di bentornato a Mauro, parlarono tutti quanti senza dire molto. La lettura del tema, pensò Mauro, doveva avere scosso un po' tutti ed aveva certamente trascinato Niki in una dimensione dalla quale il suo compagno pareva non essere tornato completamente. Tutti, in ogni modo, chiesero altri particolari sull'incidente al campo di calcio, a Niki notizie sulle condizioni della mano ferita, ma le domande inespresse, quelle che tutti certamente avrebbero voluto rivolgere e riguardanti il loro rapporto, le curiosità che ognuno aveva, rimasero sospese, creando in tutti, meno che in Giacomo, un imbarazzo palpabile. Fissarono l'appuntamento per quella sera alle otto, ciascuno sperando d'inventarsi qualcosa che riuscisse a fare funzionare quel gruppo così insolito.

Non avendo più la partita del sabato pomeriggio, si ritrovarono ad avere qualche ora libera dopo pranzo.

"Come ti senti? Non sei troppo raffreddato?" Niki lo stava accarezzando con lo sguardo "ti andrebbe lo stesso una passeggiata alla villotta?"

Era triste e Mauro se ne accorse dalla curva che disegnavano i suoi occhi.

"OK, andiamo" e starnutì di nuovo. Aveva il naso chiuso e il mal di gola, ma non voleva che Niki se ne accorgesse e si preoccupasse. Sapeva che avrebbe fatto una tragedia per il suo raffreddore. E poi Niki era preoccupato per l'uscita serale e pure lui era un po' spaventato da quella nuova avventura che li aspettava, così insolita per loro due. Gli parve però che Niki, come sempre pessimista, l'avesse presa molto più sul serio. Lasciandosi al solito angolo e non essendosi quasi parlati per tutto il tragitto, si scambiarono uno sguardo d'intesa:

"Alle tre" Mauro portò la mano alle labbra e fece il cenno di un bacio.

"In bicicletta?" propose Niki.

Mauro si voltò e gli fece di si con la testa.

Splendeva un sole luminoso e, per essere soltanto l'inizio della primavera, faceva già abbastanza caldo: Niki aveva scelto di andare in bicicletta perché il motorino, che ormai sapevano guidare entrambi, consentiva di scambiarsi solo poche parole attraverso i caschi e loro dovevano parlarsi. Aveva molte domande da fare.

Quel giorno, però, Mauro pedalava un poco più lentamente del solito e si capiva che gli costava fatica sforzarsi. Si sentiva tutto indolenzito ed aveva anche il fiato corto. Raggiunsero subito le strade interne e si affiancarono.

"Non pensavo che avresti scritto tutte quelle cose. Lo sai che mi ha un poco imbarazzato sentirti leggere quel tema davanti a tutti."

"Mi è parso giusto scriverle e poi leggerle, quando la professoressa me lo ha chiesto. Ti è dispiaciuto? Non volevi che lo facessi?"

"No, hai fatto bene. Ho solo detto che mi ha un poco scombussolato. Non lo so spiegare. Non credevo che tu volessi farlo e poi non pensavo che dire a tutti ciò che proviamo uno per l'altro fosse così semplice. Però quando hai finito di leggerlo mi sono sentito molto meglio. Ed ora mi sento più leggero, meno oppresso dall'idea che tutti possano giudicarci in ogni momento e per ogni azione che facciamo. Adesso sanno tutto e forse non faranno più domande" poi cambiando discorso e tono della voce, gli chiese dolcemente "Perché pensi di non meritarmi? O di non meritare tutto questo amore? Lo hai detto tu stesso che la vita ci ha fatto un regalo."

"C'è una cosa che penso e che non ho voluto scrivere. Ed è che spero con tutta l'anima di non perdere mai quel regalo, perché morirei se lo perdessi. Queste cose non le ho scritte e ho fatto bene. Già così è stato abbastanza forte per tutti" Mauro sorrise "E poi un poco di modestia non guasta mai, no?"

"Allora il mio amore è modesto: hai detto così?"

"Scemo! Non hai capito niente! Deve essere il sole!"

"Oppure è il tuo inglese: in italiano, nel tema, avevo capito una cosa diversa, ma, in inglese..."

"A proposito dell'inglese: sono tre mesi che mi torturi. Non puoi pretendere che il mio linguaggio sia perfetto."

"Io non ti torturo, faccio solo in modo che tu sia preparato ad affrontare la vita negli USA..." si fermò a pensare, poi riprese a pedalare e aggiunse "Quando decideremo d'andarcene."

Mauro decise che Niki era troppo triste. Lui non voleva vederlo scivolare in una delle sue crisi di malinconia. E poi dovevano cercare di essere allegri, perché la loro serata sarebbe stata speciale.

"Si, amore mio!" gli gridò, facendolo sobbalzare "Sarà una scena memorabile: tu remerai vigorosamente e il barcone si allontanerà implacabilmente dalla riva, mentre io, in piedi, gli occhi rivolti alla riva che s'allontana, reciterò rapito 'Addio monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime ineguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari'..."

E avrebbe continuato fino alla fine del capitolo, possedendo una memoria prodigiosa per i testi scritti, poiché riusciva a ricordare interi brani dopo averli letti anche una volta sola, ma Niki lo raggiunse con la bicicletta e gli tirò uno scappellotto per farlo smettere.

Lui allora, imperterrito, diede una pedalata più vigorosa e s'allontanò, riprendendo a parlare e usando il suo tono drammatico:

"C'è solo un problema, amore mio, il brano non era ben scelto, perché qui..."

Saltò giù dalla bicicletta lasciandola cadere e s'arrampicò su un muretto a secco lì vicino. Erano in cima ad una salita da cui si dominava tutto il paesaggio di olivi digradante verso il mare. Verso l'interno, allo stesso modo, s'indovinava un paesaggio quasi piatto, privo d'asperità che già non fossero nella terra pietrosa e avara. Mauro rimase in equilibrio sul muretto e cominciò a camminarci a braccia larghe. Si volse improvvisamente verso il mare:

"Qui, come vedi, non abbiamo acque, che non siano di sale, perché quelle dolci non ci sono mai state. I miei avi, o giovane uomo delle Americhe lontane e piovose, i miei antenati hanno patito la sete!" Mauro inventava e declamava ispirato. Si voltò ancora verso Niki che lo osservava divertito e innamorato "e i monti..." fece un gesto ampio con le mani "i monti non sono mai stati elevati al cielo, né le cime sono state ineguali, perché giammai avemmo montagne.

"E quello che ci circonda e che ora tu vedi, è ciò che io porterò con me, nel mio cuore, ben oltre l'oceano. Perché sarà impresso nella mia mente, scritto nel codice del mio essere. Saranno questi i miei ricordi e le immagini che io avrò negli occhi, quando tu, inesorabile, spingerai il barcone lontano dalla riva."

Si avvicinò a un albero d'olive e poi corse sul muretto verso un mandorlo già fiorito, odorandone voluttuosamente le gemme e rivolgendosi a Niki con sguardo sognante: "Porterò con me il ricordo struggente degli olivi, dei mandorli e di queste pietre. Guarda, amore mio, ci sono pietre dovunque, ma" saltò giù e atterrò, finendo inginocchiato davanti a lui "non nel mio cuore. Qui, in questo cuore che è solo tuo, non ci sono pietre, ma solo erbe profumate, frutti generosi e fiori colorati che io depongo ai tuoi piedi!"

E terminò il monologo con le mani giunte, in posizione implorante davanti al suo ragazzo che finalmente rideva, un po' commosso, ma felice da impazzire, davanti ad una dichiarazione d'amore stravagante come quella che aveva appena ascoltato.

Ma mentre era ancora inginocchiato, Mauro fu preso da un attacco di tosse. Aveva parlato troppo e sforzato la gola. Niki gli si avvicinò subito e lo aiutò a rialzarsi, ma Mauro, incrociando lo sguardo spaventato del compagno, continuò con gli occhi ridenti:

"Fra poco potrai chiamarmi a scelta Violetta o Mimì. Mi sono proprio raffreddato, Niki. Mia madre non l'apprezzerà, ma tu mio Alfredo o mio Rodolfo non mi abbandonerai, nevvero? Cantami 'Parigi, o cara', oppure 'Che gelida manina', o meglio ancora: dimmi, cuor mio, 'che sono il tuo amore e tutta la tua vita', ma ormai 'è tardi' e 'la tisi non mi accorda che poche ore'."

Niki non rise più, ma lo strinse forte per farlo tacere, perché aveva paura anche di quegli scherzi, di quelle divertite citazioni di eroine morte di tubercolosi. Lo liberò solo perché Mauro riprese a tossire.

Dopo che si fu calmato, ripartirono lentamente verso la villotta, parlando poco, perché Mauro era afflitto da un mal di gola che si faceva sempre più serio e Niki, nonostante la scenetta, era più pensieroso e malinconico di prima.

Mentre scavalcavano il muro attorno alla villa, gli chiese all'improvviso:

"Sei proprio contento di tornare dai tuoi amici?"

Ancora a cavallo della recinzione, Mauro lo guardò dall'alto, un po' accigliato:

"I miei amici?" aveva la voce arrochita dal mal di gola che si era ormai dichiarato come un serio raffreddore. Tossì un poco prima di poter continuare "Io non ho più amici che non siano anche tuoi. Stasera andrò con loro solo se ci sarai anche tu, non con il corpo, ma con tutto te stesso e non perché sai che a me farebbe piacere di andarci."

Il suo tono era stato un poco brusco e Niki se ne adombrò. Saltò anche lui il muretto e lo seguì, senza più parlare. Mauro si voltò a guardarlo, lui allora gli passò davanti e andò a sedersi sotto un pino con il muso lungo ad aspettare che l'amico lo raggiungesse.

Mauro gli s'inginocchiò davanti. Niki era a braccia conserte e aveva la testa abbassata. Era proprio imbronciato e non parlava.

"Niki, noi abbiamo bisogno di tutti gli amici che possiamo trovare " gli sorrise.

Niki girò la testa di lato per non guardarlo, non per stizza, ma per la tristezza che sentiva stringergli il cuore.

"Niki, ti prego: non mi piace da impazzire andare con quelli stasera, ma Giacomo ci tiene e sono tutti miei amici da tanto tempo. Mi dispiacerebbe deluderli. In fin dei conti anche loro si stanno sforzando, anche se è brutto dire così. E poi per Giacomo sarebbe un affronto."

"È che io ho paura ad andare con gli altri" Niki aveva parlato ancora senza guardare Mauro.

"Paura di che cosa?" Mauro non capiva.

"Paura di perderti!" sussurrò infine.

Aveva avuto timore a dirglielo, ma ora finalmente ci era riuscito. Era da quella mattina che ci pensava, da quando gli era scappato quel 'why not?'.

Niki raccolse le gambe fra le braccia e pose la testa contro le ginocchia, nascondendo la faccia a Mauro.

"Perché perdermi?" gli accarezzò la testa, si avvicinò e lo baciò sul collo "Perdermi come?" continuò a passargli le dita fra i capelli, aspettando che la tensione si allentasse e Niki riuscisse a spiegargli quello che lo tormentava.

"Io ho sempre paura che tutto questo possa finire" Niki parlava sempre tenendo la testa abbassata, poi l'alzò e appoggiò una guancia alle ginocchia, guardando Mauro "Ho paura che sia tutto troppo bello per durare e poi l'hai detto anche tu che forse non lo meritiamo. Ho terrore che ci possa venir tolto, così come l'abbiamo avuto. Per questo ho paura di stasera, per questo il dover andare con gli altri mi spaventa!"

Mauro gli si fece più vicino, lo circondò con le braccia, gli parlò piano, in un orecchio, perché pronunciare ogni parola gli raschiava la gola:

"Ti spaventa perché è la prima volta. E poi, la fortuna non si merita. Tu sei stato il regalo della mia fortuna. La dea bendata, passandomi accanto, mi ha donato il mio Niki e io non lo perderò. Non avere paura."

Ma anche Mauro era spaventato e capiva che entrambi erano intimiditi dalle dimensioni del loro amore. Il timore che tutto potesse finire, potesse anche solo compromettersi, era stato espresso apertamente da Niki, ma era vivo anche in lui. Vivevano in una dimensione d'appagamento troppo completo per non dover temere qualche cambiamento. Dovevano imparare a convivere con quella felicità, a non lasciare che l'ebbrezza li frastornasse e gli facesse perdere contatto con la realtà, come stava facendo con Niki in quel momento. Dovevano distrarsi, stornare l'attenzione che avevano uno per l'altro, orientarla anche verso altri interessi. Il loro rapporto poteva restare fermo, saldo, ma le loro relazioni dovevano comprendere altre persone oltre loro stessi e i familiari, rivolgersi verso interessi diversi, perché potessero continuare a desiderarsi.

"Noi dobbiamo avere degli amici, Niki, ne abbiamo bisogno. È orribile per me anche solo pensarlo, ma continuare ad essere noi due, da soli, vederci, parlarci, vivere in un mondo chiuso, abitato solo da noi, ci porterebbe presto ad averne abbastanza uno dell'altro" si avvide che Niki si era coperto le orecchie con le mani per non sentirgli pronunciare quelle parole, ma continuò lo stesso a parlare "Niki, guardami! Mangeresti per anni la stessa minestra, anche se fosse la più buona?"

Niki voleva protestare, ma sapeva che Mauro aveva ragione, perché era giunto anche lui alla stessa conclusione ed era proprio la negazione irragionevole di quel ragionamento che lo spingeva a rifiutare altre amicizie. Mauro cercava di convincerlo, con tutta la dolcezza di cui era capace ed era davvero infinita, un mare in cui Niki finì teneramente per naufragare.

"Credimi. Non possiamo illuderci di vivere su un'isola deserta" gli mormorò, mentre l'accarezzava e lo baciava "E anche se ci trovassimo sull'isola che non c'è, dopo un poco non desidereremmo altro che di fuggire. Questo lo sai anche tu, non è vero?"

"Lo so!" mormorò finalmente.

"Questo rende triste e spaventa anche me. Niki... davvero!"

L'abbracciò e Niki cominciò lentamente a parlare, ricordando a se stesso, e raccontando a Mauro, di un momento della sua infanzia, della sua lunga storia di solitudine: "Quando avevo sette, otto anni qualche volta mamma mi scopriva a piangere e me ne chiedeva il motivo, ma io non riuscivo a dirglielo, perché non era chiaro neppure a me perché piangessi. Cercavo solo di rassicurarla, le dicevo 'Non è nulla, mamma, sto bene!'. Poi ho capito che il mio pianto era solo apparentemente senza ragione. Piangevo, perché ero sempre solo, Stephan era così lontano ed io mi sentivo tanto triste, ma non potevo e non volevo dirglielo, perché avevo paura che lei si preoccupasse per me e potesse morire.

"Mi ricordo che una volta le raccontai una storia incredibile: le dissi che avevo deciso di piangere per tutti i bambini del mondo, per quelli che in quel momento non avevano i giocattoli che avevo io. Lei mi consolò, mi abbracciò ed io smisi di piangere. Forse era vero che piangevo per qualcun altro e non per me: forse desideravo piangere al posto di qualche bambino che in quel momento stava soffrendo come me, che era solo come lo ero io. Ero proprio matto. Adesso mi sento come mi sentivo allora: vorrei piangere solo perché sono triste e niente altro. Così come non ho un buon motivo per non venire stasera. Ho paura e basta, perché temo che sia l'inizio della fine..."

Mauro lo baciò sulla bocca:

"No, Niki!" gli appoggiò la testa sulla spalla "Potremo continuare ad essere i due amanti che siamo adesso, ma cominceremo ad uscire con gli altri e a divertirci un poco con loro. La nostra avventura sarà sempre speciale, al di sopra d'ogni altra cosa. Noi non desidereremo mai altro che di stare insieme, come ora, ma vivremo un poco anche con gli altri amici."

"Non mi lasciare, Mauro" s'erano stretti in un abbraccio "avremo tutti gli amici che vorrai, ma tu non lasciarmi mai da solo. Non farlo accadere mai!"

Era la sua antica paura, il terrore della solitudine. Quel timore che afferra chi è stato solo, quando ha trovato compagnia: quel senso di sgomento non lo avrebbe mai abbandonato durante tutta la vita. Era stato per troppe volte con se stesso per non portarne i segni finché fosse vissuto.

"Niki, se un giorno, se una volta tu dovessi pensare che ti sto trascurando o che sto riservando maggiore attenzione a qualcun altro, voglio che tu me lo dica. Non potrò che chiederti perdono. Te lo giuro."

"E tu farai lo stesso per me?"

"Si, te lo prometto."

Si baciarono teneramente, appoggiando le labbra sulle labbra, sfiorandosi con la lingua. Poi Mauro inclinò la testa in modo da accostare il viso a quello di Niki e chiuse gli occhi. Mentre la sua lingua esplorava la bocca di Niki, le loro facce continuarono a sfiorarsi.

Il rapporto che li univa, con il tempo, era divenuto più complesso. All'attrazione fisica da cui era scaturita la loro passione, si erano affiancate prima una corrispondenza d'affetto e poi l'intesa intellettuale, ma la crescita di quel rapporto e la sua evoluzione erano legate strettamente al modo con cui sarebbero riusciti a confrontarlo con il mondo e a sperimentarlo con gli altri. Forse non capivano ancora appieno questa verità, ma, essendo d'intelligenza pronta ed onesti con se stessi, ne avevano una premonizione alquanto netta.

Mauro finì per essere quasi senza fiato a causa del naso tappato. Si sciolse dall'abbraccio e baciò Niki sugli occhi chiusi.

"Andiamo via" disse Niki, scuotendosi "Sei proprio raffreddato e hai gli occhi che ti piangono. Povero pulcino! Andiamo via. Altrimenti, non potendo controllarmi ulteriormente, rischio di dimostrarti, qui, ora, tutto il mio amore e, poiché tu sei raffreddato, non reggeresti alla mia dimostrazione senza prenderti una bronchite!"

Mauro fu subito incuriosito da quelle parole:

"Non potresti darmi solo un piccolo assaggio di questo amore? Magari senza farmi prendere freddo?"

Niki lo spinse giù e gli si stese sopra. Ripresero a baciarsi dolcemente. Poi lo cinse in un abbraccio e cominciarono a rotolarsi sugli aghi di pino, adattando il proprio corpo a quello del compagno, percependone l'eccitazione e sentendo salire la propria. Niki si fermò:

"Ci bagneremo."

"Che importa?"

Raggiunsero il piacere insieme. Il languore che li colse dopo avere goduto, li spinse a continuare a baciarsi e a muoversi piano, uno contro l'altro, adagiati sul tappeto morbido sotto i pini. Poi Mauro passò la mano sull'inguine di Niki, sbottonò i pantaloni e l'insinuò fino a bagnarsela con il seme che il compagno aveva appena emesso. La tenne così per molto tempo, stretta intorno al sesso di Niki, finché la luce del sole non si fece un po' più tenue e il corpo di Niki non gli inviò il segnale che era pronto a mostrargli ancora tutto il suo amore.

"Avevi detto un assaggio" Niki si mosse e Mauro ritirò la mano con un tremito.

"Mi fa freddo, Niki. Ho i brividi! Andiamo!" si alzò in piedi e accennò ad una corsa per riscaldarsi, poi si voltò, guardò verso il compagno e sorrise "A stanotte!" gli bisbigliò con fare cospiratorio.

Era quasi buio quando giunsero in città. Avevano abbastanza tempo per farsi belli e raggiungere gli amici.

A casa di Niki, ormai eletta da Mauro a sua seconda residenza, si fecero la doccia e celebrarono il rito settimanale della barba. Poi, profumati e lisci, tornarono nella camera di Niki per vestirsi. Mauro tossiva ogni tanto ed aveva ancora il naso chiuso, ma i brividi si erano calmati. Forse l'eccitazione e l'attesa dell'incontro con gli amici avevano contribuito a farlo sentire un po' meglio, anche se il suo umore, a causa del raffreddore, era decisamente peggiorato. Almeno quanto quello del compagno era migliorato.

Niki andò quasi ad infilarsi nell'armadio, per poi passare davanti allo specchio, e per circa dieci minuti cercò l'accostamento più appropriato fra camicie, maglie e jeans, da indossare quella sera per sé e per Mauro, mentre l'altro sempre più spazientito lo guardava, indeciso se essere incuriosito o semplicemente infastidito.

Sebbene fossero trascorsi ormai cinque mesi da quando avevano cominciato a vivere insieme, Mauro continuava ad osservare, senza comprendere, come Niki potesse trascorrere tanto tempo a valutare l'impatto visivo e la gradevolezza degli accostamenti e le combinazioni dei colori fra gli indumenti. Avevano quasi la stessa altezza, Niki era solo due centimetri più alto, ed avevano perciò le stesse taglie per tutto l'abbigliamento. Questo aveva consentito a Mauro d'attingere spesso dal guardaroba di Niki, anche se sarebbe stato più esatto affermare che Niki utilizzava i propri abiti per vestirlo in quanto lui gli aveva delegato l'onere di coprirlo decorosamente, non intendendo, in alcun modo, pensare al proprio vestiario e, più in generale, al proprio aspetto esteriore, capelli compresi. Si era espresso proprio in questi termini, sconcertando il compagno.

Al rientro dei suoi genitori dall'America, quando la vita della sua famiglia era finalmente tornata normale, Niki aveva cominciato ad osservare con occhio più critico l'abbigliamento e l'aspetto generale di Mauro e l'aveva trovato semplicemente disdicevole. Non aveva fatto mistero della sua opinione, ma, alle sue proteste sul modo di vestire e di curare il proprio aspetto, Mauro aveva risposto serafico:

"Io non mi vesto. Copro soltanto il mio corpo e bado alla sua scrupolosa pulizia: questo è tutto. E ciò che mi avvolge è indifferente, perché io non lo indosso, perciò, se vuoi, provvedi pure liberamente a me. Io mi vestirò sempre senza discutere e mi coprirò con qualunque indumento tu sceglierai per me. Mi farò tagliare i capelli ogni volta che tu lo deciderai. Amore" e l'aveva abbracciato, per consolarlo del compito gravoso che gli stava affidando "lo sai, il mio corpo è tuo! Da questo momento, sei libero di farne ciò che vuoi, perché appaia sempre più di tuo gradimento!"

E, fatta questa dichiarazione di principio, Mauro aveva semplicemente smesso di curarsi della faccenda. Da quel momento Niki aveva cominciato a controllare minuziosamente la lunghezza dei capelli di Mauro ed aveva sempre predisposto due abbigliamenti completi, uno per sé, l'altro per il compagno che lo infilava, senza neppure rendersi conto di quello che si metteva addosso. Queste cura avevano, ovviamente, migliorato di molto il suo aspetto e l'aveva reso, se possibile, ancora più affascinante. Niki si sentiva così sempre più appagato per quella piccola fatica.

Per Mauro sceglieva i colori che più mettevano in risalto la sua carnagione ambrata, i capelli neri e gli occhi grandi e scuri. Per sé, biondo, roseo e con gli occhi azzurri, continuava a scegliere quasi sempre il blu. In casa si era così andato accumulando un altro guardaroba ad uso quasi esclusivo del suo innamorato.

Quel giorno aveva quasi trovato la combinazione più adatta per Mauro, tenuto anche conto che avrebbe avuto bisogno di stare più caldo, perché raffreddato, anzi quasi ammalato, e s'era messo a cercare per sé:

"Tu hai il maglione giallo" spiegava a Mauro "perciò non posso mettermi anch'io in giallo: diamo già abbastanza nell'occhio senza vestirci allo stesso modo! Tu però non puoi cambiarlo, perché altrimenti la camicia verde non ti starebbe bene..."

E questa tiritera andò avanti, finché Mauro la interruppe piuttosto bruscamente: "Niki ho sonno, ho fame, ho sete, sento freddo, mi fa male la gola, ho voglia di fare qualunque cosa che non sia curare il mio o il tuo aspetto. Tutto quello che ho appena manifestato serve ad annunciarti che, se non scegli quello che devi metterti addosso entro trenta secondi, ti porto via come sei in questo momento" Niki era in slip e T-shirt "e tu sai che lo farei!" e riprese a tossire, questa volta un poco stizzosamente.

"D'accordo, d'accordo: ho scelto!"

Niki aveva imparato a cogliere il tono dei discorsi di Mauro e capì che non scherzava: si era proprio stufato. Si vestì il più velocemente possibile, davvero in trenta secondi, ed era già pronto ad uscire, quando Mauro si bloccò, perché non trovava più il suo portafogli.

Niki lo conosceva bene e sapeva che conteneva soltanto la carta d'identità di Mauro, ottenuta qualche mese prima, e alcune banconote delle quali Mauro praticamente ignorava il valore. Questa particolare importanza o mancanza di rilievo data al denaro in genere, derivava dall'atteggiamento che aveva nei confronti dei soldi, un comportamento che a Niki, quando l'aveva notato, era parso decisamente singolare. In realtà, all'origine di quella particolare incompetenza, c'era il fatto che Mauro aveva sempre avuto così pochi soldi per le mani che non s'era mai preoccupato d'imparare ad usarli. Niki, invece, che ne aveva sempre avuti più di quanti riuscisse a spenderne, era molto più accorto di lui ed era, quindi, molto attento al denaro e conscio del suo valore.

L'avvento di Niki nella sua vita aveva consentito a Mauro di delegargli anche la gestione delle proprie finanze, oltre che i problemi connessi al proprio abbigliamento. Perciò a Niki, divenuto suo tesoriere, come lo chiamava ogni volta che gli vedeva tirare fuori il portafogli, toccava ormai pagare per tutti e due, ogni volta, non tanto spesso, che capitava. Niki aveva una confidenza con il denaro che lui proprio non possedeva.

Era quasi sempre Niki a voler comprare qualcosa. E spesso era capitato che cogliesse un desiderio di Mauro per un libro o un disco e glielo comprasse, mentre lui restava fuori incantato a guardare la vetrina del negozio. Per Mauro i desideri erano tali e nulla di più: il non ottenere ciò che voleva in quel momento non costituiva un dramma, perché quelle rinunce non erano mai state tali. Lui era stato educato allo scarso valore delle cose. il suo compagno, invece, non aveva avuto quella fortuna ed era piuttosto viziato. Fin da quando era piccolo, Niki aveva scoperto che, se con il denaro del nonno si poteva comprare tutto, questo non valeva per la felicità o per l'amicizia, ma i suoi genitori e soprattutto il nonno l'avevano sempre coperto di regali, avevano sempre esaudito i suoi desideri prima che potesse esprimerli cercando così di compensarlo della solitudine e dei continui trasferimenti ai quali lo sottoponevano. Aveva sempre avuto tutto quello che il denaro può comprare, ma, possedendo tutto, ad un certo punto aveva quasi smesso d'avere desideri.

Mauro lo aveva aiutato anche in questo, perché l'essenzialità della sua vita era subito risultata stridente nella sofisticata esistenza di Niki. Ma Mauro gli aveva anche regalato la spontaneità e la semplicità della propria vita. Gli aveva insegnato a mangiare cose semplici e a rincorrersi per strada, a sudare giocando a pallone e poi a bere alle fontanelle. Gli aveva fatto conoscere i mille modi in cui ci si può divertire, senza spendere nulla. Così, anche per Niki, i soldi avevano cominciato a perdere d'importanza. Gli era rimasta, comunque, quella dimestichezza che a Mauro mancava ed era con questa che ormai trattava il denaro, senza più sentirsene condizionato.

Arrivarono all'appuntamento con qualche minuto di ritardo e gli altri c'erano quasi tutti. Li accolsero con un calore che a Niki, ancora prevenuto, sembrò forzato. Per quella sera, avevano deciso d'evitare di parlarsi in inglese: era il minimo che potessero fare.

Di un gruppo di adolescenti che passeggiano, per la maggioranza ragazzi, e con solo qualche ragazza, quasi tutti frequentanti la quinta classe di un liceo ginnasio, una metà parlerebbe di calcio, un po' meno della versione di greco o di un problema di geometria, e due, formanti l'unica coppia, cinguetterebbero in coda al gruppo. Quella sera, mentre Niki metteva a parte i suoi compagni di qualche segreto sui verbi irregolari scovati in una versione tradotta quella mattina, Mauro veniva coinvolto, sebbene non ne volesse proprio parlare, in una discussione sul rendimento di qualche squadra di calcio. In fondo al gruppo si muoveva Giacomo che sembrava aver finalmente trovato una ragazza disposta a seguirlo nei suoi ragionamenti.

Le altre ragazze erano presenti più che altro per fare da scorta a Roberta, ormai quasi 'fidanzata' di Giacomo, ma erano anche molto affiatate con i ragazzi, essendo tutti compagni di scuola.

Furono loro le prime ad affrontare l'argomento che Niki temeva.

"È stato molto bello ascoltare la vostra storia" gli disse una delle ragazze.

"Mauro ha descritto tutto in modo affascinante" disse un'altra "È stato davvero emozionante ascoltarlo."

Niki alzò mentalmente gli occhi al cielo, non potendo permettersi un'evidente manifestazione di impazienza, ma si disse 'occorre che tu sopporti tutto questo con rassegnazione e rammenta che lo fai per amore di Mauro e per il tuo stesso bene. Perciò ascoltale e, se possibile, non ucciderle quando le guardi'.

"Mauro, dovresti fare lo scrittore. Riesci a descrivere così bene i sentimenti."

Era stata Roberta a parlare, poi si rivolse direttamente a Niki: "Beato te! Lo sai che un po' ti ho invidiato?"

E in questo era assolutamente sincera, perché s'era presa davvero una cotta per Mauro e c'era rimasta molto male, quando aveva subito quel rifiuto così reciso ed inspiegabile più di un anno prima. Per qualche tempo aveva anche pensato che Mauro l'avesse allontanata, perché spaventato dalla sua spregiudicatezza, poi, essendo una ragazza intelligente, aveva rivolto altrove la propria attenzione.

"M'invidierei anch'io se non fossi al mio posto" le rispose Niki convinto e sorpreso per la franchezza con cui Roberta aveva ammesso che lui fosse il compagno di Mauro.

"Aiuto, un'altra volta filosofia in vista" gridò da dietro Alex e l'argomento fu subito accantonato per la tranquillità di tutti.

Sorprendendo Niki, la serata scivolò sui binari del più grande divertimento, come c'era da aspettarsi che fosse fra ragazzi più che affiatati. C'erano i Cavalieri, naturalmente senza Enrico il quale non usciva quasi mai di sera, e Niki si concesse alla conversazione, mostrando tutte le sue qualità di conversatore. Meravigliò tutti tranne Mauro, perché si rivelò un compagno divertente, sempre pronto alla battuta pungente che dispensò a tutti senza ritegno. Tornarono a casa prima di mezzanotte, orario ultimo deciso dai genitori che si erano consultati in proposito.

Prima di lasciare gli altri s'erano offerti d'accompagnare qualcuna delle ragazze, come era giusto attendersi da due gentiluomini. Avevano, perciò, scortato fino a casa una delle tre, che abitava dalle loro parti. Si salutarono davanti al suo portone e, mentre s'allontanavano, si sentirono richiamare:

"Ehi, voi due! Quanto ben di dio sprecato!" gridò Caterina, scuotendo la testa, poi fece un cenno di saluto sorridendo.

"Caterina, un momento, devo darti una cosa!" Niki le fece segno d'aspettare e tornò di corsa verso di lei. S'era inteso subito con quella ragazza, non proprio bella, ma sicuramente dotata di spirito. Forse perché fra brutti e diversi ci si capisce. Le mormorò un 'grazie' e poi la baciò su una guancia. Se ne tornò correndo da Mauro, che lo prese a braccetto.

Poi si avviarono verso casa.

"Mauro, lo sai che non avevo mai baciato prima una ragazza?"

"Santo cielo!" Mauro si finse preoccupato "E con questo cosa vorresti dire?"

"Assolutamente nulla di importante!"

Quella sera indossarono pigiami nuovi: glieli aveva comprati Arleen trovandoli divertenti. Erano simili alle calzamaglie intere usate nell'ottocento, tutti abbottonati sul davanti, ed avevano una ribaltina chiusa da tre bottoni, sul di dietro, all'altezza del sedere. Quello di Niki era bianco con disegni d'ancore blu e rosse e Mauro ne aveva uno celeste pieno di bandierine di segnalazione.

Appena lo vide, Niki ebbe un'idea molto precisa sull'utilizzo che loro due avrebbero potuto fare di quella falda sul didietro, ma, mostrando a Mauro i pigiami, non fece in tempo a metterlo a parte dell'idea che il suo lubrico amico gliene stava già parlando:

"Pensi che tua madre abbia voluto inconsapevolmente agevolarci?"

"Non essere disgustoso!"

Per tutta la giornata Mauro aveva starnutito e si era soffiato il naso. Nel pomeriggio molte volte aveva avuto brividi di freddo, ma era decisamente ammalato quando si infilò nel letto con Niki. Gli accadeva molto di rado di avere quei sintomi tutti insieme e ormai li aveva riconosciuti: si trattava certamente di un'influenza.

Si abbracciarono come facevano sempre, sebbene Mauro non volesse più baciare Niki per non trasmettergli il malanno, ma avevano indosso i loro pigiami nuovi le cui possibilità non avevano ancora sperimentato e Niki non ne voleva sapere di lasciarlo perdere, anche a costo di buscarsi un raffreddore o peggio.

C'era però qualcosa che gli premeva di dire a Mauro, anche più di cominciare a giocare:

"Sono simpatici i tuoi amici."

"Non sono ancora 'tuoi' amici?" Mauro era un poco deluso.

"No, scemo, volevo solo controllare che fossi sveglio" Niki lo baciò sulla punta del naso "Ecco il mio cucciolo che ha il naso tutto bagnato" poi tornò serio "Penso che potremo uscire ancora con loro, se gli è piaciuto e si sono divertiti come è accaduto a me."

"Dici davvero?" Mauro parlava con voce nasale, ma era contento "Sei davvero stato bene stasera? E la tua paura che fine ha fatto?"

"Io penso d'essere stato uno stupido, oggi, ma ho ancora paura e anche tu ne hai, non è vero?"

"Si, però la differenza fra me e te è che io sono certo che noi due ce la faremo. Tu invece sei affascinato dal pessimismo leopardiano e sei convinto di essere un parafulmini cosmico" e gli fece una boccaccia.

"Non è vero: qui di parafulmini ce ne sono due" Niki gli prese la mano e la guidò sul proprio sesso, contemporaneamente lo toccò a Mauro "E sono questi!"

"Il mio è più alto. Il mio è già più alto" Mauro, completamente dimentico del raffreddore ed eccitato dal gioco che stavano per fare, abbracciò Niki in un modo diverso "Proviamo la ribaltina, che ne dici? Chi la prova per primo?"

"Io."

"No, io!"

Si misero subito d'accordo e, quando finalmente si calmarono, tentando d'addormentarsi, Mauro cominciò a sentire qualcosa martellargli nella testa. Prese a rigirarsi nel letto in cui c'era anche Niki, senza riuscire a prendere sonno. Era anche preoccupato di non disturbare il compagno che, invece, era crollato addormentato per la stanchezza accumulata durante quella giornata così frenetica.

Quando riuscì ad assopirsi, dormì con la bocca aperta e si svegliò spesso, per la gola secca e per i dolori muscolari che avvertiva ovunque. Niki s'accorse presto di quel sonno agitato e sentì anche il calore insolito che il corpo di Mauro emanava. Allora, cercando di far piano per non svegliarlo, si spostò nell'altro letto. Verso le due Mauro si svegliò di colpo, con la gola che gli bruciava e con un impellente bisogno d'andare nel bagno. Fece per alzarsi, ma Niki che dormiva con un occhio solo gli fu subito accanto:

"Non stai bene?"

"Ho sete. Non mi sento bene; forse ho un poco di febbre" si toccò la fronte e la sentì terribilmente calda "Anzi, più di un poco: saranno almeno trentanove gradi. Questa è certamente l'influenza... Devo andare nel bagno."

"T'accompagno."

"No! Ci vado da solo: non ce n'è bisogno."

Si sentiva dolere la pancia, gli girava la testa e forse stava per vomitare: in lui l'influenza s'accompagnava sempre alla nausea. Si sentiva male da morire, ma non era a casa sua e non aveva la mamma vicino. Non gli era mai accaduto di stare male e di non sentire la mano fresca di sua madre sulla fronte. Voleva piangere.

"Ti prego. Fammi venire con te. Non voglio lasciarti solo" lo pregò Niki.

Poi gli si avvicinò per sorreggerlo, ma Mauro fece per allontanarsi: si vergognava a farsi vedere così da Niki, ma era un po' malfermo sulle gambe.

Niki non gli badò e gli posò sul collo una mano che a Mauro parve freschissima.

"No, ce la faccio!" disse ancora, ma sentiva di avere la fronte ormai sudata, per lo sforzo di controllare il proprio corpo.

Poi, pur con la mente annebbiata dalla febbre, riuscì a convincersi che, essendo con Niki, questo lo metteva al riparo da tutto, anche dal pudore e dalla vergogna di dover mostrare a lui tutta quella debolezza. Chiuse gli occhi: "Non è vero. Non ce la faccio. Non me la sento di andarci da solo. Accompagnami, per favore."

Corsero nel bagno. Mauro vomitò più volte e poi liberò l'intestino, mentre Niki, calmo ed efficiente, gli era accanto, prima nel sorreggerlo e nell'aiutarlo a muoversi, poi nel lavarlo, e nel cambiargli il pigiama. Mauro era scosso dai brividi.

"Mi fa freddo, però mi sento meglio. Non mi fa più male la pancia. Mi dispiace, Niki, non è stato un bello spettacolo."

Tentava di giustificarsi e Niki lo baciò sulla bocca perché non parlasse. Quando uscirono dal bagno, dietro la porta ad aspettarli, c'erano la mamma e il papà di Niki:

"Come va?" Arleen gli volle appoggiare la guancia sulla fronte, costringendolo a piegarsi un po' "Hai la febbre. Come ti senti?"

"Adesso molto meglio, grazie" mormorò "Mi spiace d'avervi disturbato."

"Non pensarci. Vi abbiamo sentiti muovervi. Ti sei buscato una bella influenza!"

"Vai a letto" disse il papà di Niki "Ti porto qualcosa per la febbre. Puoi prendere delle aspirine?"

La testa continuava a girargli. Niki e Arleen l'aiutarono a rimettersi nel letto, poi lei gli si sedette accanto. La vicinanza di quella donna gli dava la stessa sensazione di tranquillità che avrebbe provato se sua madre fosse stata seduta nello stesso posto. Tenne gli occhi chiusi e Arleen l'accarezzò sulla fronte.

Dopo che ebbe preso l'aspirina, s'addormentò più tranquillo, vegliato dal suo triste compagno che non riuscì quasi più a chiudere occhio per quella notte.

Niki era davvero pessimista, ma sapeva che per esorcizzare i cattivi pensieri ed impedire che si realizzassero, si dovevano immaginare sciagure. Nella sua mente cominciarono perciò a passare immagini di Mauro gravemente ammalato, di Mauro agonizzante, di funerali strazianti, di pianti inconsolabili che si concludevano con un suicidio. Furono tutti incubi che si susseguirono in quella lunghissima notte, mentre Mauro respirava pesantemente nel suo letto, sudava e sbuffava ed ogni tanto tossiva. Lui s'alzava ad ogni attacco di tosse correndo a guardarlo e Mauro, se era sveglio, gli proibiva di rialzarsi, ricordandogli che la sua vicinanza lo faceva tossire di più, allora Niki tornava nel letto, asciugandosi una lacrima. Mauro tossiva ancora e si muoveva e Niki si rialzava. Andarono avanti così, fino a quando la febbre diminuì un poco e Mauro riuscì ad addormentarsi più profondamente.

Niki aveva sistemato una sedia davanti al letto in cui Mauro continuava a sudare ed era scivolato anche lui nel sonno, rannicchiato, coprendosi alla meglio con un plaid. Si svegliò spesso a causa della posizione scomoda e per il freddo, finché non si convinse ad infilarsi nell'altro letto, ma soltanto dopo essersi assicurato che Mauro dormisse veramente.

La mattina, piuttosto tardi, quando Arleen s'affacciò sulla porta della camera, erano ancora tutt'e due addormentati. S'avvicinò al letto di Mauro e gli passò la mano sulla fronte, rendendosi conto che il ragazzo aveva ancora la febbre alta.

Mauro si svegliò, aprì gli occhi e il suo primo pensiero fu per il fastidio che temeva di arrecare:

"È meglio che me ne vada a casa" disse e fece per muoversi, ma si accorse di essere tutto indolenzito, poi la stanza cominciò a girargli intorno, finché non tornò a posare la testa sul cuscino "Mia madre non mi perdonerà mai per tutto il disturbo che vi sto dando" mormorò.

"Non mi pare proprio il caso che tu ti muova, Mauro. Piove e fa molto freddo e non ci stai dando tanto fastidio. Lo sai che questa è anche casa tua. Ti pare di poter dare fastidio a Niki? Chiamo subito tua madre e le chiedo la sua opinione."

Mentre Arleen andava a telefonare, Niki si svegliò e corse ad inginocchiarsi davanti al letto di Mauro:

"Come stai?"

"Ho ancora la febbre. Tua madre è andata a telefonare alla mia per darle la notizia del mio terribile male."

"Ti prego, non te ne andare. Ti prego! Ti prego!"

Pareva che scherzasse, ma non era soltanto un gioco e Mauro, pur intontito dalla febbre e dal sonno, lo capì. Aprì un occhio solo e lo guardò:

"No, che non me ne vado, scemo. Dove vuoi che trovi una Florence Nightingale come te? Mia madre sarebbe capace di farmi alzare anche domani mattina per rimettere ordine nel tunnel e mio fratello mi costringerebbe ad aiutarlo in qualche traduzione di latino o di greco approfittando del fatto che domani non andrò a scuola. Qui invece, niente di tutto questo e in più la mia Florence..." detto questo richiuse l'unico occhio aperto e si riassopì, stordito dalla febbre.

Niki, rassicurato, restò a guardarlo, accarezzandolo delicatamente sulla faccia, ancora un po' preoccupato, ma felice di poterlo tenere ancora con sé.

Le mamme s'accordarono subito: Mauro sarebbe rimasto a casa di Niki finché non gli si fosse abbassata la febbre. Arleen tornò dai ragazzi, ma li trovò assopiti e rannicchiati uno contro l'altro.

Si fermò a guardarli e Mauro, avvertendo la sua presenza, aprì gli occhi:

"Stanotte praticamente non ha dormito" le mormorò "temeva che potessi morire: sono certo che lo ha pensato" e le sorrise.

Arleen accarezzò suo figlio e Niki sobbalzò.

Si guardò intorno: sembrava smarrito, indifeso. Mauro non riuscì a resistere, gli prese una mano fra le sue e se l'avvicinò alle labbra. Davanti a sua madre non l'avrebbe mai fatto, ne era assolutamente certo, ma con la mamma di Niki era stato subito diverso. Nonostante avesse la febbre e non riuscisse a connettere molte idee, pensò a quanto loro due fossero più spontanei davanti ai genitori di Niki che non con i suoi.

"Dormivi in piedi" gli disse, riponendo quel pensiero, ma Niki non gli badò, notando subito che le mani di Mauro scottavano.

"Sei ancora molto caldo. Misura la febbre."

Il responso del termometro non fu incoraggiante: segnava ancora una temperatura di quasi trentanove gradi. Mauro si riassopì e passò buona parte della mattinata nel dormiveglia. Si svegliò completamente soltanto quando arrivarono insieme i suoi genitori e il medico. Il dottore valutò assolutamente non preoccupante quella febbre, causata certamente da un'influenza, e sconsigliò, con gran sollievo di Niki, che Mauro prendesse freddo per qualche giorno, poi prescrisse, con disappunto e terrore del ragazzo, delle iniezioni di antibiotici.

"Povero pisellino!"

La mamma si coccolava il diletto rampollo e tentava di consolarlo, perché il suo figlio minore, al contrario dei fratelli, aveva una paura irrazionale delle iniezioni. Non s'era mai riusciti a fargliene senza mobilitare tutta la famiglia per tenerlo fermo

"Come farai adesso? Ti toccherà farti fare delle iniezioni e, se non vorrai perdere la faccia con Niki, non potrai neanche piangere" questa parte, ritenuta segreta ed imbarazzante, gli fu mormorata in un orecchio. E mentre la mamma gli parlava così, lui guardava davanti a sé con occhi terrorizzati, improvvisamente sveglio.

Ma Niki aveva capito tutto e non appena furono soli gli si avvicinò.

"Ho appena fatto una scoperta eccitante: hai paura delle iniezioni! Non me l'avevi mai confessato. Ed io che credevo di sapere tutto di te! Ero convinto che tu avessi soltanto paura del buio, ma non era così! Il mio principe ha paura delle siringhe! Ha paura del buio! Ed è anche curioso!"

Gli ripeté queste parole fino a che Mauro, con mossa fulminea non si sfilò il cuscino da sotto la testa e cominciò a batterglielo sulla testa. Poi, con qualche sforzo riuscì ad immobilizzarlo.

"Arrenditi o ti faccio ingoiare ad una ad una tutte le piume di questo cuscino."

"M'arrendo! M'arrendo! Ehi! Ma tu non eri malato?"

Dopo la lotta Niki si rassettò un poco e poi sistemò il letto su cui Mauro era ricaduto esausto, con un affanno che gli faceva sollevare il petto.

Niki si sedette sulla sponda del letto e gli accarezzò la fronte, sfiorandogli le guance, finché il respiro di Mauro non si fu calmato, poi gli mormorò con dolcezza: "Davvero hai paura delle iniezioni?"

"Si, fanno male da morire" Mauro gli rispose ad occhi chiusi e con un tono davvero molto serio.

"Quello che verrà a fartele è bravissimo. Lo dice la mamma che di iniezioni ne fa tante. E poi ci sarò io con te."

Mauro continuò a non guardarlo e, facendo una voce lamentosa, gli disse: "Bella consolazione! Mi dici sempre che siamo una persona sola, un corpo solo: perché non le fai tu le iniezioni? Poi mi dai un bacio, oppure mi fai una di quelle cose che sai fare così bene e mi trasmetti gli antibiotici."

"Non scherzare" Niki s'era fatto improvvisamente serio "magari potessi. Credi che io non senta già il dolore?" e si toccò il sedere.

"Io lo sentirò fra poco" e finse di piagnucolare.

"E io ti farò un massaggio: vedrai che ti passerà. Ti giuro che dimenticherai il dolore" Niki lo baciò su una guancia e gli appoggiò la testa sul petto.

Allora Mauro lo cinse con le braccia: "Niki, perché stanotte hai voluto venire con me nel bagno?"

Fu una domanda che giunse improvvisa alle sue labbra, di cui conosceva già la risposta.

"Perché, quando ho detto che ti amavo, quella prima volta, quando ho detto che ti avrei sempre amato, intendevo dire che l'avrei fatto in ogni momento e in ogni caso, che avrei amato ogni parte e ogni espressione di te, anche il tuo vomito e la tua cacca. Perché me l'hai chiesto?"

"Perché sapevo che sarebbe stato bello sentirtelo dire" gli rispose Mauro, sorridendogli.

Niki si commosse. Non avrebbe voluto, ma non ce la fece a non piangere, tentò di controllarsi, cercò quasi di nasconderlo a Mauro, e non perché se ne vergognasse. Sapeva, e lo sapeva bene anche Mauro, che faceva parte del suo carattere esprimere la gioia e il dolore, sfogare la tensione accumulata, piangendo. Qualche volta, nel suo passato di solitudine, l'aveva trovato disdicevole, ma ora con Mauro gli dava solo un po' fastidio, perché sapeva che così avrebbe potuto turbare il compagno. Piangeva perché la vicinanza di Mauro lo rendeva così felice che il cuore sembrava salirgli in gola ad ogni battito e sentiva una stretta allo stomaco, mentre le lacrime scendevano sulle guance.

Sperò che in quel momento non entrasse la mamma: sarebbe stato difficile spiegarle che piangeva di gioia, e il motivo per cui lo faceva era una cosa troppo privata tra loro due.

Si stringeva a Mauro ed avvertiva che da quel corpo emanava un gran calore. Sentiva le sue mani accarezzarlo tra i capelli. Lo sentiva parlare: gli stava mormorando che lui era il suo bambino dolce e piagnone e che quelle lacrime si sarebbero raccolte in una coppa d'oro e là dentro, se lui avesse chiuso gli occhi e avesse smesso di piangere, si sarebbero trasformate in diamanti. E chissà quanto altro, valicando con la fantasia i confini della dignità e della decenza, sarebbe stato in grado d'inventarsi perché lui si scuotesse, il suo pianto si calmasse e tornasse a sorridere.

Con gli occhi chiusi, Mauro continuò ad accarezzarlo finché non lo sentì calmarsi, poi l'attirò a sé e gli fece posare la testa nell'incavo del collo. Lo strinse forte e, mentre si rilassava, quasi si assopirono insieme.

Qualche minuto dopo arrivò l'infermiere che avrebbe torturato Mauro.

Seguì con occhi terrorizzati quell'uomo orribile il quale, con movimenti sicuri, preparò la siringa. Quando lo strumento infernale fu pronto, si voltò tremante. Niki, trepidante della stessa emozione del compagno, spostò le coperte e gli abbassò i pantaloni del pigiama. Denudò una delle fonti del suo piacere e la concesse alla violenza che stava per subire.

Dopo averlo disinfettato, l'infermiere colpì il gluteo con uno schiaffetto anestetizzante e fece penetrare l'ago in quel muscolo adorato: a Niki parve di sentire il dolore acuto della puntura e poi il defluire del liquido che veniva iniettato. Gli parve, infine, di avvertire l'uscita dell'ago ed il sollievo del muscolo che veniva liberato da quello strumento.

Mauro era come paralizzato e quasi non respirava più. Non aveva pianto, né urlato la sua protesta, ma ci era andato vicino. Aveva percepito tutte quelle sensazioni, le aveva amplificate. E il dolore che sapeva trascurabile si era trasformato in una sofferenza atroce e paralizzante che l'aveva lasciato senza fiato.

Niki accompagnò l'infermiere alla porta e tornò di corsa dal suo innamorato che giaceva immobile nel letto. Mauro era sotto le coperte, ancora a pancia sotto e con gli occhi chiusi, stretti, come per scacciare la brutta visione. Niki l'accarezzò tra i capelli, fece scendere la mano fino alla parte offesa e cominciò a massaggiarla. Poi passò la mano sotto le coperte e sentì che la natica era ancora gelida per effetto del disinfettante. Le ridonò calore continuando a strofinare. Mauro mormorò di piacere. Finalmente riaprì gli occhi e sorrise al suo benefattore:

"Se non la smetti, finirai per ottenere un effetto collaterale e forse indesiderato!" gli disse facendogli l'occhiolino.

Il massaggio di Niki l'aveva ormai più che consolato dello spavento subito e, nonostante la febbre e l'ansia per le altre cinque iniezioni che gli toccava patire, tutto quel movimento gli aveva fatto venire un'idea che disperava di poter mettere in pratica. Invece, Arleen andò da loro a chiedere se avessero bisogno di qualcosa, perché lei e suo marito stavano per uscire.

I ragazzi sarebbero quindi rimasti soli in casa per almeno un'ora.

Quando sentirono la porta chiudersi alle spalle dei genitori, Mauro aprì un occhio e fissò Niki:

"Hai mai fatto l'amore con uno che ha la temperatura un po' più alta del normale?"

"No, non mi pare."

"Se adesso tu lo farai con me, potrai vivere un'esperienza memorabile e consentirai anche a me di farla, perché, quando avremo finito, io t'avrò trasmesso tanti microbi che anche tu soffrirai d'influenza entro poche ore ed io, che forse nel frattempo sarò sfebbrato, potrò fare l'amore con te e provare l'ebbrezza del proibito!"

Riuscì a dirlo tutto d'un fiato, come se fosse uno scioglilingua e Niki, posto davanti a questa prospettiva, esitò solo per un momento, ma la sua perplessità fu solo apparente, perché saltò con entusiasmo nel letto di Mauro.

"Che m'importa dell'influenza? Voglio provare!"

Si amarono con dolcezza. Quando, dopo pochissimo tempo, furono nudi entrambi, Niki trovò che abbracciare il corpo di Mauro, così insolitamente caldo, rappresentava realmente un'esperienza nuova ed eccitante. Sfregarono i corpi, donandosi sensazioni opposte, di caldo e di freddo. E quando Mauro gli si offrì, le sensazioni che Niki provò penetrandolo furono insolite ed affascinanti.

Mauro, pur scherzando, aveva avuto ragione: il suo corpo illanguidito dalla febbre parve a Niki ancora più delicato, arrendevole e dolce di quanto non l'avesse mai trovato. E allo stesso Mauro le sensazioni di quell'amplesso giunsero filtrate dal torpore della febbre, dal calore del proprio corpo che, pur dando alla pelle maggiore sensibilità, attenuava le percezioni dei suoi sensi.

Quando Niki fu vicino a godere, non volle farlo nel corpo del compagno, ma tornò di fronte a lui. Mauro gliene avrebbe chiesto il motivo, ma Niki teneva gli occhi chiusi. Infilò il proprio pene fra le gambe di Mauro e fece lo stesso con quello del compagno. Ripresero a muoversi e godettero stringendosi fra le braccia.

Niki allora s'alzò e corse a prendere un asciugamani per pulire il compagno. Lo fece, com'era già accaduto quella notte, sfiorandolo con lo stesso amore. Allora a Mauro venne voglia di piangere per la felicità, ma non pianse e si tenne dentro quelle lacrime di gioia. Gli parve di capire che Niki, pur avendolo penetrato, avesse preferito non godere dentro di lui, perché voleva rivivere le azioni di quella notte, dirsi e dirgli, ancora, quanto ogni cosa, dalla più dolce alla meno piacevole, fosse sempre e comunque amabile se fatta per lui, per il proprio amante. Niki andò a lavarsi e tornò. Mauro, guardandolo mentre gli sistemava il letto, ebbe voglia di fare qualcosa di coraggioso e di memorabile per il suo ragazzo. In quel momento si sentì eroico: avrebbe voluto donargli qualcosa di estremamente prezioso, ma Niki lo guardò e, leggendogli nel pensiero, gli mormorò baciandolo:

"Io ho te e non puoi darmi nulla di più bello. Al mondo non può esserci nulla di più affascinante che tu non m'abbia già dato."

Quel lunedì mattina fu molto brutto per Niki doversi alzare ed andare a scuola da solo, lasciando a casa Mauro, in compagnia della mamma. Nella notte e durante la giornata di domenica, aveva tentato, più o meno coscientemente, di farsi contagiare e prendersi l'influenza: era entrato in contatto con quasi tutti i fluidi corporei del compagno, tranne il sangue. L'idea l'aveva avuta, ma gli era mancato il coraggio di proporlo a Mauro. Tutti i tentativi furono vani. Alle otto di mattina di quel brutto lunedì, era in perfetta salute, la sua temperatura corporea era di poco superiore ai trentasei gradi e non aveva alcun segno di infreddatura, perciò la mamma e il suo insensibile amante lo spedirono a scuola.

Mauro, invece, trascorse la mattinata leggendo e dormicchiando, fino al momento dell'iniezione, la terza delle sei prescritte. Visse l'esperienza come le altre, tremante, in uno sbigottito silenzio, e questa volta senza avere la panacea del massaggio di Niki.

Riaccompagnato l'infermiere, Arleen tornò da lui. Lo chiamò dalla porta della camera:

"Mauro? Posso entrare?"

"Sì!" le rispose pronto, sorridendole.

Era stato subito conquistato da quella donna e la considerava un'amica davvero leale, perciò raddrizzandosi nel letto e mettendo da parte il libro che stava leggendo, l'accolse con il migliore e più sincero dei suoi sorrisi. Era anche più tranquillo, confortato dal recente responso del termometro che segnava una definitiva discesa della febbre.

Arleen si sedette sul letto e gli passò la mano sulla fronte: "Come va? Mi pare che questa volta sia tu ad avere... meno di 100 gradi Fahrenheit!" gli disse accarezzandolo ancora.

Si sorrisero come vecchi complici. E lo erano certamente, perché amavano la stessa persona. Stettero a guardarsi per un momento, poi Arleen si decise a parlare:

"Mauro, vorrei dirti quanto ti siamo riconoscenti per quello che tu rappresenti per Niki. Sei il primo amico che lui riesce a farsi: prima di te non aveva mai avuto nessuno che gli fosse così vicino. È sempre stato tanto solo."

"C'era Stephan..." Arleen fece per interromperlo, ma Mauro, con un gesto la cui maturità la sorprese, le prese una mano e continuò "perché, anche se sono stati insieme fin da piccoli, sono diventati amici proprio stando lontani ed è stato davvero un peccato che siano stati divisi proprio negli anni in cui avrebbero avuto più bisogno uno dell'altro."

"È vero. Hai ragione" disse Arleen e si fermò a pensare.

Era rimasta più volte stupita dalla saggezza che Mauro spesso mostrava. All'inizio aveva considerato quel ragazzino sempre sorridente molto meno equilibrato, meno accorto di quanto le sembrasse essere suo figlio. Aveva scambiato quell'allegria per leggerezza ed anche per immaturità, ma poi, conoscendolo meglio, aveva notato che Mauro possedeva maggiore esperienza di vita di quanta ne avesse Niki. Ed aveva avuto modo di osservare anche l'avvedutezza e l'equilibrio di Mauro che erano davvero insoliti in un ragazzo della sua età. Era stato merito suo se Niki era venuto fuori tanto in fretta dallo malinconia in cui era caduto dopo la morte di Stephan. Non osava pensare a cosa sarebbe accaduto se suo figlio si fosse ritrovato da solo in quei giorni terribili o se, peggio, al suo arrivo in America, non avendo Mauro accanto a sé, avesse incontrato il cugino e si fosse lasciato coinvolgere in qualche storia di droga. Scacciò quella specie di incubo che le tornava ogni volta che ripensava al nipote. Era là per parlare a Mauro di qualcosa che, temeva, lui non avrebbe compreso completamente e che forse l'avrebbe turbato. Prima di cominciare, si chiese se poteva discuterne apertamente con quel ragazzino.

"Mauro, l'altra sera, mentre tornavamo in macchina, mi sono voltata verso di voi e sono stata a guardarvi per quasi tutto il viaggio."

Avevano cenato in un ristorante fuori città e Mauro era stato con loro. Al ritorno i due ragazzi s'erano seduti sul sedile posteriore dell'automobile. Era tardi e s'erano addormentati, appoggiando la testa uno sulla spalla dell'altro, adattandosi alla posizione del compagno. Poi, sempre nel sonno, Niki aveva cercato la mano di Mauro. Lei li aveva davvero guardati per tutto il tempo, svegliandoli solo quando erano arrivati sotto casa.

"Vi osservavo e mi pareva d'avere già vissuto in passato momenti come quelli che stavo vivendo. Era un déjà vu, come dicono i francesi, e tu sei un poco francese, no? Mi sono ricordata di Stephan e Niki sul sedile della nostra macchina a Boston, più di dieci anni fa. Appena entrati in macchina immancabilmente loro due si addormentavano, s'abbracciavano e sognavano beati.

"Forse Niki te ne ha già parlato: quando Stephan era piccolo, passava tutto il tempo con noi, perché mio fratello e sua moglie non riuscivano mai a stare con lui e lo lasciavano quasi sempre a me che accudivo anche a Niki. Sono cresciuti realmente come fratelli e quando li abbiamo divisi ne hanno sofferto molto, anche se continuavano a vedersi almeno due volte l'anno e si telefonavano spesso" poi aggiunse, come se ci pensasse per la prima volta "Sai, non siamo mai riusciti a capire come facessero a dormire abbracciati a quel modo."

Mauro non ce la fece a stare zitto: "È proprio quello che accade a noi! Me lo chiedo spesso anch'io!" e arrossì fino alla cima dei capelli. Per un momento gli parve che gli fosse tornata la febbre alta del giorno prima, ma Arleen gli stava già sorridendo: quella donna non finiva mai di stupirlo. Con sua madre non avrebbe mai ammesso che, quando dormiva con Niki, erano sempre abbracciati. Con Arleen era stato così semplice.

Pensandoci bene però, sua madre doveva ormai saperlo molto bene. Mauro si diede dell'ipocrita e chiese mentalmente scusa a sua madre, la quale, si disse, proprio non meritava quella slealtà.

"Durante il viaggio in macchina pensavo a voi due e poi a come era il rapporto fra Stephan e Niki... ed ora voi due siete così intimi..." Arleen non riuscì più a trovare le parole e Mauro la soccorse, meravigliandola ancora.

"Io credo che Niki abbia sempre cercato qualcuno, un amico, che sostituisse Stephan, che fosse come lui. Con ogni ragazzo che ha avvicinato è stato così: ne sono convinto. E così è stato anche con me: lui cercava Stephan..." Mauro la guardò con occhi serissimi "Beh, ma ha trovato Mauro! Ed io sono un'altra persona, ma credo di piacergli lo stesso!" la fissò, le sorrise, poi aggiunse "Anche per come sono io!"

Arleen era stupita e rassicurata, ma le premeva ancora parlargli di loro due, del loro rapporto, anche per metterli in guardia:

"Tu sei il primo, dopo Stephan, che Niki abbia conosciuto così a fondo e lui è più inesperto e indifeso di te. È sempre stato così solo. Io non conosco bene la tua vita, ma, per quello che me ne ha raccontato tua madre, tu sei sempre stato circondato da tante persone. Hai avuto sempre molti amici.

"Non vorrei che tu ti preoccupassi... Ne parlo a te, perché mi sembri più maturo e più consapevole di lui. Vorrei che tu pensassi e facessi considerare anche a Niki che" Arleen si fermò a scegliere le parole "nella vita di due persone possono esserci delle situazioni, anche indipendenti dalla loro volontà, che le allontanano, così come ce ne sono altre che le avvicinano. Voi due sembrate come abbagliati uno dall'altro. Pare che fra voi abbiate messo da parte ogni senso critico nei confronti dell'altro. Vivete i vostri difetti come buoni motivi per volervi ancora più bene. E questo è un errore. Forse ti sto spaventando" aveva visto che un'ombra era passata negli occhi del ragazzo, perché pur sempre di un ragazzo si trattava "ma hai capito quello che intendo?"

"Si, signora, e noi ne siamo consapevoli. Ne abbiamo parlato: sappiamo che la nostra vita non sarà sempre uguale a come è ora. Vivremo certamente delle difficoltà e sappiamo anche che abbiamo molto bisogno di amici, di vivere con altre persone. Noi lo sappiamo che difficilmente si riesce a conservare le stesse idee per tutta la vita" la guardò quasi accigliato, poi aggiunse "ma noi cercheremo di farlo!"

Lentamente il suo volto si rilassò in un sorriso dolce e sereno che convinse Arleen e la conquistò ancora una volta. La persuase che Mauro era l'ineguagliabile completamento di Niki, il compagno ideale e precoce di suo figlio, e che l'incontro fra quelle due anime doveva essere per la vita. Se quei due avevano avuto la fortuna di trovarsi e avevano deciso di sposarsi, perché così era, loro, i genitori, li avrebbero assecondati e li avrebbero protetti e difesi in ogni momento.

L'accarezzò tra i capelli e s'avvicinò a baciarlo sulla fronte: "D'accordo. D'accordo, Mauro!"

Ma lei era là anche per un altro motivo: doveva proporre a Mauro qualcosa che il ragazzo difficilmente avrebbe saputo rifiutare.

"Sai, Mauro, adesso sto molto meglio e posso rifarmi di tutte le volte in cui mi sono dovuta fermare a riprendere il fiato, perciò" fece una pausa e gli prese la mano. Lo guardò negli occhi. Mauro la seguiva incuriosito "Abbiamo pensato di andare a Parigi per Pasqua: verresti con noi? Faremo una sorpresa a Niki. Tu non parlargli di questo progetto!"

La proposta era incredibilmente allettante. Mauro guardò Arleen con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Dimenticò immediatamente le iniezioni che ancora doveva subire, oltre al dolore per quelle già fatte. A Parigi con Niki. Parigi! Per un francese d'elezione quale lui si sentiva, un francese che non era mai stato in Francia. Avrebbe potuto finalmente parlare il francese con i francesi, come aveva sempre sognato. Ma era per Pasqua e lui a Pasqua non era mai mancato ad un appuntamento molto particolare.

"Abbiamo pensato" continuò a dire Arleen "che a te sarebbe piaciuto andarci, anche se noi ci siamo già stati. La città merita d'essere vista e rivista, perché è stupenda. E poi tu conosci il francese molto bene. Anzi, tuo padre mi ha assicurato che lo parli come se fossi nato in Francia. È vero?"

"Se lo dice papà..." Mauro era immediatamente arrossito all'idea che suo padre, sempre così severo, apprezzasse tanto il suo francese.

"Allora? Vieni con noi?"

Mauro esitava, perché davanti a sé aveva una scelta molto ardua: Parigi o le sue amate processioni, l'unica concessione della sua famiglia, e di suo padre in particolare, alla religione, al soprannaturale, all'inspiegabile e all'irrazionalità.

"Mauro, pensaci con calma" Arleen si rese conto che il ragazzo non riusciva a risponderle, perché pareva un po' turbato dalla proposta "parlane con i tuoi genitori. So che ti abbiamo sottratto alla tua famiglia per Natale ed a loro potrebbe dispiacere non averti anche a Pasqua, ma perché non provi a convincerli? Non è necessario che tu mi dia una risposta ora. In ogni caso, non dire nulla a Niki, perché per lui deve essere una sorpresa" Arleen gli sorrise e s'alzò "Torna a leggere, non vorrei che la tua cultura soffrisse a causa delle nostre chiacchiere" e indicò il libro che Mauro teneva ancora in mano, con un dito infilato fra le pagine per non perdere il segno.

"Ma no, Arleen, resti per favore, se può" e inserì una cartolina nel libro per segnare la pagina e l'allontanò da sé "se non ha di meglio da fare. Mi piace parlare con lei" ammise candidamente, sorridendole. Le voleva bene ed era un sentimento che lo stupiva "Parigi è sempre stato un sogno per me, come lo è stato per mio padre, per tanti anni. Però, qui a Pasqua ci sono le processioni. Mi ha messo in un bel guaio" sorrise ancora "non so che fare e mia madre riderebbe se potesse ascoltarmi: lei afferma che io so sempre cosa fare ed è per questo motivo che riesco sempre ad averla vinta. Ma non è vero. Non è sempre vero, perché" sorrise, il suo sguardo si fece dolce "con Niki non vinco mai e neanche lui vince con me. Forse è per questo che stiamo tanto bene insieme."

"Mi stai rivelando un segreto? Con mio marito e con i tuoi genitori ci siamo chiesti spesso come facciate voi due ad andare tanto d'accordo. Sembrate avere due personalità così simili. Noi conosciamo bene l'ostinazione di nostro figlio e tua madre racconta storie mitiche della tua testardaggine."

Mauro si prese la testa fra le mani, poi la rialzò sorridendo: "No, non è un segreto, ma come faccio a spiegarglielo? Con Niki non decido, perché desidero solo accontentarlo e così fa lui con me. Non c'è altra spiegazione. Quando ci siamo conosciuti, ma prima che..." la guardò indeciso, non sapeva se poteva permettersi un'affermazione esplicita.

Lei l'aiutò: "Vuoi dire prima che scopriste d'essere innamorati?"

"Si, volevo dire questo..." le voleva davvero bene, non aveva dubbi "prima che lo capissi, perché per Niki era già tutto chiaro e io non lo sapevo ancora. Un giorno gli chiesi quale fosse la sua idea dell'amore e lui mi raccontò che lei e suo marito vi volete bene perché ciascuno, in ogni momento, cerca di realizzare i desideri dell'altro. Beh, anche per noi è così."

Stettero a guardarsi sorridendo uno all'altra.

"Parigi è nei miei sogni da quando ero piccolo" disse Mauro "ma le processioni sono tutto un altro discorso. Papà dice sempre che sono qualcosa che si può comprendere solo se si è nati qua. Lui è ateo, eppure, nella sua vita è mancato raramente ad una processione, e mio nonno che era un anarchico, non ne perse mai una. Mamma mi ha raccontato che il nonno morì di sabato santo, quando io avevo tre anni.

"Lui era molto alto. Papà dice che era grande come una quercia ed anch'io me lo ricordo molto vagamente come un uomo imponente. Beh, a dire il vero in famiglia siamo tutti piuttosto maestosi" Mauro sorrise "ma pare che il nonno fosse davvero un gigante. Secondo papà, i miei fratelli ed io siamo ragionevolmente meno alti e robusti, perché abbiamo sfruttato la piccola statura della nonna e di mia madre che hanno un poco stemperato l'imponenza del nonno.

"Forse ho divagato..." e guardò Arleen, temendo d'annoiarla, ma lei gli fece cenno di continuare "Il nonno era stato in coma per tre giorni, fino al Venerdì Santo, poi, circa all'ora in cui la processione doveva passare sotto le sue finestre, si svegliò come per miracolo e chiese che lo portassero sul balcone. Assistette al passaggio delle statue e riuscì finanche ad intonare un inno sacro. Dopo un po' ricadde nel coma e morì il giorno dopo. Le ho raccontato questa specie di miracolo per spiegarle che in questa città le processioni sono una cosa importante per tutti."

Guardò Arleen e gli parve che fosse ancora interessata ad ascoltarlo, allora si sistemò meglio sul letto, godendosi la morbidezza dei cuscini che lo sorreggevano. L'argomento 'processioni della settimana santa' era uno dei suoi preferiti e a Niki ne aveva parlato tanto da riempirgli la testa. Avevano già deciso come fare per non separarsi neanche in quell'occasione: Niki avrebbe partecipato alla processione, sebbene quasi in incognito. Mauro si sarebbe vestito del suo saio, secondo quanto prescriveva la confraternita e Niki gli avrebbe camminato accanto per tutto il percorso, cercando di mimetizzarsi fra i tanti fedeli che, pur non essendo confratelli, seguivano comunque la processione.

"In questa città le processioni rappresentano il motivo per cui tutti quelli che sono lontani e possono tornare, lo fanno. È commovente incontrare quelle persone, immaginare che siano qua per te, per vederti. Papà me lo ripete ogni anno, indicandomi e facendomi conoscere gli amici di tutta la sua vita. Quelli che, come dice, se ne sono andati ad invecchiare lontano, perché gli amici non li vedessero appassire."

Mauro era ispirato, parlava con gli occhi socchiusi, come se assistesse ad un film per poi raccontarlo ad Arleen: "Quella processione è emozionante. Almeno per me" aggiunse, cercando di spiegarsi.

"Alle tre di notte, tra il Giovedì e il Venerdì Santo, tutti quelli che se la sentono di restare alzati, e sono davvero tanti, si riversano per le strade della città vecchia e assistono, nel massimo silenzio, all'uscita delle statue da una chiesa che è molto piccola. È tanto piccola che ci si deve entrare a turno. Ed è anche un po' strana, perché le manca la navata destra. Pare che nel '600 il terreno su cui doveva essere costruita, dopo le altre due navate, sia stato venduto di nascosto dal priore della confraternita. Non si sa che fine abbia fatto, ma secondo papà non s'è goduto quei soldi.

"Le statue escono una alla volta e sono portate in spalla ciascuna da quattro uomini incappucciati, con il passo ritmato dal tamburo e dalla tromba. Ma la cadenza vera e propria viene data dagli inni cantati dai confratelli.

"Il momento in cui esce l'ultima statua è il più emozionante. Ai lati del portale sono schierati centinaia di uomini vestiti con un saio del colore della terra e con la testa coperta da un cappuccio a punta che ha i buchi per gli occhi. Tutti hanno le candele accese. La statua è sollevata dal tappeto di garofani rossi su cui è stata adagiata durante per tutto il giorno precedente. In quattro se la mettono sulle spalle ed in quel momento la banda intona una marcia funebre particolare, che da oltre cento anni è sempre la stessa. Quella musica rappresenta il grido di dolore per la morte di Cristo. Il ritmo, che all'inizio è un po' incalzante, improvvisamente si calma e la banda segna un tempo più lento che cadenza l'andatura quasi indolente dei portatori. Papà ogni anno mi ripete che, secondo lui, quelle marce funebri sono sensuali e tragiche e poi aggiunge che non sono dei capolavori. L'anno scorso abbiamo camminato insieme durante tutta la processione ed abbiamo parlato per ore. Mi ha raccontato tante cose."

Arleen attese che Mauro riprendesse a parlare, capì che il ragazzo si era un poco perso dietro ai suoi ricordi.

"L'ultima statua, la quinta, raffigura un Cristo morto, riverso, con un braccio lungo il fianco e l'altro adagiato sul ventre, mollemente. Ha una gamba un po' sollevata. Vorrei che la vedesse. Quella statua ha una posa così languida, con il volto sofferente, imbrattato di sangue e le labbra socchiuse, tirate, come nello sforzo di morire. Io... credo di essere innamorato di quel volto" nel raccontare aveva chiuso gli occhi, li riaprì e la guardò fisso "Non ci avevo mai pensato, ma credo che sia così. Non l'ho mai detto a nessuno, neanche a papà!"

Tornò a scegliere fra i suoi ricordi: "I portatori sono assistiti da altri quattro uomini, pronti a soccorrerli se dovessero essere stanchi o cadere. E devono spesso sorreggerli, perché la statua è molto pesante. Per questo hanno dei bastoni con delle forche che piantano in terra quando devono aiutare a sostenere il peso. E anche loro hanno i cappucci calati sulla testa, come tutti noi. Vedono solo attraverso i fori per gli occhi.

"Sollevata la statua, cominciano a muoversi piano, strisciando i piedi e seguendo il ritmo lento della musica. Avanzano verso la porta della chiesa. All'esterno le luci della strada sono tutte spente e l'illuminazione viene solo dalle candele. Si vedono prima apparire i lumicini rossi che sono attorno alla statua, poi i piedi pallidi e le gambe, il corpo straziato, finché non si vede il volto. Per strada c'è il silenzio assoluto.

"L'andatura è ondeggiante e ritmata dalla musica che si spegne solo quando la statua ha superato il baldacchino che è davanti alla chiesa. A quel punto incomincia la processione. In quel momento sono sempre le tre e mezza del mattino.

"Il corteo attraversa poi tutti i quartieri della città vecchia. La mia famiglia ha da sempre il suo posto nella processione. Ci vestiamo con il saio, in testa ci mettiamo quel cappuccio che, secondo papà, dà un aspetto di un massone a chi lo indossa, e con la candela in mano seguiamo le statue lungo, più o meno, tutto il percorso.

"La processione torna alla stessa chiesetta monca di una navata esattamente a mezzogiorno del Venerdì Santo e soltanto allora ce ne torniamo a casa, distrutti dalla fatica, ma contenti e felici, anche se non saprei dire esattamente di cosa.

"Adesso capisce perché sono davanti ad un dilemma quasi insolubile? La Pasqua, per me, è tutta in questa processione, ma ora la vedo tristemente eclissarsi dietro il Louvre, la Tour Eiffel e Notre-Dame, per non dire del piacere di essere in viaggio con Niki" gli parve d'aver commesso una gaffe e subito si corresse "cioè con voi."

E se la battaglia che in quei momenti si stava combattendo nella mente di Mauro, fosse stata visibile, si sarebbero viste truppe agguerrite battersi senza esclusione di colpi. Il momento in cui il viaggio in Francia parve soccombere si presentò quando Mauro si ricordò che quell'anno, avendo appena compiuto quindici anni, poteva sperare di essere uno dei portatori del baldacchino che seguiva la sua amata statua. Per la prima volta, se il sorteggio lo avesse aiutato, avrebbe avuto un ruolo attivo nella processione. Ma il viaggio a Parigi sembrò vincere quando Mauro pensò che quel soggiorno in Francia gli avrebbe consentito di realizzare un suo sogno di bambino e salire sulla Tour Eiffel. Aveva sempre fantasticato su quella costruzione, anzi in un periodo della sua vita con il meccano costruiva solo tralicci che nella sua fantasia erano tante Tour Eiffel. La battaglia si infuocò: cosa ne avrebbe pensato suo padre, legato alla processione da un attaccamento difficile da spiegare, ma che aveva trasmesso intatto proprio a lui? Fu allora che l'idea del viaggio in Francia prevalse, perché aveva considerato un argomento su tutti: se non fosse andato a Parigi, molto probabilmente, sarebbe dovuto restare lontano da Niki per una settimana e quella era una prospettiva inaccettabile, neppure al pensiero di saltare, per quell'anno, la processione dei Misteri.

Arleen aveva atteso pazientemente che lui valutasse tutte le possibilità, guardandolo incuriosita, tentando di leggergli nel cuore attraverso gli occhi, poi Mauro sciolse l'arcano:

"È ancora valido il suo invito? Sempre che mamma sia d'accordo e che papà accetti l'idea di non avermi con sé alla processione..."

Al rientro di Niki da scuola, Mauro fu travolto dal resoconto della giornata scolastica e dalle ultime notizie dal fronte della 'reintegrazione dei diversi', come Niki chiamava il loro lento avvicinarsi agli amici.

"Durante l'intervallo Giacomo mi ha preso sottobraccio e mi ha chiesto cosa ne pensassi della serata di sabato e io gli ho assicurato che ci eravamo divertiti, poi mi ha detto 'io e Mauro siamo amici da tanti anni, tu non sei geloso, vero? Io ci tengo a restarlo per sempre e voglio anche essere tuo amico'" Niki aveva imitato abbastanza bene la parlata a scatti di Giacomino "L'ho rassicurato come potevo. Poi Roberta ha voluto sapere della tua salute e mi ha chiesto come mi sentivo io. In un primo momento devo averla guardata male, ma poi ho capito che era davvero preoccupata per te. Quella ragazza mi piace. E poi abbiamo quasi gli stessi gusti. Non è vero, Casanova?"

Mauro lo guardò storto, fingendosi offeso.

"Un'altra ci ha invitati alla festa per il suo compleanno sabato prossimo."

"Come 'un'altra'? E chi sarebbe?" chiese Mauro allibito.

"Non me lo ricordo! Cosa vuoi che mi importi?" finse Niki.

"Accidenti! Chi ci ha invitati?" lo minacciò.

"Maaraa!" scimmiottò Niki "Se l'avessi potuta ascoltare, avresti pensato che stava per invitarci al gran ballo di corte" scoppiarono a ridere insieme "E poi" cambiò discorso "per tutta la giornata Eugenio, Alex ed Enrico non mi hanno lasciato neppure un momento da solo, per non dire di Giacomo che si è anche seduto al tuo posto. E quando la professoressa d'inglese lo ha interrogato, alzandosi mi ha mormorato 'Stai pronto col pennarello!'"

Mauro scoppiò a ridere: avevano davvero degli amici impagabili che forse erano riusciti ad entusiasmare anche Niki, all'inizio così scettico. Ma adesso lui e Niki dovevano pensare alla nuova avventura che stavano per vivere e quello che gli pesava era di non potergliene subito parlare. Anzi sperava che non gli scappasse qualche accenno: non avrebbe mai voluto tradire la fiducia di Arleen.

Essendogli ormai quasi passata la febbre, si alzò dal letto, si stiracchiò, raddrizzò la schiena che gli doleva ancora e provò a fare qualche passo. Niki gli si mise accanto, quasi per sorreggerlo, e Mauro, notando qualcosa di diverso, accostò la sua spalla a quella dell'amico. Si rese conto d'essere cresciuto ancora di qualche centimetro:

"Sono diventato più alto di te" gridò e poi scoppiò a ridere "Sono io quello più alto. L'influenza mi ha fatto crescere ancora!" levò le braccia in alto "Sono diventato il più alto della famiglia. Lo diceva papà che dovevo crescere ancora!"

"Va bene sei più alto, ma hai paura delle iniezioni. Puoi anche arrivare ad essere alto sei metri, ma resterai sempre un pusillanime che ha paura del buio, delle iniezioni e poi sei curioso, sei curioso, sei curioso!"

Terminò con un tono talmente irritante che Mauro ritenne giunto il momento di staccarsi di dosso l'etichetta di più curioso dei due, anche a costo di rischiare qualcosa. Così, abbandonata ogni prudenza, sfidò l'amico: "Sono più alto di te. Ho paura delle iniezioni e del buio, ma scommettiamo che per una volta sarai tu il più curioso?"

"Non riuscirai ad incuriosirmi. Non come io ci riesco con te" ma a quel punto, a Mauro cominciò a girare la testa e preferì tornarsene a letto.

Poco dopo, mentre Niki gli massaggiava i glutei offesi dalle iniezioni, Mauro gli disse con voce soave:

"Io so una cosa bellissima che ti farà enorme piacere, ma non posso dirtela e, stai pur tranquillo: non te la dirò" e fece il gesto di cucirsi le labbra.

Niki smise di massaggiarlo: "E io adesso ti sculaccio dove ti fa più male e poi ti pungo tutto se non confessi quello che mi stai nascondendo."

"Allora, chi è più curioso?"

Niki cambiò tattica e disse serio: "Mauro, mi stai dicendo la verità? È davvero qualcosa che mi farà felice?"

"Lo giuro. Croce e morte!"

Questa, come Niki ormai sapeva bene, era la formula più solenne di giuramento, usata dai ragazzini nelle situazioni più serie. Comprendeva, come suggello, lo sputare per terra e, con il piede sinistro, segnare una croce, cancellando lo sputo. Mauro, naturalmente, omise la parte dello sputo, ma cercò di mantenere inalterata la solennità del suo giuramento.

"E perché non me lo dici?" Niki glielo chiese con la versione più dolce della sua voce, quella alla quale Mauro ben difficilmente avrebbe resistito.

Arleen lo salvò momentaneamente da altre spiegazioni chiamando suo figlio ad aiutarla per il pranzo, ma l'ormai terribilmente incuriosito Niki tornò alla carica con le sue insistenze per il resto della giornata e il giorno successivo.

La convalescenza di Mauro durò fino al mercoledì mattina, quando, per la felicità d'entrambi e con la benedizione di un caldo sole d'aprile, tornò a scuola.

Ormai Parigi li attendeva, il papà di Mauro aveva decorosamente accusato il colpo: per quell'anno alla processione, assenti Sergio e Mauro, avrebbe avuto con sé solo Michele. Ma all'illuminista che era in lui aveva fatto piacere che suo figlio viaggiasse e visitasse quella città eccezionale che lui era riuscito a vedere una volta sola:

"Vai pure e guarda tutto, perché al tuo ritorno vorrò sapere. Dopo tutto, figlio mio, le processioni sono sempre quelle, ogni anno uguali a se stesse" sentenziò ad un allibito Mauro.

Arleen svelò a Niki il segreto quando non poté più nasconderglielo, essendo divenuto evidente che in famiglia si stava preparando qualcosa.

Quel pomeriggio Niki accolse l'amico con un sorriso soddisfatto e Mauro comprese che la curiosità, diventata patologica nelle ultime ore, era stata finalmente soddisfatta. Appena soli s'abbracciarono felici. Niki dimenticò, per il momento, lo scherzo giocatogli e finalmente cominciarono a programmare il soggiorno parigino utilizzando tutti i supporti che la biblioteca del padre di Mauro avrebbe fornito: volevano vedere tutto, come se Parigi avesse potuto scomparire subito dopo la loro partenza.

Il pensiero dei preparativi fu soppiantato solo dalle discussioni per l'uscita del sabato sera, con l'invito alla festa di compleanno organizzata dalla loro compagna di classe.

Avevano discusso molto se parteciparvi e non ne erano venuti a capo: andare alla festa sarebbe stato positivo per la loro 'immagine pubblica', come la definiva Mauro, ma sarebbe stato noioso e anche imbarazzante secondo Niki:

"Ci toccherà ascoltare musica rimbombante per tutta la sera e rispondere alle loro domande e parlare con tutti dei fatti nostri: non so se ce la farò a resistere."

"Ma potremmo anche divertirci e poi, se rispondessimo alle loro domande una volta per tutte, probabilmente smetterebbero di farcele e torneremmo nella media dell'interesse, cioè 'normali', tra virgolette."

"Non ci voglio andare. E se mi chiedessero di ballare? Se quella cretina, per i suoi presunti doveri di padrona di casa, mi afferrasse la mano, mi portasse al centro della stanza e mi dicesse 'Baalla, daai baalla anche tu! Sei stato seduto tutta la sera, qui ci si deve divertiire!'" Niki stava fornendo, quasi in falsetto, una buona imitazione della voce un po' impostata della compagna "che farò se dovesse accadere? Piuttosto che lasciarmi trascinare a ballare, sappi che io la strangolerò!"

Mauro se la rideva, perché l'imitazione era stata perfetta e perché immaginava Niki alle prese con quell'oggetto sconosciuto che era la donna. Non che lui avesse migliori esperienze, essendosi fermato alla sensazione di due seni premuti contro il petto e alla mano di Roberta che gli aveva sfiorato la patta. Aveva però una più lunga frequentazione d'amicizie, sia maschili, sia femminili, che gli consentiva una facilità di rapporti umani che Niki proprio non possedeva.

"A quel punto potresti lasciarti trascinare dal ritmo incalzante della musica e ballare forsennatamente, oppure potresti esprimerle, con calma e prima di ucciderla, i motivi per cui ti rifiuti. I riferimenti culturali non dovrebbero mancarti: potresti fare riferimento alla danza come espressione del corpo. E tu che, a differenza di quella sciocca, hai studiato e compreso il mito delle Muse, potresti finalmente spiegarle che Tersicore di preferenza si accompagnava con la lira e sicuramente disdegnava i tamburi e le percussioni in genere."

Niki gli si avvicinò minaccioso e minacciosamente gli puntò un dito fra le costole: "Non ci vengo."

"Ci andiamo, perché tutti devono vederti ballare."

"Ti prego, Mauro: non ci voglio proprio venire" Niki stava provando a commuoverlo.

"Chiediamolo a tua madre. Che ne dici? Io rimetto a lei la decisione, penso che sia abbastanza saggia da capire cosa sia meglio fare" e questo era metterlo nell'angolo, dargli un atout.

"Va bene, andiamo" disse Niki, non ancora rassegnato.

Andarono da Arleen in soggiorno, le si pararono davanti come due contendenti davanti ad un giudice: "Mamma, siamo stati invitati ad una festa da un'amica e Mauro vorrebbe andarci, io preferirei di no. Tu che ne pensi?" Mauro fece per intervenire, perché l'argomento gli pareva fosse stato trattato in modo eccessivamente conciso: Niki, come ammetteva lui stesso, aveva un potere di 'sintesi stringente'.

"Niki, la soluzione migliore potrebbe essere quella che tu non ci andassi, lasciando libero Mauro di partecipare alla festa."

Era la soluzione più logica, che però non piaceva a nessuno dei due: "Se permette, signora, vorrei esprimere la mia idea. Penso sia utile che alla festa ci andiamo insieme. Prima di tutto, perché sarebbe divertente, anche se lui non vuole ammetterlo. E poi, alcuni nostri compagni ci hanno chiesto d'uscire più spesso con loro. Lo hanno fatto per amicizia nei nostri confronti. Io penso che non sarebbe educato rifiutarci d'andare alla festa."

Prima che la mamma desse ragione a Mauro, Niki, che capiva bene d'avere torto, ammise: "Ha ragione Mauro. Andremo alla festa e poi balleremo e infine rideremo" detto questo si girò e se ne tornò nella sua camera.

Arleen e Mauro rimasero a guardarsi:

"Da piccolo, quando capiva di avere torto, faceva così. Dopo un poco tornava a cercare me o suo padre perché lo consolassimo. Stavolta penso che cercherà te: buona fortuna, Mauro!"

Arleen glielo disse con lo stesso sorriso di Niki, poi gli prese la mano e gliela strinse affettuosamente.

Quando Mauro lo raggiunse, Niki guardava fuori dalla finestra. Mauro si sedette alla scrivania e si mise a fissarlo. Avevano già finito di studiare e ciò che rimaneva di quella giornata era tutto per loro, potevano utilizzare quel tempo o sprecarlo.

"Niki."

Non si girò neanche. Guardava fuori. Era offeso, ma lo era con se stesso. Si sentiva inadatto, impreparato a vivere un'amicizia con altre persone e si rendeva conto che la sua esistenza in splendido isolamento l'aveva reso incapace di normali contatti umani. Era convinto di sapere soltanto amare oppure odiare.

"Dovrai insegnarmi tutto" gli parlò dicendogli, come molte volte accadeva, solo la fine del discorso che s'era andato facendo, come se il compagno avesse potuto leggergli nel pensiero, indovinando quello che lui gli aveva taciuto. E spesso Mauro faceva anche questo.

Non ottenendo risposta, si voltò: "Tu devi insegnarmi a vivere" disse a Mauro che continuava a guardarlo "Ho capito perché dovremmo andare a quella festa e so che è giusto, che dobbiamo andarci ed io ci verrò. Però continuo a non volerlo. Non ci riesco!"

Mauro con un gesto gli fece cenno di andare a sedersi sulle sue ginocchia, poi lo cinse con le braccia, e Niki si lasciò cullare.

"Se qualcuno ti importunerà, sarai libero di difenderti e di farti valere: e tu questo sapresti farlo. Se non vorrai ballare, i mezzi per imporre la tua volontà non ti sono mai mancati e non ti mancheranno quella sera. Io sarò sempre con te e non lascerò modo a nessuno di dividerci o d'infastidirci. E ti prometto che, nel momento in cui deciderai di andare via, noi due lasceremo la festa, senza discutere! Hai la mia parola"

Capiva di dover costruire in Niki un'esperienza d'amicizia che il suo ragazzo ancora non possedeva. Perché Niki continuava ancora a dividere tutti gli essere umani in poche categorie: nella prima c'era Mauro, l'amante, che era la sua ragione di vita. Poi i parenti cui l'univa l'affetto. Ed infine tutti, ma proprio tutti, gli altri, che erano insignificanti, i miliardi di esseri umani che si possono incontrare nel corso della propria esistenza. Aveva create quelle categorie senza mezze misure, senza compromessi, con un'unica eccezione per ciò che era stato Stephan.

Ma loro due avevano bisogno di avere degli amici, gli altri erano necessari soprattutto a loro stessi. Ne avevano bisogno per non doversi accettare acriticamente come avevano fatto fino ad allora, per non accecarsi volontariamente davanti ai difetti dell'altro. Per non ritrovarsi da soli quando l'amore, la passione folle, l'attrazione che li univa, avrebbero lasciato il passo all'affetto, all'unione salda e tranquilla che inevitabilmente sarebbe seguita all'entusiasmo che stavano vivendo. E allora, se si fossero ritrovati da soli, il loro rapporto avrebbe potuto soffrirne seriamente e sarebbe stato difficile, forse impossibile, sopravvivere insieme.

Mauro stava prendendo coscienza di ciò molto più velocemente di Niki che non aveva ancora l'esatta cognizione dei pericoli che avrebbero incontrato vivendo il loro splendido isolamento. Ed erano pericoli che non poteva vedere, essendo sempre stato solo.

Ancora una volta gli si era stretto in cerca di protezione e Mauro scopriva la dolcezza che tutto questo gli portava. L'appagamento che provava in quel momento, nell'offrire a Niki la protezione che chiedeva, era pari al piacere che poteva dargli il corpo dell'amante. Stavano entrando assieme in una dimensione più spirituale, meno corporea del loro amore. Per loro l'amplesso non era più l'unica fonte di piacere. Era inevitabile che la profondità del legame, la sua completezza li portassero a considerare l'aspetto carnale, l'attrazione fisica, come un corollario alla loro unione e non più ad esserne l'essenza stessa.

"Quando sono con te, mi sento così felice che..." disse Mauro e gli affondò la faccia nel petto. Non trovava le parole per dire tutti i suoi pensieri.

Fu Niki a renderli comprensibili, a spiegargli dove si stavano spingendo:

"Credo che sia accaduto qualcosa fra noi" Mauro lo guardava incuriosito "oggi per la prima volta non ti desidero, cioè, vedi?" gli prese la mano e gli fece toccare la sua eccitazione. Mauro sentì l'erezione di Niki, e capì che anche Niki sentiva la sua sotto le gambe "Neanche io trovo le parole, Mauro, ma mi pare di aver già fatto l'amore con te. È come se l'avessimo appena fatto, ma è stato con la mente e con il cuore e non con il corpo."

Mauro lo strinse forte e chiuse gli occhi.

Il sabato pomeriggio, nel giorno del loro debutto in società, decisero di fare una passeggiata in bicicletta. Sotto casa incontrarono Giacomino che pareva vagare in cerca di compagnia e Mauro gli propose di accompagnarli. Niki provò un po' di disappunto, ma ripensò a tutti i discorsi che avevano fatto e gli parve che trascorrere il pomeriggio col migliore amico di Mauro, fosse un buon modo per mettere in pratica le loro intenzioni.

Se ne andarono per le solite strade di campagna e Giacomino non fece altro che chiacchierare, senza fermarsi un momento, facendoli ridere con le sue battute e i suoi discorsi, affannandosi a pedalare e a parlare, mentre loro continuavano a sghignazzare. Quel giorno era proprio in forma e non faceva che raccontare storie e barzellette.

Niki, che ormai comprendeva a sufficienza il dialetto parlato in città, seguiva tutti quei discorsi, coloriti da espressioni dialettali e da parolacce. Si creò così fra loro un clima di cameratismo assolutamente nuovo per lui, una dimensione d'amicizia che gli era ancora ignota e il merito fu di Giacomino.

Quando arrivarono alla villotta, entrarono per il cancello, perché, una volta tanto, Mauro era riuscito ad ottenere le chiavi. Giocarono a pallone e dopo un'ora di quel divertimento, crollarono stanchi sotto i pini. Buttandosi sul tappeto di aghi, loro due caddero abbastanza vicini per sfiorarsi e si cercarono. Niki istintivamente prese la mano a Mauro, ma si accorse che il compagno esitava. Si voltò a guardarlo e si avvide del suo timore, ma ritenne di dovere insistere, perché s'erano proposti di essere se stessi ogni volta che fosse stato possibile e con Giacomo dovevano almeno provare a farlo. Forse Giacomino sarebbe stato abbastanza onesto da reagire senza ipocrisia e, con un po' fortuna, avrebbe anche compreso. Niki decise di essere coraggioso:

"Giacomo, a te darebbe più fastidio se prendessi la mano di Mauro fra le mie, oppure non la prendessi e invece ti dicessi che, quando siamo soli, io gli prendo sempre la mano e questa volta non lo faccio, perché ci sei tu?"

Il rosso vacillò davanti ad una domanda così articolata: "Beh... se vi va di tenervi per mano, fatelo pure. Anzi, fatelo subito, perché non ho mai visto due uomini che stanno mano nella mano" si mise a guardarli, strabuzzò gli occhi ridendo e accentuando l'espressione di curiosità.

Scoppiarono tutti a ridere e Niki prese la mano di Mauro e gliela strinse, felice di poterlo fare.

Mauro si rilassò e s'avvicinò a Niki che era appoggiato al pino con le spalle, s'adagiò su di lui, facendosi quasi abbracciare. Pensò che Giacomo fosse davvero impagabile. Provava una gran tenerezza e riconoscenza per quel ragazzo, perché capiva, molto meglio di Niki, quanti sforzi dovesse fare continuamente per superare tutti i pregiudizi che gli provenivano dalla sua educazione.

Era già primavera e l'aria era tiepida e profumata di tutti gli odori della campagna. I due vecchi compari, allora, si lasciarono prendere dai ricordi e raccontarono a Niki di tante avventure e marachelle fatte in coppia, oppure assieme ai Cavalieri, fino ad arrivare all'estate di due anni prima, quella della scoperta del sesso. Se quei due erano tanto presi dai ricordi da lasciarsi andare a discutere di certi argomenti, Niki, che li ascoltava, era un po' più distaccato e pensò che fosse entusiasmante poterne parlare con tanta libertà, con Giacomo, uno che non la pensava come loro. Per un momento si sentì meno spaventato dal futuro.

Il primo a confidarsi, gli raccontarono, era stato Mauro che ne aveva parlato a Giacomo. Avevano naturalmente tirato nel 'club' Alex ed Eugenio ed altri due della loro età, vicini di villa. L'esperienza era ancora troppo vicina per non essere imbarazzante, ma Giacomo, che, per propria natura non conosceva la vergogna, si lanciò a raccontarla a modo suo:

"Quell'estate è stata tremenda: all'inizio c'eravamo noi due da soli. Tutti i pomeriggi sul tetto, finché sua madre non fece sparire la chiave e fummo costretti ad andare a San Martino. Non te l'ha mai fatto vedere? È una specie di vecchio monastero, con una chiesetta e una torre. È abbandonato ed è proprio qua vicino. Poi si aggiunsero Alex ed Eugenio e così si riformò l'unità dei Cavalieri, perché Enrico, alla villotta, non c'è quasi mai venuto. I gemelli, quelli di Milano, arrivarono a metà luglio. Pensa, ce n'andavamo sul tetto della torre, tutti e sei, e ci nascondevamo dietro a quella specie di merli, con le spalle contro le pietre. Facevamo una specie di gara: ci facevamo una sega e vinceva chi riusciva a venire per primo. Ma noi due abbiamo fatto anche qualcos'altro insieme. Non è vero, Mauro?"

Da come si mosse, Niki si avvide subito che Mauro era un po' a disagio. Di quella estate non gli aveva raccontato quasi nulla, ma Giacomo imperterrito continuò a parlare:

"Se ti raccontassi quello che abbiamo fatto una volta là sopra: diglielo, Mauro..." indicò con la mano in direzione di San Martino e si rivolse all'amico. Guardò Mauro e la voce gli morì in gola. Abbassò la mano lentamente: gli parve subito d'aver detto troppo.

Non doveva parlare così. Non per quei due, ma per se stesso: che ci stava a fare a discutere di quelle cose proprio con quelli che erano finocchi? Il suo guaio era che parlava sempre, senza pensare a quello che diceva. Sarebbe voluto sprofondare per l'imbarazzo. Rimase zitto, mentre gli altri due lo guardavano, quasi incuriositi.

"Oh! Scusate" mormorò "io non volevo... erano sciocchezze da ragazzini" e sorrise un po' nervosamente.

Niki si sentì improvvisamente a disagio: stare là, sotto i pini, abbracciato a Mauro, davanti a Giacomo. Sospettò subito il motivo per cui Giacomino aveva interrotto il suo racconto. Si raddrizzò, fingendo di essere stanco di quella posizione, si staccò dal compagno e si sdraiò un poco più in là. Mauro, invece, e Niki lo comprese dallo sguardo, era ancora molto lontano dall'intuire la causa di quel brusco silenzio e di quei movimenti.

Decise di proteggerlo da quella ipocrisia, da una rivelazione che l'avrebbe certamente addolorato:

"Sentite questa" disse improvvisamente, facendo quasi sobbalzare Mauro "Me l'ha raccontata Stephan l'estate scorsa" si rivolse a Giacomo "Stephan era mio cugino..."

Si fermò e guardò Mauro che gli sorrise per incoraggiarlo. E lui pensò intensamente a Stephan, per scacciare l'angustia che l'aveva assalito. Cercò di cancellare quell'idea che era soltanto un sospetto, frutto, forse, della sua fantasia. Pensò a Stephan che non era quasi più un incubo, ma un ricordo triste. Mauro l'aveva tanto aiutato e glielo ripeteva ogni volta che poteva: parlarne quando capitava, anche per ricordare quanto Stephan fosse allegro e spensierato..

Niki continuò: "Sapete cosa dicono i ragazzini americani quando devono farsi una sega?" fece una pausa "'Stick to Mary Five-finger', cioè attaccati a Maria Cinquedita, che poi sarebbe la mano "e alzò la mano aperta.

La storia di Mary Five-finger li fece sganasciare dalle risate e Niki assistette ancora una volta all'effetto devastante delle risate indotte da Giacomo. Sapeva che, quando Mauro cominciava a ridere, riusciva difficilmente a controllarsi, ma unito a Giacomo quei due non la smettevano più. Si fermarono solo quando Giacomo si alzò e corse lontano per fare la pipì che altrimenti si sarebbe fatta addosso. Niki, che era riuscito a tornare allegro, ne approfittò per tirare un pizzicotto a Mauro e mormorargli:

"Traditore, fedifrago, voglio sapere tutto quello che hai fatto con Giacomo e che non hai avuto il coraggio di confessare. Voglio sapere proprio tutto e se non sarò più che certo che mi hai raccontato ogni cosa, chiederò conferma al tuo complice."

Mauro si voltò ancora ridacchiando, per essere certo che Niki scherzasse. Rassicurato dalla sua espressione, riprese a ridere, anche se per un attimo aveva temuto che l'amico fosse offeso dalle rivelazioni di Giacomo.

Continuarono a scherzare e a ridere fino a che non tornarono in paese. Si lasciarono dandosi appuntamento per quella sera, alla fatidica festa.

In casa di Niki non trovarono i genitori, perciò, non appena ebbe chiuso la porta, Niki prese Mauro da dietro, bloccandogli le braccia:

"Parla! Voglio sapere tutto."

"Va bene, va bene ti racconterò la verità" balbettò Mauro che aveva ripreso a ridere.

Poi riuscì a sfuggirgli e corse verso la camera di Niki, buttandosi sul letto. L'altro lo raggiunse e l'immobilizzò un'altra volta.

"Ti faccio il solletico e ti riempio di pizzichi, se non mi dici quello che voglio sapere" lo minacciò.

"Giuro che te lo dico, ma non farmi il solletico, mi fa male la pancia. Abbiamo riso troppo oggi. Ti prego non mi fare il solletico."

Niki lo lasciò andare e Mauro si alzò liberandosi della giacca a vento, anche Niki se la tolse, poi si sfilò la tuta rimanendo solo con gli slip e la maglietta, si sistemò a gambe incrociate sul letto e si mise ad aspettare che Mauro gli raccontasse tutta la storia.

Non era stata soltanto una sciocchezza fra ragazzini, almeno per lui. Si erano spogliati e toccati. Giacomino l'aveva fatto soltanto per curiosità, perché forse non gli interessava. Si erano toccati e avevano chiuso gli occhi. Ed era accaduto soltanto quella volta, perché s'erano troppo vergognati per poterlo rifare.

Esitò, cercò le parole, si sedette sulla sedia che aveva portato davanti al letto, come se si preparasse ad un interrogatorio. Ed era un imputato piuttosto reticente. Avrebbe raccontato a Niki tutta la storia, una di quelle che gli piacevano tanto, ma questa volta non avrebbe inventato nulla.

"Con Giacomo e gli altri abbiamo trascorso quasi tutte le estati della nostra vita a rincorrerci per il giardino della villotta, questo lo sai, no?" Niki assentì "Due estati fa, per qualche giorno, ci siamo ritrovati noi due da soli alla villotta, perché gli altri Cavalieri non erano in città, i miei fratelli erano troppo grandi per giocare con noi e i nostri vicini non si erano ancora trasferiti nella loro villa. Avevo cominciato a farmi le seghe, come quasi tutti i miei compagni di classe, durante quell'inverno, e Giacomo pure. In quell'inizio d'estate eravamo soli e senza controlli, perciò abbiamo pensato che sarebbe stato divertente farcele insieme."

"Giacomo parlava d'altro, quando si è interrotto."

"Sei geloso?"

"Si!" era proprio vero, era geloso "avrei voluto esserci io al posto di Giacomo."

Mauro si alzò e si inginocchiò davanti al letto. Gli appoggiò la testa sulle gambe e lo cinse con le braccia. Chiuse gli occhi e riprese a raccontare:

"I pomeriggi estivi erano così lunghi. Entro le cinque avevamo esaurito tutte le nostre idee e tutti i giochi, perciò correvamo sul tetto e là, appoggiandoci con le spalle al parapetto, ci abbassavamo i pantaloncini che erano quasi sempre bianchi e sporchi. Lui aveva le gambe già coperte da quella peluria chiara che ha adesso. Ce lo prendevamo in mano e cominciavamo a farci la sega. Una volta gli proposi di fargliela io e un'altra volta di farcela contemporaneamente, uno contro l'altro."

"Volevo esserci, accidenti, perché non c'ero?"

"Ma Giacomo non ne voleva sapere. Si vergognava. Comunque, sono certo che un po' piaceva anche a lui. Andammo sul tetto diverse volte e finimmo per annoiarci, tanto che smettemmo. Io avrei continuato, perché per me era molto eccitante. Forse mi ero preso una cotta per lui. Non lo so neppure ora o forse era solo noia estiva, oppure era perché avevo scoperto il sesso da così poco tempo."

Mauro raddrizzò la testa per guardare Niki negli occhi e sorridergli, poi l'appoggiò un'altra volta sul suo grembo e riprese a raccontare.

"Un pomeriggio la sua vicinanza pareva eccitarmi molto più del solito. Mi venne voglia di fare qualcosa che non riuscivo neppure ad immaginare, così gli proposi di giocarci in una gara il diritto d'impartire ordini proibiti all'altro. Gli dissi 'ordini di fare cose proibite'. Lui capì certamente a cosa mi riferivo, gli piacque l'idea ed accettò. Decidemmo, senza darci altre spiegazioni, di giocarci questo oscuro diritto a pallone, in una gara di tiri in porta nel viale. Quel pomeriggio giocammo per due, tre ore. Uno riusciva sempre a raggiungere l'altro, ma alla fine vinsi io. L'eccitazione mi stringeva lo stomaco e temevo anche che mi si bucassero le mutande per quanto ce l'avevo duro. Ah, a proposito, non ti ho detto che quell'estate avevo i pantaloncini dell'anno prima, perché Michele non aveva ancora smesso i suoi e io durante quell'anno ero cresciuto parecchio."

"Dov'ero io?" Niki fingeva una disperazione che almeno un poco sentiva realmente "Più ti ascolto e più mi pare che, averti conosciuto solo a quindici anni e non prima, abbia significato per me arrivare con quindici anni di ritardo. Mi sono proprio perso tutto quel tempo."

Mauro si alzò e saltò sul letto, anche lui a gambe incrociate. Si guardarono negli occhi e fra loro corse uno sguardo molto esplicito. Mauro si spogliò e poi sfilò la maglietta a Niki. Si abbracciarono.

"Non avevo idea di cosa avrei chiesto a Giacomo di fare o di farmi. Ora, dopo avere avuto te come maestro, avrei saputo bene cosa chiedergli, ma allora la cosa più proibita che poteva venirmi in mente era di spogliarci completamente nudi. Ce ne andammo a San Martino, perché la villotta sarebbe stata troppo pericolosa per quello che cominciava a delinearsi nella mia mente. Dalla torre di San Martino si gode una vista completa sul mare ed è bello affacciarsi nei pomeriggi d'estate. Mentre a terra c'è caldo, là sopra quasi sempre tira una brezza fresca che arriva dal mare. Appena fummo saliti, gli diedi il mio 'ordine proibito': doveva spogliarsi nudo. Lui esitò, ma aveva perso la scommessa. Mi spogliai anch'io e fu bellissimo. Sono convinto che gli piacque. Ne sono certo, perché ci pensa ancora e poi mi ricordo come ci guardammo."

Mauro intanto si stese sul letto e Niki gli scivolò accanto. Cominciarono ad accarezzarsi, poi Niki lo baciò per farlo tacere, anche se gli piaceva ascoltarlo. Ma se a lui non interessava sapere più nulla, Mauro invece voleva ricordare: "Aspetta, Niki. È stato così bello. Eravamo liberi, anche di volare!" lo guardò fisso "Niki, poco prima di conoscerti ho visto un film. Era la storia di un reduce da una guerra che fin da piccolo aveva sempre sognato di essere un uccello e di poter volare.

"Vedendo il film ho ripensato a quel giorno e ho capito finalmente come mi ero sentito su quel tetto. Quel ragazzo stava sempre nudo e sognava di essere libero, di poter diventare un uccello e riuscire finalmente a librarsi nell'aria. Là sopra io mi sentii libero. Per un poco non pensai a nulla, neppure a Giacomo che era nudo accanto a me. Godetti la brezza su tutto il corpo, specie qui" Mauro prese la mano di Niki e se la portò davanti "Era una sensazione meravigliosa. Ho capito dopo che ero felice solo perché sentivo sulla mia pelle l'aria, il vento e quel senso di libertà assoluta e quasi irreale.

"Fu la coscienza improvvisa d'essere vicino a godere che mi riportò alla realtà. Il sogno era finito e Giacomino, che non era volato lontano con la fantasia, era ancora accanto a me, ad aspettare gli altri miei 'ordini proibiti': gli ordinai d'abbracciarmi.

"Poi gli dissi che dovevamo strofinarci fino a godere uno contro l'altro. Obbedì senza una parola. Il suo corpo chiaro, in pieno sole, risaltava contro il mio che era già abbronzato. Naturalmente godemmo quasi immediatamente tutti e due e quello fu forse il mio primo vero orgasmo, il primo che sentii con tutto il corpo. Quella volta non fu soltanto il mio uccello a godere, perché il piacere che provai nacque da tutto me stesso, dal mio corpo che in quel momento era baciato dal sole e sfiorato dal vento.

"Ci staccammo, senza neppure il coraggio di guardarci negli occhi, con la convinzione d'avere fatto qualcosa di proibito, terribilmente peccaminoso. Ci rivestimmo in fretta, dandoci le spalle e scendemmo senza neppure una parola. Mentre tornavamo alla villotta, Giacomo ruppe il silenzio che era calato fra noi per chiedermi se quello che avevamo appena fatto era come fare l'amore con una donna. E io, convinto, anche se brancolavo ancora nel buio, gli risposi che quasi certamente era così. E questo è davvero tutto, amore mio, perché poi ci siamo fatti solo seghe semplici, semplici. Là sopra avevo fatto qualcosa che era ancora al di fuori di me, troppo più grande. Fu come se una parte, che doveva ancora svilupparsi, fosse venuta alla luce, si fosse svegliata per qualche momento, per poi tornare a dormire fino quasi al tuo arrivo."

"'Ordine proibito', Mauro: baciami e poi, anche se non siamo su quel tetto e se il vento non sfiora il tuo corpo, facciamo l'amore."

Così dicendo l'attirò a sé e si baciarono. Poi fecero in modo di stendersi, senza staccare le labbra. La storia li aveva eccitati, anche se gli aveva messo addosso un po' malinconia. In quel momento Mauro pensò che ricordare i momenti felici mette immancabilmente tristezza. Se ne stette con gli occhi chiusi a sentire su di sé Niki che l'accarezzava. Riaprì gli occhi e tornò a sorridere:

"'Ordine proibito', Niki: lasciami fare quello che non ho fatto a Giacomo, perché allora non immaginavo che si potesse fare."

Niki scivolò sul letto a pancia sotto e Mauro lo coprì con se stesso, andando a cercare il piacere nel corpo gli era offerto. Dopo aver goduto rimasero uniti, Mauro ad immaginare ancora quel vento sfiorargli il corpo e Niki a godere su di sé il peso di Mauro, a sentirne la stretta. Perché il compagno, mentre lo penetrava, l'aveva cinto con le braccia fino a cercare con una mano il sesso e attendere il suo orgasmo. Con l'altra aperta l'aveva stretto al petto per sentire il suo cuore.

"Lo sai che i nostri cuori battevano insieme?" gli disse Mauro "Prima, avevo il tuo in una mano."

Niki si chiese se davvero, come avevano detto tante volte, avessero bisogno degli altri per essere felici. Per un momento non gli parve possibile: la felicità che provava in quel momento era totale, non poteva avere bisogno di qualcuno per completarsi. Ma fu proprio quella serenità che gli fece accettare la verità cui voleva sfuggire: avevano bisogno degli amici per distrarsi dall'attenzione che dedicavano a se stessi e solo attraverso gli altri potevano farlo. Si erano amati subito ed era stato per sempre, ma quel desiderio ininterrotto avrebbe potuto estinguersi se non l'avessero nutrito con la vita, con l'esperienza, con la conoscenza del mondo. Avrebbero perso tutto se non avessero distratto l'attenzione che avevano uno per l'altro, se non avessero evitato che quell'attenzione diventasse morbosa. Con un soffio di voce parlò a Mauro:

"Sono felice d'andare alla festa, amore mio, felice perché ci sei tu."

Durante quel tempo, Mauro non aveva smesso di penetrarlo. Si mosse lentamente dentro di lui, lo baciò sulla guancia e improvvisamente sentì il proprio desiderio rimontare. I suoi movimenti dapprima lenti, furono sempre più veloci, mentre i baci che dava a Niki, diventarono più dolci, più teneri, sul collo, sulle spalle, fra i capelli. Niki rimaneva immobile per offrirsi a quel desiderio che tornava e Mauro si mosse con forza, cercando di raggiungere un'altra volta la vetta. Niki lo assecondava sapendo che quel piacere, al contrario di poco prima, sarebbe arrivato da molto più lontano.

Quando ebbe faticosamente raggiunto l'apice, Mauro scivolò dolcemente da Niki che lo attendeva per abbracciarlo. Giacque supino, attirando su di sé il compagno. Niki lo accarezzò su tutto il corpo, lucido di sudore. Avvicinò le labbra ai capezzoli, scendendo sul ventre, fino al sesso, finalmente soddisfatto e tornato molle. Niki passò la bocca su tutto il grembo di Mauro, scendendo sulle gambe, sfiorando con le labbra la peluria morbida e scura che le copriva. Gli baciò le ginocchia, l'accarezzò ancora e attese. Allora Mauro, comprendendo il desiderio del compagno, si voltò per offrirsi a lui.

Guardarlo era sempre un'emozione: come poteva cessare il suo desiderio? Mai, mai avrebbe smesso di desiderare quel corpo, d'amare e cercare quell'abbraccio: si sarebbero fatti migliaia di amici, ma avrebbe desiderato sempre e solo lui. Risalì lungo le cosce, lasciandosi accarezzare la faccia dai peli morbidi, all'interno delle gambe. Lo penetrò con il naso, poi con la lingua, prima di dividere i glutei e passare una mano ad accarezzare dolcemente la fonte ultima del suo piacere.

La sua erezione era tornata completa. Desiderava fortemente possederlo. Lo sentì sospirare al tocco delle sue dita, gli si stese sopra e dolcemente lo penetrò, sfruttando il sudore che Mauro, con i movimenti frenetici di poco prima, aveva accumulato nei suoi posti più segreti. Si mosse dentro di lui con lentezza, poi sempre con più forza, fino a bloccarsi improvvisamente: l'aveva sentito irrigidirsi. Mauro aveva quasi stretto i pugni.

Gli stava facendo male.

"Continua. Ti prego! Continua!" gli disse Mauro in un soffio.

Niki, allora, riprese a spingere dentro di lui, fino ad esplodere.

Si calmò lentamente e gli scivolò di lato:

"Ti ho fatto male" era un'affermazione e non aveva dubbi.

"No, è stato bellissimo" Mauro gli sorrise, accarezzandolo "adesso mi brucia un poco, ma prima non sentivo dolore. È stato incredibilmente bello. A che pensavi?"

"Che tu sei mio e... No, pensavo soltanto a me stesso. Perdonami. Dimmi che mi perdoni! "

Mauro gli prese una mano e gliela baciò:

"Sai, adesso non mi fa più male. Davvero!" gli passò la mano sulla fronte "Sei tutto sudato."

"Ti voglio bene. Sul serio non ti fa male?"

La festa di Mara fu, in assoluto, la prima festa per Niki che non era mai stato invitato da nessuno e in nessun posto. Era perciò curioso e carico d'attesa, nonostante tutte le scene che aveva fatto prima di accettare d'andarci.

Aveva vestito Mauro rendendolo più bello che mai e anche per sé aveva scelto abiti che mettessero in risalto le proprie fattezze. Così, belli, lavati, sbarbarti e profumati si concessero a quel mondo che, loro speravano, potesse accettarli almeno un po'.

Ubbidienti, tornarono a casa entro mezzanotte e subito se ne andarono a letto stanchi e davvero distrutti per tutto quello che erano riusciti a fare durante quella giornata. Si mormorarono un 'buonanotte amore' e, prima di riuscire a staccarsi dal bacio che stavano dandosi, crollarono addormentati.

Il letto di Niki fu illuminato dal sole dell'alba. Strisce di luce cominciarono a rigare la coperta, fino a raggiungere il volto dei due ragazzi. Niki si svegliò e accarezzò Mauro che dormiva ancora.

La festa era stata divertente. Lui aveva perfino ballato, anzi secondo Mauro, ci aveva provato con scarsi risultati, e poi avevano fatto tutti quei giochi che si fanno perché una festa sia tale, quei giochi di cui aveva sempre sentito parlare e che, senza mai aver fatto, aveva giudicato sciocchi e noiosi. Ora non la pensava più così: gli doleva ancora la pancia per il troppo ridere. Per un pegno avevano costretto Giacomo a vestirsi da donna e Roberta da uomo.

Ma, mentre urlavano e ridevano, vedendo le smorfie di Giacomo alla notizia di doversi travestire da donna, Niki non aveva potuto fare a meno di pensare a come si sarebbero comportati i loro amici se fosse capitato a lui oppure a Mauro di pagare quel pegno? Glielo avrebbero proposto lo stesso? E come li avrebbero costretti a vestirsi? Tutt'e due da donna? Non riusciva a scacciare quel pensiero, anche se fortunatamente non era accaduto.

I loro amici forse li accettavano, o parevano accettarli: da qualche discorso che aveva ascoltato, gli era parso addirittura che pensassero a loro come ad una coppia. Attorno, però, avvertiva ancora curiosità e tanta diffidenza. Aveva notato che qualche volta, al suo avvicinarsi, la conversazione si interrompeva bruscamente, ma quella era l'unica nota stonata che aveva colto ed era stato molto attento ad interpretare tutti i segnali che gli giungevano. In ogni caso, con i Cavalieri che li avevano presi sotto la loro protezione e Mauro che non aveva bisogno di nessun aiuto per farsi piacere, si era finalmente convinto che, in qualche modo, si sarebbero integrati. Fin dove era possibile, si ripeté, purché non s'aspettassero ciò che non dovevano sperare. Che altro poteva pretendere da quei ragazzi che già facevano miracoli, accettando di tenerli con loro? Questo pensiero gli dette un po' di amarezza, ma pensò che non ne avrebbe parlato a Mauro, non subito. Il suo compagno era ancora troppo commosso e felice per essere tornato con i suoi amici di sempre, per notare quello che lui aveva intravisto dietro la disponibilità di quasi tutti.

In futuro ci sarebbero stati certamente momenti difficili: sapeva e prevedeva situazioni che a Mauro, più facile all'entusiasmo, ancora sfuggivano. Aveva colto qualche sguardo, qualche movimento, alcuni atteggiamenti in tutti i compagni, compreso Giacomo e gli altri Cavalieri, che gli facevano presagire difficoltà per loro due. Un'integrazione totale, lo capiva, sarebbe stata impossibile, ma era altrettanto certo che da quegli amici, a certe condizioni, sarebbe arrivato tutto l'aiuto possibile.

Quel pensiero finì per confortarlo e lo convinse che Mauro sarebbe stato d'accordo con lui: ora, finalmente e dopo tanti dubbi, cominciava a sentirsi un po' più sereno sul loro futuro. Si riaccomodò tranquillo fra le braccia dell'amico che, pur continuando a dormire, non gli aveva lasciato il braccio che aveva tenuto stretto per tutta la notte.

Provò a divincolarsi, ma Mauro nel sonno lo strinse di più e l'attirò a sé, allora Niki mormorò, più a se stesso che non al compagno il quale, certamente, sognava ancora:

"Lo so, sono il tuo orsacchiotto! Sono il tuo cucciolo e resto qua con il mio naso umido!"

Nel letto avevano raggiunto una perfetta integrazione, una simbiosi che consentiva loro di adattarsi uno ai movimenti e alle posizioni dell'altro. Se Mauro era un po' più tranquillo, lui si muoveva spesso, ma lo faceva sempre considerando la presenza dell'altro nel proprio letto, quasi che quel corpo fosse un prolungamento del proprio e il tenerne conto nei movimenti, fosse il fatto più naturale del mondo.

Aveva preso coscienza del corpo di Mauro in un giorno ormai tanto lontano. Era stato solo qualche mese fa, ma prima che tante circostanze si verificassero, avvenimenti che erano riusciti solo ad avvicinarli e ad unirli. Dal giorno in cui scherzando s'erano stretti per la prima volta, aveva cominciato a conoscerlo, a percepire ogni vibrazione, a comprendere quali movimenti potessero procurare piacere e quali dessero dolore. La prima volta che s'era avvicinato a Mauro, era rimasto molto colpito dalle sue mani. Ora conosceva una per una le unghie di Mauro così regolari, e le dita lunghe, affusolate di quelle mani forti e gentili. Il primo giorno, dopo essersi seduto indesiderato al banco del futuro compagno della sua vita e, non osando alzare lo sguardo verso la faccia di quel ragazzo così affascinante e tanto arrabbiato, aveva ardito solo guardargli le mani. Per molti giorni, mentre se ne innamorava, furono l'unica parte di lui che si consentisse di fissare.

In quel momento il suo innamorato gli era disteso accanto e Niki ne percepiva il respiro regolare, come tante notti ormai: aveva visto sorgere tante albe, sentendo il suo alito sul collo.

All'inizio erano stati molto imbarazzati delle proprie funzioni corporali, finanche del respiro. Erano stati gelosi del proprio corpo, così, per quanto avessero cominciato a godere della vicinanza reciproca, avevano evitato persino di sfiorarsi. Solo dopo avevano scoperto il piacere di toccarsi: la sensazione tattile era diventata il complemento degli sguardi che già si scambiavano.

Il cammino che avevano compiuto sulla strada del piacere, era stato parallelo alla scoperta del corpo dell'altro. E, se lui aveva già provato certe sensazioni facendo suo il corpo di Stephan, l'esperienza fatta da Mauro, Niki lo aveva capito, era stata sconvolgente: Mauro aveva sperimentato sensazioni che dovevano averlo scosso profondamente.

Dalla prima volta in cui avevano regalato all'altro momenti di godimento, si erano avvicinati lentamente e, a poco a poco, avevano preso coscienza di tutte le espressioni dei loro corpi, cominciando a nominarle. Anche le parti che utilizzavano per darsi piacere, quelle che forse, in certi momenti, amavano di più nell'amante, prima non erano mai oggetto di conversazione. E se proprio le avevano nominate, erano ricorsi a metafore e vezzeggiativi. Poi avevano superato anche quella barriera, avvicinandosi e accettandosi persino nelle espressioni più terrene di sé, finché, in occasione dell'influenza di Mauro, Niki l'aveva aiutato quando si era sporcato ed aveva maneggiato il suo corpo caldo, illanguidito dalla febbre. Mauro obbediente l'aveva assecondato, mentre Niki lo lavava e l'aiutava a rivestirsi. Quell'esperienza era servita più d'ogni altro momento vissuto insieme per stringere in un tutto unico, fra sé e Mauro, l'amore, la dedizione, il sacrificio, l'adorazione che già esistevano.

Mauro si mosse ancora, quasi si svegliò. Niki restò immobile e finse di dormire. Mauro riprese nel sonno il suo respiro regolare. Niki allora tornò con la mente alla festa della sera prima: Caterina fra un gioco e un ballo si era avvicinata a loro e li aveva presi a braccetto spingendoli fuori, sul balcone. Quella sera anche per lei era stato difficile muoversi. Credeva d'essere già sufficientemente abituata all'indifferenza, ma a quella festa si era sentita fuori dai veri giochi che vi si svolgevano, dalle trame amorose che i ragazzi e le ragazze intessevano. Si era sentita triste perché nessun filo passava dalla sua parte e nessuno l'aveva ancora incrociata.

Si era rivolta agli unici che, come lei, in quel momento erano sicuramente fuori dalla contesa:

"Un poco di miele anche per me, please."

L'ironia che l'aveva sempre aiutata, rendendola in questo molto simile a Niki, in quei momenti poteva poco e così loro due le erano restati accanto per tutta la serata, riaccompagnandola anche a casa.

"Tu sei proprio strano! Anzi, sei un eroe!" aveva detto a Niki "Ma come fai a reggerlo? Io lo conosco da quando portava i pantaloncini corti e non ho mai capito come facesse a rendersi così insopportabile!"

"Non è molto significativo dire che mi conosci da quando portavo i pantaloni corti, perché li ho indossati, praticamente, fino all'anno scorso" aveva precisato Mauro con puntiglio, poi aveva spiegato a Niki "Il primo paio di calzoni lunghi, a parte i jeans, i miei fratelli ed io l'abbiamo indossato soltanto al ginnasio. Quindi, piccola cara, se vuoi affermare che mi conosci da così tanto tempo, devi trovare un riferimento più calzante!"

"Lo vedi quanto è detestabile?" aveva detto Caterina ridendo "Allora, sappi che lo conosco almeno da quando..." e si era voltata con aria di trionfo verso Mauro "Almeno da quando ti ho visto con il costume da bagno abbassato!"

"Come? E quanti anni aveva?" aveva chiesto Niki già sull'orlo di una crisi da risata, pregustando la ghiotta rivelazione, mentre Mauro si copriva la faccia con le mani e faceva finta di volersi buttare dal balcone.

"No, pietà! Non raccontarglielo: mi prenderà in giro per i prossimi tre anni!"

"E a quale altezza si era fermato il costume? Si è visto proprio tutto?" Niki fermava la sua risata, solo per fare domande "Racconta, racconta, voglio sapere, voglio conoscere ogni particolare, anche il più crudo!" e afferrò per un braccio Mauro che stava sgattaiolando in casa, lasciandoli da soli sul balcone.

"È stato quando avevamo cinque anni, più o meno, e sua cugina Patrizia... Tu non devi averla ancora conosciuta, altrimenti te l'avrebbe raccontato lei stessa. Dicevo, Patrizia era ed è tuttora un tipo piuttosto intraprendente e molto deciso. È un paio d'anni più grande di noi. In spiaggia noi bambine giocavamo tutte insieme, eravamo una banda di tremende rompiballe, mentre, loro, i maschietti, erano tutti 'cuoricini' di mamma. E un giorno la terribile cugina decise che doveva sapere come era fatto un maschietto sotto il costumino da bagno e scelse Mauro per l'esperimento."

Mauro se ne era andato all'altro capo del balcone, coprendosi le orecchie con le mani. Aveva ascoltato lo stesso e l'aveva minacciata: "Caterina se continui a raccontare, al prossimo compito in classe di greco, ti passerò una copia piena di errori!"

"Non preoccuparti, quella che ti darò io sarà assolutamente corretta. Racconta tutto! E soprattutto non lesinare sui particolari!" l'aveva tranquillizzata Niki.

"Beh, praticamente lo rapimmo. Cioè, lo convincemmo a seguirci e lui venne con noi. E... arrivati in un angolo..."

"Caterina, ti prego!"

"Patrizia gli abbassò il costumino fino ai piedi, senza che lui opponesse alcuna resistenza. Noi guardavamo lo spettacolo tutte curiose e meravigliate per come era fatto là sotto. Lui rimase dapprima imbambolato, poi scoppiò a piangere. Se ne andò trascinando i piedi ed attraversando tutta la spiaggia, con il costume alle caviglie, fino dov'era sua madre, per farsi consolare!"

"Povero amore mio!" l'aveva consolato Niki.

"Sniff! Sniff!" Mauro aveva ancora la faccia coperta dalle mani e fingeva di piangere, mentre Niki l'accarezzava: "Niki, mi vorrai ancora bene dopo aver saputo tutto questo?"

"Aspetta, Niki, non ho finito: non ti ho detto che da allora non ha più rivolto la parola a quella poverina e che, quando la incontra, arrossisce ancora!"

"Non ha tutti i torti: rapito da una banda di donne assatanate e quasi violentato! Mauro!" Niki aveva gridato improvvisamente "Non sarà stato per quel trauma che tu... io e te, insomma, hai capito..."

E Mauro l'aveva bloccato contro la ringhiera e l'aveva riempito di pizzicotti finché Caterina non li aveva divisi.

Quando erano tornati seri, Caterina gli aveva rifatto la domanda che prima era rimasta senza risposta: "Niki? Non me l'hai ancora detto: come hai fatto ad innamorarti di lui?"

Niki aveva sorriso: "Vuoi proprio che te lo dica? È stato il primo giorno di scuola: me ne sono innamorato soltanto a vederlo. L'ho guardato e da allora per me è cambiato tutto!"

Niki era arrossito: oltre che con sua madre, non aveva mai parlato così apertamente a nessun altro del suo amore per Mauro e farlo con Caterina, una sua coetanea, era stato emozionante.

Poi s'erano parlati in modo ancora più serio, raccontandole di loro due. A Caterina era certamente piaciuto ascoltarli, perché le avevano descritto, anche divertendola, i tanti modi con cui ciascuno aveva scoperto i difetti dell'altro. Le avevano rivelato molte cose che non avevano mai detto all'altro, cose che neppure credevano di sapere. Quella sera avevano scoperto che Mauro era a conoscenza del carattere di Niki, dei suoi difetti o debolezze e delle sue doti, molto più di quanto non pensassero entrambi. E così Niki aveva visto in Mauro quello che nessuno aveva mai potuto scorgere. Era stato bello parlarsi come non avevano mai fatto, perché, anche se c'era Caterina e rispondevano soprattutto alle sue domande e alle sue curiosità, era a se stessi che parlavano e soprattutto all'altro innamorato, all'altra metà di sé.

Il merito di questo era stato di Caterina, ma anche di Mauro che aveva insistito perché si vedessero con altre persone. Avrebbero continuato per quella strada, nel loro futuro dovevano esserci tanti amici. Decise che avrebbe accettato gli altri, anche se dividere Mauro, anche solo la vista di Mauro con qualcuno, avrebbe rappresentato un sacrificio per lui.

Ora però c'era da pensare a Parigi, alla loro nuova avventura, e Niki aveva un'idea che voleva assolutamente mettere in pratica.

Aveva letto che, secondo alcune stime, il cinque per cento degli esseri umani ha tendenze omosessuali. Statistiche alla mano, questo significava che a Parigi, dove c'erano circa tre milioni di abitanti, dovevano esserci almeno centomila gay di sesso maschile e Niki voleva vederne almeno uno e, magari, conoscerlo, addirittura cercare di parlargli, per sentire quali fossero state le sue esperienze. A Mauro non ne aveva ancora parlato, ma lo avrebbe fatto alla prima occasione.

Come altre volte, come tante domeniche, dopo aver pensato così intensamente al suo amore per Mauro, dopo aver accarezzato l'amante con gli occhi ed avere sfiorato le sue labbra, si riaddormentò sognando. E questa volta fantasticò di loro due per le strade di Parigi, assieme ad un nuovo amico che raccontasse come aveva fatto a crescere e a diventare uomo.

TBC

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